TAR Brescia, sez. II, sentenza 2018-11-07, n. 201801049

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Brescia, sez. II, sentenza 2018-11-07, n. 201801049
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Brescia
Numero : 201801049
Data del deposito : 7 novembre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/11/2018

N. 01049/2018 REG.PROV.COLL.

N. 01168/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1168 del 2017, proposto da
San Simone Evolution S.r.l. Unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati C Z, D C e E C, con domicilio eletto ex art. 25 c.p.a.;

contro

Comune di Valleve, rappresentato e difeso dagli avvocati L L e S Z, con domicilio eletto ex art. 25 c.p.a.;

nei confronti

Mediocredito Italiano S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato D D, domiciliata ex lege ai sensi dell’art. 25 c.p.a.;

Alba Leasing S.p.A., non costituita in giudizio;

Fallimento Brembo Superski S.r.l., rappresentata e difesa dall’avvocato Lodovico Valsecchi di Bergamo, con domicilio eletto ex art. 25 c.p.a.;

per la rivendica e la restituzione

dei terreni di proprietà della ricorrente, oggetto dei decreti di occupazione anticipata in data 5.10.2006, n. 1 ed in data 22.09.2008, n. 1, emessi dal Comune di Valleve;

nonchè per il risarcimento dei danni tutti subiti e subendi .

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Valleve, della società Mediocredito Italiano S.p.A. e del Fallimento Brembo Superski S.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 ottobre 2018 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La società ricorrente è proprietaria, in Comune di Valleve, di terreni ed immobili costituenti un vasto comprensorio suscettibile di essere sviluppato a fini turistico – alberghieri e sciistici, parte dei quali sono stati occupati in via anticipata, per cinque anni, con i decreti 5 ottobre 2006, n. 1 e 22 settembre 2008, n. 1 per la realizzazione della seggiovia “Camoscio” e della seggiovia “Sessi-Cima Siltri”, opere dichiarate di pubblica utilità.

All’immissione in possesso ha fatto seguito la realizzazione delle opere (da parte della Brembo Superski s.r.l., in forza di finanziamenti stipulati con la società di leasing intimata), ma nei cinque anni successivi nessun decreto d’esproprio (e/o asservimento coattivo) risulta essere stato adottato.

Nel frattempo è stato pubblicato il nuovo PGT (approvato nel 2014, ma pubblicato solo il 14 giugno 2017) che, secondo parte ricorrente, avrebbe destinato l’area in questione, una zona AT7 di 28.333,19 mq, alla realizzazione di un volume di 5.000 mc a scopo residenziale e turistico e di 5.000 mc a scopo ricettivo alberghiero, a fronte dell’obbligo di cedere un’area a servizi di 8.300,68 mq, che corrisponde giustappunto a quella oggetto dell’illecita ed illegittima occupazione, tutt’oggi persistente.

Lo stesso PGT avrebbe previsto anche altri ambiti di trasformazione (AT 5 e 6) in cui realizzare volumetrie finalizzate a quello sviluppo turistico, alberghiero e sciistico perseguito dalla odierna ricorrente, che è proprietaria di terreni ricadenti negli stessi, ma il cui sviluppo è sempre subordinato all’approvazione di piani particolareggiati di iniziativa pubblica.

Per tali ragioni il suddetto Piano è stato impugnato con ricorso sub RG 879/2017.

Con il ricorso in esame, parte ricorrente ha, quindi, richiesto la restituzione dei beni illegittimamente in possesso del Comune, il cui comportamento avrebbe violato l’art. 1 del protocollo addizionale CEDU, gli artt. 832, 834, 948, 922 del Codice civile e l’art. 42 bis del DPR 327/2001. Non essendovi più spazio, nel nostro ordinamento, per l’operare di quell’istituto di creazione pretoria denominato come “accessione invertita” o “occupazione appropriativa”, la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità senza che sia stato adottato un decreto di esproprio, avrebbe determinato il pieno diritto del proprietario alla restituzione dei terreni occupati e al risarcimento dei danni correlati all’utilizzo dei beni stessi da parte dell’Amministrazione Comunale, per tutti gli anni d’occupazione senza titolo.

Solo in via subordinata, e cioè qualora si configurasse la possibilità dell’acquisizione autoritativa in tutto od in parte dei beni alla mano pubblica, la società ricorrente ha rivendicato il diritto al risarcimento nella misura del valore dell’area effettivamente occupata ed acquisita, considerando anche il danno derivante dal fatto che il Comune avrebbe sottratto alla ricorrente la possibilità di sfruttamento di un’area di sua proprietà per svolgere quella stessa attività produttiva ed imprenditoriale, per cui la San Simone Evolution s.r.l. è stata costituita, determinando un profitto ingiusto in capo all’ente locale.

Il Comune, ha, in primo luogo, eccepito l’inammissibilità del ricorso, in quanto il ricorrente avrebbe formulato in maniera del tutto generica e apodittica la domanda di risarcimento del danno, omettendo di allegare gli elementi costitutivi della domanda medesima.

Nel merito, il risarcimento del danno da occupazione sine titulo non potrebbe comunque essere richiesto per il periodo in cui il Comune ha legittimamente occupato le Aree sulla base dei decreti di occupazione d’urgenza, ovvero fino a quando sono state efficaci le rispettive dichiarazioni di pubblica utilità (rispettivamente fino al 28 settembre 2013 e al 25 luglio 2013 per le seggiovie “Sessi-Cima Siltri” e “Camoscio”). Ciò in ragione del fatto che la sopravvenuta perdita di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità non potrebbe avere effetto retroattivo, determinandone l’illegittimità ab origine .

In ogni caso, le aree in questione non potrebbero essere qualificate come “edificabili” (tant’è che risulta pendente il ricorso avverso lo strumento urbanistico, ritenuto lesivo delle prerogative della ricorrente), ricadendo in “aree ad elevata naturalità” di cui all’art. 17 del P.P.R del D.P.R. ed all’art. 53 delle NdA del P.T.C.P, ricomprese in un ambito di trasformazione che potrà essere soggetto ad interventi finalizzati allo sviluppo sportivo, ricettivo e turistico solo attraverso progetti strategici di iniziativa comunale, intercomunale o sovracomunale, di intesa con la Provincia, nonché all’approvazione del Consiglio Provinciale.

Tutto ciò senza contare che la domanda dovrebbe essere ritenuta inammissibile nella parte in cui si riferisce alla perdita della proprietà, che non è mai intervenuta, trattandosi di asservimento coattivo.

La ricorrente ha replicato evidenziando come la difesa comunale non abbia frapposto nulla rispetto alla domanda principale e cioè “alla domanda di restituzione delle aree di proprietà della ricorrente”, volta a ottenere che le aree siano restituite libere.

Ciò premesso, essa ha chiarito come la domanda sia evidentemente rivolta a far valere “oltre al pregiudizio per il mancato godimento delle stesse nel periodo decorrente dai decreti di occupazione anticipata sino alla restituzione”, la pretesa “affinché venga liquidato anche il danno per le perse possibilità di sviluppo urbanistico-economico delle aree”, da considerarsi “vocazionalmente edificabili” (le parti virgolettate sono riportate dalla memoria di parte ricorrente depositata il 14 marzo 2018), pur non essendo state classificate come edificabili proprio a causa dell’occupazione illecita. Vocazione che deriverebbe dal fatto di essere limitrofe ad aree edificabili e comunque economicamente sfruttabili per uso residenziale e terziario commerciale.

Infine, parte ricorrente ha insistito, qualificandolo come attuale, per il risarcimento del danno derivante dalla perdita della proprietà delle aree in questione.

Il 15 marzo 2018, il Comune ha depositato una memoria attestante, l’avvenuta adozione (con deliberazione n. 12 dell’1 marzo 2018, ratificata e fatta propria dal Consiglio comunale con deliberazione n. 6 del 12 marzo, entrambe in atti) di un provvedimento di acquisizione coattiva ai sensi dell’art. 42 bis del DPR 327/2001, fissando l’indennizzo dovuto, comprensivo del risarcimento del danno, di cui è stato previsto, in caso di mancato pagamento entro il 22 marzo 2018, il deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti.

Ciò avrebbe determinato, ad avviso del Comune, l’improcedibilità del ricorso, comunque infondato per le ragioni già esposte e ribadite nella replica.

Si è costituito anche il Mediocredito, quale soggetto titolare del contratto di locazione finanziaria avente ad oggetto gli impianti in questione, stipulato con la società Brembo Superski s.p.a., dichiarata fallita il 23 febbraio 2017, depositando una memoria di stile.

