TAR Venezia, sez. III, sentenza 2014-01-16, n. 201400034
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N. 00034/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01709/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1709 del 2012, proposto da:
Azienda Territoriale Edilizia Residenziale della provincia di Belluno, rappresentato e difeso dall'avv. L T, con domicilio eletto presso il suo studio in Venezia-Mestre, via Torino, 151/A;
contro
Comune di Belluno,in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. A A, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. S F in Venezia - Mestre, Galleria Matteotti, 9;
per l'annullamento
della deliberazione del Consiglio comunale n. 29 del 6/7/2012, pubblicata il 16/7/2012, per quindici giorni, nell'Albo Pretorio del Comune, avente ad oggetto "Imposta Municipale Propria I.M.U. - proposta determinazione aliquote e detrazioni per l'anno 2012" nella parte in cui si delibera di approvare ai sensi e per gli effetti dell'art. 52 del d.lgs. 446/97 e a decorrere dall'1/1/2012 l'aumento delle aliquote per le fattispecie seguenti: aliquota dell'8 per mille per le unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa adibite ad abitazione principale dei soci assegnatari, nonché per i fabbricati di proprietà ATER con l'eventuale applicazione della detrazione per gli alloggi regolarmente assegnati.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Belluno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2013 il dott. Stefano Mielli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in epigrafe l’Azienda territoriale per l’edilizia residenziale della provincia di Belluno impugna la deliberazione consiliare del Comune di Belluno n. 29 del 6 luglio 2012, con la quale è stata determinata la misura delle aliquote per l’anno 2012 dell’imposta municipale propria (IMU), nella parte in cui ha fissato nell’8 per mille l’aliquota applicabile agli alloggi assegnati dall’Ater.
Come è noto l’art. 13 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha previsto che sia riservato allo Stato metà dell’importo calcolato applicando l’aliquota base alla base imponibile degli immobili, mentre, a seguito della modifica apportata dall’art. 4, comma 5, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito in legge 26 aprile 2012, n. 44, è stato previsto che per gli alloggi degli Iacp o degli altri enti pubblici destinati all’edilizia residenziale pubblica non si applichi la predetta riserva allo Stato della quota di imposta.
Il Comune nell’interpretare la disposizione da ultimo citata, ritiene che la mancata applicazione della riserva in favore dello Stato implichi la destinazione al Comune di tutto il gettito del tributo, anche della parte ordinariamente devoluta allo Stato.
L’Ater impugna la sopra menzionata deliberazione consiliare per i seguenti motivi:
I) violazione ed erronea applicazione dell’art. 13, commi 10 e 11 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall’art. 4, comma 5, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito in legge 26 aprile 2012, n. 44, per la mancata considerazione che la rinuncia da parte dello Stato di un’autonoma imposta erariale non consente l’incameramento della medesima dal Comune, e per l’illegittimità costituzionale di ogni altra ipotesi interpretativa;
II) illogicità ed incoerenza nella determinazione dell’aliquota in misura superiore a quella minima rispetto alla finalità agevolatrice prevista dalla normativa statale;
III) in via subordinata, illogicità della determinazione della fissazione dell’aliquota allo 0,8% in misura maggiore allo 0,76% previsto in via ordinaria.
Si è costituito in giudizio il Comune eccependo l’inammissibilità del ricorso per la mancata notifica al Ministero dell’Economia e delle Finanze e, replicando alle censure proposte, concludendo infine per la reiezione del ricorso.
Alla pubblica udienza del 17 dicembre 2013, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per la mancata notifica del medesimo al Ministero dell’Economia e delle Finanze, in quanto lo Stato non riveste la posizione di Amministrazione resistente, dato che non sono impugnati atti ad esso imputabili, e non può neppure essere considerato come controinteressato, dato che non è titolare di un interesse qualificato e differenziato alla conservazione dell’atto impugnato, poiché nella fattispecie all’esame il legislatore ha escluso la quota di imposta a suo favore.
2. Nel merito il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Con il primo motivo la parte ricorrente parte dal presupposto che l’imposta all’esame sia composta da due autonome imposte, l’una locale, l’altra statale, e che alla rinuncia di quest’ultima non possa attribuirsi quindi il significato di attribuire tutto il gettito al Comune secondo le aliquote ordinarie, ma il significato di ridurre dello 0,38%, corrispondente alla quota riservata allo Stato rispetto all’aliquota in concreto applicabile, in coerenza con le finalità proprie dell’art. 4, comma 5, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito in legge 26 aprile 2012, n. 44, il quale ha introdotto una disposizione di favore a beneficio degli istituti delle case popolari e degli altri enti gestori degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, in ragione delle finalità istituzionali di carattere sociale perseguite, e che un tale esito interpretativo sarebbe vincolato, in quanto diversamente la norma sarebbe incostituzionale per violazione dell’art. 119 della Costituzione disposizione che, secondo la prospettazione proposta, impedisce di istituire tributi propri degli enti locali al cui gettito compartecipi lo Stato.
Tali censure non possono essere accolte.
Va in primo luogo osservato che a fronte del corretto significato da attribuire al dato normativo, l’assegnazione al Comune della quota in via generale riservata allo Stato relativamente alle aliquote riferibili agli istituti delle case popolari e agli altri enti gestori degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, non viola l’art. 119 della Costituzione, perché tale disposizione, non contenendo norme precettive immediatamente vincolanti sul punto, consente un’ampia libertà al legislatore nel modulare i tributi e nel ripartire il gettito delle imposte tra Comuni e Stato.
