TAR Genova, sez. I, sentenza 2023-11-15, n. 202300936

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Genova, sez. I, sentenza 2023-11-15, n. 202300936
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Genova
Numero : 202300936
Data del deposito : 15 novembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 15/11/2023

N. 00936/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00102/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 102 del 2021, proposto da
C P, rappresentato e difeso dall’avvocato R G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex lege in Genova, v.le Brigate Partigiane, 2;

per l’annullamento

- del decreto del 4 dicembre 2020 adottato dal Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - Provveditorato Regionale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, a firma del Provveditore, dott. Pierpaolo D’Andria, notificato al dipendente in data 15 dicembre 2020, mediante il quale è stata inflitta nei confronti dell’Ass. C. Coord. Pannese Ciriaco la sanzione disciplinare della deplorazione per la ritenuta violazione dell’art. 4, co. 1, lett. l) del d.lgs. 30 ottobre 1992 n. 449;

- della deliberazione adottata in data 27 ottobre 2020 dal Consiglio regionale di disciplina, nonché dei relativi verbali e relazioni resi nell’ambito del procedimento disciplinare n. 21/2020;

- di ogni altro atto presupposto, preparatorio, connesso e/o consequenziale ai provvedimenti impugnati.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 novembre 2023 il dott. Davide Miniussi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il ricorrente, Assistente Capo Coordinatore della Polizia penitenziaria in servizio presso la Casa di reclusione di Sanremo, ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe (nonché la relativa proposta), con cui il Provveditore regionale del Piemonte, della Liguria e della Valle d’Aosta del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha inflitto nei suoi confronti la sanzione disciplinare della deplorazione per avere egli preso parte ad una videoregistrazione (realizzata in pertinenze dell’abitazione dell’odierno ricorrente), successivamente diffusa in rete (a dire dell’odierno ricorrente, dal figlio minore) mediante il social network TikTok ”, in cui l’odierno ricorrente, indossando parte dell’uniforme di servizio (in promiscuità con abiti civili), figura sovraintendere ad un posto di blocco fittizio in due distinte occasioni: nella prima occasione egli chiede all’autista dell’autovettura fermata di esibire patente e libretto;
nella seconda (in cui l’odierno ricorrente indossa una mascherina) invita il medesimo soggetto, co-protagonista del video, ad esibire “ autocertificazione, guanti e mascherine ”, invitandolo poi a non recarsi in “ posti affollati ”.

L’Amministrazione ha ritenuto detta condotta, consistente nell’utilizzo improprio dell’uniforme di servizio, integrare la violazione di cui all’art. 4, co. 1, lett. (l) d.lgs. 30 ottobre 1992, n. 449 (negligenza, imprudenza o inosservanza delle disposizioni sull’impiego del personale e dei mezzi o nell’uso, nella custodia o nella conservazione di armi, mezzi, materiali, infrastrutture, carteggio e documenti), gravando peraltro sull’odierno ricorrente l’onere di vigilare affinché la videoripresa (che egli ha riferito essere stata girata per fini di mero intrattenimento) non fosse divulgata.

Con un primo motivo il ricorrente deduce la violazione dei principi di specificità e immutabilità della contestazione disciplinare, in quanto il funzionario istruttore, nella relazione finale dallo stesso redatta, avrebbe formulato contestazioni ulteriori (previste da alcune disposizioni del d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62: comportamenti che possono nuocere all’immagine dell’Amministrazione, comportamenti impropri nei rapporti tra privati e fuori servizio) rispetto a quella contenuta nell’atto di contestazione degli addebiti. Nel merito, inoltre, si evidenzia l’inoffensività della condotta, determinata da intenti goliardici e non denigratori nei confronti dell’Amministrazione.

Con un secondo motivo si deduce l’eccesso di potere per avere il provvedimento impugnato fatto applicazione di una nota di chiarimenti in ordine all’utilizzo dei social network da parte dei dipendenti dell’Amministrazione penitenziaria, mentre nel caso di specie l’incolpato non ha fatto uso dei social network , e comunque non ha leso il prestigio dell’Amministrazione penitenziaria, avendo del resto rappresentato un’attività che esula dai compiti istituzionali di detto ente e senza fornire indicazioni in ordine alla propria identità. Si lamenta inoltre la mancanza di proporzionalità nell’individuazione della sanzione da applicare.

Si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia, il quale chiede il rigetto del ricorso.

All’udienza del 3 novembre 2023 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Il Collegio ritiene che i motivi posti a fondamento del ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, siano infondati.

Con riguardo alla denunciata violazione del principio di immutabilità della contestazione, è sufficiente evidenziare come dei profili (ulteriori rispetto alla contestazione degli addebiti) menzionati nella relazione del funzionario istruttore, nessuno sia stato posto a fondamento del provvedimento impugnato. Quest’ultimo, infatti, si fonda esclusivamente – con riguardo tanto alla contestazione in fatto, quanto all’individuazione della norma violata – sull’originaria contestazione disciplinare, ossia sull’aver contribuito alla realizzazione della videoripresa in questione. I riferimenti contenuti nel provvedimento gravato all’onere di vigilanza gravante sull’incolpato (anch’essi censurati dal ricorrente, per non essere gli stessi menzionati nell’atto di contestazione), inoltre, non integrano il comportamento contestato (e posto a fondamento della sanzione disciplinare), ma si limitano a replicare alle argomentazioni difensive spese dall’incolpato, tramite il suo difensore, in ordine alla responsabilità per la diffusione della videoripresa, escludendo la rilevanza del fatto che quest’ultima sia stata diffusa dal figlio minore dell’incolpato e non da quest’ultimo. In altri termini, il comportamento sanzionato (conforme a quanto in origine contestato) è costituito dall’utilizzo improprio dell’uniforme (in presenza, quantomeno, di due altri soggetti: il co-protagonista del video e il soggetto che riprende la scena), successivamente reso pubblico mediante diffusione tramite un social network della relativa ripresa, e non la detta diffusione, che rappresenta soltanto il mezzo attraverso il quale la condotta è venuta a conoscenza dell’Amministrazione (oltre che di altri soggetti;
profilo, quest’ultimo, che è tuttavia estraneo tanto alla contestazione, quanto al fondamento del provvedimento impugnato).

Con riferimento all’intento goliardico sottolineato dal ricorrente, lo stesso costituisce ulteriore prova del carattere improprio dell’utilizzo dell’uniforme, che nel caso di specie non è stata usata per ragioni di servizio, ma appunto per scopi goliardici. È peraltro irrilevante l’assenza di un intento diffamatorio, posto che l’odierno ricorrente è stato sanzionato per l’utilizzo improprio dell’uniforme, a prescindere dalle conseguenze di detto utilizzo e dallo specifico scopo perseguito con la condotta contestata.

Quanto alla dedotta violazione del principio di proporzionalità, la stessa non sussiste. Da un lato, infatti, in relazione alla fattispecie contestata è comminata l’irrogazione della sola sanzione della deplorazione, non essendo previste più sanzioni tra le quali l’Amministrazione debba individuare quella proporzionata alla gravità del fatto. Dall’altro lato, il provvedimento impugnato menziona comunque la sanzione disciplinare applicata in passato nei confronti dell’odierno ricorrente, peraltro in connessione con una sentenza penale di condanna.

Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

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