TAR Trieste, sez. I, sentenza 2015-07-07, n. 201500323

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Trieste, sez. I, sentenza 2015-07-07, n. 201500323
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Trieste
Numero : 201500323
Data del deposito : 7 luglio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00319/2014 REG.RIC.

N. 00323/2015 REG.PROV.COLL.

N. 00319/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 319 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
C D P, rappresentata e difesa dall'avv. M B, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. N C in Trieste, Via San Nicolò 21;

contro

Università degli Studi di Udine, in persona del Rettore e legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste, presso la quale è domiciliata in Trieste, piazza Dalmazia 3;

nei confronti di

L M, rappresentata e difesa dagli avv.ti P S, Marina Bertelli, Luigi Manerba e Carlo Sciarelli, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Trieste, via del Coroneo 32;
Donatella Pressini, non costituita in giudizio;

per l'annullamento

Quanto al ricorso introduttivo:

- del decreto rettorale n. 256 del 30/6/2014, prot. n. 14942 Tit VII cl I fase 3 ad oggetto procedura selettiva di chiamata per un posto di professore universitario di II fascia presso il Dipartimento di Scienze degli Alimenti – settore concorsuale 07/F1 Scienze e tecnologie degli alimenti – ai sensi dell’art. 18, comma 1, l. 240/10 revoca del d.r. 110 del 24/3/2014 ed emanazione nuovo bando con contestuale riapertura termini;

- del provvedimento d’urgenza del Direttore del Dipartimento di scienza degli alimenti n. 7/DIAL dell’11/6/2014, con il quale si apportano le modifiche alla delibera del Consiglio di dipartimento del 5/3/2014;

- di ogni provvedimento preparatorio, conseguente e comunque connesso e segnatamente presupposto e conseguente;

ovvero, in subordine, per l’annullamento

- delle premesse degli artt. 1, 3, 4 e 6 del decreto rettorale n. 256/2014 oltre ad ogni provvedimento presupposto e conseguente comunque connesso;

Quanto ai primi motivi aggiunti depositati in data 19.11.2014:

- del decreto rettorale del 16/9/2014, prot. n. 20932 di approvazione degli atti della procedura selettiva per un posto di professore universitario di II fascia presso il Dipartimento di Scienze degli Alimenti – settore concorsuale 07/F1 Scienze e tecnologie degli alimenti ai sensi dell’art. 18, comma 1, l. 240/10 e di individuazione della vincitrice;

- dei verbali della Commissione giudicatrice di concorso dell’8/9/2014, del 5/9/2014, del 27/5/2014, nonché delle relazioni finali che hanno individuato nella dott.ssa L M la migliore candidata;

- della delibera del rettore che approva i verbali della Commissione e nomina vincitrice del concorso la dott.ssa L M;

Quanto ai secondi motivi aggiunti depositati in data 24.2.2015:

- del verbale del Consiglio di Dipartimento di Scienze degli Alimenti dd. 18/9/2014, con cui il Consiglio medesimo prende atto che la prof. M non risulta incompatibile con la proposta di chiamata e delibera di formulare proposta di chiamata della medesima in qualità di professore universitario di II fascia per il settore concorsuale 07/F1 Scienze e Tecnologie Alimentari;

- della delibera del Senato Accademico del 24/9/2014 verbale n. 10 nella parte in cui delibera il parere favorevole alla chiamata, in qualità di professore universitario di II fascia per il settore concorsuale 07/F1 Scienze e Tecnologie Alimentari, della prof.ssa M;

- della delibera del Consiglio di Amministrazione dd. 26/9/2014 verbale n. 11 nella parte in cui è stata autorizzata la chiamata, in qualità di professore universitario di II fascia per il settore concorsuale 07/F1 Scienze e Tecnologie Alimentari, della prof.ssa M;

- dello sconosciuto decreto rettorale di nomina con il quale la prof. M è stata nominata professore universitario di ruolo di II fascia per il settore concorsuale 07/F1 Scienze e Tecnologie Alimentari;

- dello sconosciuto contratto stipulato dall’Università di Udine con la prof.ssa M;

- dei conseguenti, collegati e connessi provvedimenti di impegni e di liquidazione di spesa;

- di ogni provvedimento preparatorio, conseguente e comunque connesso e successivo agli atti impugnati e che consentono l’immissione in ruolo della vincitrice;

Quanto ai terzi motivi aggiunti depositati in data 29.4.2015:

- del decreto del Rettore n. 392 del 30/9/2014, prot. n. 22330 relativo alla nomina della prof. L M a professore di II fascia ai sensi dell’art. 18, comma 1, lett. e), ss AGR 15 “Scienze e tecnologie alimentari” Dipartimento di Scienza degli Alimenti;

- della nota dd 1/10/2014, prot. 669 con la quale il Responsabile dell’Area Affari Legali ha comunicato la presa in servizio della prof. M;

- dei conseguenti collegati e connessi sconosciuti impegni e liquidazione di spesa;

- di ogni provvedimento preparatorio, conseguente e comunque connesso;