Solo il 29 marzo 2018, si è costituito in giudizio il Fallimento Brembo Superski s.r.l., per eccepire l’inammissibilità della propria chiamata in causa per due ordini di ragioni:

a) l’incompetenza funzionale del Giudice adito: poiché l’azione sarebbe diretta ad incidere sul patrimonio fallimentare, il giudice competente avrebbe dovuto essere, per derivazione, il giudice fallimentare;

b) la carenza di legittimazione passiva nella controversia, non essendo ravvisabile alcuna responsabilità del Fallimento nei fatti contestati e non potendo essere opposta alla massa dei creditori una pretesa risarcitoria correlata a fatti anteriori alla dichiarazione di fallimento.

Alla pubblica udienza del 5 aprile 2018, parte ricorrente ha rappresentato che - a seguito dell’ordinanza della Corte dei Conti della Lombardia, sezione Controllo, prot. n. Lombardia/94/2018/PRSE del 21 marzo 2018, la quale ha accertato la non conformità della deliberazioni della Giunta comunale n. 12 del 2018 e del Consiglio comunale n. 6 del 2018 alle prescrizioni imposte dalla Sezione stessa con deliberazione n. 38/2018/PRSP, con conseguente violazione del disposto del comma 3, dell’art. 148 bis del TUEL – il Comune di Valleve ha convocato il Consiglio comunale per il giorno 30 marzo 2018, prevedendo all’ordine del giorno la “revoca deliberazione di consiglio comunale n. 6 del 12.03.2018 avente ad oggetto: <<Conferma deliberazione della Giunta comunale n. 12 del 01.03.2018 avente ad oggetto: “acquisizione terreni partenze impianti denominati “Sessi-Cima Siltri” e “Camoscio” in loc. San Simone, art. 42 bis, comma 1 DPR 327/2001”.

Il Collegio ha disposto un’istruttoria, ritenendo necessario acquisire una relazione, a cura del Comune, in ordine ai provvedimenti adottati dal Consiglio comunale nella seduta del 30 marzo 2018, con riferimento alla vicenda in questione e a eventuali atti consequenziali già assunti o di futura adozione, corredata delle copie di essi.

Il 3 settembre 2018, il Comune ha chiesto un rinvio della scadenza assegnata per la produzione della suddetta relazione (argomentata con riferimento a difficoltà connesse all’insediamento del Commissario straordinario in conseguenza delle dimissione della maggioranza dei consiglieri comunali in data 9 maggio 2018), cui si è opposta parte ricorrente, sostenendo che la richiesta del Commissario Straordinario del Comune di Valleve - presentata senza svolgere alcuna relazione e senza neppure citare, né produrre la deliberazione del Consiglio Comunale n. 16 del 30 marzo 2018, di revoca dell’acquisizione ex art. 42 bis del D.P.R. n. 327/2001 disposta con le precedenti delibere - costituirebbe un comportamento contrastante con i principi di correttezza dell’azione amministrativa.

Alla pubblica udienza del 24 ottobre 2018, dopo ampia discussione, la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Debbono essere preliminarmente esaminate le eccezioni in rito introdotte dal Fallimento della società Brembo Superski s.r.l..

In primo luogo non può ravvisarsi la giurisdizione del giudice fallimentare, attesa la natura della controversia che ha a oggetto una pretesa fatta valere in via principale nei confronti del Comune, non potendo rilevare, ai fini della traslatio iudici , la condizione fallimentare del soggetto utilizzatore delle aree, che era onere del Comune mettere a disposizione. La disposizione di cui all’art. 24 R.D. n. 267/1942, che porta alla concentrazione di tutte le azioni di cognizione di tipo obbligatorio attinenti l’impresa fallita in capo al giudice fallimentare, vale solo nell’ambito della giurisdizione ordinaria, prevedendo solo una deroga alla competenza del giudice naturale e non anche alle regole sul riparto di giurisdizione tra Giudice Ordinario e Giudice Amministrativo (in tal senso la sentenza Tar Basilicata, n. 4/2008).

Correttamente, quindi, la domanda restitutoria è stata proposta avanti al giudice amministrativo, competente a conoscere degli effetti della decadenza della dichiarazione di pubblica utilità.

Né il fallimento può essere estromesso dal giudizio per carenza di legittimazione passiva, atteso che esso, in quanto detentore dei terreni in questione, è destinato a subire le conseguenze dell’accertamento dell’obbligo di restituzione degli stessi.

Passando al merito della questione, si deve premettere che gli impianti di risalita “Camoscio” e “Sessi-Cima Siltri”, insistenti sulla proprietà della società ricorrente, sono stati realizzati e gestiti dalla odierna ricorrente fino al 2006, anno in cui il Comune, dichiarata la decadenza delle concessioni, ha adottato dei provvedimenti di acquisizione coattiva dei sedimi, delle opere e degli impianti, impugnati dalla società proprietaria.

Con sentenza n. 723/2007, questo Tribunale ha parzialmente respinto il ricorso, accogliendolo solo nella parte in cui aveva a oggetto l’acquisizione degli impianti e delle aree di sedime, riconoscendo che l’amministrazione avrebbe “dovuto attivare il procedimento tipico della cessione concordata a prezzo di stima”.

Medio tempore , però, il Comune aveva già avviato un primo ordinario procedimento di acquisizione coattiva della disponibilità di 1200 mq del mappale 302 interessati dalla seggiovia Sessi- Cima Siltri, mediante costituzione di servitù coattiva ai sensi del DPR 327/2001, adottando - a conclusione del procedimento che ha visto la dichiarazione di pubblica utilità delle opere, la pubblicazione dell’avviso di avvio del procedimento di asservimento coattivo e la produzione di osservazioni da parte anche dell’odierna ricorrente - il decreto di occupazione ex art. 22 bis del DPR 327/2001 e determinazione provvisoria dell’indennità di asservimento n. 1 del 5 ottobre 2006. Anche tale provvedimento è stato impugnato, ma il ricorso è stato respinto con sentenza n. 284/2007.

Lo stesso procedimento è stato seguito nel 2008 in ordine ad ulteriori terreni, interessati dal passaggio della seggiovia Camoscio (mappali 302, 394, 303, 304) e il relativo decreto non è stato impugnato.

Essendo decorso il quinquennio di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità e non essendo mai stato adottato il decreto d’esproprio, con il ricorso in esame, la società ricorrente esige, quindi, la restituzione dei terreni illegittimamente detenuti dal Comune.

A tale proposito deve preliminarmente essere chiarito che è del tutto irrilevante, in ordine alla domanda principale, restitutoria (rilevando solo in ordine alla quantificazione dell’eventuale risarcimento del danno), il fatto che l’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità sia stata prorogata, per la seggiovia “Sessi-Cima Siltri” fino al 28 settembre 2013, in quanto essa ha comunque perduto la propria efficacia senza che sia intervenuto un atto costitutivo del diritto di servitù.

La pretesa non può trovare ostacolo nemmeno nell’atto traslativo del diritto adottato l’1 marzo 2018, fissando anche l’indennizzo dovuto, comprensivo del risarcimento del danno.

Invero, esso è stato erroneamente adottato dalla Giunta comunale, anziché dal Consiglio (che lo ha poi ratificato), ma, soprattutto, presentava un contenuto indeterminato, dal momento che prevedeva l’acquisizione dell’area, ma individuava una superficie di asservimento (e non da acquisire) e quantificava l’indennità in misura pari al valore del terreno al metro quadro e non a una percentuale di esso, come previsto nel caso di asservimento, per cui, considerata la contraddittorietà del contenuto del provvedimento, non è dato comprendere se esso tendesse all’acquisto della proprietà o all’asservimento. Inoltre, non è stato corredato del necessario elaborato tecnico per l’individuazione dell’area interessata (tipo di frazionamento nel caso dell’esproprio, planimetria nel caso di asservimento).

Tutto ciò è, peraltro, irrilevante, considerato che esso è stato revocato, a seguito di quanto contestato dalla Corte dei Conti il 20 marzo 2018.

Allo stato, dunque, nessun elemento ostativo si frappone alla restituzione dei terreni, cui il Comune dovrà prontamente provvedere, previo ripristino della situazione esistente al momento dell’occupazione, fatta salva l’adozione di eventuali altri provvedimenti idonei, secondo la legge, alla costituzione del diritto reale, eventualmente ritenuta necessaria per la soddisfazione dell’interesse pubblico e l’attuazione della destinazione urbanistica impressa.

