TAR Roma, sez. 2T, sentenza 2015-06-03, n. 201507775

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2T, sentenza 2015-06-03, n. 201507775
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201507775
Data del deposito : 3 giugno 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05334/2011 REG.RIC.

N. 07775/2015 REG.PROV.COLL.

N. 05334/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5334 del 2011, proposto da:
Società Marseglia Vini Srl, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. G D G, con domicilio eletto presso l’avv. G D G in Roma, piazza Mazzini, 27;

contro

Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

dell’ordinanza n. 15288 del 9.8.2007 di dissequestro quantitativo di hl. 11250 di vino rosso, giacente presso lo stabilimento sito in Orta Nuova;

nonché

per il risarcimento danni.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 marzo 2015 la dott.ssa Maria Laura Maddalena e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La società ricorrente agisce dinanzi a questo giudice, con atto di riassunzione presentato a seguito di declaratoria di difetto di giurisdizione da parte del giudice ordinario (sent. Tribunale civile di Roma, sez. II, n. 5764 del 2011), per la declaratoria di nullità delle condizioni apposte al provvedimento di dissequestro di vino del 9.8.2007, secondo le quali il prodotto doveva essere avviato alla distillazione senza alcuna forma di aiuto, previa denaturazione con la prevista sostanza rivelatrice.

Essa agisce, inoltre, per la condanna del Ministero intimato al risarcimento dei danni subiti, da quantificarsi in euro 300.000,00.

Espone la società ricorrente, che al momento della proposizione del giudizio dinanzi al giudice ordinario, nel 2009, l’orientamento giurisprudenziale era nel senso che l’azione di nullità dell’atto amministrativo poteva essere proposta senza limiti di tempo, vigendo la regola della imprescrittibilità di tale azione.

Allo stesso modo, l’azione risarcitoria poteva all’epoca essere proposta entro il termine quinquennale di prescrizione.

Ritiene, quindi, la ricorrente che entrambe le domande debbano considerarsi ammissibili ai sensi dell’art. 59 della l. 69/2009, in quanto tempestivamente proposte, ancorché dinanzi al giudice ritenuto privo di giurisdizione.

Chiede in ogni caso la rimessione in termini per errore scusabile.

Tanto premesso, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 21 septies della l. 241/90 e dell’art. 19 della l. 689/1981 in quanto quest’ultimo articolo non consentirebbe all’amministrazione di apporre condizioni al dissequestro. Ne deriverebbe il difetto di attribuzione in capo all’amministrazione sotto questo profilo.

Lamenta, altresì, la violazione dell’art. 42, comma 6, del Reg. CE 1493/1999 e dell’art. 34 del Reg. CE n. 1622/2000, in quanto detta norma non impedirebbe il taglio di vino bianco con vino rosso di per sé ma solo il divieto di utilizzare il prodotto di tale taglio come vino da tavola: quindi, il prodotto ottenuto dalla suddetta miscelazione effettuata, involontariamente, dalla ditta Marseglia vini, ben poteva essere utilizzato per la produzione di vino frizzante, spumante, aceto di vino, ecc.

Deduce, infine, che a mente dell’art. 42, par.6, del Regolamento CE 1493 del 17.5.21999 la miscelazione di vino da tavola bianco con vino da tavola rosso è consentita, “ purché il prodotto ottenuto abbia le caratteristiche del vino da tavola rosso.

Negli stessi termini si porrebbe la disciplina comunitaria sopravvenuta (Regolamento CE n. 606/2009 artt. 7 e 8).

Conclude con istanza di risarcimento del danno patito, quantificandolo in 300.000,00 euro, pari al valore economico del vino all’epoca dei fatti.

L’amministrazione intimata si è costituita depositando una memoria corredata da documenti ed ha in primo luogo eccepito l’inammissibilità del ricorso per violazione del principio del ne bis in idem.

Infatti, sulla medesima questione si sarebbe già pronunciato, con sentenza passata in giudicato, il Tribunale di Foggia, sezione di Cerignola, con sentenza n. 184 del 16.10.2008, che ha dichiarato il ricorso della ricorrente, proposto avverso il medesimo provvedimento di dissequestro, inammissibile per carenza di giurisdizione.

Nel merito, il Ministero per le Politiche Agricole, Alimetari e Forestali ha chiesto il rigetto del ricorso perché infondato.

La società ricorrente ha depositato memoria conclusiva per l’udienza, ulteriormente illustrando le precedenti difese.

Sostiene, in particolare, che il provvedimento di dissequestro condizionato adottato dall’amministrazione consisterebbe, in realtà, in un provvedimento di confisca disciplinato da altra normativa (art. 20 della l. 689 del 1981).

Specifica, infine, le modalità di calcolo dal danno richiesto.

All’odierna udienza, il Collegio previa prospettazione alle parti, ai sensi dell’art. 73 c.p.a., di un possibile profilo di irricevibilità per tardività del ricorso, ha trattenuto la causa per la decisione.

In via preliminare, il Collegio deve farsi carico di esaminare ex officio il profilo di irricevibilità del ricorso.

La ricorrente, come sopra anticipato, ha dedotto che al momento della proposizione del giudizio dinanzi al giudice ordinatario, nel 2009, l’azione di nullità dell’atto amministrativo poteva essere proposta senza limiti di tempo, vigendo la regola della imprescrittibilità di tale azione.

Allo stesso modo, l’azione risarcitoria poteva all’epoca essere proposta entro il termine quinquennale di prescrizione.

Ritiene, quindi, la ricorrente che entrambe le domande, di nullità e di risarcimento del danno, debbano considerarsi ammissibili ai sensi dell’art. 59 della L. 69 del 2009, in quanto tempestivamente proposte, ancorché dinanzi al giudice ritenuto privo di giurisdizione.

Chiede, in ogni caso, la rimessione in termini per errore scusabile.

Osserva il collegio che, in effetti, la società ricorrente ha proposto, nel primo motivo di ricorso, una azione di nullità, per violazione dell’art. 21 septies della L.. 241/90.

Detta azione, all’epoca della instaurazione del giudizio dinanzi al tribunale civile di Roma (2009), risultava proposta tempestivamente dal punto di vista processuale, in quanto all’epoca dei fatti l’azione di nullità anche dinanzi al giudice amministrativo non scontava alcun termine decadenziale.

Soltanto con l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo è stato introdotto un termine decadenziale, di 180 giorni, per la proposizione della domanda di nullità dei provvedimenti amministrativi.

Ad analoga conclusione deve giungersi per quanto attiene alla domanda risarcitoria, per la quale, all’epoca di proposizione del giudizio dinanzi al giudice ordinario, non era previsto alcun termine di decadenza, introdotto solo con l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, ma solo l’ordinario termine di prescrizione.

Nessuna preclusione processuale, dunque, deve ritenersi formata in relazione a dette domande.

Va, tuttavia, rilevato che con il secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione dell’art. 42, comma 6, del Reg. CE 1493/1999 e dell’art. 34 del Reg. CE n. 1622/2000, lamentando in sostanza l’illegittimità del provvedimento impugnato.

Tale azione deve dunque essere qualificata, nonostante il diverso nomen iuris attirbuitole dalla parte, come una vera e propria azione di annullamento;
azione che, però, scontava il termine perentorio di natura decadenziale di 60 giorni decorrente dalla notifica del provvedimento avversato (9.8.2007).

Sennonché, il giudizio dinanzi al tribunale civile di Roma è stato introdotto nel 2009.

Sotto questo aspetto, e in relazione a questo secondo motivo di ricorso, qualificata l’azione come impugnatoria, ovvero volta ad ottenere una pronuncia costitutiva di annullamento dell’atto gravato, va rinvenuta la tardività della impugnazione, in applicazione dei principi della traslatio judicii che, per giurisprudenza consolidata, hanno sempre fatto salve secondo il diritto vivente le preclusioni e le decadenze intervenute.

Né il Collegio ravvisa sussistenti i presupposti per concedere la rimessione in termini per errore scusabile.

L’azione di l’annullamento degli atti viziati da illegittimità ha sempre scontato, anche nel previgente ordinamento della giustizia amministrativa (v. art. 21, D.P.R. n. 1034 del 1971) come nella interpretazione che della norma ha dato la giurisprudenza amministrativa, il termine decadenziale di sessanta giorni decorrente dalla piena conoscenza dell’atto lesivo;
sicché, nessun elmento di dubbio, di incertezza o di contrasto avrebbe potuto mai giustificare una proposizione tardiva dell’azione dinanzi al giudice adito in prime cure.

La domanda di annullamento sarebbe, invero, anche inammissibile per violazione del ne bis in idem.

Essa, infatti, è già stata presentata sotto forma di opposizione alla ordinanza ingiunzione davanti al Tribunale di Foggia, sezione distaccata di Cerignola, che ha dichiarato la sussistenza della giurisdizione amministrativa, con sentenza n. 184/2008, passata in giudicato.

Né può essere invocato, in presenza di una sentenza che aveva già dichiarato la carenza di giurisdizione del giudice ordinario, l’errore scusabile per l’incardinamento di un secondo giudizio sempre dinanzi al giudice civile.

Acclarata la tardività dell’azione impugnatoria, e comunque la sua inammissibilità nei sensi sopra esposti, va tuttavia osservato che la società istante ha anche proposto domanda di risarcimento che, per le stesse argomentazioni sopra svolte, deve ritenersi tempestiva.

