TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-04-02, n. 202406375

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-04-02, n. 202406375
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202406375
Data del deposito : 2 aprile 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/04/2024

N. 06375/2024 REG.PROV.COLL.

N. 04664/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4664 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato D A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto ex art. 25, comma 1, lett. a), cod. proc. amm., presso la segreteria dell’intestato Tribunale in Roma, via Flaminia n. 189;

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento

del decreto del Ministero dell’Interno n. -OMISSIS- del 14 febbraio 2019, con il quale è stata respinta la domanda di concessione della cittadinanza italiana presentata dall’odierno ricorrente in data 13 febbraio 2016 ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f) della legge n. 91/1992;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2024 il dott. Enrico Mattei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe si contesta la legittimità del decreto del Ministero dell’Interno n. -OMISSIS- del 14 febbraio 2019, con il quale è stata respinta la domanda di concessione della cittadinanza italiana presentata dall’odierno ricorrente in data 13 febbraio 2016, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f) della legge n. 91/1992, risultando a suo carico una denuncia all’Autorità Giudiziaria effettuata in data 29 maggio 2008 dalla Polizia Municipale di -OMISSIS-, per il reato di cui all’art. 116, comma 3, del d.lgs. n. 285/1992 (guida senza patente o con patente revocata o non rinnovata).

L’impugnativa è stata affidata ai seguenti motivi di diritto:

I. Violazione e falsa applicazione art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992 e dei principi generali in materia di concessione della cittadinanza italiana. Eccesso di potere per carenza di istruttoria e di motivazione;
violazione degli articoli 3 e 7 della legge n. 241 del 1990;
travisamento dei fatti;
erronea valutazione dei fatti;
violazione e falsa applicazione dell’art 6 della legge n. 91 del 1992
.

Lamenta in sintesi il ricorrente che il Ministero dell’Interno avrebbe omesso di considerare che il reato previsto e punito dall’art. 116 del Codice della Strada, cioè la guida senza patente, è stato depenalizzato.

Risulterebbe pertanto destituito di fondamento il presupposto stesso del decreto, specialmente nella parte in cui dispone che “il pregiudizio di carattere penale da cui si evince che la condotta del richiedente è indice di inaffidabilità” , in quanto tale eventuale pregiudizio non ha assolutamente carattere penale e comunque anche dal punto di vista amministrativo non è mai stato preso in considerazione.

II. Sussistenza dei requisiti per la concessione della cittadinanza italiana .

L’Amministrazione avrebbe inoltre omesso di valutare lo stabile inserimento dello straniero nella comunità nazionale da oltre venti anni.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio per resistere al ricorso, contestando le censure ex adverso svolte e concludendo per il rigetto della domanda di annullamento del provvedimento impugnato.

Con ordinanza cautelare n. 3903/2019 il Collegio ha respinto la domanda di sospensione dell’efficacia del diniego impugnato, data la sua inidoneità “ad arrecare, nell’immediato, un pregiudizio grave e irreparabile agli interessi della parte ricorrente, ben potendo comunque la stessa, nelle more della decisione di merito sul presente ricorso, continuare a permanere sul territorio nazionale” .

All’udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2024, la causa è passata in decisione.

Il ricorso è infondato e va respinto.

Giova sul punto osservare, alla luce della giurisprudenza di recente sintetizzata dalla Sezione (T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2947, 3018, 3471, 5130 del 2022), che l’acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone un’amplissima discrezionalità in capo all’Amministrazione, come si ricava dalla norma, attributiva del relativo potere, contenuta nell’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, ai sensi del quale la cittadinanza “può” essere concessa.

Tale discrezionalità si esplica, in particolare, in un potere valutativo in ordine al definitivo inserimento dell’istante all’interno della comunità nazionale, in quanto al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consente, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si chiede di entrare a far parte), e nella possibilità di assunzione di cariche pubbliche – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo;
si tratta infatti di determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (cfr. Consiglio di Stato, AG, n. 9/1999 del 10.6.1999;
sez. IV n. 798/1999;
n. 4460/2000;
n. 195/2005;
sez, I, 3.12.2008 n. 1796/08;
sez. VI, n. 3006/2011;
Sez. III, n. 6374/2018;
n. 1390/2019, n. 4121/2021;
TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012;
n. 3920/2013;
4199/2013).

L’interesse dell’istante a ottenere la cittadinanza deve quindi necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico a inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale e se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile dunque comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agire del soggetto (il Ministero dell’Interno) alla cui cura lo stesso è affidato.

In questo quadro, pertanto, l’Amministrazione ha il compito di verificare che il soggetto istante sia in possesso delle qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.

La concessione della cittadinanza rappresenta infatti il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico.

In altri termini, l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire (solo) quando l’Amministrazione ritenga che quest’ultimo possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato (cfr., ex multis , T.A.R. Lazio, Roma, sez. I ter, n. 3227/2021;
n. 12006/2021 e sez. II quater, n. 12568/2009;
Cons. St., sez. III, n. 4121/2021;
n. 8233/2020;
n. 7122/2019;
n. 7036/2020;
n. 2131/2019;
n. 1930/2019;
n. 657/2017;
n. 2601/2015;
sez. VI, n. 3103/2006;
n.798/1999).