Quanto al risarcimento del danno, escluso che possa trovare tutela la, peraltro generica, pretesa formulata in relazione al danno conseguente alla qualificazione dell’area nel PGT come sfruttabile solo ad iniziativa pubblica, non quantificato, né tantomeno dimostrato in termini di presupposti della sua risarcibilità (condotta lesiva, nesso causale e elemento soggettivo), deve essere negato anche con riferimento alla mancata disponibilità dell’area nel periodo di occupazione legittima.

Tale indisponibilità degli immobili è compensata dal riconoscimento dell’indennità di occupazione d’urgenza, la cui corresponsione potrà essere pretesa dalla ricorrente nelle opportune sedi.

Parte ricorrente lamenta anche l’occupazione di maggiori superfici rispetto a quelle autorizzate, ma non ha fornito alcun principio di prova di tale circostanza, con la conseguenza che nessuna pretesa può essere avanzata in relazione a esse.

Infine, in ordine al mancato godimento delle aree dalla scadenza dell’occupazione legittima fino alla restituzione, va in primo luogo precisato che parte ricorrente ha solo asserito la loro natura edificabile, ma, ancora una volta, non l’ha affatto dimostrata. Al contrario, essa è contestata dal Comune, che le ha da sempre qualificate come inedificabili (cfr. il decreto di occupazione anticipata e quantificazione in via provvisoria dell’indennità). Non può, quindi, riconoscersi un risarcimento del danno che deriverebbe dall’impossibilità di sfruttare una potenzialità del terreno, quella edificatoria, che non è stato affatto comprovato sussistesse.

Né è stato fornito alcun principio di prova che le aree sarebbero state illegittimamente sottratte ad un’attesa e presumibile evoluzione della pianificazione con riconoscimento alle stesse di una possibilità di sviluppo urbanistico-economico in termini di sfruttamento a fini turistici.

Pertanto, considerando anche la totale mancanza di nesso causale tra tale tipo di danno e la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità, nemmeno tale perdita di chance può, quindi, trovare riconoscimento.

Con riferimento alla mera indisponibilità dei terreni, parte ricorrente ha, invece, richiesto la quantificazione del risarcimento del danno in misura pari al 5 % annuo del valore venale dei terreni, cui dovrebbe aggiungersi anche il maggiore indennizzo per danno non patrimoniale, pari al 10 %, una tantum , del valore venale.

Tale valore non è stato, però, nemmeno ipotizzato, neanche in termini generici, con la conseguenza che il risarcimento del danno deve essere determinato tenendo conto che è la stessa ricorrente a lamentare il danno conseguente al fatto che alle aree in questione sarebbe sempre stata impressa una destinazione urbanistica tale da escluderne la potenzialità di sfruttamento dopo la restituzione (essendo esso subordinato alla presentazione di progetti strategici di iniziativa comunale, intercomunale e sovracomunale) peraltro condizionata dal rispetto dell’incidenza della qualificazione delle aree come “ad elevata naturalità” e dei conseguenti vincoli, che ne escludono la natura edificabile sin dalla loro occupazione.

Ne deriva, quindi, che il Comune dovrà corrispondere una somma reintegratoria del danno nella misura pari al 5 % annuo del valore venale dei terreni agricoli con caratteristiche simili a quelle dei terreni in questione nel momento in cui l’occupazione è divenuta illegittima per effetto della scadenza del termine finale fissato per l’occupazione d’urgenza, commisurato a tutto il periodo intercorrente dalla scadenza del termine finale dell’occupazione, come fissato dai provvedimenti che l’hanno disposta (scadenza individuata dai due decreti autorizzativi in cinque anni dalla data di immissione in possesso, che potrà essere agevolmente desunta dalla data dei verbali di immissione in possesso, non prodotti in giudizio), fino alla restituzione dei terreni, con interessi legali e rivalutazione per lo stesso periodo.

È esclusa, invece, la debenza del risarcimento del danno non patrimoniale, considerato che, da un lato la legge ne prevede l’automatico riconoscimento solo nell’ipotesi di acquisizione dell’area ex art. 42 bis del DPR 327/2001 e, dall’altro, non è stata provata la sussistenza dei presupposti necessari di cui all’art. 2058 del codice civile.

Il solo parziale accoglimento del ricorso induce, quindi, a disporre la compensazione delle spese del giudizio tra le parti in causa.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi