TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2013-07-04, n. 201303437

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. IV, sentenza 2013-07-04, n. 201303437
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201303437
Data del deposito : 4 luglio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00393/2012 REG.RIC.

N. 03437/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00393/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 393 del 2012, proposto da:
Comune di Sessa Aurunca in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. U V, con domicilio eletto lo studio dell’Avv. E. P, in Napoli, via Genova,11;

contro

Consorzio Idrico Terra di Lavoro - C.I.T.L.;
Commissario ad Acta Dott. T I,;

nei confronti di

E.N.E.L. Servizio Elettrico S.p.A., rappresentato e difeso dall'avv. S C, con domicilio eletto presso il suo studio, in Napoli, via Ponte di Tappia, n. 62;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:
Comune di Falciano del Massico, rappresentato e difeso dall'avv. Annamaria Manica, con domicilio eletto presso l’avv. Maria Rosaria Pollio in Napoli, via Marina, n. 20;

per l'annullamento

del provvedimento adottato dal Commissario ad Acta a seguito di sentenza n.248/2011 del T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, nel giudizio di ottemperanza del ricorso di cui al R.G. 2324/2010 proposto contro il Consorzio Idrico Terra di Lavoro


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di E.N.E.L. Servizio Elettrico S.p.A.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 aprile 2013 il dott. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Enel Servizio Elettrico S.p.A. succedeva nei rapporti di cui è causa, per atto di scissione parziale, ad Enel Distribuzione S.p.A. che a sua volta era succeduta ad Enel S.p.A.

Enel S.p.A. otteneva la sentenza n. 2288/99 della Corte di Appello di Napoli che condannava il Consorzio per l’Approvvigionamento Idrico di Terra di Lavoro - cui è in seguito succeduto il Consorzio Idrico Terra di Lavoro Caserta (in sigla “C.I.T.L.” come di seguito verrà indicato) - al pagamento della somma di lire 790.170.931 oltre alla rivalutazione monetaria ed al pagamento della metà delle spese processuali.

Enel Distribuzione S.p.A. agiva, quindi, per l’ottemperanza della suddetta sentenza e l’adito T.A.R., con sentenza n.10402/2005, accoglieva il ricorso nominando un Commissario ad acta.

Successivamente, con sentenza n. 8261 del 18.10.2006, il medesimo T.A.R. ordinava al Commissario ad acta di procedere all’espletamento dell’incarico ed, in seguito, con sentenza n. 21640 del 30.12.2008, sostituiva il medesimo Commissario ad acta, senza che però fosse dato effettivo adempimento.

Enel Distribuzione S.p.A. otteneva nei confronti del Consorzio Idrico Terra di Lavoro anche i seguenti altri provvedimenti giurisdizionali:

- la sentenza n. 2587/02 della Corte di Appello di Napoli che ha condannato il Consorzio Idrico Terra di Lavoro al pagamento di euro 173.491,04, oltre a rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT ed interessi legali, secondo i criteri nella medesima sentenza indicati, nonché alle spese di lite liquidate complessivamente in euro 19.562,10;

- il decreto ingiuntivo n. 2596/2002 del Tribunale di Napoli che ha ingiunto al Consorzio Idrico Terra di Lavoro al pagamento di euro 2.523.047,22, oltre ad interessi ed alle spese di lite, come nel decreto indicati;

- decreto ingiuntivo n. 3627/2002 del Tribunale di Napoli che ha ingiunto al Consorzio Idrico Terra di Lavoro al pagamento di euro 1.123.788,95, oltre ad interessi ed alle spese di lite, come nel decreto indicati;

- decreto ingiuntivo n. 4458/2002 del Tribunale di Napoli che ha ingiunto al Consorzio Idrico Terra di Lavoro al pagamento di euro 524.950,15, oltre ad interessi ed alle spese di lite, come nel decreto indicati;

- decreto ingiuntivo n. 2275/2004 del Tribunale di Napoli che ha ingiunto al Consorzio Idrico Terra di Lavoro al pagamento di euro 1.785.545,20, oltre ad interessi ed alle spese di lite, come nel decreto indicati. Tale importo debitorio, deduce parte ricorrente, si sarebbe poi ridotto ad euro 1.784.566,10 in seguito ad alcuni versamenti parziali;

- decreto ingiuntivo n. 4258/2004 del Tribunale di Napoli che ha ingiunto al Consorzio Idrico Terra di Lavoro al pagamento di euro 546.575,84 (in realtà euro 549.979,01), oltre ad interessi ed alle spese di lite, come nel decreto indicati;

- decreto ingiuntivo n. 5197/2004 del Tribunale di Napoli che ha ingiunto al Consorzio Idrico Terra di Lavoro al pagamento di euro 893.069,63 (in realtà euro 892.112,41), oltre ad interessi e alle spese di lite, come nel decreto indicati.

Enel Distribuzione S.p.A., per ottenere l’adempimento dei suindicati titoli e, in particolare, della sentenza n. 2587/02 della Corte di Appello di Napoli e dei decreti ingiuntivi n. 2596/2002, n. 3627/2002, n. 4458/2002, n. 2275/2004 (per la parte residua), n. 4258/2004 e n. 5197/2004 del Tribunale di Napoli, notificava al Consorzio in questione, in data 19.10.2009, atto di diffida a pagare le relative somme, assegnando a tal fine un termine di trenta giorni, senza che però venisse effettuato il pagamento di tali importi.

Enel Servizio Elettrico S.p.A. chiedeva quindi al presente T.A.R. di voler disporre l’ottemperanza dei titoli giudiziali suindicati, nominando a tal fine, qualora necessario, un Commissario ad acta.

L’adito T.A.R., con sentenza di ottemperanza n. 248/2011:

- specificava in via preliminare, che il ricorso per ottemperanza in questione non aveva ad oggetto la sentenza n. 2288/99 emessa dalla Corte di Appello di Napoli;

- accoglieva il ricorso per gli altri titoli e, nello specifico, per la sentenza n. 2587/02 emessa dalla Corte di Appello di Napoli e ai decreti ingiuntivi n. 2596/2002, n. 3627/2002, n. 4458/2002, n. 2275/2004 (per la parte residua), n. 4258/2004 e n. 5197/2004 del Tribunale di Napoli, e dichiarava l’obbligo del Consorzio Idrico Terra di Lavoro - Caserta (C.I.T.L.) di dare loro esecuzione, nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione in forma amministrativa o dalla notifica della presente sentenza, nominando, per il caso di ulteriore inottemperanza, quale Commissario ad acta il Presidente della Sezione Regionale di Controllo Atti della Corte dei Conti della Campania, con facoltà di delega ad un funzionario dell’Ufficio.

Il Consorzio in questione non ottemperava e il Commisario ad acta, individuato nella persona del Dott. T I, visto il Bilancio di esercizio dell’anno 2009, la verifica di cassa alla data del 19.5.2011 ammontante a 10.000 e rilevata l’impossibilità di adempiere alla sentenza attraverso risorse di cassa o immobiliari della CTL, provvedeva, sulla base degli artt. 3, 26 e 29 dello Statuto del Consorzio ad effettuare un riparto, pro quota debito complessivo pari a 11.029.170,06, fra tutti gli enti locali partecipanti al Consorzio.

Ordinava quindi a tutti gli enti locali di pagare entro trenta giorni la loro quota di spettanza, indicando che in difetto avrebbe provveduto, in via sostitutiva, a dare corso al pagamento, compiendo tutti gli atti necessari, comprese le eventuali modifiche di bilancio a carico e spese dell’Amministrazione inadempiente.

Nello specifico, con atto prot. 2011/18455 dell’8.11.2011, richiedeva al Comune di Sessa Aurunca di pagare un ammontare di euro 588.859,01.

Il Comune in questione impugnava gli atti del Commissario ad acta, chiedendone l’annullamento e contestando la debenza delle somme, il riparto effettuato e le modalità indicate dal Commissario per il loro pagamento.

Si costituiva la controinteressata Enel Servizio Elettrico S.p.A.

Interveniva in giudizio, ad adiuvandum, il Comune di Falciano del Massico.

L’adito T.A.R., in sede cautelare, con le ordinanze n. 472/2012, “Atteso che, prima facie, il ricorso non appare sprovvisto di fumus boni iuris, quantomeno per la parte dell’atto del Commissario ad acta gravato che, seppure di non chiarissima formulazione, prevede il compimento, da parte del medesimo commissario, degli atti necessari all’adempimento in sostituzione degli organi comunali, comprese le modifiche del bilancio del Comune;
Considerata, difatti, la differenza di soggettività giuridica tra il Consorzio destinatario della sentenza di ottemperanza e del Comune ricorrente aderente al medesimo Consorzio;
Atteso che al pregiudizio paventato dal ricorrente può ovviarsi con la sospensione dell’atto del Commissario ad acta impugnato nella parte in cu prevede il compimento di attività in sostituzione agli organi comunali” accoglieva in tutti e due i giudizi l’istanza cautelare sospendendo l’efficacia dell’atto gravato per la parte in cui prevede il compimento da parte del medesimo commissario degli atti necessari all’adempimento in sostituzione degli organi comunali, comprese le modifiche del bilancio del Comune.

La causa veniva chiamata all’udienza pubblica del 17 aprile 2013 e trattenute in decisione.

DIRITTO

1) In via pregiudiziale il Collegio deve rilevare l’inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum del Comune di Falciano del Massico.

Il Comune in questione, come ente consorziato del Consorzio Idrico Terra di Lavoro, si trovava in una posizione che lo avrebbe legittimato a presentare un autonomo ricorso contro gli atti del Commissario ad acta per quanto di suo interesse.

Nel giudizio amministrativo è inammissibile l'intervento ad adiuvandum spiegato da chi sia ex se legittimato a proporre direttamente il ricorso giurisdizionale in via principale, considerato che in tale ipotesi l'interveniente non fa valere un mero interesse di fatto, bensì un interesse personale all'impugnazione di provvedimenti immediatamente lesivi, che può farsi valere solo mediante proposizione di ricorso principale nei prescritti termini decadenziali (ex multis Cons. Stato, Sez. VI, 21.6.2012, n. 3647;
Cons. Stato, Sez. III, 21.12.2011, n. 6777;
Cons. Stato Sez. V, 2.8.2011, n. 4557).

2) Venendo al merito del giudizio, nel primo motivo di ricorso, il Comune ricorrente ha dedotto il suo difetto di legittimazione passiva rispetto all’azione esecutiva proposta da Enel e quindi rispetto al provvedimento del Commissario ad acta, sostenendo che il soggetto dell’azione esecutiva potesse essere solo il Consorzio, soggetto dotato di autonoma soggettività giuridica.

Lamentava, altresì, che in sede di ottemperanza l’ordine da impartire all’Amministrazione non possa discostarsi dagli specifici obblighi derivanti dal giudicato e che la cognizione del giudice dell’esecuzione non possa estendersi ad ulteriori aspetti del rapporto, né che il giudicato possa essere esteso a soggetti estranei alle pronunce passate in giudicato come nel caso di specie il Comune di Sessa Aurunca che non era stato parte dei giudizi da cui sono derivati i titoli azionati, né nello stesso giudizio di ottemperanza.

Deduceva, infine, che in sede di ottemperanza il giudice adito deve mantenersi entro i limiti fissati dall’oggetto della controversia definita in giudicato, precisandone il contenuto rispetto agli obblighi nella stessa fissati, senza poter attribuire un nuovo e ulteriore diritto rispetto a quello indicato nella sentenza da eseguire.

Le censure si rivelano parzialmente fondate nei termini che seguono.

Osserva il Collegio come, per consolidata giurisprudenza, l'oggetto del giudizio di ottemperanza è rappresentato dalla puntuale verifica da parte del giudice dell'esatto adempimento dell'Amministrazione dell'obbligo di conformarsi al giudicato per far conseguire concretamente all'interessato l'utilità o il bene della vita già riconosciutogli in sede di cognizione (Consiglio Stato, sez. V, 3 ottobre 1997, n. 1108;
sez. IV, 15 aprile 1999, n. 626;
17 ottobre 2000, n. 5512).

Detta verifica deve essere condotta nell'ambito dello stesso quadro processuale che ha costituito il substrato fattuale e giuridico della sentenza di cui si chiede l'esecuzione (Consiglio Stato, sez. V, 9 maggio 2001, n. 2607;
sez. IV, 9 gennaio 2001, n. 49;
28 dicembre 1999, n. 1964) e comporta da parte del giudice dell'ottemperanza un’attività di interpretazione del giudicato, al fine di enucleare e precisare il contenuto del comando, attività da compiersi esclusivamente sulla base della sequenza "petitum - causa petendi - motivi - decisum" (Consiglio Stato, sez. IV, 9 gennaio 2001, n. 49;
28 dicembre 1999, n. 1963;
sez. V, 28 febbraio 2001, n. 1075).

In sede di giudizio di ottemperanza non può essere riconosciuto un diritto nuovo e ulteriore rispetto a quello fatto valere ed affermato con la sentenza da eseguire, anche se sia ad essa conseguente o collegato (Consiglio Stato, sez. IV, 17 gennaio 2002, n. 247), non potendo essere neppure proposte domande che non siano contenute nel "decisum" della sentenza da eseguire (Consiglio Stato, sez. IV, 9 gennaio 2001 n. 49;
10 agosto 2000, n. 4459;
Consiglio Stato, sez. V, 18 agosto 2010 , n. 5817).

Nel giudizio per l’ottemperanza della sentenza emessa dal giudice ordinario, difatti, il giudice amministrativo non può che limitarsi all’attuazione del disposto della pronuncia del giudice civile passata in giudicato, trovando in esso un limite invalicabile.

Il Giudice amministrativo dell’ottemperanza, a fronte di statuizioni giudiziali rese dal Giudice civile deve svolgere un’attività esecutiva senza possibilità d’integrare la pronuncia civile, (Consiglio Stato, sez. VI, 08 settembre 2008, n. 4288), né quella di effettuare accertamenti di merito, tipici del giudizio di cognizione, essendo il suo compito limitato all'accertamento dell'esistenza di un comportamento omissivo od elusivo, adottando le eventuali necessarie misure sostitutive.

Nel giudizio di ottemperanza a sentenze di un giudice appartenente ad altro ordine giurisdizionale, il giudice dell'esecuzione deve, difatti, limitarsi ad usare poteri sostitutivi di "stretta esecuzione", in quanto l'esercizio di poteri di attuazione che modificassero il giudicato verrebbe ad incidere su situazioni soggettive estranee all'ambito della sua giurisdizione (Consiglio Stato, sez. IV, 1 marzo 2001, n. 1143).

Allo stesso tempo il Collegio rileva, come già evidenziato in sede di ordinanza cautelare, la differenza di soggettività giuridica tra il Consorzio destinatario della sentenza di ottemperanza e i Comuni ricorrenti aderenti al medesimo Consorzi.

Il C.I.T.L. è difatti un ente dotato di autonoma personalità giuridica e autonomia imprenditoriale costituito dalla Provincia di Caserta, ai sensi dell’art. 25 della legge 142 del 1990, oggi art. 31 del TUEL (d.lgs. n. 267 del 2000) e si pone quindi come un soggetto ben distinto dai Comuni che ne fanno parte (T.A.R. Campania Napoli, Sez. V, 30.12.2008, n. 21640/2008).

Ora, il soggetto debitore risultante dai titoli giudiziali azionati e dall’ordine di esecuzione del giudicato contenuto nella sentenza di ottemperanza era esclusivamente il Consorzio C.I.T.L. e non i singoli consorziati.

Questi ultimi non sono peraltro mai stati evocati in giudizio, nè dinanzi al giudice ordinario in sede di formazione dei decreti ingiuntivi in questa sede azionati, nè in sede del presente giudizio di ottemperanza.

La sentenza di ottemperanza che ha nominato il Commissario ad acta ha rivolto l’ordine di ottemperanza eseguire il giudicato esclusivamente contro il C.I.T.L., né avrebbe potuto fare altrimenti considerato l’indicata natura meramente esecutiva del giudizio di ottemperanza nel caso di pronunce del giudice civile.

In tale contesto non può trovare ingresso nel presente giudizio, in quanto inammissibile, alcuna censura rispetto a quanto statuito dalla sentenza di ottemperanza, in quanto eventuali doglianze nei confronti del contenuto della stessa dovrebbero essere fatte valere non in sede di opposizione agli atti del Commissario ad acta bensì facendo valere i rimedi propri concessi dall’ordinamento nei confronti della sentenza.

Nel presente giudizio di opposizione la doglianza deve essere limitata all’applicazione, in sede esecutiva, che il Commissario ad acta di quanto statuito dalla sentenza di ottemperanza.

2.1) Fatte tale premesse risultano incongruenti le censure sollevate relative alla carenza di legittimazione del Comune rispetto al provvedimento del Commissario ad acta.

Il Commissario ad acta, sostituendosi agli organi consortili, ha richiesto al Comune di Sessa Aurunca una somma di denaro per pagare i debiti consortili accertati nei provvedimenti azionati in ottemperanza.

Ciò non in forza di specifici titoli giudiziali che tale obbligo hanno specificamente acclarato a carico del Comune nei confronti del Consorzio, bensì in virtù della qualità di consorziato del Comune che, in quanto tale, è tenuto a tutti quegli obblighi e oneri scaturenti da tale appartenenza alla compagine consortile.

In tal senso il Comune ricorrente ben può essere destinatario di un atto di richiesta del Commissario ad acta – e in questi termini essere legittimato passivo della richiesta – potendosi solo discutere dei limiti di fondatezza di tale richiesta e delle modalità della stessa.

2.2) Risultano invece fondate nei termini che seguono, le censure sollevate rispetto al superamento dei limiti consentiti in sede di ottemperanza, appunto in quanto inerenti alle modalità di esecuzione da parte del Commissario ad acta del disposto della sentenza di esecuzione,.

Il Commissario nell’atto impugnato ha previsto la possibilità di sostituirsi agli organi dei singoli Comuni disponendo direttamente gli atti di pagamento.

Tale previsione di sostituzione agli organi comunali, seppure non formulata in termini chiarissimi, è espressamente contenuta nell’atto impugnato e a nulla valgono in merito le successive spiegazioni fornite dal Commisario ad acta al fine di ridimensionarne la portata.

Ora, per quanto anzidetto in merito alla natura del giudizio di ottemperanza, al Commissario ad acta potevano essere conferiti, e in tal senso ha disposto la sentenza di ottemperanza, poteri di sostituzione esclusivamente con riferimento a organi consortili ma giammai il suddetto Commissario ad acta poteva considerarsi legittimato a sostituirsi agli organi dei Comuni membri del consorzio disponendo il pagamento per questi ultimi.

La circostanza poi che i Comuni consorziati possano eventualmente essere chiamati a rispondere dei debiti del Consorzio oppure a ripianare le sue perdite non è sufficiente a far venir meno l’autonomia di soggettività giuridica del Consorzio rispetto ai Comuni, con la conseguenza che una pronuncia riferita al Consorzio non può essere azionata in sede esecutiva direttamente nei confronti dei Comuni consorziati e, conseguentemente, che i poteri di sostituzione del Commissario ad acta espressamente nominato in relazione all’attività di un Consorzio non possono operare direttamente anche nei confronti di un diverso Ente quale un Comune aderente al Consorzio.

La censura deve quindi essere accolta, nei limiti e termini indicati, e l’atto del Commissario ad acta annullato in parte qua.

3) Nel secondo motivo di ricorso parte ricorrente ha lamentato che l’atto del Commissario ad acta si è basato sul testo di uno statuto non valido e, comunque, a lei non opponibile, in quanto mai approvato dai competenti organi comunali.

In particolare, difatti, il Comune in questione non avrebbe mai approvato la versione dello statuto adottata dal Consorzio con la delibera n. 8 del 15.10.2009 e l’ultimo testo statutario approvato dagli organi comunali risalirebbe a quello iniziale di cui alla delibera n. 96 del 19.12.1998.

La necessità di approvazione dello statuto da parte degli organi comunali dovrebbe farsi risalire, sempre secondo parte ricorrente, dalle previsioni dell’art. 31 del D.Lgs. 18-8-2000 n. 267

Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali e dall’art. 9, comma 1, lett. d) ed e) dello Statuto di cui alla delibera n. 96 del 19.12.1998.

Il motivo si palesa infondato.

In particolare, la necessità dell’approvazione delle modifiche statutarie da parte degli organi dei singoli Comuni non discende dalla previsione generale dell’art. 31, comma 2, del D.Lgs. 18-8-2000 n. 267.

Questo articolo prevede, primo comma, che “gli enti locali per la gestione associata di uno o più servizi e l'esercizio associato di funzioni possono costituire un consorzio secondo le norme previste per le aziende speciali di cui all'articolo 114, in quanto compatibili. Al consorzio possono partecipare altri enti pubblici, quando siano a ciò autorizzati, secondo le leggi alle quali sono soggetti” e nel secondo comma che “a tal fine i rispettivi consigli approvano a maggioranza assoluta dei componenti una convenzione ai sensi dell'articolo 30, unitamente allo statuto del consorzio”.

La previsione di cui al secondo comma disciplina solamente il momento genetico della nascita del Consorzio, dove l’approvazione degli atti fondamentali di quest’ultimo deve essere assunta concordemente da tutti gli enti consorziati e deliberata dai competenti organi di questi ultimi ed in tale ambito applicativo deve essere letta l’indicazione contenuta nella norma secondo cui i consigli dei singoli enti devono necessariamente approvare lo statuto del consorzio.

La modifica dello statuto consortile riguarda invece il momento dinamico della vita consortile, ovverosia le vicende successive alla sua costituzione e deve essere affidata in primo luogo alle previsioni statutarie del Consorzio stesso.

Nel caso in esame lo statuto consortile nella versione originaria, assunto con delibera n. 250 del 2.6.1998 - di cui parte ricorrente stessa ammette piena validità ed efficacia nei suoi confronti - ha effettivamente previsto all’art. 8, comma 8, lett. e) e comma 9, che le deliberazioni assembleari del Consorzio riguardanti le modifiche dello statuto consortile devono essere sottoposte all’approvazione dei singoli comuni consorziati e che le medesime deliberazioni per acquisire efficacia richiedono “l’approvazione espressa dei singoli Comuni consorziati, entro 90 giorni dalla comunicazione della relativa delibera al Consorzio”.

Vi è quindi, come sostenuto da parte ricorrente, una espressa previsione statutaria che contempla la necessità di specifica approvazione da parte degli organi dei singoli comuni consorziati ai fini di rendere valide e opponibili le modifiche statutarie.

Il comma 10 del medesimo articolo prevede, però, un meccanismo in grado di sopperire alla mancata approvazione da parte di alcuni enti consorziati indicando che “nel caso in cui uno o più Comuni non approvino o si oppongano alle suddette deliberazioni, l’Assemblea del Consorzio dovrà confermare gli atti medesimi con apposita deliberazione adottata col voto favorevole della maggioranza assoluta delle quote di partecipazione e la presenza in Assemblea di almeno la maggioranza assoluta delle quote stesse”.

Lo statuto stesso ha previsto quindi un meccanismo particolare di voto con il quale sopperire alla mancata approvazione delle modifiche statutarie da parte di singoli enti consorziati.

Quest’ultima previsione risulta essere stata applicata nel caso in esame in quanto la deliberazione dell’Assemblea consortile n. 8 del 15.10.2009, che ha modificato lo statuto del Consorzio nella versione attuale, è intervenuta proprio quale deliberazione di conferma delle modifiche statutarie a fronte della mancata approvazione da parte dei competenti organi dei singoli enti.

La medesima deliberazione difatti dà conto, nelle premesse, che con deliberazione n. 6 del 13.7.2009 era stata adottata in prima lettura la proposta di statuto e che non erano state assunte deliberazioni espresse da parte dei singoli Comuni consorziati, entro 90 giorni dalla comunicazione della suddetta delibera, indicando che quella in questione era la secondo e definitiva approvazione delle modifiche statutarie.

La modifica statutaria deve quindi ritenersi essere stata adottata secondo il meccanismo previsto nell’art. 8, comma 10, dello statuto originario del consorzio che consente la possibilità di mancata approvazione da parte di singoli enti consorziati e, in tal senso, la versione attuale dello statuto consortile appare opponibile anche al Comune ricorrente.

