TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2021-03-03, n. 202102592

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1B, sentenza 2021-03-03, n. 202102592
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202102592
Data del deposito : 3 marzo 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/03/2021

N. 02592/2021 REG.PROV.COLL.

N. 11327/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 11327 del 2014, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato S V, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Bruno Buozzi, 32;

contro

Ministero della Difesa, Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, Ministero per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del provvedimento del 28.04.2014 con il quale è stata respinta l'istanza di riammissione in servizio presentata dal ricorrente.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa e del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri e del Ministero per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione e del Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 gennaio 2021 il dott. C V;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

L’odierno ricorrente, già carabiniere scelto in forza al Comando Legione Carabinieri Emilia-Romagna, a seguito del verbale di visita medica collegiale n. 22206 del 10.8.2011, redatto dalla Commissione Medica Ospedaliera (CMO) presso il Dipartimento di Medicina Legale di Firenze, veniva dichiarato inidoneo al servizio militare incondizionato ma idoneo, però, ad essere impiegato nella corrispondente area funzionale del personale civile del Ministero della Difesa.

Di conseguenza il ricorrente cessava dal servizio permanente effettivo e transitava nei ruoli civili del personale del Ministero della Difesa, ai sensi dell’art. 930 d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66.

Con istanza in data 2 aprile 2014 il medesimo, ritenendo che l’infermità che aveva determinato il suo transito nei ruoli del personale civile fosse in totale “remissione”, presentava istanza per la riammissione in servizio al Ministero della Difesa il quale, con nota prot. 656/287-1-2007 CC (impugnata), la respingeva con la seguente motivazione: “la sua istanza pervenuta il 23 aprile u.s., non trova possibilità di accoglimento nella considerazione che l’art. 961 del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 – Codice dell’Ordinamento Militare, che stabilisce i requisiti e le modalità per la riammissione in servizio, esclude detta possibilità per il personale comunque cessato dal servizio permanente…” (doc. 1 ric.).

Parte ricorrente ha impugnato il predetto provvedimento deducendo:

- la violazione del principio costituzionale di uguaglianza (art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza) e del principio di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.);

- degli artt. 923, 930, 961 del Codice dell’Ordinamento Militare (d.lgs. n. 66 del 2010);

- l’errata e/o falsa applicazione dell’art. 2, comma 9, D.M. 18.4.2002 e dell’art. 14, comma 5, Legge n. 266 del 28.7.1999;

- il difetto di delega, l’eccesso di potere, il difetto di presupposti e di istruttoria;

- la violazione della legge n. 241 del 1990.

La parte ricorrente ha anche sollevato, in via subordinata, eccezione di costituzionalità alla luce dei parametri sopra menzionati (artt. 3 e 97 Cost.).

Il Ministero della Difesa si è costituito in giudizio resistendo al ricorso.

All’udienza di merito del 15 gennaio 2021, tenutasi mediante videoconferenza ai sensi dell’art. 25, comma 3, del d.l. n. 137 del 28 ottobre 2020, come modificato dall’art. 1, comma 17, del d.l. n. 183 del 31.12.2020, il ricorso è passato in decisione.

DIRITTO

1. - Il ricorso si palesa infondato.

2. - Preliminarmente, è opportuno precisare che l’art. 1, comma 1, del Decreto Ministeriale 18 aprile 2002, n. 22680, stabilisce che “Il personale delle Forze armate e dell'Arma dei carabinieri giudicato non idoneo al servizio militare incondizionato per lesioni dipendenti o non da causa di servizio transita, a domanda, nelle corrispondenti aree funzionali del personale civile del Ministero della difesa, secondo la corrispondenza definita nell'annessa tabella A, sempreché l'infermità accertata ne consenta l'ulteriore impiego” . Prosegue all’art. 2 illustrando la disciplina delle modalità di transito e, precisamente, al comma 9, dispone che “il militare trasferito nei ruoli del personale civile del Ministero della difesa non può essere riammesso nel ruolo di provenienza”.

Tale disciplina è stata adottata a suo tempo sulla base dell’art. 19, comma 5, della legge n. 266/1999 ed è sopravvissuta alla parziale abrogazione della norma primaria (con unica salvezza del personale della Guardia di finanza) disposta dal codice dell’Ordinamento Militare a partire dalla sua entrata in vigore (decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 106 dell’8 maggio 2010).

Nel caso di specie, parte ricorrente impugna, unitamente al provvedimento del Ministero della Difesa con il quale gli è stata negata la riammissione in servizio, la presupposta disposizione di cui all’art. 2, comma 9, del D.M. 18.4.2002 (vedi pag. 8 ric.) in violerebbe i principi affermati in tema di riassunzione in servizio dalla Corte Costituzionale nella pronuncia del 13 novembre 2009, n. 294 (vedi anche la sentenza del 26 gennaio 1994, n. 4), secondo i quali andrebbe ammessa la riammissione in servizio una volta intervenuta la guarigione. La medesima parte ricorrente deduce che gli affermati principi costituiscono criteri guida nell’esercizio della potestà regolamentare di cui all’art. 14, c. 5 della legge 28 luglio1999, n. 266 di riordino del personale militare che l’Amministrazione avrebbe immotivatamente disatteso. I principi affermati dal Giudice delle Leggi nelle sentenze menzionate, inoltre, sono oggi da riferire agli artt. 923, 930 e 931 del d.lgs. n. 66 del 2010.

In particolare, parte ricorrente, richiama il precedente giurisprudenziale favorevole di questa Sezione n. 9416/2012, indicando che i principi affermati dalla Corte Costituzionale sarebbero applicabili anche nell’ordinamento militare e che sarebbe irragionevole una disciplina che priva l’Amministrazione della potestà di valutare, di volta in volta, la sussistenza in concreto dell’interesse pubblico ad avvalersi nuovamente della prestazione di lavoro del richiedente e, considerata la specificità dell’ordinamento militare, la possibilità di un reinserimento del lavoratore nel ruolo di provenienza sulla scorta di valutazioni ampiamente discrezionali dell’Amministrazione in ordine alle esigenze organizzative e di servizio.

Negli stessi termini si è anche espresso il TAR Lombardia con la sentenza 7 maggio 2014, n. 1192.

Al riguardo, il Collegio rammenta di avere recentemente esaminato una questione sovrapponibile a quella oggetto dell’odierno vaglio, con la sentenza n. 6807 del 2019 dove si è evidenziato che il precedente di questa Sezione (anno 2014) richiamato dalla parte ricorrente è stato in realtà riformato dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 2514 del 2018, che ha affermato alcuni principi in materia che il Collegio ritiene di condividere. In particolare va rilevato che la disposizione regolamentare del D.M. 18.4.2002, posta a base dei provvedimenti amministrativi gravati e a sua volta impugnata in questa sede, non è in contrasto con i principi enunciati dalla Corte Costituzionale, né rappresenta la manifestazione di un irragionevole esercizio della discrezionalità amministrativa.

La motivazione addotta dal Consiglio di Stato a sostegno della legittimità della previsione del D.M. 18.4.2002 - e, oggi, del comma 4, dell’art. 961 C.O.M. laddove prevede che “4. Le disposizioni del presente articolo (vale a dire le norme che disciplinano presupposti e modalità della riammissione in servizio nell’Arma dei Carabinieri) non si applicano al personale comunque cessato dal servizio permanente.” - rinviene la propria ratio nel particolare status del carabiniere in servizio permanente, per il quale il legislatore prevede peculiari forme di selezione attitudinale, di addestramento e di formazione professionale, in connessione con i compiti che la Repubblica assegna alle Forze armate e, nel regolare la cessazione dal servizio permanente a domanda dell'interessato, ignora del tutto l'istituto della riammissione in servizio.

In tal senso, non è prevista un’autonoma disciplina né norme di rinvio a quella vigente per il personale civile dello Stato. In particolare, la disposizione primaria ex art. 14, comma 5, della legge n. 266/1999 che prevede il transito nei ruoli civili dei soggetti divenuti inidonei è una norma speciale attributiva di un vantaggio e non suscettibile di applicazioni estensive, non avendo ragion d’essere il passaggio inverso, anche considerando gli effetti potenzialmente dirompenti che potrebbe comportare un tale rientro nei ranghi.

L’art. 132 t.u. riguarda infatti i soli impiegati civili dello Stato e non è estensibile per analogia ad un rapporto di servizio militare che è oggetto di una normativa speciale e organica, così come espressamente sancito dall’art. 19 della legge 4 novembre 2010, n. 19.

Ne consegue che l'ordinamento militare non contempla la possibilità che un militare cessato dal servizio permanente a domanda, possa poi esservi in seguito riammesso (C.G.A.R.S. 16 febbraio 2011, n. 135;
Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2015, n. 2225;
Cons. Stato, sez. IV, 6 luglio 2017, n. 3330).

Non ravvisa, dunque, il Collegio, motivi ostativi all’applicazione dei medesimi principi nell’ambito dell’organizzazione militare.

A tale riguardo non valgono in senso contrario gli articoli 961 e 935 bis del codice dell’Ordinamento Militare recanti norme palesemente eccezionali, come tali insuscettibili di interpretazione analogica;
neppure potrebbe essere valorizzato l'art. 795 in quanto si tratta di disposizione che si limita a dettare le modalità operative e concrete della "riammissione in ruolo" di militari in precedenza cessati e che, pertanto, non ha autonoma portata innovativa sulla ipotetica ammissibilità di tale "riammissione in ruolo" (fattispecie, oltretutto, non solo lessicalmente diversa dall'anelata "riammissione in servizio"). Inoltre non può trovare applicazione l’art. 132 del t.u. n. 3/1957 che prevede la generale possibilità di riammissione in servizio per gli impiegati civili dello Stato, poiché, come già osservato, le norme dell'ordinamento militare, in virtù del carattere tendenzialmente compiuto e autosufficiente dello stesso, “non solo derogano a quelle poste per la generalità degli impiegati dello Stato, ma si configurano come un sistema di rapporti sostanzialmente diverso e chiuso rispetto alle immissioni della disciplina comune” (C.G.A.R.S. n. 135/2011), differenziandosi, altresì, dal Corpo di Polizia penitenziaria (Corte cost. sent. n. 249/2009) che, pur nelle sua specificità, si muove tendenzialmente sul piano della disciplina comune del pubblico impiego.

Il Collegio, in conclusione, ritiene che la restrizione della riammissione in servizio nei ruoli di provenienza del militare già trasferito nei ruoli del personale civile è costituzionalmente legittima anche in considerazione dei pertinenti precedenti della Corte costituzionale, orientati a valorizzare la peculiarità di determinati status (ord. 30 gennaio 2002, n. 10, in tema di magistrati cessati a domanda dal servizio;
ord. 25 novembre 2005, n. 430, in tema di ufficiali cessati a domanda dal servizio permanente) e deve escludersi che la norma denunciata, nella parte in cui non prevede che l'Amministrazione della difesa possa riassumere in servizio il militare cessato a domanda dal servizio permanente effettivo e transitato nei ruoli civili, sia manifestamente irragionevole o arbitraria o contrasti con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione.

3. - Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.

In considerazione dell’esistenza dell’indicato precedente in senso contrario di questa Sezione, il Collegio ritiene sussistano gravi ed eccezionali motivi per disporre la compensazione delle spese di lite.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi