TAR Catania, sez. IV, sentenza 2016-10-11, n. 201602495

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Catania, sez. IV, sentenza 2016-10-11, n. 201602495
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Catania
Numero : 201602495
Data del deposito : 11 ottobre 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/10/2016

N. 02495/2016 REG.PROV.COLL.

N. 02789/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2789 del 2015, proposto da:
A R, rappresentato e difeso dagli avvocati Graziella Pappalardo C.F. PPPGZL80R46C351R e Giuseppe Oliva C.F. LVOGPP81M06I754W, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Catania, via Umberto, 296;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Catania, via Vecchia Ognina, 149;

per l'annullamento

- del provvedimento del 28 settembre 2015 e notificato in data 16 ottobre 2015 avente ad oggetto il diniego di rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia reso dal Questore della provincia di Catania, nell'ambito del procedimento cat. 6f/cont./p.a.s.i./2015/r.g. in relazione all'istanza avanzata dal ricorrente;

- di tutti gli atti presupposti e prodromici, connessi e consequenziali.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 luglio 2016 il dott. P M S e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

II ricorrente è titolare di porto d'armi di fucile a uso caccia da quasi venti anni.

Questi, così come risulta dalla relazione del 20.2.2015 prot. n. 80/3-1 della Legione dei Carabinieri di Sicilia, compagnia di Acireale, è incensurato e soggetto di buona condotta morale e civile.

Inoltre, ha sempre detenuto, senza mai abusarne, armi da fuoco e ha osservato le apposite norme di sicurezza, sia con riferimento all'utilizzo che alla custodia delle stesse.

Nel febbraio 2015, ha inoltrato presso la Questura competente, tramite il Comando dei Carabinieri di Trecastagni, regolare istanza per il rinnovo della predetta licenza.

Con nota dell’8 giugno 2015, la Questura di Catania gli ha comunicato la sussistenza di motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, in quanto, dalla predetta informativa trasmessa dalla Compagnia dei Carabinieri di Acireale e dall'istruttoria svolta dallo stesso Ufficio, sarebbe emerso " che un fratello della S.V. annovera gravi precedenti di polizia anche per reati di mafia".

Con nota dell’11.7.2015, il ricorrente ha proposto osservazioni alla detta comunicazione, specificando che la medesima informativa contiene i sopra richiamati riferimenti alla sua persona, del tutto coerenti con la possibilità di continuare a detenere armi.

Inoltre, ha evidenziato la dissociazione con il fratello e che le attività e le vicende giudiziarie di questi gli sarebbero del tutto sconosciute.

Ciononostante, con provvedimento del 28 settembre 2015, notificato in data 16 ottobre 2015, la Questura di Catania gli ha comunicato il diniego della licenza di porto d'armi a uso caccia, ma sull'esclusivo presupposto che "il contesto familiare in cui risulta inserito il fratello del richiedente ... induce fondatamente a far ritenere che il richiedente non dia garanzie di non abusare del titolo di polizia o comunque non abbia requisiti richiesti dalla legge per essere titolare di un titolo di polizia in materia di armi".

Con ricorso passato per il 2.12.2015 e depositato il 18.12.2015, il ricorrente ha impugnato siffatto provvedimento, affidandosi alle seguenti censure:

1) Violazione degli artt. 11, 39, 43 del T.U.L.P.S. - Violazione dell'art. 67 comma 4, D.Lgs. 159/2011 - Eccesso di potere per difetto e/o carenza di motivazione

Il provvedimento impugnato sarebbe fondato sulla mera esistenza di un rapporto di parentela tra il ricorrente e il fratello e senza allegazione alcuna, né prova, in ordine al rapporto e alle relazioni tra loro intercorrenti.

Per altro, con il codice delle leggi antimafia (art. 67 D. Lgs. 159/2011) sarebbe stata riconosciuta al giudice la potestà di applicare divieti e decadenze in materia di licenze di polizia solo nei confronti di "chiunque convive con persona sottoposta a misura di prevenzione", di guisa che la convivenza, nel caso di specie insussistente, sarebbe un presupposto imprescindibile.

2) Contraddittorietà ed erroneità della motivazione - Errore nel presupposto - Travisamento ed erronea valutazione dei fatti

Asserisce il ricorrente che il provvedimento impugnato non avrebbe tenuto in alcun conto, omettendo una corrispondente motivazione, delle informazioni ampiamente positive allo stesso riferite nel rapporto dei Carabinieri di Acireale, così come la acclarata dissociazione con il fratello, lo stato di detenzione di quest'ultimo.

Tutti i detti elementi, per altro, sarebbero stati rappresentati in seno alle memorie difensive.

Il travisamento di tali evidenze avrebbe fatto presupporre una inesistente contiguità di rapporti tra i due fratelli e ritenere che il contesto familiare presentasse, come sostenuto nel provvedimento impugnato, degli elementi controindicati, quale l’insussistenza della "piena tranquillità e trasparenza dell'ambiente familiare e sociale".

3) Eccesso di potere - Mancata valutazione degli elementi di prova allegati in seno alle memorie difensive - Difetto di istruttoria - Illogicità manifesta.

Il provvedimento impugnato non sarebbe stato preceduto da idonea istruttoria, in quanto avrebbe omesso di considerare, per come possibile evincere dai certificati storici di residenza, la dissociazione tra fratelli, nonché il fatto che gli stessi non hanno mai convissuto presso la medesima abitazione.

Inoltre, con una semplice indagine sugli altri componenti della famiglia, sarebbe stato possibile evincere che il fratello sarebbe avulso oramai da più di quindici anni dal contesto familiare.

Il dato sarebbe confermato dalla dichiarazioni testimoniali rese da familiari, amici e compagni di caccia del ricorrente prodotte in giudizio.

Inoltre, da una corretta valutazione della posizione giudiziaria del predetto congiunto del ricorrente sarebbe emersa la conferma integrale della condanna a suo carico della Corte di Appello di Catania Sezione Prima Penale del 4 marzo 2015 a 8 anni e 4 mesi di reclusione, il recentissimo rigetto dell'appello ex art. 310 c.p.p. da parte del Tribunale del riesame di Catania V Sezione Penale avverso il diniego sulla istanza di scarcerazione e, quindi, lo stato attuale di detenzione con conseguente impossibilità fisica di abuso delle armi.

In tal senso, all’Udienza di discussione del ricorso, è stato dichiarato che il fratello del ricorrente risulta attualmente detenuto a Catanzaro, giusta ordine di esecuzione emesso dalla Procura n. 549/2016, e un fine pena al 18.11.2020.

Costituitasi, l’Amministrazione intimata ha concluso per l’infondatezza del ricorso, confermando, in sostanza, quanto sostenuto nel provvedimento impugnato circa l’inaffidabilità del ricorrente, in considerazione della gravità del contesto delittuoso riferibile al fratello, sufficiente a giustificare il provvedimento impugnato.

Alla Pubblica Udienza del 21.7.2016 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Con il ricorso in esame, il ricorrente sostiene che il provvedimento impugnato, di rigetto dell’istanza di rinnovo della licenza di porto di fucile uso caccia, si sarebbe limitato a fondare la sua motivazione unicamente sulla presunzione di pericolosità del fratello non convivente, senza alcuna verifica di tale stato nei suoi confronti.

Asserisce, inoltre, di aver sempre dato prova di effettiva e costante buona e irreprensibile condotta, di guisa che la misura adottata risulterebbe illegittima e ingiustificata.

Ciò posto, la Sezione ha avuto modo di chiarire (cfr. TAR Catania, IV, 19.12.2013, n. 3042), richiamando altri precedenti (T.A.R. Catania, sez. IV, 11/07/2011, n.1744), che <<il porto e la facoltà di detenere armi, munizioni ed esplosivi non corrispondono a diritti il cui affievolimento debba essere assistito da garanzie di particolare ampiezza, bensì ad un interesse reputato senz'altro cedevole a fronte del ragionevole sospetto o pericolo dell'abuso.

<<Qualunque precedente penale può adeguatamente costituire il presupposto di una valutazione negativa sull'affidabilità del privato circa il corretto uso delle armi e, anzi, non è neppure necessario che tale presupposto sia rappresentato da precedenti penali, in quanto il rilascio della licenza a portare le armi non costituisce una mera autorizzazione di polizia, che rimuove il limite ad una situazione giuridica soggettiva già inclusa nella sfera giuridica del privato, bensì assume contenuto permissivo in deroga al generale divieto di portare e detenere armi sancito dall'art. 699 c.p., e ribadito dall'art. 4, comma 1, L. n. 110/1975, recante norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi (cfr. Cons. St., sez. VI, 05.12.2007 n. 6181).

<<Ne consegue che il potere di controllo esercitato al riguardo dall'autorità di pubblica sicurezza si collega all'esercizio di compiti di prevenzione delle condizioni di sicurezza e di ordine pubblico, ben potendo quindi essere esercitato in senso negativo in presenza di una condotta che, pur non concretandosi in specifici illeciti di rilevanza penale, possa tuttavia incidere, anche su un piano solo sintomatico, sul grado di affidabilità di chi è interessato al rilascio o alla permanenza della licenza>>.

Il giudizio in ordine al requisito dell'affidabilità del privato nel corretto uso delle armi, affidato all'Autorità di P.S. con carattere di ampia discrezionalità, continua la detta decisione <<impone non solo una ricognizione della personalità del titolare stesso, ma altresì l'accertamento e l'evidenza di tutte le circostanze di fatto che possono incidere sul corretto esercizio del dovere di custodia, onde evitare che le armi possano essere sottratte ad opera di soggetti non autorizzati, con presumibile pericolo per la pubblica incolumità>>.

Per altro, è stato precisato (cfr. TAR Reggio Calabria, 20.5.2013, n. 317) che <<la legislazione affida all'autorità di pubblica sicurezza il compito di valutare con il massimo rigore le eccezioni al divieto di circolare armati e, dunque, qualsiasi circostanza che consigli l'adozione del provvedimento di rigetto della domanda di porto d'armi, onde prevenire la commissione di reati e, in genere, di fatti lesivi della pubblica sicurezza.

<<Ne consegue che, in base al quadro normativo di riferimento (articoli 11 e 43 del R.D. n. 773/1931), il titolare della licenza di porto di fucile, oltre a dover essere persona assolutamente esente da mende o da indizi negativi, deve anche assicurare la sua sicura e personale affidabilità circa il buon uso e che non vi sia pericolo che abusi possano derivare da parte dei soggetti con cui ha relazioni familiari o personali (T.A.R. Liguria, II, 23 ottobre 2009, n. 2969).

<<Si tratta di valutazioni ampiamente discrezionali, rientranti nel merito dell’azione amministrativa e dunque sottratte, in linea di principio al sindacato del giudice della legittimità, salva l’ipotesi di manifesta illogicità o incongruenza delle determinazioni assunte (v. T.A.R. Emilia Romagna, I, 15 marzo 2010, n. 2224;
C.S., V, 13 novembre 2009, n. 7107).

<<D’altronde, l'interesse pubblico alla sicurezza dei cittadini va – nel dubbio – considerato prevalente rispetto al contrapposto interesse ludico - sportivo di cui è titolare colui che richiede la licenza di porto d'armi (T.A.R. Lombardia, Brescia, 5 marzo 2007, n. 246).

<<
In termini più generali, l’art. 39 dello stesso R.D. n. 773/1931, in materia di armi, così dispone:

“Il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne”.

<<
Sicché, è possibile concludere (cfr. TAR Reggio Calabria, 14.1.2012, n. 10) che l’esercizio del potere di consentire o meno la detenzione di armi:

<<- riguarda importanti interessi pubblici, quali l’incolumità dei cittadini e la prevenzione del pericolo di turbamento che può derivare dall’eventuale abuso delle armi (Cfr. Consiglio Stato, VI, 8 luglio 2009, n. 4375);

<<
- è ampiamente discrezionale, rientra nel merito dell’azione amministrativa e dunque è sottratto, in linea di principio, al sindacato del giudice della legittimità, salve le ipotesi di manifesta illogicità o incongruenza delle determinazioni assunte o travisamento dei fatti (Cfr. Cons. Stato, VI, 14 ottobre 2009 n. 6305;
Consiglio Stato, V, 13 novembre 2009 , n. 7107;
Consiglio Stato, VI, 6 luglio 2010 , n. 4280).

<<Conseguentemente, il soggetto cui è consentita la detenzione di armi, oltre a dover essere persona assolutamente esente da mende o da indizi negativi, deve anche assicurare la sua sicura e personale affidabilità circa il buon uso e che non vi sia pericolo che abusi possano derivare da parte dei soggetti con cui ha relazioni familiari o personali (Cfr. Cons. Stato, VI, 13 novembre 2006 n. 6669).

<<Chiarito il contesto normativo generale e il consequenziale potere di riesame consentito al Giudice amministrativo, occorre sottolineare che, in maniera più specifica la questione sottoposta all'esame del Tribunale consiste nello stabilire se la mancanza di "affidamento di non abusare delle armi", di cui all'ultimo comma dell'art. 43 del T.U.L.P.S., approvato con T.U. 18 giugno 1931 n. 773, possa essere riscontrata sulla base dell'esistenza di un rapporto di parentela dell'interessato con soggetti indiziati o autori di attività illecite.

<<Secondo condivisibile giurisprudenza di questo stesso Tribunale (cfr T.A.R. Catania, sez. I, 9/12/2008, n. 2324), “la giurisprudenza ha, in linea generale, affermato che per il diniego della licenza di porto d'armi (come per la sua revoca) non occorre che vi sia stato un oggettivo ed accertato abuso delle armi, essendo sufficiente che il soggetto, sulla base di un giudizio probabilistico delle circostanze che lo hanno visto coinvolto, non dia affidamento di non abusarne (Consiglio di Stato, sez. IV, 29 novembre 2000, n. 6347).

<<
“La lettura dell'art. 43 T.U.P.S., in ordine al necessario riscontro dell'affidabilità al buon uso delle armi da parte del titolare dell'autorizzazione di porto e custodia di armi, impone peraltro non solo una ricognizione della personalità del titolare stesso, ma altresì l'accertamento e l'evidenza di tutte le circostanze di fatto in ordine ad elementi di probabilità sul corretto esercizio del dovere di custodia delle armi, onde evitare la sottrazione delle stesse ad opera di soggetti non autorizzati, con presumibile pericolo per la pubblica incolumità.

<<
“Più in particolare, con riferimento a fattispecie simili a quella in esame, è stato rilevato che legittimamente l'amministrazione revoca il porto d'armi ad un soggetto, pur essendo questi incensurato, solo perché è parente di un pregiudicato, nel timore che quest'ultimo possa esigere, vantando diritti morali, aiuto da parte dei suoi congiunti, anche solo nella fornitura delle armi (Tar Reggio Calabria, 21 marzo 2003 n. 226;
Tar Valle d'Aosta, 14 novembre 2001 n. 177;
Tar Palermo, 13 ottobre 1999 n. 1978;
Tar Catanzaro, 28 settembre 1998, n. 811).

<<
“Ma è stato, altresì, correttamente rilevato che il contesto familiare può assumere considerazione nel giudizio valutativo dell'autorità procedente solo qualora sia dimostrata la capacità o anche solo la possibilità di incidenza dello stesso sul modus agendi del destinatario dell'atto, mentre una motivazione, fondata unicamente sul vincolo di parentela rischierebbe di creare una fattispecie di responsabilità oggettiva (Tar Napoli, III, 25 Febbraio 2003, n. 1749)”.

<<Nel caso di specie, l'unico elemento posto a sostegno del provvedimento di diniego è rappresentato dal rapporto di parentela con soggetti condannati per gravi delitti o coinvolti in vicende a rilievo penale.

<<Tale fatto oggettivo, in mancanza di ulteriori circostanze debitamente rappresentate nel provvedimento (come, ad esempio, la contiguità dei domicili dichiarati, le frequentazioni, o anche lo stato di latitanza del familiare pregiudicato), non può - ad avviso del Collegio - da solo costituire un elemento valido e significativo ai fini della formulazione del giudizio probabilistico di non affidabilità del soggetto destinatario del provvedimento di diniego, che per quanto connotato da ampia discrezionalità, deve pur sempre essere caratterizzato da logicità e ragionevolezza.

Peraltro, non appare contestato che il ricorrente sia immune da pregiudizi penali, e che non frequenti ambienti malavitosi.

<<In circostanze analoghe, è stato, per altro, ritenuto (cfr. T.A.R. Catanzaro, sez. I, 10/11/2011, n. 1350) che “l'Amministrazione procedente non può denegare il permesso al porto d'arma limitandosi ad addurre il solo fatto che il richiedente si è accompagnato a pregiudicati ovvero che è legato a taluno di essi da rapporto di parentela o di affinità, senza in concreto valutarne l'incidenza in ordine al giudizio di affidabilità e/o probabilità di abuso delle armi.

<<
“Ciò in quanto la valutazione della possibilità di abuso, pur fondandosi legittimamente su considerazioni probabilistiche, non può prescindere da una congrua ed adeguata istruttoria, della quale dar conto in motivazione, onde evidenziare le circostanze di fatto che farebbero ritenere il soggetto richiedente pericoloso o comunque capace di abusi (TAR Campania, Napoli, sez. V 12 luglio 2010, n. 16669;
TAR Campania, Napoli, V 17 ottobre 2007, n. 9608).

<<
“Analogamente, si deve ritenere che la semplice denuncia di reato all'autorità giudiziaria non è circostanza che da sola possa giustificare il diniego di rinnovo del titolo in questione per sopravvenuta inaffidabilità del titolare dell'autorizzazione di polizia in ordine al corretto uso dell'arma da tempo posseduta, che può essere conseguente solo ad una valutazione complessiva della personalità del soggetto destinatario (TAR Lombardia, Milano sez. III 16 aprile 2010, n. 980)”>>.

Tanto premesso, appare evidente che nel caso in esame mancano le ulteriori circostanze debitamente rappresentate nel provvedimento (come, ad esempio, la contiguità dei domicili dichiarati, le frequentazioni, o anche lo stato di latitanza del familiare pregiudicato) , che avrebbero giustificato il diniego impugnato.

In disparte la non contiguità con il fratello, i cui illeciti hanno determinato l’Amministrazione nella sua contestata valutazione sull’ambito familiare del ricorrente (tale da giustificare il diniego dell’uso del fucile da caccia), va evidenziato che, come non contestato, il primo è da tempo in stato di detenzione, che si protrarrà sino al 2020, rendendo anche astrattamente impossibile qualsiasi uso improprio dell’arma “per fatto altrui”, in quanto eventualmente messa a disposizione di altri per usi illeciti.

In somma sintesi, non sembra si possa configurare quel pericolo per l’interesse pubblico, tale da giustificare l’adozione dell’atto in esame.

In conclusione, non può dirsi che il provvedimento impugnato sia stato sorretto da adeguata motivazione e da idonea istruttoria e, come tale, in accoglimento del ricorso, va annullato, residuando, a tutela dell’interesse pubblico, il potere di revoca, esercitabile soltanto a fronte dei diversi presupposti ampiamente indicati nella parte motiva.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi