TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2010-03-25, n. 201004719

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2010-03-25, n. 201004719
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201004719
Data del deposito : 25 marzo 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 08082/2001 REG.RIC.

N. 04719/2010 REG.SEN.

N. 08082/2001 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8082 del 2001, proposto da:
D'Antonio Maurizio, rappresentato e difeso dall'avv. G L L, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. G B S, situato in Roma, via Giovanni Battista De Rossi, 30;

contro

il Ministero dell'Interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato presso cui è legalmente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per l'annullamento

- del provvedimento del Ministero dell’Interno – Direzione Centrale del Personale del 4 aprile 2001, prot. n. M/11507/21, notificato il 20 maggio 2001, di reiezione dell’istanza del ricorrente di trasferimento, ai sensi dell’art. 5, comma 3, della L. n. 78/2000, nei ruoli della carriera prefettizia con la qualifica di vice prefetto od altra equiparata;

- di ogni altro atto presupposto, collegato, conseguente o comunque connesso, se ed in quanto lesivo degli interessi del ricorrente;

e per la declaratoria

del diritto del ricorrente al trasferimento nei ruoli della carriera prefettizia con la qualifica di vice-prefetto od altra equiparata;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 febbraio 2010 il Consigliere Antonella Mangia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Attraverso l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 28 giugno 2001 e depositato il successivo 4 luglio 2001, il ricorrente - in servizio nei ruoli della Polizia di Stato, con la qualifica di vice questore aggiunto - impugna il provvedimento prot. n. M/11507/21, con il quale in data 4 aprile 2001 il Ministero dell’Interno ha respinto l’istanza dal predetto formulata di essere trasferito nell’organico della carriera prefettizia, in applicazione dell’art. 5, comma 3, della L. n. 78/2000.

Ai fini dell’annullamento deduce i seguenti motivi di diritto:

1. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 5,

COMMMA

3, DELLA LEGGE N. 78/2001 – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELLA LEGGE N. 241/90 – CARENTE ISTRUTTORIA – DIFETTO DI MOTIVAZIONE – ECCESSO DI POTERE – DISAPPLICAZIONE DI ATTO AMMINISTRATIVO VALIDO ED EFFICACE – SVIAMENTO. L’art. 5, comma 3, della legge n. 78/2000 prevede un’ipotesi di silenzio assenso in caso di mancata adozione di un provvedimento espresso di rifiuto da parte dell’Amministrazione entro trenta giorni dal ricevimento dell’istanza di trasferimento. Nel caso di specie, il provvedimento impugnato è pervenuto a conoscenza del ricorrente oltre l’indicato termine. Tale provvedimento è, dunque, illegittimo perchè intervenuto quando si era già perfezionato l’accoglimento per silentium. L’Amministrazione ha, infatti, violato i principi in materia di autotutela e, in particolare, il principio del contrarius actus.

2. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELLA LEGGE N. 78/00 – VIOLAZIONE DELLA LEGGE N. 241/90 – DIFETTO DI MOTIVAZIONE – CARENZA DI ISTRUTTORIA – ECCESSO DI POTERE – SVIAMENTO. La legge n. 78/00 assume carattere speciale. Ciò comporta l’obbligo di riferirsi – ai fini dell’applicazione della stessa – esclusivamente ai principi in essa contenuti. Atteso che la questione de qua riguarda non l’accesso alla carriera prefettizia quanto “una speciale forma di mobilità per i funzionari di Polizia”, la legge in esame era, dunque, destinata a prevalere sulle normative disciplinanti, in generale, la stessa materia. In ogni caso, il richiamo alla circostanza secondo cui il rapporto di impiego della carriera prefettizia è regolato dal d.lgs. 139/00 è inconferente, perché l’esclusione dell’accesso dall’esterno alla carriera prefettizia, prevista dal d.lgs. da ultimo citato, era già disposta dal D.P.R. n. 340/82 e tale esclusione non è mai stata di ostacolo al trasferimento nella stessa di funzionari di Polizia, consentita da ulteriori disposizioni speciali, quali il D.P.R. n. 551/81, il D.P.R. n. 339/82 nonché l’art. 45 del D.P.R. n. 340/92, attuativi della legge n. 121/81 di riforma dell’Amministrazione della P.S..

Con atto depositato in data 17 ottobre 2001 si è costituito il Ministero dell’Interno.

Con memoria prodotta in data 29 dicembre 2009 il ricorrente ha reiterato le censure formulate.

Con memoria prodotta in data 19 gennaio 2010 il Ministero dell’Interno ha così confutato le suddette censure: - il termine di trenta giorni di cui all’art. 5, comma 3, della legge n. 78/2000 è stato rispettato in quanto, a fronte di un’istanza pervenuta il 6 marzo 2001, il provvedimento impugnato è stato adottato in data 4 aprile 2001;
- per la carriera prefettizia il legislatore ha tracciato un percorso professionale che, fin dalle modalità di accesso, non consente alcuna immissione da altre amministrazioni;
- all’istanza del ricorrente si frappone, poi, un ulteriore impedimento e cioè la qualifica dirigenziale del personale della carriera prefettizia;
- tali constatazioni costituiscono un ulteriore ostacolo alla formazione del silenzio assenso, tenuto conto che quest’ultimo può operare sono nei confronti delle Amministrazioni destinatarie della previsione di legge.

In data 3 febbraio 2010 – e, dunque, tardivamente – il ricorrente ha depositato “brevi note di udienza”.

Il ricorso è stato introitato per la decisione alla pubblica udienza dell’11 febbraio 2010.

DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.

2. Come esposto nella narrativa che precede, il ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento impugnato in quanto sostiene che, in ordine alla istanza di trasferimento presentata, si era già formato un provvedimento tacito di assenso.

Tale censura è infondata.

Pur volendo condividere la configurabilità, nell’ambito della prescrizione dell’art. 5, comma 3, della legge n. 78/2000, di un’ipotesi di silenzio assenso (cfr. TAR Sicilia, Palermo, 5 novembre 2003, n. 2424, confermata dal Consiglio di Giustizia della Regione Siciliana con decisione 22 marzo 2006, n. 105;
contra: TAR Campania, Napoli, Sez. VI, 10 maggio 2006, n. 4038), il Collegio osserva, infatti, che, nel caso in esame, non sussistono i presupposti di fatto all’uopo prescritti.

Al riguardo, è bene ricordare che l’art. 5, comma 3, della legge n. 78/2000, nella parte di interesse in questa sede, dispone: “Per un periodo non superiore a novanta giorni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1 il trasferimento può essere effettuato, con le medesime modalità, ad istanza dei dipendenti interessati, salvo rifiuto dell’amministrazione destinataria dell’istanza, da esprimere entro trenta giorni dal ricevimento dell’istanza medesima”.

Orbene, nel caso di cui trattasi il suddetto termine risulta rispettato, tenuto conto che – a fronte di un’istanza ricevuta in data 6 marzo 2001 per stessa ammissione del ricorrente – l’Amministrazione ha avuto modo di esprimere il proprio dissenso con nota del 4 aprile 2001, ossia entro il termine di giorni 30.

Stante la formulazione della legge, non appare – del resto – possibile pervenire ad una diversa conclusione.

In particolare, non appare possibile ritenere che il termine di 30 giorni si riferisca alla data in cui il destinatario riceve il riscontro dell’Amministrazione, atteso che: - il dettato legislativo è chiaro nell’imporre il rispetto di tale termine esclusivamente con riguardo all’obbligo dell’Amministrazione di “esprimersi” sull’istanza;
- nella previsione di legge nessun riferimento figura alla successiva attività di comunicazione della decisione all’interessato.

Si ritiene, pertanto, possibile affermare che l’Amministrazione ha operato nel rispetto dei termini contemplati dalla legge, in quanto ha “espresso” il proprio rifiuto “entro trenta giorni dal ricevimento dell’istanza…”.

3. Il ricorrente sostiene, poi, che il Ministero dell’Interno poteva opporre il proprio rifiuto esclusivamente adducendo aspetti di carattere organizzatorio e, dunque, afferma che la già citata Amministrazione non poteva motivare il provvedimento sulla base di considerazioni riguardanti la carriera prefettizia.

Anche tale censura è priva di fondamento.

Il Collegio ritiene, infatti, che – ancorché il disposto dell’art. 5 in argomento integri una speciale forma di mobilità, limitata e circoscritta al personale direttivo e dirigenziale della Polizia di Stato, consequenziale al profondo riordino dell’ordinamento di quest’ultima – lo stesso art. 5 debba ragionevolmente arrestare di fronte ad ulteriori previsioni che – nel disciplinare specificamente determinate categorie di pubblici impiegati, sottratte al processo di privatizzazione del rapporto di lavoro – impongono l’accesso alle relative carriere esclusivamente nel rispetto di precise e ben definite modalità.

In altri termini, afferma la prevalenza di quest’ultime previsioni, rilevando – in particolare – che le stesse, in quanto caratterizzate da una propria specialità, rappresentano l’unica disciplina atta a regolamentare la carriera interessata.

Preso atto che, per quanto riguarda la carriera prefettizia, l’art. 4 del d.lgs. 19 maggio 2000, n. 139 – nel rispetto del criterio direttivo dell’art. 10 della legge 28 luglio 1999, n. 266 – prescrive che alla qualifica iniziale “si accede…….. mediante pubblico concorso con esclusione di ogni altra possibilità di immissione dall’esterno, fatto salvo quanto previsto per la nomina a prefetto”, è, pertanto, evidente che l’Amministrazione – adottando il provvedimento di rifiuto impugnato - ha correttamente operato.

In tal senso depone, tra l’altro, il rilievo che l’art. 40, comma 3, del citato decreto legislativo ha espressamente escluso l’applicazione della normativa previgente di cui ai D.P.R. n. 551/1981 e D.P.R. n. 399/1982 – ricordati nel ricorso - “ai fini del passaggio nei ruoli della carriera prefettizia e della relativa progressione in carriera”.

Ad abundantiam giova anche precisare che la eterogeneità tra la qualifica del ricorrente – direttiva – e quella del personale appartenente alla carriera prefettizia – dirigenziale – rendeva, comunque, non realizzabile il presupposto delle “medesime qualifiche possedute nelle rispettive piante organiche”, prescritto dall’art. 5, comma 3, in argomento.

4. Per le ragioni illustrate, il ricorso deve essere respinto.

In ragione delle peculiarità della questione, si ravvisano giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

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