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi di Udine e della prof.ssa L M;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 giugno 2015 la dott.ssa Manuela Sinigoi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso depositato in data 11 settembre 2014, così come integrato con tre successivi ricorsi per motivi aggiunti depositati rispettivamente in data 19 novembre 2014, 24 febbraio 2015 e 29 aprile 2015 (d’ora in poi I, II e III ricorso MA), la prof.ssa C D P denunciava l’illegittimità, invocandone l’annullamento, degli atti in epigrafe indicati, relativi alla procedura selettiva di chiamata ai sensi dell’art. 18, comma 1, della legge 240/2010 per un posto di professore universitario di II fascia presso il Dipartimento di Scienze degli Alimenti – settore concorsuale 07/F1 Scienze e Tecnologie degli Alimenti, indetta dall’Università degli Studi di Udine, all’esito della quale la dott.ssa L M, odierna controinteressata, era stata individuata quale migliore candidata per la copertura del posto in questione.

La ricorrente, dopo aver appuntato le proprie doglianze sull’atto con cui l’intimata Università aveva disposto la caducazione dell’originario bando di concorso e l’emanazione di uno nuovo, asseritamente emendato dai vizi che affliggevano il primo, aggrediva, poi, anche tutti gli atti della procedura (inclusi i verbali di selezione e il decreto rettorale di approvazione degli atti della procedura stessa) e, infine, anche il decreto rettorale di nomina della candidata prescelta a professore di II fascia.

Questi i motivi di gravame:

Ricorso introduttivo

1. Violazione art. 21 -quinqiues l. 241/90 – Violazione art. 7 l. 241/90: mancato avvio procedimento per l’atto di revoca – assenza motivazione – eccesso di potere per illogicità manifesta – contraddittorietà fra atti – Violazione dei principi generali dell’ordinamento della correttezza imparzialità dell’Amministrazione – Violazione del procedimento – danno – Incompetenza – Violazione Regolamento dell’Università di Udine per la chiamata di professori di 2^ fascia

Deduceva, in particolare, l’illegittimità della revoca del I bando, in quanto disposta: a) in assenza dei presupposti di cui all’art. 21- quinquies della l. 241 del 1990 e di adeguata motivazione;
b) contravvenendo alle regole proprie dei procedimenti di II grado e senza notiziare previamente i candidati ammessi alla procedura revocata che avrebbero potuto avere interesse ad offrire il loro apporto partecipativo. Si doleva, inoltre, dell’indicazione del proprio nominativo nell’atto impugnato col ricorso introduttivo che era stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, in quanto riteneva tale circostanza violativa della sua riservatezza e, in ogni caso, in grado di compromettere le sue aspettative di carriera in ambito universitario nazionale. Lamentava, infine, che la Commissione giudicatrice era stata nominata in spregio all’art. 4 del Regolamento dell’Università, in quanto era già stata disposta ed era nota sin dall’emersione del bando.

2. Violazione regole di correttezza nell’individuazione della lex specialis – fissazione di criteri di valutazione dei candidati non previsti dalla legge – Violazione art. 18, comma 1, l. 241/2010 –Violazione e falsa applicazione d.m. 159/2012 – Eccesso di potere per illogicità – irrazionalità – disparità di trattamento – Violazione e falsa applicazione del Regolamento dell’Università degli Studi di Udine in materia di procedure per la chiamata di professori di II fascia – Eccesso di potere per illogicità – Violazione regole di correttezza e buona amministrazione e delle regole che l’Università si è data – Sviamento di potere

Deduceva, in particolare, che il nuovo bando (se tale era da ritenersi) era stato emanato disattendendo le regole procedimentali dettate dagli artt. 2, 3 e 4 del Regolamento dianzi indicato. Stigmatizzava nuovamente la (già) avvenuta nomina della Commissione giudicatrice.

3. Violazione dell’art. 18, comma 1, l. 240/2010 – Violazione e falsa applicazione del d.m. 159/2012 – Violazione del d.m. 344/2011 – Eccesso di potere per illogicità manifesta – irrazionalità – disparità di trattamento nell’indicazione dei criteri di valutazione – Violazione del Regolamento dell’Università degli Studi di Udine in materia di procedure per la chiamata di professori di II fascia – Eccesso di potere per violazione delle regole di correttezza e buona amministrazione e violazione delle regole predeterminate

Contestava, in particolare, i criteri per la valutazione dei candidati dettati dall’art. 6, ultimo comma, del bando (“La Commissione prenderà in considerazione anche gli elementi indicati in art. 1 alla voce <Ulteriori elementi di qualificazione didattica e scientifica>” ovvero la “solida e documentata esperienza di ricerca e di didattica nell’ambito delle scienze e tecnologie alimentari, con particolare riguardo: a) alle tecnologie di nuova generazione per la trasformazione delle materie prime;
b) ai processi di risanamento degli alimenti;
c) ai problemi di stabilità degli alimenti”
), in quanto – a suo avviso – in contrasto con le disposizioni di legge e, in ogni caso, impeditivi a un’oggettiva e trasparente attività valutativa e forieri di disparità di trattamento, apparendo preordinati ad avvantaggiare qualche candidato in possesso di tale specifica, particolare e “settoriale” esperienza.

