TAR Lecce, sez. II, sentenza 2018-02-07, n. 201800142
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Pubblicato il 07/02/2018
N. 00142/2018 REG.PROV.COLL.
N. 01106/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
-sul ricorso numero di registro generale 1106 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
R B, rappresentato e difeso dall'avvocato A R S, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. A V in Lecce, via Zanardelli 7;
contro
Ministero della Difesa, Direzione Comando Marina Militare Taranto, in persona dei legali rappresentanti p.t, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Lecce, presso i cui Uffici in Lecce, via Rubichi, sono domiciliati;
-per l'annullamento
-della nota prot. M_DMCOMTA0032911 del 4.5.2016, notificata il 13.5.2016;
-di ogni atto connesso, presupposto e/o consequenziale, in particolare della nota del Ministero della Difesa - PERSOMIL prot. M_DGMIL REG2016 0230775 dell'11.4.2016, notificata unitamente alla nota del 4.5.2016 il 13.5.2016;
-per l'accertamento
-dell'insussistenza del diritto della P.A. di procedere a iniziative di recupero avverso il ricorrente per i titoli oggetto di giudizio;
con motivi aggiunti, depositati in data 21 settembre 2016, per l'annullamento
-della nota prot. M_D MCOMTA 0053820 del 22.7.2016, notificata il 28.7.2016 e di ogni atto connesso, presupposto e/o consequenziale.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa e della Direzione Comando Marina Militare Taranto;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 marzo 2017 il dott. Carlo Dibello e uditi i difensori avv. M. Merico, in sostituzione dell'avv. A. R. Semeraro, per il ricorrente e avv. dello Stato G. Matteo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Si espongono i fatti così come riferiti in ricorso.
Il ricorrente, Capo di l^ classe SS/I, attualmente in servizio presso il Centro Ospedaliero Militare Taranto, con mansioni di assistente sanitario infermiere, il 17.5.2011, ha ricevuto la nota n.27956 del 4.5.2011, con la quale la Direzione di Commissariato M.M. di Taranto ha reso noto l'avvio di un procedimento relativo a presunte indebite percezioni di somme connesse all'effettuazione da parte del B stesso di prestazioni infermieristiche in regime libero professionale negli anni precedenti a favore di istituzioni sanitarie private.
Il ricorrente aveva in precedenza già svolto tali prestazioni, tutte regolarmente fatturate;di tali prestazioni erano sicuramente già a conoscenza i suoi diretti superiori. In effetti, il C B - al pari di molti altri colleghi appartenenti sia allo stesso sia ad altri Comandi ¬ha svolto tale attività di lavoro autonomo nella consapevolezza che l'attività extraprofessionale, purché effettuata in orari e con modalità tali da non intralciare in alcun modo il primario servizio in favore della Marina, era sempre stata consentita o, quantomeno, "tollerata" dai superiori.
Su tali prestazioni, pur non essendo mai state autorizzate con formale provvedimento, non è mai stata sollevata alcuna obiezione, ingenerando così nei militari il ragionevole affidamento circa una liceità di tale operato.
Nondimeno, con provvedimento del Direttore Generale PERSOMIL del 30.5.2007, il ricorrente è stato diffidato a cessare dallo svolgimento di attività infermieristica libero-professionale privata non autorizzata, pena l'irrogazione delle sanzioni di cui alla L. n.37/1968.
Ricevuta detta diffida, il ricorrente ha immediatamente cessato detta attività e pensava di aver definitivamente risolto la questione.
Sennonché, invero del tutto inaspettatamente, nel maggio 2011, il ricorrente è venuto a conoscenza dell'apertura di un procedimento sanzionatorio a suo carico.
Appena ricevuta copia della nota n.27956 del 4.5.2011, il ricorrente ha fatto presente alla Direzione di Commissariato M.M. di Taranto — Reparto Amministrativo: di non aver mai ricevuto alcuna richiesta di rimborso di somme percepite per l'esercizio di attività professionale in favore di istituzioni sanitarie private;di aver svolto le predette attività previa autorizzazione, sia pur verbale, dei superiori;di aver svolto le attività professionali di infermiere nel rispetto delle norme di legge e del decoro di richiesto e comunque al di fuori dell'orario di lavoro.
Ciononostante, con la nota prot. n. INS-RIT/39612 del 7.7.2011, la P.A. ha disposto di procedere nei suoi confronti al recupero della somma di € 35.831,95, comprensiva di interessi di mora e nei limiti del V cedibile di cui al D.P.R. n.180/1950, mediante n.86 rate mensili da € 414,24 (da luglio 2011 ad agosto 2018) e n.1 rata di € 207,31 (settembre 2018).
Gli atti in questione sono stati impugnati dal B dinanzi a questo Tribunale, con ricorso R.G. n. 1772/2011, sulla base dei motivi di diritto di seguito riportati:
1) Violazione per falsa applicazione dell'art.896, comma 4, del D.lgs. n.66/2010;violazione dell'art.3, comma 1, del D.lgs. n.165/2001;falsa applicazione dell'art. 53 del D.lgs. n.165/2001;violazione del principio di legalità ex art.1 della L. n. 241/90 nonché ex art.97 Cost;violazione ex art. 3 della L. n.241/90;eccesso di potere per difetto di motivazione e difetto di attività istruttoria. Violazione di legge con riferimento agli artt.208 e segg. — in tema di personale militare sanitario con particolare riferimento all'art.212 — nonché art.893 del D.lgs. n.66/2010 e della L. n.43/06 nonché artt. 3 e 53 del D.lgs. n.165/2001.
2) Violazione del principio dell'affidamento in buona fede del militare nella stabilità della disciplina dettata dai superiori Comandi — così come risultante dalla disciplina interna (ex art.97 Cost. ed ex L. n.241/90) nonché comunitaria (ex T.F.U.E. e relativa giurisprudenza C.G.E.) ed internazionale (Trattato per la salvaguardia dei diritti fondamentali e relativa giurisprudenza CEDU) con riferimento all'omessa attivazione da parte dei Comandi competenti di misure amministrative idonee ad attuare la disciplina statale nonché alla grave incertezza ed instabilità del quadro normativo di settore;eccesso di potere per difetto di motivazione e difetto di attività istruttoria, ingiustizia manifesta.
3) Illegittimità costituzionale dell'art.210 del Codice dell'Ordinamento militare per contrasto con gli artt.3 e 97 della Cost. anche in riferimento alla L. n.43/2006.
4) Violazione e falsa applicazione dell'art.53, comma 7, del D.lgs. n.165/2001 in ordine alla necessaria preventiva escussione del datore di lavoro.
Con sentenza n.1158/2012, questo T.A.R. ha accolto il ricorso proposto dal B, seppur limitatamente al motivo di censura n.4, ritenendo: che << l'art. 53 prevede che in caso di inosservanza del divieto di prestazioni extraprofessionali, il compenso dovuto per l'attività prestata “deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore ">>;- che " tale disposizione stabilisce, ad avviso del Collegio, un espresso beneficium excussionis a favore del pubblico impiegato nel senso che l'Amministrazione non può procedere coattivamente a carico del socio se non dopo aver agito infruttuosamente nei confronti del soggetto erogante ";- che " la circostanza che il pagamento del compenso sia già avvenuto non possiede, ad avviso del Collegio, valore dirimente posto che: -incombe anche sul soggetto estraneo al rapporto d'impiego, il divieto di non avviare rapporti di collaborazione non autorizzati con dipendenti pubblici;- tale divieto è presidiato dalle sanzioni previste dall'art.57 D.lgs. 165/2001;- il pagamento del compenso al dipendente non ha effettiva capacità solutoria posto che per espressa previsione di legge, tale compenso deve essere versato al fondo richiamato al comma 7 del citato art.53 ";- che " l'effettivo esborso dei compensi non libera l'ente erogante dall'obbligazione di pagamento in favore dell'Amministrazione, che resta quindi tenuta ad escutere prioritariamente il soggetto che ha ricevuto la prestazione extraprofessionale ".
A fronte di tale pronunciamento, per il recupero delle somme a suo dire indebitamente percepite dal B, con nota della Direzione di Commissariato M.M. di Taranto prot. n.1/NS-RIT/42508 del 10.10.2012, l'Amministrazione della Difesa si è allora rivolta alla Cooperativa Sociale Agape Onlus, l'istituzione sanitaria privata in favore della quale il ricorrente aveva prestato servizio.
La Coop. Agape ha però impugnato la nota in questione dinanzi a questo T.A.R., che, con sentenza n.427/2016 ha accolto il ricorso affermando:
- che la lettura dell'art.53, comma 7, del D. lgs. n.165/2001 non permette di rintracciare con sicurezza il beneficio della preventiva escussione del soggetto erogante in favore del percettore degli emolumenti correlati ad attività extraprofessionale non autorizzata;
- che il beneficio della preventiva escussione di un soggetto contiene elementi di specialità rispetto alla regola generale contemplata dall'art.2740 del c.c., della responsabilità patrimoniale del debitore con tutti i suoi beni presenti e futuri;
- che il beneficio della preventiva escussione deve essere espressamente contemplato dal legislatore o deve formare oggetto di apposito patto scritto perché esso si risolve in una limitazione del raggio di azione del creditore al quale corrisponde, peraltro, la possibilità di opporre in via di eccezione sostanziale il meccanismo in argomento;
- che, di conseguenza l'art.53, comma 7, in esame va, piuttosto, interpretato " nel senso che l'obbligo di versare le somme dovute per le prestazioni eventualmente svolte dal pubblico dipendente può incombere sull'ente erogante solo se l'importo previsto come corrispettivo dell'incarico gravi su fondi in disponibilità del soggetto conferente ";
- che quando, invece, le somme sono state già percepite dal dipendente pubblico non può esserci alcun dubbio che solo quest'ultimo sia tenuto alla restituzione di quanto corrispostogli a fronte di un incarico o di una attività extraprofessionale non coperti da autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza;
- che, diversamente opinando, si perverrebbe del resto al paradossale risultato di ritenere l'ente conferente tenuto per ben due volte al pagamento di somme;una prima volta, a titolo di compenso al dipendente pubblico che ha ricevuto l'incarico;una seconda, alla sua amministrazione di appartenenza.
Sulla base di tale sentenza, con gli atti in epigrafe indicati la P.A. ha pensato bene di ritornare alla vecchia via, chiedendo ancora una volta al B di restituire quanto percepito da istituzione sanitarie private sulla base di rapporto lavorativi non previamente autorizzati dalla medesima amministrazione.
In particolare, con la nota del 4.5.2016, la P.A. ha comunicato al ricorrente che, con nota dell'11.4.2016, " la competente Direzione ha disposto di riattivare il procedimento di recupero delle somme percepite per attività extraprofessionale non autorizzata ", a detta della P.A. stessa, giusta quanto stabilito dalla sentenza T.A.R. Lecce n.427/2016.
Infatti, con la nota PERSOMIL prot. M_DGMIL REG2016 0230775 dell'11.4.2016 la Direzione Commissariato M.M. di Taranto era stata invitata " a riattivare la procedura di recupero delle somme " nei confronti del ricorrente, con la precisazione che, " qualora dovesse essere utilizzata la suddetta procedura tramite ritenuta stipendiale mensile, il servizio amministrativo, entro sei mesi dall'adozione della ritenuta stessa, dovrà iniziare, a titolo precauzionale, giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei Conti o presentare richiesta di sequestro presso la Procura della Corte stessa ".
Ritenendo tali atti manifestamente illegittimi, con il ricorso in esame l’interessato ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi:
1) Violazione e falsa applicazione dell'art.53, commi 7 e 7-bis, del D. lgs. n.165/2001. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti;
2) Illegittimità costituzionale dell’art. 53, comma 7, del D.lgs. 16572001 per contrasto con gli artt.3, 24, 36, 97 e 103 della Cost;
2) Illegittimità costituzionale dell'art.210 del Codice dell'Ordinamento militare per contrasto con gli artt.3 e 97 della Cost. anche in riferimento alla L. n.43/2006.
DIRITTO
Con il primo motivo di censura il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 53, commi 7 e 7 bis del D.lgs. 165/2001.
L’art. 53, comma 7 del D.lgs. sopra citato stabilisce che “ i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza” e che “in caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazione eventualmente svolte, deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti”.
A sua volta, il comma 7 bis della disposizione sopracitata, inserito dall’art. 1 comma 42, lettera d Legge 6/11/2012 n. 190, stabilisce che “ l’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore, costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei Conti”.
In applicazione delle sopracitate disposizioni normative e dei principi ribaditi con sentenza 22/12/2015 n.25769 delle Sezioni Unite della Cassazione, la P.A. non potrebbe unilateralmente procedere al recupero di quanto ritenuto indebitamente percepito dal ricorrente, dovendosi limitare ad investire della questione la magistratura contabile, sollecitando, da parte della medesima, l’avvio di un’azione di responsabilità erariale a carico del ricorrente.
Sostiene la difesa del B che “ in dette condizioni, e tenuto conto del fatto che la sentenza TAR Lecce 427/2016 non ha certo stabilito che il Ministero della Difesa può procedere al recupero delle somme con trattenute a carico del B, a dir poco arbitraria è allora la pretesa manifestata da PERSOMIL con la Nota dell’1104/2016, secondo la quale se dovesse procedere al recupero delle somme de quibus tramite ritenuta stipendiale mensile, la P:A: dovrebbe iniziare ( a titolo precauzionale) giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei Conti.”
Il motivo di ricorso è infondato.
Con la sentenza 427/2016 il TAR ha avuto occasione di chiarire che, non essendo rintracciabile, nell’art. 53 comma 7 del D.lgs. 165/2001 con sicurezza il beneficio della preventiva escussione del soggetto erogante in favore del percettore degli emolumenti derivanti da attività extraprofessionale non autorizzata, l’azione restitutoria che la P.A. è tenuta ad avviare nei riguardi del proprio dipendente non può risultare in alcun modo ostacolata quando ne sussistano i presupposti.
Si è, infatti, stabilito che se le somme sono state già percepite dal dipendente pubblico, non può esserci alcun dubbio che solo quest’ultimo sia tenuto alla restituzione di quanto corrispostogli, a fronte di un incarico o di una attività extraprofessionale non coperti da autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza.
La statuizione giurisdizionale sopracitata va correttamente decifrata.
Essa chiarisce inequivocabilmente che, nei casi in cui l’ente ha già erogato emolumenti ad un dipendente pubblico in conseguenza dello svolgimento di attività extraprofessionale non autorizzata, l’azione di restituzione dei compensi non può che essere indirizzata nei confronti del dipendente medesimo.
Si tratta di un risultato conforme ad un principio di giustizia che tende a ristorare la P.A. della misura patrimoniale equivalente alle ore di lavoro indebitamente sottratte dal dipendente all’Ente pubblico di appartenenza.
Se, infatti, si ritenesse che soggetto tenuto alle restituzioni continui ad essere l’Ente che eroga i compensi in difetto di autorizzazione, si perverrebbe al paradossale risultato di obbligare l’Ente erogante ad una doppia somministrazione di somme di denaro: una prima volta, al dipendente pubblico non autorizzato, quale corrispettivo per l’attività prestata, una seconda volta all’Ente pubblico di appartenenza in vista del traguardo del ripristino del fondo di produttività o di altro fondo di carattere equivalente.
Che questo risultato urti contro il sentimento di giustizia non c’è bisogno di attardarsi ulteriormente a spiegare.
Come se non bastasse, la previsione di cui all’art 53 comma 7 bis D.lgs 30/03/2001 n. 165 si limita ad affiancare alla responsabilità amministrativa per l’ipotesi dell’omesso versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore, un’autonoma ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte di Conti.
Ma detta ultima responsabilità erariale scatta nel solo caso in cui il dipendente pubblico, che sia anche indebito percettore di somme, si sottragga deliberatamente all’obbligo di versare il compenso in favore del Fondo di Produttività o di Fondi equivalenti.
In altri termini, essa presuppone che l’amministrazione di appartenenza del dipendente pubblico “infedele” abbia vanamente coltivato l’azione restitutoria delle somme indebitamente percepite.
Per questa ragione la pretesa odierna del ricorrente di investire subito la Corte dei Conti è priva di pregio giuridico essendo tutt’ora pendente e, anzi disquisendosi, della legittimità di un’azione di recupero messa in atto dalla Pubblica Amministrazione militare nei riguardi del B.
Con il secondo motivo di ricorso, B Roberto si duole della illegittimità costituzionale dell’art. 53, comma 7, del D. Lvo 165/2001, per contrasto con gli artt. 3, 24, 36, 97 e 103 della Costituzione.
Rammenta, altresì, il ricorrente, come la Corte Costituzionale sia stata investita della questione di illegittimità costituzionale della norma in esame, non solo per contrasto con i parametri citati, ma anche perché in rotta di collisione con l’art. 41, comma 1 della Costituzione.
A dire del ricorrente la commistione dei due profili di sospetta incostituzionalità sarebbe stata fatale per il positivo vaglio della Corte Costituzionale la quale ha poi dichiarato manifestamente inammissibile la questione proposta, senza tuttavia entrare nel merito dei rilievi operati dal TAR con Ordinanza di Rimessione n. 1532/2013 della Sezione e, tuttavia, i profili di ritenuta illegittimità del richiamato art. 53, comma 7, continuerebbero a manifestarsi rilevanti anche ai fini della presente controversia, in particolar modo per contrasto con gli art. 36 e 97 della Costituzione.
Ciò perché la norma implicherebbe la possibilità di incidere sul parametro della retribuzione correlata alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato, con irragionevole depauperamento del lavoratore e ripercussioni sulla sua conformità agli ulteriori parametri della buona amministrazione, del divieto di prestazioni patrimoniali al di fuori di esplicite previsioni legislative, dello stesso principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost..
Ritiene il Collegio che, anche il secondo motivo di ricorso, articolato sotto forma di sollecitazione alla rimessione degli atti alla Corte Costituzionale non sia fondato.
La norma giuridica della cui conformità a Costituzione si dubita, appare in linea con i principi evocati dalla difesa del ricorrente.
Ed invero essa, per un verso tende a salvaguardare il principio consacrato dall’ art. 98 della Costituzione, secondo il quale i pubblici impiegati sono a servizio esclusivo della Nazione, norma dalla quale si desume il divieto del cumulo di impieghi e incarichi, per altro verso introduce ragionevolmente un meccanismo sanzionatorio finalizzato a stigmatizzare il comportamento infedele del dipendente il quale percepisce, in presenza di attività extraprofessionale non autorizzata, una duplicità di compensi, finendo col sottrarre energie all’Ente di appartenenza e indebitamente lucrando una doppia retribuzione.
Anche la prospettata illegittimità costituzionale dell’art. 210 del Codice di Ordinamento Militare non può ritenersi rilevante ai fini del decidere.
Ritiene, infatti, il Collegio che l’eventuale individuazione di una categoria professionale immune dal divieto di svolgimento di una attività extraprofessionale, non privi l’art. 53, comma 7, del D.lgs. 165/2001 di conformità al canone di ragionevolezza.
Detto canone è costantemente inteso nel senso che il principio di uguaglianza è salvaguardato ogni qual volta situazioni perfettamente sovrapponibili e dunque identiche nel loro nucleo essenziale, ricevano identico trattamento giuridico.
Ciò lascia residuare un ovvio margine di discrezionalità legislativa nel diversificare il trattamento di categorie professionali e di cittadini, non appena sia rintracciabile qualche profilo di disomogeneità tra gli stessi.
Anche i motivi aggiunti di ricorso sono infondati.
Attraverso di essi il ricorrente non fa che ritenere l’atto successivamente emanato dall’amministrazione militare inficiato dai medesimi vizi che si propagano per effetto della illegittimità derivata sulla nota del 22/07/2016.
Alla stregua delle considerazioni su esposte, il ricorso originario ed i motivi aggiunti di ricorso vanno respinti.
Le spese processuali possono essere compensate in considerazione della incertezza giurisprudenziale registratasi nella materia.