In secondo luogo va ancora osservato che non è ravvisabile alcuna incostituzionalità della norma interpretata nel senso prospettato dal Comune, né alcuna incongrua disparità di trattamento rispetto agli immobili locati da altri soggetti, atteso che (cfr. Corte Costituzionale ord. 4 luglio 2011 n. 214;id. 19 maggio 2011, n. 172;id. 12 aprile 1996 n. 113;id. 7 ottobre 1993 n. 370) la posizione degli enti gestori del patrimonio residenziale pubblico, in quanto persone giuridiche soggetti passivi dell’imposta patrimoniale, è del tutto eterogenea rispetto a quella non solo degli assegnatari degli alloggi, ma anche delle persone fisiche soggetti passivi del tributo titolari di diritti reali su unità immobiliari da loro direttamente adibite al soddisfacimento del bisogno primario abitativo proprio e della propria famiglia, con la conseguenza che una disciplina differenziata di tali ipotesi non è irragionevole e rientra nella discrezionalità del legislatore (cfr. Tar Lombardia, Brescia, Sez. I, 7 novembre 2013, n. 945;Tar Liguria, Sez. II, 22 maggio 2013, n. 992).
Ciò premesso, in ordine alla corretta interpretazione della norma oggetto di contestazione, il Collegio ritiene sufficiente richiamarsi alle argomentazioni già utilizzate nelle pronunce che hanno respinto analoghe censure.
Infatti, come condivisibilmente affermato dalla sentenza Tar Abruzzo, Pescara, 13 agosto 2013, n. 434, va rilevato che, in base ad argomenti interpretativi che tengono conto del dato letterale della norma e del suo inquadramento sistematico, poiché il legislatore si è limitato a prevedere la non applicazione della quota di imposta riservata a favore dello Stato senza disporre che essa non sia dovuta (come invece il legislatore ha fatto in altri casi: cfr. l’art. 13, cit., che al comma 11 ha disposto che non è dovuta la quota di imposta dovuta allo Stato per gli immobili dei Comuni nei propri territori, ovvero laddove ha espressamente ridotto l’aliquota base, come nel caso dell’abitazione principale e per i fabbricati rurali ad uso strumentale in agricoltura), secondo il principio ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, risulta corretta l’interpretazione del Comune, con la conseguenza che a tale previsione va riconosciuto il significato di favorire in via indiretta e solo tendenziale la fissazione da parte dei Comuni di un’aliquota meno onerosa nei confronti degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, tenendo tuttavia conto delle esigenze di bilancio degli enti locali, senza quindi introdurre in modo inderogabile un limite all’aliquota massima applicabile nei loro confronti, e destinando ai Comuni tutto il gettito del tributo anche nella parte ordinariamente devoluta allo Stato.
Risultano pertanto condivisibili le conclusioni enunciate dal M.E.F. che ha avuto modo di chiarire con la nota 15 giugno 2012, n. 12507, rispondendo a specifico quesito formulato al riguardo che “dalla lettura sistematica delle norme in questione emerge che il legislatore, attraverso la previsione della rinuncia da parte dello Stato alla propria quota IMU, ha inteso destinare al Comune tutto il gettito del tributo, non più decurtato della quota statale, e non ridurre dallo 0,76 per mille allo 0,38 l’aliquota base applicabile agli immobili in questione”.
In tale contesto appare quindi privo di rilievo l’ordine del giorno n. G/3570/4/1e5 invocato dalla parte ricorrente, con il quale il Senato ha invitato il Governo ad interpretare “con appositi atti di natura secondaria la normativa in questione nel senso che la rinuncia era stata effettuata a favore degli enti di edilizia residenziale pubblica”, in quanto tale richiesta non ha avuto alcun seguito e non sono stati mai assunti i richiesti atti di natura secondaria.
Per completezza va anche soggiunto che la riserva d’imposta a favore dello Stato il cui significato è oggetto di contestazione nella presente controversia aveva carattere provvisorio ed oggi ha perso rilievo in ragione delle modifiche normative sopravvenute (con l’art. 1, comma 380, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 è stata infatti soppressa la quota d’imposta riservata allo Stato e con l’art. 1 del decreto legge 21 maggio 2013, n. 54, convertito in legge 18 luglio 2013, n. 85, è stato sospeso il pagamento della prima rata dell’imposta in questione relativamente alla abitazione principale ed agli alloggi regolarmente assegnati degli IACP e degli enti di edilizia residenziale pubblica comunque denominati).
3. Quanto esposto circa la finalità perseguita dalla norma di favorire solo in via indiretta e tendenziale la fissazione da parte dei Comuni di un’aliquota meno onerosa nei confronti degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, tenendo tuttavia conto delle esigenze di bilancio dell’ente locale, comporta la reiezione anche delle censure di cui al secondo e terzo motivo, perché le determinazioni del Comune, espressamente motivate con le esigenze finanziarie dell’ente e con la volontà di non voler aggravare il peso dell’imposta a carico di altre tipologie di contribuenti, si muovono in modo coerente e non illogico entro i margini tracciati dal legislatore, il quale, ove avesse voluto realizzare il risultato invocato dalla parte ricorrente, avrebbe fissato in modo espresso tetti inderogabili all’aliquota massima applicabile a tali alloggi.
In definitiva il ricorso deve essere respinto.
La novità delle questioni trattate e la circostanza che la controversia coinvolge enti pubblici, inducono il Collegio a disporre l’integrale compensazione delle spese tra le parti del giudizio.