4. Violazione degli artt. 2024 e ss. l. 240/2010 – Eccesso di potere per illogicità manifesta – irrazionalità – assenza di motivazione. Violazione delle regole di buona amministrazione, efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa. Violazione dell’art. 97 Cost. – Violazione regole di reclutamento.

Contestava, in particolare, l’omessa presa in considerazione da parte dell’Università della possibilità di procedere alla chiamata dei ricercatori in ruolo presso l’Università stessa già in possesso dell’abilitazione nazionale (ovvero, in buona sostanza, di disporre una chiamata diretta a suo favore), con conseguenti risparmi di spesa pubblica.

I ricorso MA

Oltre a riproporre, in via derivata, i vizi già dedotti col ricorso introduttivo, deduceva i seguenti (ulteriori) motivi:

1. Eccesso di potere per illogicità manifesta – Assenza di motivazione – Violazione dei principi generali di correttezza, imparzialità, buon andamento e par condicio . Violazione del Regolamento dell’Università degli Studi di Udine in materia di procedure per la chiamata di professori di II fascia – Violazione par condicio

Dopo essersi soffermata ad argomentare ulteriormente in ordine a vizi già precedentemente denunciati (ovvero nomina della commissione e lesione della sua riservatezza), lamentava, in particolare, l’incompatibilità sussistente tra la candidata risultata vincitrice e uno dei componenti della Commissione (prof. M C N), in quanto legate da una lunga e costante collaborazione in studi e ricerche (peraltro, proprio su quelle tematiche assurte a “ ulteriori elementi di qualificazione didattica e scientifica” del posto messo a selezione), che, a suo avviso, trascendeva il mero rapporto docente-allievo.

2. Violazione e falsa applicazione. Eccesso di potere per illogicità manifesta – assenza di motivazione. Violazione delle regole dell’imparzialità – mancata valutazione dei presupposti di fatto – mancata valutazione del cv della ricorrente – illogicità assoluta del confronto. Eccesso di poter per illogicità manifesta – irrazionalità – disparità di trattamento nell’indicazione dei criteri di valutazione. Eccesso di potere per violazione delle regole di correttezza e buona amministrazione – violazione delle regole predeterminate – assenza di motivazione

Contestava le modalità concretamente seguite dalla Commissione giudicatrice e, in particolare, la mancata predisposizione di griglie per la valutazione dei candidati e di criteri di comparazione, circostanza che non consentiva, tra l’altro, di comprendere l’iter logico seguito e il giudizio espresso sull’attività didattica, di ricerca e di produzione scientifica svolta dalle candidate. Affermava, inoltre, la sussistenza di requisiti migliori in capo a sé rispetto alle altre due concorrenti e lamentava che, essendo state valutate positivamente tutte le concorrenti per l’attività didattica e di ricerca scientifica, la scelta della candidata migliore era avvenuta, di fatto, in base alle “pubblicazioni” ovvero in base ad un elemento che, più di altri, si era prestato a essere condizionato dal fatto che uno dei componenti della commissione era co-autore della maggior parte dei lavori presentati per la selezione dalla candidata ritenuta migliore.

3. Violazione regole di correttezza – parzialità nella valutazione – violazione e falsa applicazione dei criteri – eccesso di potere per illogicità manifesta – assenza di presupposti – assenza di motivazione – disparità di trattamento nell’indicazione e applicazione dei criteri di valutazione – Violazione artt. 15, 18 e 24 l. 240/2010 e d.m. 159/2012. Violazione art. 18, comma 1, l. 240/2010. Violazione e falsa applicazione d.m. 159/2012. Violazione d.m. 344/2011 – Eccesso di potere per violazione regole di correttezza e buona amministrazione e violazione delle regole predeterminate

Contestava l’illegittimità in via derivata dell’operato della Commissione a causa della mancata determinazione nel bando di selezione di criteri di valutazione oggettivi, trasparenti e conformi alla legge, riproponendo, in sostanza, doglianze già dedotte con il terzo motivo del ricorso introduttivo.

II ricorso MA

Deduceva, in via derivata, i vizi che riteneva affliggessero gli atti impugnati col ricorso introduttivo e col I ricorso MA.

III ricorso MA

Deduceva, in via derivata, i vizi che riteneva affliggessero gli atti impugnati col ricorso introduttivo, col I e col II ricorso MA.

L’Università degli Studi di Udine, costituita con il patrocinio dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste, dimetteva un’articolata relazione a firma del Responsabile del Servizio Affari istituzionali e legali, cui faceva rinvio.

La controinteressata, prof. L M, del pari costituita, eccepiva, in via preliminare, l’improcedibilità del gravame per la mancata tempestiva impugnazione degli atti conclusivi della procedura. Nel merito, ne contestava la fondatezza e ne invocava la reiezione.

Le parti depositavano documenti e memorie, cui seguivano le relative repliche.

Celebrata la pubblica udienza del 10 giugno 2015, la causa veniva trattenuta in decisione.