Tanto chiarito sulla natura discrezionale del potere de quo , ne deriva che il sindacato giurisdizionale sulla valutazione compiuta dall’Amministrazione – circa il completo inserimento o meno dello straniero nella comunità nazionale – non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole.

Ciò in quanto la giurisprudenza, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, ha costantemente chiarito che, al cospetto dell’esercizio di un potere altamente discrezionale, come quello in esame, il sindacato del giudice amministrativo si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, e non può estendersi all’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto su cui fondare il giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cittadino.

Il vaglio giurisdizionale non può sconfinare, quindi, nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione ( ex multis , Cons. St., sez. IV n. 6473/2021;
sez. VI, n. 5913/2011;
n. 4862/2010;
n. 3456/2006;
T.A.R. Lazio, sez. I ter, n. 3226/2021;
sez. II quater, n. 5665/2012), la quale, nello svolgere tale delicata valutazione, “ben può rilevare che nell’ultimo decennio vi sono state condotte penalmente rilevanti (e quindi espressive di una non compiuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale), così come può valutare i fatti per periodi ancora maggiori ai dieci anni” (T.A.R. Lazio, sentenza n. 5615/2015).

Applicando le suesposte coordinate giurisprudenziali al caso di specie, il Collegio ritiene infondate le censure formulate con il ricorso, avendo l’Amministrazione valutato in maniera non manifestamente illogica la situazione dell’odierno ricorrente, risultando a suo carico una denuncia all’Autorità Giudiziaria effettuata in data 29 maggio 2008 dalla Polizia Municipale di -OMISSIS-, per il reato di cui all’art. 116, comma 3, del d.lgs. n. 285/1992 (guida senza patente o con patente revocata o non rinnovata), che rappresenta un chiaro indice sintomatico di inaffidabilità e di non compiuta integrazione nella comunità nazionale, desumibile in primis dal rispetto delle regole di civile convivenza e dalla rigorosa, sicura osservanza delle leggi vigenti nell’ordinamento giuridico italiano volte a proteggere valori ritenuti fondamentali per la Comunità, oltre che una scarsa considerazione degli obblighi che si accompagnano a detta concessione (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. I ter, n. 5708/2019).

Il ricorrente non nega tale addebito – peraltro il difetto del titolo abilitativo era stato riscontrato dalla Polizia Municipale da cui era scaturita la denuncia all’Autorità giudiziaria – ma si limita ad eccepirne l’intervenuta depenalizzazione.

Tale circostanza, tuttavia, non è sufficiente a disconoscere il disvalore della condotta, al fine di valutare il grado di assimilazione di valori fondamentali, che è qui considerato non ai fini penali (di irrogare una punizione al colpevole) bensì di valutarlo quale indicatore del grado di assimilazione di valori ritenuti fondamentali per l’acquisto della cittadinanza.

A quest’ultimo riguardo deve inoltre evidenziarsi, in linea con la giurisprudenza anche di questo Tribunale, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, che la discrezionalità dell’Amministrazione procedente nella concessione dello status civitatis , di cui sono stati delineati sopra gli ampi margini di esercizio – a tutela dei rilevanti interessi dello Stato – nella valutazione in ambito amministrativo della condotta e dell’inserimento sociale dell’interessato, consente che “le valutazioni volte all’accertamento di una responsabilità penale si pongano su di un piano assolutamente differente e autonomo rispetto alla valutazione del medesimo fatto ai fini dell’adozione di un provvedimento amministrativo, con la possibilità che le risultanze fattuali oggetto della vicenda penale possano valutarsi negativamente, sul piano amministrativo, anche a prescindere dagli esiti processuali penali” ( ex multi s, T.A.R. Lazio, Roma, sez. I ter, nn. 10323/2021, 3345/2020, 347/2019, 6824/2018, Sez. II, n. 1833/2015).

Alla luce di siffatta osservazione – che si fonda sul noto fenomeno della “pluriqualificazione” del fatto giuridico, per cui lo stesso comportamento può assumere diversa rilevanza, sul piano penale, civile, fiscale, amministrativo, ecc., a seconda dei settori d’azione, delle materie e delle finalità perseguite [poiché simile scrutinio si pone su un piano differente e autonomo rispetto alla valutazione dello stesso fatto ai fini dell’accertamento di una responsabilità penale (cfr. Cons. St., sez. III, 15/02/2019 n. 802)] – non potrebbe neppure valere l’osservazione di parte ricorrente secondo cui al comportamento contestato non avrebbe fatto seguito alcun procedimento penale ovvero alcuna condanna, essendo comunque indicativo di una personalità non incline al rispetto delle regole di convivenza civile, tale da giustificare il diniego del rilascio della cittadinanza italiana (T.A.R. Lazio, Roma, n. 5615/2015).

A tale riguardo, la Sezione condivide l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “ la guida senza patente, cioè senza l’accertata perizia e competenza che il suo rilascio attesta, è fonte di gravissimo pericolo perfino per la pubblica incolumità” (T.A.R. Lazio, Roma, sez. I ter, n. 13629/2020), nel senso che “effettivamente provoca un forte allarme sociale ed è connotato da un particolare disvalore rispetto ai principi fondamentali della convivenza all’interno dello Stato, anche perché posto a presidio della sicurezza pubblica” (T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, n. 8046/2022;
TAR Lazio, Roma, sez. V bis, n. 4702/2022 sulla rilevanza, ai fini della concessione della cittadinanza, della guida senza patente in quanto comportamento che mette a rischio l’integrità fisica;
idem T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, n. 8006/2022), sicché nonostante la “tenuità” sotto il profilo penale, la giurisprudenza ha da tempo avvertito che a prescindere dalla natura contravvenzionale o meno, dall’eventuale intervenuta depenalizzazione, dall’entità della pena erogata e/o dall’esito del giudizio penale (estinzione/prescrizione etc.), tale condotta può essere diversamente valutata ai fini della concessione della cittadinanza anche in un’ottica di tutela avanzata, stante il potenziale rischio di lesione di beni giuridici di rilevanza costituzionale, quali la salute e l’incolumità fisica delle persone e dei passanti, che ben possono essere presi in considerazione al fine di stabilire la gravità della condotta in funzione della valutazione del grado di integrazione dei valori della comunità e del giudizio prognostico sull’inserimento del nuovo membro nella collettività nazionale (vedi, da ultimo, T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, n. 8046/2022, ove si precisa che la “depenalizzazione è irrilevante, perché non elide la gravità del fatto, e il disvalore che esso assume nell’ottica della valutazione complessiva del comportamento del ricorrente” .

Né può condividersi la tesi volta a sostenere che si tratterebbe di episodio non indicativo di pericolosità sociale dato che la guida senza patente, cioè senza l’accertata perizia e competenza che il suo rilascio attesta, è fonte di gravissimo pericolo perfino per la pubblica incolumità;
tanto è stato anche ribadito da ultimo dal Cons. Stato, Sez. I, con parere n 653/2022, ove si precisa che: “Proprio per il particolare rigore che caratterizza la concessione della cittadinanza, in quanto si determina l'acquisizione in via definitiva del nuovo “status”, grava sull’Amministrazione l’obbligo di una completa rappresentazione della realtà tramite un’accurata ed estesa istruttoria. In questo caso, l’Amministrazione ha accertato condotte, sanzionate penalmente, che costituiscono prova di scarso rispetto delle leggi (guida in stato di ebbrezza e guida senza patente)” .

Inoltre nel caso di specie il comportamento contestato, in quanto commesso in data 29 maggio 2008, non è affatto risalente nel tempo, sicché l’Amministrazione l’ha legittimamente preso in considerazione al momento di assumere la decisione sulla domanda di concessione della cittadinanza, presentata in data 13 febbraio 2016, in quanto ricadente appieno nel “periodo decennale di osservazione” in cui devono essere maturati i requisiti per la cittadinanza, incluso quello dell’irreprensibilità della condotta.

Quanto esposto vale, pertanto, a supportare il negativo giudizio cui è pervenuta l’Amministrazione in ordine al fatto valutato come ostativo alla concessione della cittadinanza, di cui il ricorrente neppure contesta la sussistenza, né offre elementi che possano integrare meriti speciali, atteso che lo stabile inserimento, anche nella realtà sociale ed economica, del Paese ospitante, se, per un verso, rappresenta una condizione del tutto ordinaria, in quanto costituisce solo il presupposto per conservare il titolo di soggiorno, per altro verso rappresenta soltanto il prerequisito per la concessione della cittadinanza alla stregua di quanto sopra osservato.

Il conferimento della cittadinanza italiana per naturalizzazione presuppone infatti l’accertamento di un interesse pubblico da valutarsi anche in relazione ai fini propri della società nazionale e non già sul semplice riferimento dell’interesse privato di chi si risolve a domandare la cittadinanza per il soddisfacimento di personali esigenze.

Il riconoscimento della cittadinanza, per sua natura irrevocabile (salvi i casi di revoca normativamente previsti), si fonda su determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (Cons. Stato, Sez. III, 7 gennaio 2022, n. 104) e, pertanto, presuppone che “nessun dubbio, nessuna ombra di inaffidabilità del richiedente sussista, anche con valutazione prognostica per il futuro, circa la piena adesione ai valori costituzionali su cui Repubblica Italiana si fonda” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 14 febbraio 2017, n. 657).

D’altronde la particolare cautela con cui l’Amministrazione valuta la rilevanza di condotte antigiuridiche è compensata dalla facoltà di reiterazione dell’istanza che l’ordinamento riconosce al richiedente, una volta mutate le condizioni oggettive sottese all’esito negativo originario.

Le considerazioni che precedono impongono il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio seguono, come da regola, la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi