TAR Catania, sez. I, sentenza 2023-10-13, n. 202303023

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. I, sentenza 2023-10-13, n. 202303023
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 202303023
Data del deposito : 13 ottobre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/10/2023

N. 03023/2023 REG.PROV.COLL.

N. 01627/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1627 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati M C ed E T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Santi Pappalardo in Catania, via Umberto n.200;

contro

Comune di Pachino (SR), non costituito in giudizio;

Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Siracusa, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Catania, via Vecchia Ognina, 149;

per l'annullamento,

dell’ordinanza n. -OMISSIS- del 28/5/2018 del responsabile del V settore urbanistica del Comune di Pachino (pervenuta il 19/6/2018) che ordina il " ripristino dello stato dei luoghi" relativamente ad una presunta " esecuzione di lavori in muratura in assenza delle dovute autorizzazioni " e di ogni altro atto a questo presupposto connesso e conseguente (incluso il presupposto verbale di accertamento redatto il 4/5/2018 dalla Polizia Municipale di Pachino mai portato a conoscenza del ricorrente);

- del provvedimento prot. -OMISSIS- dell'11/7/2018 della Soprintendenza per i beni culturali ed ambientali di Siracusa che " ordina il ripristino dello stato dei luoghi " (portato a conoscenza il 20/7/2018, ma indirizzato al Comune di Pachino anziché al ricorrente) e di ogni altro atto a questo presupposto connesso e conseguente (incluso la presupposta nota 470/Int del 21/6/2018 della " consorella S17.4 " sezione per i beni paesaggistici e demoetnoantropologici, mai portata a conoscenza del ricorrente).

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Siracusa;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 25 settembre 2023 il dott. G L e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con ricorso notificato e depositato nei termini di rito, il sig. -OMISSIS- avversava due distinti provvedimenti costituiti dall’ordinanza n. -OMISSIS- del 28.5.2018 emanata dal responsabile del settore urbanistica del comune di Pachino nonché la nota prot. n. -OMISSIS- dell’11.7.2018 della Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali di Siracusa.

Esponeva egli di essere proprietario di un fabbricato per civile abitazione sito nel territorio della nota località di Marzamemi, con antistante area pertinenziale confinante, al nord, con il piazzale -OMISSIS- e, a est, con la diga frangiflutti demaniale.

Negli anni precedenti, la superficie in questione sarebbe stata delimitata, a nord e ad est. Da due muri di blocchi calcarei alti circa un metro e lunghi, il primo, 16,88 metri ed il secondo circa 11 metri, protezioni edificate al fine di impedire che le persone (e, soprattutto, i bambini) potessero raggiungere la barriera frangiflutti e cadere in mare.

Nel corso del tempo, tuttavia, l’azione congiunta dell’usura e dell’attività umana avevano comportato il deperimento delle strutture in questione, ragion per cui il ricorrente, nel febbraio 2017, si decideva a ripristinare nello stato originale il muretto collocato sul lato nord del terreno, mentre il muretto lato est risulta ormai mancante.

Tuttavia, con l’ordinanza n. -OMISSIS- del 28.5.2018, il responsabile del competente ufficio del comune di Pachino – previo accertamento compiuto il 4.5.2018 e consacrato in un verbale di accertamento mai portato a conoscenza del ricorrente – gli intimava di procedere alla rimozione dell’opera così compiuta in quanto innalzata “ in assenza delle dovute autorizzazioni ”, ordinandogli di ripristinare lo stato preesistente dei luoghi entro 30 giorni, precisando, inoltre, che il ricorrente avrebbe demolito il muro di recinzione posto sul lato est e inoltre, quanto alla barriera collocata sul lato nord, la stessa (munita di un’apertura di passaggio di larghezza pari a metri 2,10), sarebbe stata ricongiunta alla vecchia barriera frangiflutti con una sezione finale di 0,80 cm., in precedenza non esistente.

Successivamente, il 20.7.2018, al ricorrente veniva anche recapitata la sopra citata nota della Soprintendenza bb.cc.aa. di SR, indirizzata al comune di Pachino, con la quale, visto il d.A. n. 1793 del 5.10.1979 – con cui il “Borgo marinaro di Marzamemi” veniva sottoposto a vincolo di notevole interesse pubblico - , visto il piano paesaggistico della Provincia di Siracusa (e, in particolare, il livello di tutela “3” Paesaggio locale “19g”, all’interno del quale ricadrebbe l’area interessata dai lavori condotti dal ricorrente) e, infine, visto l’art. 1, comma 167 del d.lgs. n. 42/2004, nonché la nota endoprocedimentale 470/Int del 21/6/2018 della " consorella S17.4 " sezione per i beni paesaggistici e demoetnoantropologici, la Soprintendenza ordinava al comune di Pachino di provvedere al ripristino dello stato dei luoghi.

Contro i citati provvedimenti, il ricorrente articolava distinti mezzi di gravame.

Nei confronti dell’ordinanza demolitoria, deduceva:

- violazione dell’art. 7 della l. n. 241/1990, per non essere stato il provvedimento preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento;

- violazione di legge, travisamento dei fatti, difetto di motivazione del provvedimento impugnato, illogicità e contraddittorietà manifesta.

A dire del ricorrente, l’ordinanza avversata recherebbe, innanzitutto, affermazioni contrastanti al vero circa la presunta responsabilità del ricorrente nell’abbattimento della barriera lato est e nella collocazione di un’ultima sezione del muretto lato nord della lunghezza di circa 80 cm. al fine di congiungere detta opera con la diga frangiflutti.

Inoltre l’opera contestata, consistendo nel mero ripristino di un muretto preesistente, posto ai margini di un’area pertinenziale, realizzato attraverso materiali rinvenuti o di tenore analogo a quelli precedentemente utilizzati, sarebbe consistita in un intervento di manutenzione ordinaria non sottoposto a regime di previa autorizzazione.

Infine, veniva lamentato il difetto di motivazione dell’atto impugnato, ritraendosi la stessa esclusivamente da un atto istruttorio (il verbale di accertamento redatto dalla Polizia Municipale il 4.5.2018) mai notificato al ricorrente e solamente menzionato nell’ordinanza demolitoria, e ci si doleva della contradditorietà dell’ordine impartito, col quale, da un lato, si sarebbe intimato al ricorrente di demolire il muretto ripristinato e, dall’altro, di ricostruire il muretto demolito già presente sul lato est.

Contro la nota della locale Soprintendenza, invece, il ricorrente lamentava, del pari, la mancata comunicazione di avvio del procedimento, nonché il difetto di motivazione e l’omessa individuazione del destinatario dell’ordine di demolizione sostenendo, nuovamente, il carattere di manutenzione ordinaria dell’opera in questione e l’assoluta assenza di indicazione delle norme violate e, anche in questo caso, il mero rinvio della motivazione ad atti endoprocedimentali (di nuovo, il verbale di accertamento del 4.5.2018 e la “ nota 470/Int del 21/6/2018 della "consorella S17.4" sezione per i beni paesaggistici e demoetnoantropologici ”), mai portati a conoscenza del medesimo.

Il comune intimato non partecipava al giudizio mentre si costituiva, con memoria di mero stile, la Soprintendenza provinciale ai beni culturali ed ambientali

Con memoria del 24.04.2023, gli eredi del ricorrente originario riassumevano la causa per la sua prosecuzione e dichiaravano la permanenza dell’interesse alla sua definizione.

Con produzione documentale del 27.7.2023, la Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali di Siracusa precisava quanto segue.

Innanzitutto, il ricorrente non avrebbe comprovato in modo alcuno la legittima preesistenza dell’opera che egli si sarebbe limitato a ripristinare.

Anzi, l’asserzione contenuta in ricorso circa una risalenza della stessa a 40 anni prima i fatti contestati, ove veritiera, collocherebbe nel tempo il posizionamento del manufatto al 1978, epoca in cui l’area in questione era stata già fatta oggetto di vincolo di notevole interesse paesaggistico imposto, per effetto dell’art. 7 della l. n. 1497/1939, a seguito dell’adozione del verbale n. 40 del 18.4.1973 della Commissione provinciale bellezze naturali e panoramiche di Siracusa, con conseguente divieto di realizzazione di nuove opere (quale quella, in specie, asseritamente ripristinata dal ricorrente) senza il previo nulla osta dell’amministrazione dei beni culturali ed ambientali, nel caso di specie mai rilasciata.

Quanto alle contestazioni concernenti la mancata indicazione del destinatario dell’ordine, esse sarebbero infondate, posto che la nota gravata riportava l’indicazione del responsabile dell’abuso, demandando al comune di Pachino semplicemente la notifica del provvedimento.

Infine, riguardo la mancata indicazione delle norme violate, anche tale censura veniva respinta dalla Soprintendenza stante il carattere vincolato della misura demolitoria impugnata.

All’udienza straordinaria di smaltimento del 25.9.2023, parte ricorrente eccepiva la tardività della documentazione depositata dalla Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali di Siracusa il 27.7.2023, chiedendone lo stralcio.

Inoltre, essa chiedeva rinvio per il deposito di documentazione fotografica comprovante la preesistenza del manufatto e le modalità del ripristino.

La causa veniva trattenuta in decisione.

Con il presente gravame, il sig. -OMISSIS- articola una pluralità di censure, largamente sovrapponibili, avverso i due atti con cui, tanto il comune di Pachino quanto la Soprintendenza provinciale ai beni culturali ed ambientali di Siracusa, hanno, ciascuno per la parte di propria competenza, intimatogli di rimuovere il muretto edificato sul lato nord della sua proprietà, confinante il piazzale -OMISSIS- in Marzamemi, in quanto edificato in assenza di titolo abilitativo e di autorizzazione paesaggistica.

Dal canto proprio, il ricorrente sostiene la legittima preesistenza dell’opera in questione, della quale si sarebbe limitato a ripristinare l’originaria consistenza, lamentando comunque il difetto di motivazione del provvedimento impugnato, la mancata comunicazione di avvio del procedimento, l’eccesso di potere e la contraddittorietà dell’ordine impartito.

Preliminarmente, va precisato che, contrariamente a quanto dedotto oralmente in udienza dai difensori di parte ricorrente, la documentazione versata in atti dalla Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali di Siracusa non appare tardiva, essendo stata offerta in comunicazione non ai sensi dell’art. 73, c.p.a., bensì in adempimento di un ordine giudiziale impartito con provvedimento monocratico n. 538 del 27.3.2023, con cui le amministrazioni evocate in giudizio venivano onerate di fornire, ove non avessero già provveduto, documentati chiarimenti sui fatti per cui è causa, depositando gli atti impugnati e la pertinente documentazione.

Adempimento questo al quale, benché non tempestivamente, la Soprintendenza resistente ottemperava con il deposito in questione, del che va respinta l’eccezione di tardività avanzata dalla difesa di parte ricorrente

Sempre in via preliminare, non può essere accolta l’istanza di rinvio, formulata sempre in pubblica udienza, al fine di consentire alla parte ricorrente di produrre documentazione fotografica attestante la preesistenza delle opere oggetto dei provvedimenti avversati nonché le modalità seguite nell’esecuzione dell’intervento di ripristino.

Il Tribunale, infatti, non ritiene che sussistano le ragioni eccezionali richieste dall’art. 73 comma 1 bis c.p.a. per accordare il chiesto rinvio dal momento che parte ricorrente ha potuto fruire del termine concesso dall’art. 73 c.p.a. per la produzione in giudizio dei documenti in esame il cui eventuale reperimento dopo tale termine non è stato in alcun modo comprovato.

Ad ogni modo, quand’anche i rilievi fotografici in questione fossero stati introdotti in giudizio, v’è da condividere il rilievo formulato dalla Soprintendenza nella propria relazione secondo cui essi documenterebbero, al più, la preesistenza delle opere entro l’arco temporale quarantennale indicato dal ricorrente, attestando quindi la loro collocazione in un’epoca comunque successiva all’introduzione del vincolo scaturente dall’adozione del verbale n. 40 del 18.4.1973 della Commissione provinciale bellezze naturali e panoramiche di Siracusa.

Essi, pertanto, non sarebbero comunque stati sufficienti a soddisfare l’onere probatorio posto a carico della ricorrente in ordine alla legittima preesistenza dei manufatti in questione, riducendo, di fatto, siffatta affermazione ad una petizione di principio sprovvista di concrete circostanze a sostegno (sull’onere di provare la preesistenza delle opere vedasi, di recente, T.A.R. Campania – Napoli, sez. VI, n. 4163 del 20.6.2022).

Così stando le cose, l’intervento edilizio in questione non può che qualificarsi come inquadrabile nella fattispecie astratta della ‘nuova costruzione’.

Infatti, la costruzione di recinzioni, muri, delimitazioni (quand’anche a funzione protettiva) necessita del titolo edilizio qualora avvenga con strutture e materiali non leggeri e amovibili ma destinati alla stabilizzazione al suolo, con conseguente, necessario, previo conseguimento del titolo abilitativo e, come nel caso di specie, ove l’area sia soggetta a vincolo paesaggistico, dell’autorizzazione della competente Soprintendenza (cfr. T.A.R. Sicilia – Catania, sez. I, n. 2175 del 15.9.2020: In termini generali, la giurisprudenza è orientata nel senso che la realizzazione della recinzione non richiede un idoneo titolo edilizio solo in presenza di una trasformazione che, per l'utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni dell'intervento, non comporti un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, con la conseguenza che la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios ex art. 831 cod. civ. va rintracciata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto.