Va, in primo luogo, disattesa l’eccezione d’improcedibilità del ricorso, in quanto la circostanza che a tutto il personale dipendente dall’Ateneo sia garantito libero accesso ai verbali del Consiglio di Amministrazione e del Senato Accademico attraverso il “portale dei servizi amministrativi” disponibile all’indirizzo <https://servizi.amm.uniud.it>
non è comunque in grado di offrire contezza sul “se” e sul “quando” la dott.ssa D P possa avere avuto effettiva conoscenza degli atti afferenti alla procedura di che trattasi impugnati con il II e il III ricorso MA, anche in considerazione del fatto che la pubblicazione sul portale non è prevista a fini di conoscenza legale.

In assenza di comunicazione individuale e di prova certa circa l’eventuale avvenuto accesso agli atti pubblicati sul portale da parte dell’odierna ricorrente, appare, dunque, plausibile che la medesima ne sia venuta a conoscenza solo a seguito del deposito in giudizio effettuato dalla difesa erariale e/o dell’acquisizione ottenuta in esito a istanza di accesso, con la conseguenza che l’impugnazione degli ulteriori atti della procedura deve ritenersi tempestivamente proposta, anche a salvaguardia dell’interesse originariamente azionato.

Nel merito, il ricorso è fondato e va accolto nei sensi e limiti di seguito precisati. Per il resto è irricevibile e/o inammissibile e/o infondato.

Il Collegio ritiene, innanzitutto, di precisare che il decreto n. 256/2015, adottato dal Rettore dell’Università degli Studi di Udine nell’esercizio dei poteri di autotutela amministrativa, devesi più correttamente qualificare come annullamento, anziché quale revoca, con la conseguenza che il parametro normativo da assumere a riferimento per apprezzarne la legittimità va individuato nell’art. 21- nonies della legge n. 241/90 e non nell’art. 21- quinquies , impropriamente citato nel decreto.

Non può trascurarsi, invero, di considerare che alla sua adozione il Rettore si è determinato, su “impulso” del Direttore del Dipartimento di Scienze degli Alimenti (poi oggetto di ratifica – come si vedrà – ad opera del Consiglio di Dipartimento), al preciso scopo di emendare il bando di selezione originariamente emanato da vizi di legittimità e non, semplicemente, per “sopravvenuti motivi di pubblico interesse”.

Devesi, infatti, rammentare che l’odierna ricorrente, con separato ricorso contraddistinto dal numero R.G. 220/2014, aveva impugnato nella presente sede giurisdizionale il bando originario (approvato con decreto rettorale n. 110/2014), invocandone l’annullamento, e che i vizi dalla medesima denunciati erano apparsi all’Università assistiti da significativi elementi di fondatezza, al punto che quest’ultima aveva ritenuto di porvi rimedio in sede amministrativa, senza attendere l’esito (verosimilmente a sé sfavorevole) del giudizio.

I presupposti fattuali dell’adozione dell’atto di ritiro erano, dunque, quelli propri dell’annullamento d’ufficio e non sicuramente della revoca, con conseguente “caducazione” ex tunc del bando originario e non ex nunc .

Vero è, infatti, che il ritiro era stato disposto per la riconosciuta fondatezza delle illegittimità denunciate dalla prof.ssa D P e che tale atto non ha determinato semplicemente la “inidoneità del provvedimento ritirato a produrre ulteriori effetti” , ma lo ha definitivamente eliminato, ponendo nel nulla anche tutti gli eventuali effetti sino a quel momento dallo stesso prodotti. Prova ne è che nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – Serie Concorsi è stato pubblicato l’avviso relativo al nuovo bando, dal quale è stato fatto decorrere il termine perentorio di 30 gg. per la presentazione delle domande di partecipazione, e che la commissione giudicatrice, ancorché non rinnovata, nella prima riunione dopo l’emanazione del nuovo bando ha nuovamente determinato i criteri in base ai quali procedere alla valutazione comparativa dei candidati (vedi verbale in data 5 settembre 2014 – all. sub 19 fascicolo doc. Avvocatura). Nessuno degli eventuali effetti utili prodotti sino a quel momento dal bando “revocato” è stato, dunque, conservato.

E a mutare la natura dell’atto di ritiro non pare bastare la previsione, palesemente “atecnica”, di “riapertura” dei termini per la presentazione delle domande contenuta nel decreto rettorale (che, peraltro, non trova riscontro nell’articolato approvato, ove viene chiaramente stabilito un nuovo termine perentorio) o quella volta a “sgravare” dall’onere di presentare una nuova istanza coloro che già l’avevano presentata per il I bando, essendo palese il mero intento di semplificazione/non aggravamento ad essa sottesa e non, invece, l’ultrattività degli effetti di tale bando.

Ciò precisato, si può ora passare allo scrutinio delle doglianze svolte dalla ricorrente.

Vanno, in primo luogo, disattese le doglianze, contenute in parte nel I e in parte nel II motivo del ricorso introduttivo, a mezzo delle quali la medesima si duole del fatto che la revoca ( rectius annullamento) è stata disposta in assenza dei presupposti di cui all’art. 21- quinquies della l. 241 del 1990 e di adeguata motivazione, contravvenendo alle regole proprie dei procedimenti di II grado e senza notiziare previamente i candidati ammessi alla procedura revocata che avrebbero potuto avere interesse ad offrire il loro apporto partecipativo, nonché laddove lamenta l’avvenuta violazione della propria privacy e la compromissione delle proprie aspettative di carriera in ambito universitario nazionale.

Al di là del fatto che, come s’è dianzi precisato, l’atto è da qualificarsi come annullamento e non come revoca, con la conseguenza che le eventuali illegittimità che affliggono lo stesso dovrebbero venire apprezzate alla stregua della fattispecie astratta delineata dall’art. 21 -nonies della legge 241 del 1990 (che, tra l’altro, non prevede alcun indennizzo a favore dei soggetti direttamente interessati cui sono derivate conseguenze pregiudizievoli, ma impone unicamente all’Amministrazione di tenere conto degli interessi dei destinatari e dei contro interessati), il Collegio ritiene, in ogni caso, che la ricorrente non possa vantare alcun interesse concreto ed attuale a dolersi di un atto di ritiro, che, a prescindere dal nomen juris utilizzato dall’Università, ha di fatto soddisfatto la pretesa che la medesima aveva azionato in sede giurisdizionale.

Vero è, infatti, che la ritenuta fondatezza delle doglianze svolte dalla prof.ssa D P avverso il bando originario (decreto rettorale n. 110/2014) ha indotto l’Università a caducarlo e a emanarne uno nuovo. Appare, dunque, evidente l’insussistenza di interesse in capo alla medesima a dolersi di un atto che, sotto tale profilo, s’appalesa a lei favorevole.

Il ritiro risulta, poi, sufficientemente e idoneamente motivato con riferimento alla pendenza del ricorso giurisdizionale, alla ritenuta fondatezza delle doglianze svolte dalla ricorrente e alla prognosi formulata in ordine al suo esito, sì che l’interesse pubblico a disporlo appare sussistere in re ipsa .

Nessun pregio hanno, inoltre, gli assunti di parte ricorrente, laddove la medesima si duole delle modalità osservate per l’adozione di tale atto di II grado, atteso che l’avvenuta ratifica ad opera del Consiglio di Dipartimento (deliberazione in data 3 luglio 2014, peraltro non opposta) del provvedimento d’urgenza del direttore del Dipartimento di Scienze degli Alimenti n. 7/DIAL dell’11 giugno 2014, ha sanato, all’evidenza, ogni possibile vizio procedurale, con buona pace, dunque, anche del rispetto degli articoli 2, 3 e 4 del Regolamento per la disciplina del procedimento di chiamata dei professori di prima e seconda fascia dell’Università degli Studi di Udine.

Analogamente privo di pregio è il lamentato mancato invio della comunicazione di avvio del procedimento di II grado ai candidati ammessi alla procedura caducata. E’ evidente, infatti, che la ricorrente, oltre a non aver titolo ed interesse a dolersi della eventuale compromissione delle prerogative partecipative di terzi candidati, non può lamentare nemmeno con riferimento a sé stessa il mancato coinvolgimento in un procedimento conclusosi con un provvedimento che, di fatto, ha recepito le “istanze” da lei svolte in sede giurisdizionale e dalle quali ha preso, palesemente, avvio.

Nessuna violazione della privacy o lesione delle aspettative di carriera della ricorrente può, poi, derivare dall’indicazione del suo nominativo nel decreto rettorale, essendo evidente che l’Università vi ha fatto riferimento per mere esigenze di trasparenza e intelligibilità della motivazione esplicitata a giustificazione delle decisioni adottate. Inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dalla medesima, in Gazzetta Ufficiale, conformemente all’art. 3 del bando, è stato pubblicato unicamente l’avviso di selezione e non l’intero atto rettorale, nel quale solo compariva il suo nominativo.

E’ evidente, poi, che le temute “ritorsioni”, per aver agito in sede giurisdizionale a tutela dei propri diritti, sono, allo stato, confinate solo nei “pensieri” della ricorrente e non trovano concreto riscontro.

Non pare, inoltre, meritevole di considerazione il paventato pregiudizio asseritamente subito a causa del potenziale aumento di concorrenzialità correlato all’emanazione di un nuovo bando, dato che la funzione propria delle pubbliche selezioni è proprio quella di poter individuare tra più concorrenti quello migliore. Sicché, la circostanza che a fronte di un maggior numero di partecipanti diminuiscano proporzionalmente le chance di vittoria dei singoli è un effetto tipico di qualsiasi confronto concorrenziale, che non può trovare spazio nell’ambito della tutela delle posizioni soggettive individuali.