Il Collegio, pertanto, deve procedersi ugualmente all’accertamento dell’illegittimità del provvedimento lesivo, sia pure in via meramente incidentale ai soli fini dell’esame della domanda risarcitoria, che risulta essere stata proposta per la prima volta in questa sede giudiziaria.

Il primo motivo di ricorso, come anticipato, riguarda la censura di violazione dell’art. 21 septies della legge n. 241 del 1990.

In sostanza, secondo la tesi della ricorrente, l’amministrazione avrebbe esorbitato dai suoi poteri apponendo al provvedimento di dissequestro la condizione che il vino tagliato venisse avviato alla distillazione, senza possibilità di beneficiare di alcuna forma di aiuto.

L’art. 19 della legge n. 689/1981 consentirebbe, infatti, solo di disporre il dissequestro ma non anche l’apposizione di condizioni.

La tesi della società ricorrente non è persuasiva.

La condizione che accompagna il provvedimento di dissequestro, infatti, va intesa come autonomo atto amministrativo che, in occasione del disposto dissequestro, semplicemente chiarisce, in applicazione della normativa comunitaria, quali sono gli usi che la ricorrente può fare del vino tagliato.

Non vi è dunque, sotto alcun profilo, l’invocato difetto di attribuzione.

Ne consegue, l’infondatezza del relatvo motivo di doglianza.

Con il secondo motivo – che si esamina sempre e solo ai fini dell’accertamento incidentale della illegittimità dell’atto in relazione alla pretesa risarcitoria - la società ricorrente lamenta la violazione dell’art. 42, comma 6, del Reg. CE 1493/1999 e dell’art. 34 del Reg. CE n. 1622/2000, in quanto dette norme non impedirebbero il taglio di vino bianco con vino rosso di per sé, ma porrebbero solo il divieto di utilizzare il prodotto di tale taglio come vino da tavola: pertanto, il prodotto ottenuto dalla suddetta miscelazione effettuata, involontariamente, dalla ditta Marseglia vini, ben poteva essere utilizzato per la produzione di vino frizzante, spumante, aceto di vino, ecc...

L’interessata deduce, altresì, che a mente dell’art. 42, comma 6, del Regolamento CE 1493 del 17.5.1999 la miscelazione di vino da tavola bianco con vino da tavola rosso sarebbe consentita, “ purché il prodotto ottenuto abbia le caratteristiche del vino da tavola rosso. ” e che negli stessi termini si porrebbe anche la disciplina comunitaria sopravvenuta (Regolamento CE n. 606/2009 artt. 7 e 8).

Le argomentazioni della ricorrente non sono persuasive.

L’art. 42, comma 6, del Regolamento CE 1493 del 17.5.1999 espressamente prevede che il taglio di vino da tavola bianco con vino da tavola rosso non può produrre vino da tavola.

E’ vero che lo stesso articolo prevede una deroga a tale divieto “ in taluni casi da determinare ”, ma non è questo il caso della ricorrente.

In essi si fa rientrare, infatti, la procedura tradizionale spagnola di tagliare i vini bianchi con i rossi (la c.d. mescola);
pratica – originariamente prevista all’art. 36 del Reg. della Commissione n. 1622/2000 – che ora, peraltro, non è più autorizzata.

Va, pertanto, respinta anche questa censura di gravame..

Quanto alla ulteriore censura della ricorrente, secondo la quale l’unico divieto posto dalla normativa comunitaria riguarderebbe la qualificazione del prodotto ottenuto dalla miscelazione effettuata, involontariamente, dalla ditta Marseglia vini, come vino da tavola, il che non avrebbe impedito che esso poteva essere utilizzato per la produzione di vino frizzante, spumante o aceto di vino, il collegio osserva che tale doglianza è stata proposta in via meramente ipotetica giacché non vi è prova alcuna che la ricorrente intendesse effettivamente procedere alla produzione di vini frizzanti, spumanti o di altro genere assimilato.

Al riguardo, la difesa della amministrazione ha anche puntualizzato – senza essere smentita – che dagli atti del procedimento emergeva unicamente la volontà della Marseglia vini di commercializzare il prodotto della miscelazione come vino da tavola.

Neconsgue, che la censura in esame, prima ancora che infondata è inammissibile per carenza di interesse.

In conclusione, anche il secondo motivo di ricorso non è giuridicamente apprezzabile.

La scrutinata legittimità dell’operato amministrativo priva di fondatezza la domanda risarcitoria, non potendosi ravvisare nella condotta dell’amministrazione alcun profilo di danno ingiusto.

In conclusione, il ricorso in esame va dichiarato parte inammissibile (ricorso impugnatorio) e parte infondato (domanda di risarcimento danni).

Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

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