TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-05-10, n. 202409214

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-05-10, n. 202409214
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202409214
Data del deposito : 10 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 10/05/2024

N. 09214/2024 REG.PROV.COLL.

N. 16998/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 16998 del 2023, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato E I, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

previa sospensione,

della delibera del CPGT n. -OMISSIS- concernente l’irrogazione della sanzione disciplinare della censura;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria e di Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 febbraio 2024 il dott. G V e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- Con ricorso notificato in data 9.12.2023 e ritualmente depositato, il ricorrente, giudice tributario con funzioni di -OMISSIS- di Sezione presso la Corte di giustizia tributaria di primo grado di -OMISSIS-, ha impugnato, con contestuale istanza cautelare, la decisione del Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria (CPGT) n. -OMISSIS-, depositata il -OMISSIS- (proc. disc. n. -OMISSIS-), con la quale veniva deliberata nei suoi confronti la sanzione disciplinare della censura per il grave e reiterato ritardo nel deposito di n. 142 sentenze della CTP (oggi CGT di primo grado) di -OMISSIS-nella qualità di estensore, fatto integrante illecito disciplinare per “ scarsa laboriosità, se abituale ”, previsto dall’art. 15, comma 4, lett. h), del d.lgs. n. 545/1992.

Il ricorrente ha esposto in fatto:

- che nella qualità di -OMISSIS- di Sezione presso la Corte di giustizia tributaria di primo grado di -OMISSIS-presiede i collegi delle sezioni alle quali è assegnato e procede alla sottoscrizione, in qualità di estensore, di ogni sentenza redatta dai giudici relatori, nonché alla redazione delle sentenze relative ai processi di cui egli stesso è relatore;

- che negli anni 2019, 2020 e 2021 è stato assegnato, in qualità di -OMISSIS-, alle Sezioni prima, seconda, terza, quinta e sesta della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di -OMISSIS-(allora Commissione Tributaria Provinciale);

- che, a seguito della segnalazione di numerosi ritardi nel deposito delle sentenze e degli accertamenti preliminari svolti, con delibera n. -OMISSIS-, notificata al ricorrente il 6.12.2022, il CPGT ha avviato il procedimento disciplinare a suo carico, sollevando le seguenti contestazioni: capo a) reiterato e grave ritardo nella stesura di n. 142 motivazioni delle decisioni (di cui all’allegato elenco) assunte dal Collegio del quale aveva fatto parte in qualità di relatore;
capo b) adozione di reiterati comportamenti volti ad eludere il termine per il deposito di ulteriori n. 127 sentenze (di cui all’allegato elenco), in quanto, a seguito della discussione della relativa causa, ne riservava la decisione ex art. 35, comma 2, del D.lgs. n. 546/1992, ma anziché sciogliere la riserva e decidere nei 30 giorni successivi - come previsto dal citato art. 35 -, la scioglieva a distanza di molti mesi, in diversi casi anche sino a dieci, in tal modo spostando artificiosamente in avanti il termine di decorrenza per il deposito della relativa motivazione;

- che il procedimento disciplinare, a seguito delle rituali difese svolte dall’incolpato, veniva definito con la gravata delibera n. -OMISSIS- con la quale veniva deliberata la responsabilità disciplinare del ricorrente in relazione al capo a) relativo all’accertato grave e reiterato ritardo per il deposito delle motivazioni delle sentenze e, per l’effetto, disposta la sanzione della censura;
quanto alla contestazione di cui al capo b) della delibera, relativa all’elusione del termine di deposito di ulteriori n. 127 sentenze con lo scioglimento della riserva oltre i 30 giorni successivi alla decisione di cui all’art. 35, comma 2, del D.lgs. n. 546/1992, si è invece ritenuto che tali ulteriori ritardi - seppure espressione di una evidente anomalia - non potessero considerarsi “ritardi in senso tecnico da costituire scarsa laboriosità ai sensi della lett. h), dell’art. 6, del Regolamento Disciplinare, o reiterato grave ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni ai sensi della lett. a), del successivo art. 7” .

Avverso il predetto provvedimento disciplinare, che ha irrogato al ricorrente la sanzione della censura per il ritardo del deposito delle sentenze di cui al capo a) dell’incolpazione, ha dunque proposto ricorso l’interessato, deducendo i seguenti motivi di diritto:

I. “ Violazione di legge - artt. 3 e 27 septies L. n. 241/1990;
omessa motivazione sulle eccezioni formulate dalla parte e dal difensore nel procedimento disciplinare
”;

II. “ Violazione di legge artt. 3 e 27 septies L. n. 241/1990;
art. 26 D.lgs. n. 545/1992;
art. 25 del Regolamento interno del CPGT (approvato con delibera del 01.04.2003, di seguito “RI”) - art. 10 del Regolamento per il procedimento disciplinare (approvato con delibera n. -OMISSIS- del CPGT, di seguito “RD”);
omessa indicazione se la decisione impugnata sia stata adottata a maggioranza o a parità di voti con il voto favorevole del presidente - questione di legittimità costituzionale dell’art. 26 D.lgs. n. 545/1992
”;

III. “ Violazione di legge - art. 11 RI - tardività dell’azione disciplinare - estinzione dell’illecito di cui al capo a) per il quale è stata applicata la censura ”;

IV. “ Violazione di legge - artt. 16, comma 7, D.lgs. n. 545/1992 e 3 ter D.lgs. n. 109/2006 - erronea interpretazione e mancata dichiarazione di estinzione dell’illecito per deposito di tutte le sentenze in data precedente all’esercizio dell’azione disciplinare - eccesso di potere ”;

V. “ Violazione di legge - artt. 16, comma 7, D.lgs. n. 545/1992 e 3 bis D.lgs. n. 109/2006 - omessa motivazione sulla non configurabilità dell’illecito disciplinare per scarsa rilevanza - eccesso di potere ”;

VI. “ Questione di legittimità costituzionale, in via subordinata, dell’art. 16, comma 7, D.lgs. n. 545/1992 nella parte in cui non consente l’applicazione ai giudici tributari degli artt. 3 bis e 3 ter D.lgs. n. 109/2006 ”.

Con decreto presidenziale del -OMISSIS-, in accoglimento dell’istanza presentata dal ricorrente, è stata fissata la camera di consiglio del 17.1.2024 per la trattazione collegiale della domanda cautelare e l’udienza pubblica del 28.2.2024 per la trattazione del merito.

In data 11.1.2024 si sono costituiti per resistere al ricorso il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze, depositando una memoria difensiva corredata da documenti.

Alla camera di consiglio del 17.1.2024 il ricorrente ha rinunciata all’istanza cautelare in vista dell’imminente trattazione del merito all’udienza pubblica già fissata.

In data 17.2.2024 il ricorrente ha depositato memoria difensiva, producendo anche il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto avverso il decreto del MEF del 7.11.2023 con il quale è stata applicata la sanzione disciplinare della censura ai sensi dell’art. 16, comma 6, del d. lgs. n. 545/1992.

All’udienza pubblica del 28 febbraio 2024 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

2.- Il ricorrente impugna la sanzione della censura inflitta nei suoi confronti dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, con deliberazione n. -OMISSIS-, per l’illecito disciplinare costituito dal ritardo, grave e reiterato, nel deposito delle motivazioni di n. 142 sentenze assegnategli in qualità di relatore.

Preliminarmente, occorre evidenziare che, come puntualmente documentato dalla difesa erariale, al ricorrente risulta essere stata comminata in precedenza la sanzione disciplinare dell’ammonimento - con delibera del CPGT del 18.03.2014 non impugnata – in ragione del “ mancato deposito di n. 136 decisioni ”.

Tanto premesso, il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.

2.1- Con il primo motivo il ricorrente assume la nullità del provvedimento impugnato per carenza di motivazione, in quanto il CPGT non avrebbe esternato, nella delibera adottata, le ragioni per le quali ha ritenuto di non accogliere le eccezioni formulate dall’incolpato nel procedimento disciplinare – e riproposte nell’odierna sede processuale -, in particolare relative a quanto segue: a) omessa consegna di atti necessari alla difesa del ricorrente;
b) impossibilità di comprendere quale fosse la fattispecie contestata;
c) esecuzione dell’intera istruttoria mediante acquisizioni documentali senza preventiva comunicazione al ricorrente;
d) omessa istituzione del registro di deposito delle sentenze presso la CTP di -OMISSIS-in violazione della delibera n. -OMISSIS- CPGT.

Le doglianze sono destituite di ogni fondamento.

Invero, si rende opportuno rammentare che l’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi va inteso secondo una concezione sostanziale/funzionale, sicché esso è “da intendersi rispettato quando l’atto reca l’esternazione del percorso logico-giuridico seguito dall’amministrazione per giungere alla decisione adottata e il destinatario è in grado di comprendere le ragioni di quest’ultimo e, conseguentemente, di utilmente accedere alla tutela giurisdizionale, in conformità ai principi di cui agli artt. 24 e 113 della Costituzione” ( Consiglio di Stato, III, 23.11.2015, nn. 5311 e 5312;
cfr., altresì, Consiglio di Stato, sez. III, 13.1.2021 n. 414: " Del resto, come chiarito dalla giurisprudenza della Corte costituzionale: "Il dovere di motivare i provvedimenti amministrativi rappresenta espressione dei principi di pubblicità e trasparenza che, ai sensi dell'art. 1, L. n. 241 del 1990, sovraintendono all'intera attività amministrativa, in quanto diretti ad attuare sia i canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione (art. 97, primo comma, Cost.), sia la tutela di altri interessi costituzionalmente protetti, come il diritto di difesa nei confronti della stessa amministrazione" (sent 5 novembre 2010, n. 310 )").

Nel caso di specie, la motivazione della delibera impugnata indica chiaramente il fatto integrante l’illecito disciplinare contestato nonché il fondamento normativo della violazione rilevata, atteso che l’incolpazione di cui al capo a) in esame reca la descrizione del fatto consistente nel “ reiterato e grave ritardo nella stesura delle motivazioni delle decisioni assunte dal Collegio del quale ha fatto parte in qualità di relatore ”, nonché il sotteso fondamento normativo di cui agli “ artt. 15 e 16 del d. lgs. n. 545/1992, come modificato dall’art. 11 del d. lgs. n. 156/2015 ”. Inoltre, la delibera impugnata, da un lato, richiama espressamente anche la precedente delibera n. -OMISSIS-, notificata al ricorrente il 6.12.2022, con la quale veniva avviato il procedimento disciplinare e, dall’altro, ripercorre sinteticamente l’ iter del procedimento e, soprattutto, indica analiticamente, in apposita tabella inserita nel corredo motivazionale della delibera, i procedimenti per i quali è stato rilevato il ritardo del deposito delle n. 142 sentenze, con il corrispettivo numero di ruolo, la data dell’udienza, la data della pronuncia e, infine, la data del deposito della motivazione della sentenza.

L’elenco dei procedimenti per i quali è stato rilevato il ritardo sono stati estrapolati dal sistema SIGIT ed erano evidentemente accessibili anche da parte del ricorrente medesimo, il quale, tuttavia, non ha sollevato alcuna contestazione in merito ai giorni di ritardo registrati per le sentenze enumerate nell’atto di incolpazione.

Per converso, dalle ampie e puntuali difese svolte dal ricorrente, sia in sede procedimentale che nell’odierna sede processuale, emerge come egli abbia senza dubbio compreso pienamente il fatto contestato e gli elementi concreti a sostegno dell’incolpazione, tanto che è lo stesso ricorrente ad affermare nell’atto introduttivo del giudizio che il CPGT ha individuato quale titolo di responsabilità disciplinare la “ scarsa laboriosità, se abituale ”, che infatti costituisce l’illecito disciplinare previsto dall’art. 15, comma 4, lett. h), del d.lgs. n. 545/1992.

Ne consegue che la motivazione della delibera impugnata deve ritenersi, sul punto, esaustiva ed adeguata.

Peraltro, lo stesso ricorrente ha affermato di aver smaltito tutto l’arretrato alla data del 20.04.2022 a seguito del sollecito del Presidente della CTP di -OMISSIS-– dunque prima della delibera di avvio del procedimento disciplinare del -OMISSIS- -, e ciò comprova ulteriormente il fatto che egli fosse pienamente a conoscenza sia del ritardo rilevato dall’Ufficio sia dei procedimenti contestati, in quanto dal medesimo definiti, sebbene tardivamente, dopo tale sollecito.

È rimasta, infine, del tutto indimostrata l’asserzione secondo cui l’omessa istituzione del registro di deposito delle sentenze presso la CTP di -OMISSIS-sarebbe per ciò solo impeditiva della possibilità di contestare il ritardo nel deposito delle sentenze, atteso che, per un verso, l’invocata delibera n. -OMISSIS- CPGT che, in tesi, supporterebbe tale argomentazione non è stata neanche prodotta in giudizio e, in ogni caso, non sussiste alcuna incertezza, alla stregua di quanto sinora esposto, in merito all’elenco dei procedimenti pendenti per i quali era stato registrato un ritardo nel deposito delle motivazioni delle sentenze né tanto meno sulla conoscenza di tale elenco da parte dell’interessato.

Il primo motivo deve, pertanto, essere respinto.

2.2- Con il secondo motivo il ricorrente deduce la nullità della gravata delibera ai sensi degli artt. 3 e 21- septies della legge n. 241/1990 sul presupposto dell’omessa indicazione, nel verbale e nello stesso provvedimento impugnato, di un elemento asseritamente essenziale, consistente nella menzione del fatto se la decisione sia stata adottata a maggioranza oppure a parità di voti con il voto favorevole del presidente. In altri termini, lamenta una lesione del diritto di difesa laddove non è in grado di conoscere se la delibera sia stata adottata con il voto decisivo del presidente (c.d. casting vote ), ciò che gli avrebbe consentito – in tesi - di proporre questione di legittimità costituzionale dell’art. 26 d. lgs. n. 545/1992 nella parte in cui non prevede che, a parità di voti, anche per il giudice tributario prevalga la decisione più favorevole all’incolpato (e non già la decisione del presidente), secondo quanto espressamente previsto dall’art. 6, ultimo comma, l. n. 195/1958 con riferimento ai magistrati ordinari.

La doglianza non è suscettibile di positiva valutazione.

L’art. 26 (rubricato “Deliberazioni”) del d.lgs. n. 545/1992 dispone che:

“1. Il consiglio di presidenza delibera con la presenza di almeno quattro componenti.

2. Le deliberazioni sono adottate a maggioranza e a voto palese;
in caso di parità prevale il voto del presidente.

3. Le deliberazioni sono adottate a scrutinio segreto, se riguardano persone o su richiesta di almeno due componenti presenti”.

Dalla disamina del verbale della seduta del Plenum del -OMISSIS- risulta espressamente che il provvedimento disciplinare è stato adottato dal Consiglio di Presidenza, riunito in Camera di Consiglio e costituito da otto componenti, compreso il Presidente, pertanto la delibera impugnata è conforme alle disposizioni sopra riportate.

Si appalesa del tutto sfornito di ogni referente normativo, anche di rango regolamentare, l’assunto secondo cui dovrebbe essere espressamente indicata anche la predetta specifica modalità di adozione della delibera, ovvero se a maggioranza o a parità di voti con prevalenza del voto del presidente, pertanto va recisamente esclusa la configurabilità del vizio di nullità per l’asserita mancanza di un elemento essenziale.

Né può essere condivisa l’eccepita illegittimità costituzionale del secondo comma dell’art. 26 nella parte in cui prevede che anche in caso di decisione disciplinare relativa a persone, in caso di parità di voti, prevalga il voto del presidente anzichè la soluzione più favorevole all’incolpato, come invece previsto nel procedimento disciplinare a carico di magistrati ordinari nonché dall’art. 527, comma 3, cod. proc. pen. per gli imputati nel processo penale.

La questione, invero, oltre che non rilevante – poiché l’adozione della delibera con il voto decisivo del presidente in presenza di parità di voti tra i consiglieri costituisce un’ipotesi meramente astratta - deve ritenersi manifestamente infondata, tenuto conto della specialità della giurisdizione tributaria (cfr. anche Corte cost. n. 64/2008) e della diversità di natura e funzioni rispetto alla magistratura ordinaria, soprattutto in virtù della natura non professionale del giudice tributario che svolge tale funzione a tempo parziale (almeno prima del varo della nota riforma con legge n. 130/2022).

Si tratta, in definitiva, di ordinamenti autonomi e distinti, disciplinati infatti da normative differenziate, sicché la scelta del legislatore tributario del 1992 di adottare una disposizione difforme da quella prevista per i magistrati ordinari ispirata al c.d. “ favor rei” rappresenta il frutto dell’esercizio di un’ampia discrezionalità legislativa, da ritenersi immune dalla denunciata illegittimità costituzionale per violazione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. alla stregua dei rilievi innanzi descritti.

La doglianza in esame deve, dunque, essere respinta.

2.3- Con il terzo motivo il ricorrente eccepisce la tardività dell’azione disciplinare in quanto esercitata oltre il termine annuale previsto dall’art. 11 del Regolamento per il procedimento disciplinare - adottato con Delibera del CPGT n. -OMISSIS- e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 283 del 4.12.2015 – che al comma 1 dispone che “ l’azione disciplinare non può essere promossa dopo un anno dal giorno in cui il Presidente del Consiglio dei ministri e il Presidente della Commissione tributaria regionale hanno avuto notizia del fatto disciplinarmente rilevante ”. Sostiene, in particolare, il ricorrente che delle 142 sentenze oggetto di ritardo vi fossero 115 sentenze, ossia quelle relative alle udienze dal 25-02-2019 al 15-01-2021, il cui ritardo era stato già comunicato all’allora Presidente della CTR del -OMISSIS-, che tuttavia non aveva proceduto ad alcuna contestazione, con la conseguenza che la notizia del fatto era stata al tempo acquisita dal “Presidente della CTR” da intendersi quale organo, in disparte il mutamento della persona fisica che ricopre la carica.

La censura va disattesa.

Assume portata assorbente la considerazione che, quantomeno rispetto alle ulteriori 37 sentenze (al netto delle precedenti 115), il ritardo non potesse considerarsi già noto in precedenza, sicché il procedimento disciplinare in oggetto avviato dal Presidente che ha successivamente ricoperto la carica di Presidente di CTR del -OMISSIS- deve ritenersi, per ciò solo, tempestivo.

Inoltre, non può nemmeno sostenersi che il ritardo rispetto alle precedenti 115 sentenze non potesse essere preso in considerazione nel procedimento disciplinare de quo , considerato che l’illecito disciplinare contestato della “ scarsa laboriosità, se abituale ”, presuppone intrinsecamente una valutazione complessiva e globale di tutti i ritardi accumulati – anche nel periodo precedente – ai fini dell’accertamento del requisito dell’abitualità del comportamento scarsamente laborioso.

In altri termini, atteso che la scarsa laboriosità assume rilevanza disciplinare solo “ se abituale ”, appare evidente come il termine annuale per l’esercizio dell’azione disciplinare non possa decorrere dai ritardi singolarmente considerati bensì da una reiterazione dei ritardi contrassegnata da un nesso di abitualità e idonea, pertanto, a configurare l’illecito disciplinare in esame.

L’assunto difensivo va, pertanto, respinto.

2.4- Con il quarto motivo il ricorrente evidenzia di aver provveduto al deposito di tutte le sentenze in data 20.04.2022, ovvero prima dell’esercizio dell’azione disciplinare avviata con delibera n. -OMISSIS-, notificata al ricorrente il 6.12.2022, con la conseguenza che l’illecito avrebbe dovuto ritenersi già estinto ai sensi dell’art. 3- ter d. lgs. n. 109/2006 – relativo agli illeciti disciplinari dei magistrati ordinari – e richiamato, in tesi, dall’art. 16, comma 7, d. lgs. n. 545/1992.

La censura è destituita di fondamento.

L’invocato art. 3- ter dispone che “ l'illecito disciplinare previsto dall'articolo 2, comma 1, lettera q), è estinto quando il piano di smaltimento, adottato ai sensi dell'articolo 37, comma 5-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, è stato rispettato ”.

L’anzidetta disposizione, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, non è applicabile alla vicenda in scrutinio, innanzitutto per l’assorbente rilievo che tale articolo è stato introdotto successivamente alla commissione del fatto sanzionato con il provvedimento qui impugnato, essendo stato infatti inserito dall'art. 11, comma 1, lett. d), L. 17 giugno 2022, n. 71, a decorrere dal 21 giugno 2022, ai sensi di quanto disposto dall'art. 43, comma 1, della medesima L. n. 71/2022. Sul punto, la costante giurisprudenza ha escluso l’applicabilità del principio di retroattività favorevole in relazione alle sanzioni amministrative, nel cui alveo rientrano pacificamente anche le sanzioni disciplinari, “ restando limitata l'operatività del principio di retroattività della lex mitior alla fattispecie incriminatrice ed alla pena ” (cfr., con riferimento agli illeciti disciplinari degli avvocati, Cassazione civile sez. un., 19/06/2023, n.17480).

Ferma l’assorbente considerazione che precede, si rende opportuno rammentare, altresì, che l’art. 16, comma 7, del d.lgs. n. 545/1992 opera un rinvio, per quanto non contemplato da tale legge, alle “ disposizioni sul procedimento disciplinare vigenti per i magistrati ordinari in quanto compatibili”.

Ebbene, la disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati ordinari e la relativa procedura per la loro applicabilità è contenuta nel richiamato d.lgs. n.109/2006 e, più in particolare, le disposizioni riguardanti il “procedimento disciplinare” cui fa rinvio il cennato art. 16 del d.lgs. n. 545/1992 sono contenute nel Capo II (artt. 14-25- bis ).

Ne consegue che l’art. 3- ter , collocato nella diversa Sezione I rubricata “Degli illeciti disciplinari”, avendo introdotto una nuova causa di estinzione dell’illecito disciplinare deve senz’altro qualificarsi come norma di natura sostanziale e non procedurale – alla stessa stregua della prescrizione quale causa di estinzione del reato ai sensi dell’art. 157 c.p. -, dunque insuscettibile di applicazione alla magistratura tributaria sia perché non riconducibile tra le disposizioni del “procedimento disciplinare” richiamate dal d.lgs. n. 545/1992 sia perché, trattandosi di norma speciale, deve ritenersi di stretta interpretazione e non applicabile in via analogica, anche in ragione di quanto sopra chiarito in merito alla distinzione tra l’ordinamento della magistratura tributaria rispetto a quello della magistratura ordinaria.

La doglianza deve, dunque, essere disattesa.

2.5- Con il quinto motivo il ricorrente sostiene la non configurabilità dell’illecito disciplinare contestatogli in quanto di “scarsa rilevanza”, non essendo mai stato depositato alcun sollecito dalle parti delle cause definite in ritardo.

L’assunto difensivo non può essere condiviso.

Invero, occorre anzitutto premettere che il ricorrente invoca, anche in tal caso, una norma speciale prevista soltanto dal d.lgs. n.109/2006 per i magistrati ordinari, segnatamente l’art. 3- bis rubricato “ Condotta disciplinare irrilevante ”, il quale dispone che “ l’illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza ”.

Richiamate, sul punto, le suesposte considerazioni in ordine all’inapplicabilità alla fattispecie in esame di una siffatta norma speciale, di natura indubbiamente sostanziale e non procedurale, valga appena precisare che, come puntualmente evidenziato dalla difesa erariale, il percorso professionale del ricorrente risulta caratterizzato dalla presenza di continui e persistenti ritardi nel deposito dei provvedimenti giudiziari, ritardi che, come si è detto in precedenza, hanno condotto, nell’anno 2014, all’irrogazione della più lieve sanzione disciplinare dell’ammonimento in ragione del “ mancato deposito di n. 136 decisioni ” (cfr. l’allegata delibera del CPGT del 18.03.2014).

Ne consegue che, in ogni caso, non sembra che possa ragionevolmente sostenersi la “scarsa rilevanza” del fatto, tenuto conto della reiterazione dello stesso illecito sotto il profilo sostanziale (il deposito tardivo delle sentenze) a distanza di pochissimi anni, il consistente numero di sentenze non depositate tempestivamente pari a 142 e, da ultimo, l’entità dei ritardi rilevati, protrattisi oltre i 120 giorni e talvolta anche superiori ai quattro mesi o a un anno.

Si aggiunga, ancora, che la circostanza che tutte le sentenze arretrate siano state depositate in data anteriore all’avvio del procedimento disciplinare costituisce un ulteriore indice della scarsa laboriosità del ricorrente, che ha dimostrato di essersi attivato soltanto dopo aver percepito, a seguito del sollecito del Presidente, il rischio del procedimento disciplinare (poi concretizzatosi). Tale comportamento suffraga, infatti, la fondatezza dell’addebito contestato anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo della colpa, giacché la condotta doverosa omessa, vale a dire il deposito tempestivo delle sentenze, era senz’altro esigibile in capo al ricorrente, tanto che egli è riuscito ad evadere l’intero arretrato alla data del 20.04.2022 a seguito del sollecito da parte del Presidente della CTR di -OMISSIS-inviatogli appena un mese prima, considerato che dalla motivazione che assiste la gravata delibera risulta che il Presidente richiedeva accertamenti sui tempi di deposito delle sentenze da parte di tutti i giudici con nota del 17.02.2022.

Peraltro, contrariamente a quanto eccepito dal ricorrente, ritiene il Collegio che non possa certamente costituire motivo di scusabilità della condotta la circostanza di aver dato disponibilità a svolgere molteplici funzioni, atteso che ciò vale semmai a dimostrare l’esatto contrario, ossia l’inefficienza nell’organizzazione e nella gestione del proprio carico di lavoro, giacché il notevole arretrato accumulato e l’acclarata grave inosservanza dei termini di deposito delle motivazioni delle sentenze avrebbe dovuto indurre l’odierno istante a non assumere ulteriori impegni, peraltro oggetto di retribuzione aggiuntiva.

Infine, si rende necessario precisare che la valutazione sulla gravità dei fatti addebitati ai fini dell’applicazione della sanzione disciplinare è notoriamente contrassegnata da elevata discrezionalità e, pertanto, è sindacabile in questa sede di legittimità solo nei limiti dell’eccesso di potere nelle sue forme sintomatiche, non riscontrabili nella fattispecie concreta anche perché la sanzione irrogata della censura era quella minima applicabile per l’illecito in oggetto ai sensi dell’art. 15, comma 4, d. lgs. n. 545/1992.

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, la doglianza va respinta.

2.6- Privo di pregio è, infine, il sesto motivo con il quale viene sollevata, in via subordinata, questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 7, D.Lgs. n. 545/1992 nella parte in cui dovesse intendersi esclusa l’applicazione, anche ai giudici tributari, degli artt. 3 bis e 3 ter d.lgs. n. 109/2006.

Al riguardo, appare sufficiente richiamare le argomentazioni sopra esposte in merito alla irrilevanza della questione, atteso che le speciali disposizioni di favore evocate, anche volendole estendere alla magistratura tributaria, non sarebbero in concreto applicabili nel caso di specie, in ragione, innanzitutto, dell’irretroattività dell’art. 3- bis in quanto introdotto dopo la commissione del fatto e dell’inconfigurabilità della causa di esclusione dell’illecito per “scarsa rilevanza” di cui all’art. 3- ter in virtù di quanto sopra chiarito.

Difetta, inoltre, anche il presupposto della non manifesta infondatezza della questione, alla luce delle suesposte considerazioni in ordine alla diversità di natura e di funzioni della magistratura tributaria rispetto alla magistratura ordinaria, circostanze che giustificano il regime differenziato nel pieno rispetto dell’art. 3 Cost.

3.- In conclusione, il ricorso proposto è infondato e deve, pertanto, essere respinto.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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