A sorte non dissimile sono destinate anche le doglianze contenute nel III motivo di gravame (e poi riproposte nel III motivo del I ricorso MA), che paiono nel complesso infondate, rientrando, invero, nella discrezionalità dell’Amministrazione stabilire i criteri di valutazione. Nel caso di specie, non pare, peraltro, irragionevole la previsione di prendere in considerazione, ai fini della valutazione, anche gli elementi indicati all’art. 1 del bando alla voce “Ulteriori elementi di qualificazione didattica e scientifica” e ciò avuto riguardo alle “specifiche funzioni che il chiamato dovrà svolgere e alla tipologia di impegno didattico e scientifico” descritti all’art. 1 del bando, che non sono stati oggetto di alcuna censura.

Sono, poi, tardive e/o comunque inammissibili le doglianze contenute nel IV motivo del ricorso introduttivo, essendo evidente che la scelta di procedere alla copertura del posto di che trattasi mediante indizione di una procedura selettiva di chiamata ai sensi dell’art. 18, comma 1, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, anziché mediante chiamata diretta ai sensi dell’art. 24, commi 5 e 6, è stata assunta non con il decreto rettorale o col provvedimento d’urgenza del direttore del Dipartimento di Scienze degli Alimenti qui impugnati, ma con atti presupposti non gravati, tra cui, in particolare, la deliberazione del Consiglio di Dipartimento in data 5 marzo 2015 (vedi all. 4 – fascicolo doc. Avvocatura) e gli atti autorizzativi del Senato Accademico e del Consiglio di Amministrazione del 12 marzo 2014 che ad essa hanno fatto seguito.

Sono, invece, fondate e meritano accoglimento le censure contenute nel I e nel II motivo del ricorso introduttivo (e riproposte anche nel I motivo del I ricorso MA), con cui la ricorrente denuncia l’illegittimità del bando, laddove viene sostanzialmente confermata la Commissione giudicatrice già in precedenza nominata ovvero quella nominata per la I selezione bandita, poi caducata.

La norma dettata dall’art. 4 del Regolamento (“La commissione è nominata… entro due mesi dalla scadenza del bando…” ), di cui la ricorrente assume la formale violazione, deve, infatti, rettamente intendersi nel senso che la commissione giudicatrice va nominata dopo la scadenza del termine fissato per la presentazione delle istanze di partecipazione alla selezione e comunque non oltre due mesi dalla sua scadenza.

Trattasi, invero, di disposizione posta a presidio del corretto dispiegarsi della procedura selettiva, onde evitare possibili collusioni tra commissari e concorrenti e, al pari di quanto avviene nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica (cfr. Cons. St., Sez. V, 22/03/2011 n. 1784), è da ritenersi espressione dei più generali principi di imparzialità e di trasparenza.

La regola della necessaria posteriorità della nomina dei componenti della commissione giudicatrice rispetto alla scadenza del termine fissato per la presentazione delle domande di partecipazione alla procedura selettiva è, invero, immanente all’ordinamento e risponde ad esigenze di buona amministrazione e imparzialità dell’attività della p.a. Si ribadisce, la posticipazione della nomina dovrebbe garantire parità di condizioni tra i concorrenti, evitando condizionamenti e collusioni di sorta.

Nel caso di specie, è, invece, pacifico che la Commissione è stata nominata non solo prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande di partecipazione alla procedura selettiva, ma addirittura prima della stessa emanazione e pubblicazione del bando.

Il bando reca, invero, la data del 30 giugno 2014 e il relativo avviso è stato pubblicato in G.U. n. 52 del 4 luglio 2014 (vedi verbale della Commissione giudicatrice in data 5 settembre – all. sub 19 fascicolo doc. Avvocatura) e la Commissione giudicatrice è stata nominata con decreto rettorale n. 181 del 6 maggio 2014, pubblicato in pari data all’albo on-line di Ateneo, come si evince dalla piana lettura dell’art. 5 del bando.

Ciò basta, ad avviso del Collegio, per ritenere viziata la procedura, in quanto l’anteriorità della nomina della Commissione ha minato alla radice il rispetto dei principi costituzionali di imparzialità, trasparenza e buona amministrazione.

Se a ciò si aggiunge, poi, che, come denunciato dalla ricorrente col I motivo e, in parte, col II motivo del I ricorso MA, il rapporto tra la candidata risultata vincitrice e la prof. M C N non pare propriamente riconducibile a quelle mere e normali dinamiche relazionali docente-allievo, ecco che l’imparzialità della procedura appare non solo potenzialmente e astrattamente minata, ma anche concretamente compromessa.

Si rammenta, infatti, che tutte e tre le candidate partecipanti alla procedura sono state valutate ugualmente positive per l’attività didattica e di ricerca svolta e che l’elemento di distinzione è stato rappresentato, invece, dalle pubblicazioni scientifiche ovvero un elemento che, più di altri, si è prestato ad essere condizionato dal fatto che la prof. N era stata co-autrice della maggior parte dei lavori presentati dalla candidata M.

Dalla lettura dell’allegato 3b “Elenco delle pubblicazioni scientifiche possedute” presentato dalla candidata M unitamente al proprio curriculum vitae (vedi all. 17 – fascicolo doc. Avvocatura) si evince, infatti, agevolmente che la prof.ssa N e la detta candidata compaiono quali co-autrici in ben 54 articoli su 77 complessivi pubblicati su riveste nazionali e internazionali e in 4 su 5 reviews su riveste internazionali.

Ciò che colpisce è, tuttavia, il fatto che, nell’elenco delle pubblicazioni scientifiche presentate dalla dott.ssa M per la selezione (all. 3c al CV) ovvero quelle che la medesima ha “offerto” in valutazione, la prof.ssa N e la candidata risultano co-autrici in ben 16 lavori su 20 complessivi.

Orbene, tale circostanza pare in grado di compromettere la serenità e obiettività di giudizio.

Il Collegio non ignora che in giurisprudenza è stato affermato che “i rapporti personali, scaturiti dalla cura di pubblicazioni scientifiche in comune fra membri della commissione d’esame e candidati, non costituiscono di per sé soli vizi della procedura concorsuale né alterano la par condicio fra candidati specie se si considera che nel mondo accademico le pubblicazioni congiunte sono ricorrenti per il rilievo che assumono come titoli valutabili, nelle carriere scientifiche dei concorsi” (Cons. Stato, Sez. VI, 31 maggio 2012, n. 3276;
Cons. Stato, sez. VI 5 maggio 2001, n. 2707;
negli stessi termini cfr. Cons. Stato, sez. VI, 11 gennaio 1999, n. 8;
Cons. Stato, sez. VI, 15 marzo 2004, n. 1325;
Cons. Stato, sez. VI, 26 gennaio 2009, n. 354), ritiene, pur tuttavia, che nel caso di specie la “intensità” della collaborazione scientifica tra la candidata M e la prof.ssa N sia di per sé ostativa all’espressione da parte di quest’ultima di un giudizio oggettivo e imparziale, essendo ovviamente assai difficile che la commissaria non valuti in maniera più che positiva dei lavori per la cui realizzazione ha offerto il proprio personale contributo scientifico.

Pare, dunque, assolutamente condivisibile quanto affermato dal T M nella sentenza 12 luglio 2012, n. 715 ovvero che “è evidente che, in un concorso pubblico universitario basato sulla valutazione comparativa dei titoli scientifici, non può essere priva di rilievo la circostanza che uno dei commissari sia coautore, insieme a uno dei candidati, di numerosissimi lavori scientifici proposti per la valutazione e sia la stessa persona a dare una valutazione – sia pure in un giudizio condiviso dell’intera commissione – sui lavori scientifici di cui essa è coautrice. È plausibile che, in una tale situazione – resa ancor più anomala dalla rilevantissima quantità di lavori scientifici prodotti dalla collaborazione tra commissaria e concorrente – il componente di commissione non possa trovarsi nella posizione di imparzialità, assolutamente richiesta per una valutazione obiettiva, trasparente e legittima.

A tale conclusione si giunge anche senza dover supporre che tra commissaria e concorrente vi sia una comunanza di interessi di vita, d’intensità tale da porre in parentesi la serenità di giudizio della componente di commissione. In effetti, la collaborazione tra i due soggetti in argomento sembrerebbe presentare i caratteri di sistematicità, stabilità, continuatività e intensità tali da far supporre l’esistenza di un sodalizio professionale (cfr.: Cons. Stato VI, 8.5.2001 n. 2589;
idem VI, 31.5.2012 n. 3276) ma, anche a voler escludere tale evenienza, resta che la componente di commissione, nel caso di specie, non si è astenuta dal valutare i lavori scientifici dei quali essa era la coautrice, insieme alla candidata.

(…) È evidente che, quando si sceglie di lavorare «in equipe» con altri ricercatori scientifici o di cooperare alla realizzazione di una ricerca collettanea, il lavoro di ciascun ricercatore si fonde con quello di tutti gli altri in un prodotto unico, anche quando le parti di quel prodotto e i rispettivi autori siano nettamente distinguibili, di guisa che il giudizio sulla bontà del prodotto sarà plausibilimente condizionato da una benevolenza attitudinale, in chi ha preso parte alla realizzazione di esso”.

Priva di pregio è, peraltro, l’obiezione – formulata dall’Università nella relazione prodotta a difesa – che le deduzioni della ricorrente sarebbero inammissibili, in quanto irrimediabilmente tardive.

Non può sfuggire, infatti, che la commissione nominata con atto in data 6/5/2014 è stata, di fatto, “confermata” per la nuova procedura selettiva con il decreto rettorale in data 30/6/2014 di approvazione del relativo bando, con la conseguenza che le censure rivolte all’atto di nomina devono ritenersi tempestive, laddove, come nel caso di specie, proposte entro il termine perentorio di 60 gg. decorrente dalla pubblicazione del bando.

Analogamente devono ritenersi tempestive le censure rivolte all’operato della Commissione, laddove proposte unitamente all’impugnazione dell’atto di approvazione degli atti della procedura selettiva ovvero il decreto rettorale in data 16 settembre 2014, impugnato dalla ricorrente nei termini di rito col I ricorso MA.

E’ evidente, infatti, che solo dopo la materiale acquisizione e visione del CV della candidata vincitrice sono insorti nella ricorrente dubbi in ordine alla oggettività di giudizio della commissaria N, che poi la ricorrente medesima ha ritenuto di tradurre in formali censure.

A nulla rileva, dunque, che la ricorrente non abbia ricusato la prof.ssa N nei termini stabiliti dall’art. 5 del bando.

Come ben evidenziato nella sentenza dianzi citata, “l’assenza d’imparzialità amministrativa può integrare (…) la violazione di un canone normativo e, dunque, un’illegittimità dalla quale consegue l’annullabilità degli atti. Ciò, in quanto l’imparzialità amministrativa presenta un risvolto oggettivo, deducibile da criteri identificativi e da corollari applicativi del principio stesso nel procedimento amministrativo. In ragione di tali criteri e corollari, sono illegittimi gli atti discriminanti e parziali, i favoritismi, le irragionevoli disparità di trattamento, ma anche le determinazioni e gli atti posti in essere da chi versa in una situazione di conflitto potenziale d’interessi (cfr.: Cons. Stato V, 28.5.2012 n. 3133;
idem VI, 4.2.2003 n. 560;
T.a.r. Lazio Roma II 5.1.2011 n. 30;
idem, I, 9.9.1998 n. 2563). In linea generale, è configurabile un obbligo di astensione dei membri di collegi amministrativi (o di titolari di organi monocratici) che si vengano a trovare in posizione di conflitto, perché portatori di interessi personali, diretti o indiretti, in contrasto anche potenziale con l'interesse pubblico. Il conflitto, nei suoi termini essenziali valevoli per ciascun ramo del diritto, si individua nel contrasto tra due interessi facenti capo alla stessa persona, uno dei quali di tipo istituzionale e l’altro di tipo personale. La <<ratio>>
di tale obbligo va ricondotta al principio costituzionale dell'imparzialità dell'azione amministrativa, sancito dall'art. 97 Cost., ma anche dall’art. 1 della legge n. 241/1990, a tutela del prestigio dell'Amministrazione che deve essere posta al di sopra del sospetto di parzialità, e costituisce regola tanto ampia, quanto insuscettibile di compressione alcuna (cfr.: Cons. Stato V, 28.5.2012 n. 3133). Nella specie, l’interesse personale e diretto della componente di commissione può consistere nel dare una valutazione di speciale apprezzamento (o nell’influenzare il giudizio della commissione in tal senso) su lavori scientifici di cui essa è coautrice, mentre il contrapposto interesse pubblico è quello inteso a favorire o a rendere possibile un giudizio equanime e disinteressato della commissione”.

Sicché, pur in mancanza di una norma di legge che contenga un divieto espresso di far parte di commissioni esaminatrici, in qualità di valutatori, in concorsi e/o selezioni cui partecipano candidati con i quali sussiste un pregresso, stretto rapporto di collaborazione e/o un divieto di valutare e attribuire punteggi, in qualità di commissario valutatore, a opere alla cui realizzazione si ha collaborato, il Collegio condivide ancora una volta quanto affermato dal Tar per il Molise ovvero che “tale lacuna può essere colmata non solo con il ricorso al meccanismo d’incompatibilità previsto dall’art. 51 c.p.c., ma anche con il richiamo più generale all’imparzialità amministrativa, intesa come <<standard>>
e come precetto primario che impone di prevenire situazioni suscettive di ostacolare la serenità e l’equanimità di giudizio in una procedura concorsuale pubblica (cfr.: T.a.r. Campania Napoli VI, 9.3.2012 n. 1226)”.

In conclusione, il gravame è meritevole di essere accolto, in relazione alla fondatezza dei profili da ultimo scrutinati, denunciati dalla ricorrente con il I e il II motivo del ricorso introduttivo e col I motivo del ricorso MA.

Le censure rivolte dalla ricorrente avverso fasi della procedura selettiva poste “a valle” delle illegittimità ora acclarate possono ritenersi assorbite.

Per l’effetto, vanno, quindi, annullati, oltre all’art. 5 del bando di concorso, con cui è stata “confermata” la Commissione giudicatrice nominata in epoca antecedente alla scadenza del termine di presentazione delle domande di partecipazione alla selezione, gli atti impugnati con il I, il II e il III ricorso MA, sui quali si sono riverberate le illegittimità ora accertate.

Ne consegue l’obbligo per l’Amministrazione di rieditare la procedura stessa dal punto in cui è stata incisa dai vizi, tenendo conto della regola di diritto ritraibile dalla presente sentenza.

Per il resto il gravame è irricevibile e/o inammissibile e/o infondato come dianzi precisato.

Le spese di lite seguono la soccombenza nei rapporti tra la ricorrente e l’Università degli Studi di Udine e vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo. Possono essere, invece, compensate per il resto, sussistendone giusti motivi.

Ai sensi di legge, l’Università intimata sarà, inoltre, tenuta a rimborsare alla ricorrente (all’atto del passaggio in giudicato della sentenza), ai sensi dell’art. 13, comma 6 bis.1, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dall’art. 21 della L. 4 agosto 2006, n. 248, il contributo unificato nella misura versata.

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