TAR Genova, sez. II, sentenza 2014-11-19, n. 201401670

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Genova, sez. II, sentenza 2014-11-19, n. 201401670
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Genova
Numero : 201401670
Data del deposito : 19 novembre 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00674/2009 REG.RIC.

N. 01670/2014 REG.PROV.COLL.

N. 00674/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 674 del 2009, proposto dalla Idroedil srl con sede ad Arma di Taggia in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati F B, A P e F B, con domicilio eletto presso quest’ultimo a Genova in via Cesarea 10/16;

contro

Provincia di Imperia in persona del presidente in carica, rappresentata e difesa dall’avvocato professor P A, con domicilio eletto presso di lui a Genova in via Corsica 2

Comune di Sanremo in persona del sindaco in carica
Comune di Ventimiglia in persona del sindaco in carica
Autorità d’Ambito Territoriale Ottimale Imperiese con sede ad in Imperia in persona del legale rappresentante in carica;

per l'annullamento

del provvedimento 30.4.2009, n. M79 della provincia di Imperia

della deliberazione 29.4.2009, n. 171 della giunta della provincia di Imperia.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio della provincia di Imperia

vista la propria ordinanza 24.7.2009, n. 265

visti gli atti e le memorie depositate;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 novembre 2014 il dott. Paolo Peruggia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Idroedil srl si ritiene lesa dal provvedimento del dirigente la provincia di Imperia 30.4.2009, n. M79, per il cui parziale annullamento ha notificato l’atto 26.6.2009, depositato il 7.7.2009, con cui denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 15 e dell’allegato 2 del d.lvo 13.1.2003, n. 36, l’eccesso di potere per difetto dell’istruttoria e della motivazione, la contraddittorietà e la violazione dei principi generali di cui all’art. 23 cost.

La provincia di Imperia si è costituita in causa con atto depositato il 18.7.2009.

Con ordinanza 24.7.2009, n. 265 il tribunale ha respinto la domanda cautelare proposta.

Le parti hanno depositato memorie e documenti.


E’ impugnata l’autorizzazione ambientale con cui la provincia di Imperia ha approvato il progetto per la saturazione e la chiusura della discarica di Collette Ozotto nella parte in cui è stata determinata la tariffa per il conferimento dei rifiuti.

In fatto va premesso che l’interessata risulta nella gestione del pubblico servizio di raccolta e stoccaggio dei rifiuti di una parte del territorio provinciale nella discarica in questione;
il rapporto economico tra l’ente concedente ed il soggetto incaricato della gestione è stato caratterizzato da numerose liti, quasi tutte originate da divergenze economiche in ordine al compenso spettante al soggetto privato per l’attività svolta. In numerosi degli atti menzionati nella premessa del ricorso si legge che diverse sono state le occasioni in cui le parti hanno avuto modo di confrontarsi circa il contenuto finanziario del rapporto, posto che l’amministrazione non ha mai reperito una soluzione alternativa allo smaltimento dei rifiuti urbani nella discarica, non risulta che per anni sia stato bandito un esperimento per la novazione soggettiva od oggettiva del titolo, sì che i contrasti hanno sempre avuto per oggetto le tariffe al quintale da riconoscere allo smaltitore.

Nel periodo precedente l’adozione dell’atto impugnato l’amministrazione ha preso contezza del dichiarato prossimo esaurimento della capacità ricettiva del sito, sì che ha autorizzato il gestore alla sua saturazione e chiusura, determinando la tariffa per lo smaltimento che nel frattempo prosegue.

Il ricorso mira a conseguire l’annullamento di quanto disposto in ordine alla tariffa, nulla essendo stato dedotto relativamente alla determinazione di bonifica del sito, sì che la cognizione del tribunale avrà riguardo ai soli profili dedotti.

L’esame del merito della controversia così individuato va preceduto da quello delle eccezioni sollevate dall’amministrazione resistente.

Con la prima di esse la provincia di Imperia denuncia l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del tribunale adito. La questione viene dedotta dalla provincia resistente argomentando dall’applicabilità alla specie dell’art. 133 comma 1 lett. b) del d.lvo 2.7.2010 n. 104, che dispone l’attribuzione al giudice ordinario della competenza a giudicare in materia di controversie sui pubblici servizi, ogni volta che si faccia questione di indennità, canoni od altri corrispettivi;
va innanzitutto notato che la successiva previsione di cui al punto p) della norma non viene menzionata, benché essa si riferisca espressamente al ciclo dei rifiuti, ed oltre a ciò osta alla diretta applicazione della norma denunciata il fatto che essa è entrata in vigore nel settembre del 2010, e così in epoca successiva all’introduzione della presente lite. In argomento va notato che l’art. 5 del cpc prevede che la giurisdizione viene regolata in base allo stato di fatto esistente al tempo della proposizione della domanda.

Oltre a ciò la norma dedotta fondamento dell’eccezione è dettata espressamente per le concessione dei beni pubblici, e richiama anche letteralmente la previgente disposizione dell’art. 5 della legge 6.12.1971, n. 1034: non è dubbio che il rapporto tra la ricorrente e l’ente provinciale è stato qualificato alla stregua di una concessione di pubblico servizio, e tuttavia non è possibile attenersi al solo dato letterale, apparendo opportuno procedere ad una verifica della reale natura delle norme che disciplinano il servizio di raccolta dei rifiuti in questione.

Va precisato che la differenziazione tra l’appalto e la concessione (in questo caso di servizi) ha costituito una questione di difficile soluzione: la legislazione non è stata univoca, e le prime ipotesi di assimilazione delle due fattispecie avevano avuto lo scopo di imporre l’applicazione delle regole di trasparenza e concorrenzialità anche alle concessioni.

La necessità di una chiara distinzione tre le due ipotesi è derivata soprattutto dalla normativa comunitaria, che alla questione ha dedicato le note direttive del 2004, ed ha ora approvato gli analoghi atti 23 e 24 del 2014, che gli Stati membri dovranno recepire nei rispettivi ordinamenti.

Il discrimine tra le due figure viene soprattutto individuato nel rischio operativo (ad esempio, considerando 18 della direttiva 2014/23) che deve sempre gravare sul concessionario, e che non sussiste allorché l’amministrazione pubblica si obbliga a coprire le eventuali perdite occorse nell’esercizio dell’attività esercitata comunque nell’interesse pubblico;
l’appalto di servizi ricorre invece (considerando 4 della direttiva 24/2014) allorché l’ente aggiudicatore acquisisce in senso ampio un vantaggio dall’attività dell’appaltatore, senza con ciò ottenere necessariamente il trasferimento della proprietà di un bene.

La giurisprudenza ha più volte affrontato le questioni sollevate dalla censura in esame, giungendo a conclusioni oramai condivise nel senso che il concessionario si remunera erogando il servizio all'utenza, che a sua volta gli corrisponde una tariffa nella misura determinata dall'autorità concedente o da un organismo regolatore indipendente, oppure sfruttando il bene demaniale (ad esempio cons. Stato 2014, n. 1243 e tar Lazio, Roma, 2014, n. 3817);
la ricorrenza dell’appalto va invece individuata nei casi in cui l’imprenditore ottiene dall’amministrazione aggiudicatrice il compenso pattuito, e non ha necessità di avere rapporti negoziali con i reali utenti del servizio offerto.

Nel caso in questione l’unico soggetto con cui l’interessata doveva interloquire è l’amministrazione provinciale;
gli utenti finali del servizio hanno a loro volta i rapporti con i comuni, ai quali devono corrispondere il tributo, usualmente denominato tassa, che dovrebbe coprire l’intero onere dello smaltimento dei rifiuti.

Si tratta di profili che inducono il tribunale a propendere per la qualificazione del rapporto alla stregua di un appalto di servizi, risultando che la sostanza della relazione giuridica instauratasi deve prevalere sulla sua qualificazione nominalistica.


Tutto ciò ha esplica effetti diretti sulla questione della giurisdizione, poiché permette di escludere la diretta applicabilità alla fattispecie dell’art. 133 comma 1 lett. b) del codice processuale amministrativo, così come dell’art. 5 della legge 6.12.1971, n. 1034.

Oltre a ciò, quand’anche si volesse sostenere che, al tempo della proposizione dell’impugnazione, la competenza a giudicare della lite in rassegna apparteneva al giudice ordinario non sarebbe più possibile dichiarare il difetto di giurisdizione in favore di quel giudice;
è ormai nozione acquisita in giurisprudenza (cass. III, 7.3.2014, n. 5420) e condivisa dal collegio che l’attribuzione della giurisdizione che era carente al momento dell’inizio del giudizio mantiene nell’ambito della legittimità il processo introdotto avanti al giudice che si vede riconosciuta la potestà di giudicare in corso di causa;
il limite al di là del quale il mutamento normativo non può operare è il passaggio in giudicato della statuizione implicita od espressa sulla giurisdizione, situazione che non ricorre nella specie, vista la pendenza della lite. La regola è stata prevista per evitare che un giudizio incardinato erroneamente venga rinviato ad un altro organo giudicante, che dovrà semplicemente ritrasmetterlo al tribunale di provenienza, vista la sopravvenuta normativa: si tratterebbe con ciò di un inutile doppio passaggio che apporterebbe solo lentezza ed incertezza alla giustizia, cosa certo inidonea ad accreditarne il prestigio tra i consociati.

La giurisprudenza ha pertanto ritenuto che l’eccezione di difetto di giurisdizione non vada accolta, nel caso in cui una norma sopravvenuta abbia attribuito la potestà decisoria al giudice che era stato erroneamente investito della lite.

La causa va pertanto conosciuta prescindendo dai profili preliminari allegati.

Ulteriormente la resistente chiede che il tribunale dichiari improcedibile il ricorso per sopravvenuto difetto di interesse in quanto nel 2011 la parte privata ha acconsentito a rimettere la determinazione delle tariffe di smaltimento dei rifiuti in discarica ad un’apposita commissione: tuttavia non risulta che tale organo abbia completato i propri lavori, sì che permane l’interesse alla decisione della presente lite.

Con l’eccezione sub III) la resistente denuncia la genericità delle richieste dell’impresa, cosa che dovrebbe portare il collegio a dichiarare inammissibile il ricorso;
va invece rilevato che la questione attiene al merito, sì che la deduzione non esclude il successivo esame sull’eventuale fondatezza delle richieste.

Con la successiva eccezione IV) la provincia di Imperia chiede dichiararsi inammissibile la domanda, in quanto la ricorrente ha omesso di proporre impugnazione anche nei confronti della deliberazione 4.4.2007 dell’ATO imperiese, che nella data indicata richiese l’adozione di un’ordinanza contingibile e urgente. L’eccezione non merita condivisione, posto che l’atto in questione non può considerarsi presupposto a quello gravato, visto l’oggetto dell’attuale contendere.

La richiesta rubricata sub V) è volta a far dichiarare inammissibile e irricevibile il ricorso per l’acquiescenza che sarebbe stata prestata alle precedenti determinazioni con cui l’ente concedente aveva negato l’aumento delle tariffe per lo smaltimento: l’amministrazione rileva che si tratterebbe della riproposizione delle domande già formulate nel 2004, e mai prese in favorevole esame dalla provincia.

Tuttavia la formulazione esposta è dubitativa, sì che l’eccezione non può essere condivisa visto il tenore perplesso dell’allegazione.

Con la deduzione sub VI la provincia rileva che la domanda dell’interessata si basa sulla richiesta di rimodulazione della tariffa inoltrata il 20.2.2006 che venne respinta con l’atto 26.4.2006, n. 188 della p.a., sì che la mancanza di una tempestiva impugnazione renderebbe inammissibile la riproposizione dell’istanza. Il tribunale non può convenire con l’eccezione, e rileva che gli atti rappresentano una diversa realtà rispetto a quella raffigurata nella deduzione dell’ente pubblico, posto che la domanda contenuta nel ricorso non si fonda solo sulla documentazione rassegnata nella data indicata, ma anche su altri atti che non risultano essere stati compiutamente presi in esame. Pertanto anche questa eccezione va disattesa.

Con un’ulteriore deduzione la provincia deduce l’inammissibilità del ricorso, che non sarebbe stato notificato all’ATO ed ai comuni interessati. L’assunto non è tuttavia confortato dall’allegazione circa lo stato della normativa in ordine ai poteri in materia, che ha visto un passaggio a volte non chiarissimo delle competenze tra la provincia, gli ATO ed i comuni: in difetto di ciò la censura non è fondata e va disattesa.

Nel merito il collegio prende atto che provvedimento espone nella motivazione che “…Idroedil srl con nota n° 30 del 22.4.2009 ha trasmesso il Piano Finanziario come previsto dal D.Lgs. n° 33/06;
il Settore Tutela dell’Ambiente – Ufficio rifiuti non ha pertanto avuto il necessario tempo per istruire la pratica e sottoporla all’approvazione della Conferenza dei Sindaci ATO rifiuti…”.

A questo riguardo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 15 del d.lvo 13.1.2003, n. 36 ed il difetto dell’istruttoria. Il collegio osserva che la domanda in esame si inserisce nel disegno normativo dell’art. 15 del d.lvo 13.1.2003, n. 36 che prevede che le amministrazioni competenti debbano tenere indenni i gestori per tutti costi sostenuti per la realizzazione, l’esercizio e la successiva chiusura delle discariche;
la delicatezza di tale servizio pubblico in relazione alla salute pubblica ha fatto sì che la legislazione comunitaria ed interna approntassero la norma citata, che si configura come particolarmente favorevole per l’impresa concessionaria. La normativa in questione sembra per ciò distaccarsi in qualche misura dalle parallele discipline sugli appalti e le concessioni pubbliche, per cui è previsto che le amministrazioni aggiudicatrici e concessionarie esaminino con la massima cura possibile gli oneri da sostenere, in vista della salvaguardia della finanza pubblica (ora anche art. 97 cost.);
la rilevata delicatezza del profilo ambientale ha fatto sì che l’unione europea imponesse l’integrale sopportazione di tutti gli oneri che il gestore di siti deve sostenere in vista della loro gestione e della successiva chiusura e messa in sicurezza.

Consegue da ciò che la ricordata giustificazione del provvedimento non appare in grado di resistere alle censure in rassegna, essendo evidente la trascuratezza dell’istruttoria condotta dall’amministrazione sul punto. E’ possibile che in questa occasione la società abbia tardato nella consegna degli elaborati necessari per la corretta determinazione della tariffa, ma la risposta della p.a. non risulta appagante, soprattutto in considerazione del lungo tempo trascorso da quando la p.a. ha dovuto esaminare le domande della parte per l’aumento della tariffa al quintale conferito.

Deriva da ciò che l’atto impugnato è illegittimo nella parte in cui è stato censurato, ed in tali limiti va annullato;
la decisione così assunta assorbe la domanda per la dichiarazione della retroattività della tariffa, posto che la p.a. si dovrà rideterminare esaminando tutti gli atti allegati dalla parte privata, e potrà eventualmente determinarsi con ampiezza di contenuti.

Le spese vanno non di meno compensate, attesa la complessità delle questioni proposte.

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