Su queste basi, è stato sostenuto che il permesso di costruire (e, nel precedente regime, la concessione edilizia), mentre non è necessario per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno, lo è quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica, così rientrando nel novero degli interventi di "nuova costruzione", concetto comprensivo di qualunque manufatto autonomo ovvero modificativo di altro preesistente, che sia stabilmente infisso al suolo o ai muri di quella preesistente, ma comunque capace di trasformare in modo durevole l'area coperta, ovvero ancora le opere di qualsiasi genere con cui si operi nel suolo e sul suolo, se idonee a modificare lo stato dei luoghi (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 19 dicembre 2019, n. 8600). In altri termini, la valutazione in ordine alla necessità del titolo abilitativo edilizio per la realizzazione di opere di recinzione va effettuata sulla scorta dei seguenti due parametri: natura e dimensioni delle opere e loro destinazione e funzione. Di conseguenza, si ritengono esenti dal regime del permesso di costruire solo le recinzioni che non configurino un'opera edilizia permanente, bensì manufatti di precaria installazione e di immediata asportazione (quali, ad esempio, recinzioni in rete metalliche, sorretta da paletti in ferro o di legno e senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la posa in essere di una recinzione rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo ius excludendi alios o, comunque, la delimitazione delle singole proprietà;
viceversa, è necessario il titolo abilitativo quando la recinzione costituisca opera di carattere permanente, incidendo in modo durevole e non precario sull'assetto edilizio del territorio, come ad esempio se è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica o da opera muraria (cfr. Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., Sez. Riun., 19 novembre 2018, n. 336). Anche la giurisprudenza penale condivide l'orientamento in base al quale è necessario, di volta in volta, verificare l'estensione dell'area e se tale recinzione risulti realizzata con opere edilizie permanenti (cfr. Cass. pen., sez. III, 18 luglio 2019, n. 31617);
invero, la previsione racchiusa nella normativa regionale (art. 3, comma 1, lett. g), della legge reg. Sic. 10 agosto 2016, n. 16, che sottrae le "recinzioni di fondi rustici" al regime del titolo abilitativo) si deve interpretare in coerenza con il principio della necessità di titolo autorizzativo per opere che comportano trasformazione del territorio e che, dunque, sono realizzate con materiali tipicamente edilizi, non avendo il legislatore regionale diversamente stabilito (cfr. citata Cass. pen., sez. III, 18 luglio 2019, n. 31617)
.

Il Collegio condivide e fa propri i principi espressi nella sopra citata pronuncia e, pertanto, il motivo di ricorso concernente la violazione dell’art. 3, comma 1, lett. a) del d.P.R. n. 380/2001, nonché l’eccesso di potere per travisamento dei fatti, illogicità e contraddittorietà va respinto poiché infondato.

In fatto, deve parimenti escludersi il dedotto difetto di motivazione per mancata indicazione dei presupposti fattuali e normativi di entrambi gli ordini impugnati, giacché tale doglianza è smentita proprio dalla lettura dei provvedimenti avversati, entrambi recanti un’adeguata descrizione degli abusi contestati ed un corretto inquadramento normativo della fattispecie.

Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi, infine, con riferimento ai motivi concernenti la violazione delle regole procedimentali in materia di comunicazione d’avvio del procedimento e di omessa comunicazione degli atti endoprocedimentali.

In proposito, non può non rilevarsi il carattere tipizzato e vincolato degli ordini di ripristino degli illeciti edilizi, che presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere abusivo delle medesime, con la conseguenza che, per la loro adozione, non è necessario l'invio della comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell'atto e non essendo richiesta una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né, ancora, alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (sul punto, cfr., fra le tante, T.A.R. Campania, Napoli, IV, n. 3110/2020;
Consiglio di Stato, II, n. 3485/2020, n. 1765/2020, n. 549/2020;
Consiglio di Stato, VI, n. 7793/2019 e n. 3685/2019;
nonché Consiglio di Stato, Ad. Plen., 17 settembre 2017, n. 9, le più recenti, T.A.R. Campania, Napoli, II, n. 2842/2020;
T.A.R. Campania, Napoli, III, n. 78/2020;
T.A.R. Campania, Napoli, VIII, n. 4765/2020;
T.A.R. Liguria, Genova, I, n. 723/2019).

In conclusione, quindi, l’intero ricorso è da respingere perché infondato.

Le spese seguono la soccombenza con riferimento alla Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali di Siracusa, regolarmente costituita in giudizio, mentre non può farsi luogo alla pronuncia sulle spese nei confronti del comune di Pachino, rimasto estraneo al presente giudizio.

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