3.1) Il Collegio rileva al tempo stesso come si potrebbero porre delle questioni relative al raggiungimento del quorum deliberativo previsto nel medesimo comma 10 dell’art. 8 del vecchio statuto (voto favorevole della maggioranza assoluta delle quote di partecipazione).

Tale questione non è stata dedotta quale motivo di ricorso ma, soprattutto, costituisce eventualmente un vizio della delibera assembleare che attiene all’annullabilità della stessa e che doveva essere fatto valere, entro i previsti termini di decadenza, tramite la specifica impugnativa della medesima delibera.

Ai sensi dell’art. 2606 c.c. le delibere consortili prese in violazione dei quorum deliberativi devono essere impugnate davanti all'autorità giudiziaria entro trenta giorni.

Si devono infatti ascrivere all’area dell’annullabilità le delibere assunte con la maggioranza inferiore a quella prescritta.

Ciò comporta che ove la delibera non venga impugnata nel termine di trenta giorni (dalla comunicazione per i consorziati assenti ed alla approvazione per quelli dissenzienti), è valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al consorzio, in applicazione di un indirizzo, rinvenibile nella materia delle delibere delle assemblee condominiali, cui la materia delle delibere consortili è assimilabile, e dal quale il legislatore si è uniformato anche in materia societaria, che, invertendo i principi comuni di diritto un negoziale, ha assunto la generalità dei casi di contrasto con la legge od il regolamento nella categoria dell'annullabilità, rimanendo pertanto confinata la nullità assoluta in casi nominati o residuali nella elaborazione giurisprudenziale (Cass. civ. Sez. I, 28-12-2004, n. 24052).

La censura deve quindi essere rigettata.

4) Nel terzo motivo di ricorso parte ricorrente ha lamentato di non aver conferito la gestione del servizio al Consorzio idrico in questione e di non usufruire “per l’alimentazione della rete comunale del servizio di distribuzione di acqua fornita” dal Consorzio. Non gli si potrebbero addossare, quindi, i costi dell’erogazione dei servizi resi da quest’ultimo.

Il motivo si rivela infondato.

La censura è innanzitutto generica riferendosi in genere alla sola alimentazione della rete comunale senza tener conto dell’insieme dei servizi per cui il Consorzio risulta essere stato costituito, così come indicati in Statuto, che prevedono tutte le attività e funzioni amministrative di una serie di servizi tra cui, oltre alla captazione, sollevamento, trasporto e distribuzione delle acque, anche la raccolta, il trattamento, la depurazione, il riuso e lo scarico delle acque reflue, così come pure i servizi di fognatura, attività connesse ed accessorie.

Al riguardo poi non bastano a raggiungere la dimostrazione che il Comune in questione non usufruisca dei servizi del Consorzio né la dichiarazione del Dirigente del Settore Ambiente del Comune, riferita in via generica alla sola alimentazione della rete, né la C.T.U. versata in atti, relativa ad un diverso giudizio in sede civile, perché anch’essa inerente a profili limitati di mancata prestazione del servizio idrico.

In ogni caso poi l’obbligo del Comune di far fronte, nei modi previsti dalla legge e dallo Statuto, ai suoi obblighi inerenti alla sua adesione al Consorzio, deriva dalla sua partecipazione formale allo stesso ovverosia dalla qualità di ente consorziato, ciò tanto più in quanto, come sopra specificato, il Commissario ad acta potrà rivolgersi al Comune facendo valere le pretese inerenti alla sua partecipazione allo stesso ovverosia in quanto previste dalla legge, dallo statuto e in eventuali altri accordi tra consorziati, in conseguenza della sua qualità di consorziato.

La censura deve quindi essere rigettata.

5) Per i motivi indicati il ricorso deve essere parzialmente accolto, nei termini e con le limitazioni indicate in parte motiva.

Attesa la complessità delle questioni trattate e l’accoglimento solo parziale del ricorso, il Collegio ritiene sussistano eccezionali ragioni per compensare le spese di giudizio tra le parti, disponendo l’irripetibilità del Contributo unificato.

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