TAR Bologna, sez. I, sentenza 2013-10-23, n. 201300651
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N. 00651/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00591/2002 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 591 del 2002 proposto da Impresa Ediltre di Mazzini Giovanni &C. S.a.s., in persona del sig. G M, rappresentata e difesa dall’avv. A B ed elettivamente domiciliata in Bologna, via Rizzoli 1/2, presso lo studio dell’avv. A V;
contro
il Comune di Forlì, in persona del legale rappresentante p.t., difeso e rappresentato dall’avv. M A A e presso la stessa elettivamente domiciliato in Bologna, piazza S. Francesco n. 2;
per la condanna
del Comune di Forlì al risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima ablazione del terreno di proprietà della ricorrente (fg. 119, part. 503).
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Forlì;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore il dott. I C;
Udito, per l’Amministrazione, alla pubblica udienza del 3 ottobre 2013 il difensore come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Nel 1995 la società ricorrente acquistava dalla Urbini Costruzioni S.n.c. di Urbini Graziano &C. (già Rue De Fandango S.n.c.) un lotto di terreno distinto in NCT al fg. 119, part. 503. In precedenza, la Rue De Fandango S.n.c. aveva conseguito due concessioni edilizie (n. 469 del 30 maggio 1992 e n. 522 del 10 settembre 1993) per la realizzazione di due distinti interventi edificatori in altrettanti lotti, originariamente inseriti in un piano particolareggiato di iniziativa privata del 1978;in particolare, nell’assentire i nuovi interventi, l’Amministrazione comunale aveva monetizzato il valore delle opere di urbanizzazione e aveva chiesto il versamento dei relativi oneri – per un importo complessivo di £ 154.174.807 –, ma aveva altresì imposto all’allora proprietaria la realizzazione del verde pubblico attrezzato sull’area ora di proprietà della ricorrente.
L’interessata lamenta l’indebito assoggettamento del suo terreno ad opere di urbanizzazione che non avrebbero potuto in realtà riguardare area da tempo stralciata dal p.p.i.p. del 1978 e successivamente mai reinserita in uno strumento urbanistico attuativo. Di qui l’assunto per cui l’Amministrazione comunale avrebbe compiuto un vero e proprio spossessamento dell’area ai danni dell’allora proprietaria e, per essa, della ricorrente, sua avente causa, senza che l’ablazione si sorreggesse sull’imposizione di un valido vincolo o sul pagamento del dovuto corrispettivo, con l’effetto di dare luogo ad un’occupazione acquisitiva per fatto illecito della pubblica Amministrazione e di obbligare la stessa al risarcimento del danno quale equivalente della perdita definitiva dell’immobile da parte del proprietario. Conclude, pertanto, la ricorrente per la sussistenza di un caso di “ablazione usurpativa”, mancando la dichiarazione di pubblica utilità e mancando altresì il decreto di espropriazione, e richiede di conseguenza il ristoro del danno corrispondente al controvalore dell’area occupata, secondo il regime di libero mercato e prescindendo da vincoli urbanistici, oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali e agli eventuali ulteriori danni indotti alla restante proprietà.
Si è costituito in giudizio il Comune di Forlì, resistendo al gravame.
Dichiarata la perenzione del ricorso con decreto n. 356 del 12 giugno 2012, il Presidente del Tribunale ha successivamente revocato il decreto, ai sensi dell’art. 1, comma 2, dell’all. 3 al d.lgs. n. 104 del 2010, e ha disposto la reiscrizione della causa sul ruolo di merito (v. decreto n. 1709 in data 13 dicembre 2012).
All’udienza del 3 ottobre 2013, ascoltato il rappresentante dell’Amministrazione, la causa è passata in decisione.
La presente controversia ha avuto un prologo innanzi al giudice ordinario, adito dalla ricorrente per vedersi riconosciuto il risarcimento dei medesimi danni il cui ristoro ha ora invocato in sede giurisdizionale amministrativa. All’esito di quel giudizio, il Tribunale di Forlì, dopo avere rilevato che “… Risulta infatti nella concessione edilizia rilasciata dal comune di Forlì alla società “Rue de Fandango”, dante causa dell’odierna attrice (v. doc. 2 del fascicolo di parte convenuta), la prescrizione speciale della concessione stessa per cui “prima del rilascio del certificato di abitabilità, dovrà essere attrezzata e risultare collaudabile l’area verde prevista dal P.L. approvato sul terreno attualmente contraddistinto al F. 119 particella 503”, come pure risulta dai conteggi degli oneri e contributi (doc. 3 di parte convenuta) che erano state operate detrazioni del 25% proprio in relazione al verde pubblico da realizzarsi da parte dei concessionari. Si lamenta, infatti, da parte della ditta convenuta, che il comune abbia autorizzato interventi edificatori con concessione diretta e monetizzando il valore delle opere di urbanizzazione e chiedendo il versamento dei relativi oneri e abbia però, in seguito, imposto oltre al pagamento dei suddetti oneri in danaro, anche l’esecuzione delle opere di realizzazione del verde pubblico e proprio sul terreno oggetto della controversia, che in precedenza era stato stralciato dagli strumenti urbanistici …”, concludeva che “… E’ quindi di tutta evidenza che, sebbene parte attrice lamenti che in definitiva tutto ciò si traduce nel suo spossessamento da parte del comune, si tratta in realtà di valutare, piuttosto, la legittimità e legalità della condotta del comune al fine di verificare la sua conformità agli strumenti urbanistici, ciò che rientra in pieno nella materia di cui all’art. 34 del decreto legislativo n. 80/1998 …” e, in ragione di ciò, dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario per essere la questione ascrivibile alla giurisdizione del giudice amministrativo (v. sent. n. 992 del 19 ottobre 2001).
Il Collegio concorda con le conclusioni del giudice ordinario, giacché il pregiudizio patrimoniale lamentato dalla ricorrente deriva dalla prescrizione speciale contenuta nella concessione edilizia n. 522 del 10 settembre 1993 (“ Prima del rilascio del certificato di abitabilità, dovrà essere attrezzata e risultare collaudabile l’area verde prevista dal P.L. approvato sul terreno attualmente contraddistinto al F. 119 particella 503 ”), prescrizione che appare costituire espressione del potere di natura autoritativa dell’Amministrazione comunale in sede di determinazione del contenuto dell’attività imposta al privato per la corretta realizzazione dell’intervento edilizio, tanto da esservi stato espressamente subordinato il rilascio del certificato di abitabilità. Tale prescrizione, tuttavia, non è stata a suo tempo impugnata, e vi è anzi stata data dal concessionario regolare esecuzione, senza alcuna formale contestazione;peraltro, ove anche si accedesse alla tesi per cui la prescrizione non ha carattere di atto autoritativo e va piuttosto ricondotta all’àmbito dei rapporti di natura paritetica, l’esecuzione senza riserve delle opere di urbanizzazione e la tardiva adizione del giudice assumerebbero in ogni caso un valore decisivo per la risoluzione della lite.
Orbene, la giurisprudenza ha chiarito che la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, oggi sancita dall’art. 30, comma 3, cod.proc.amm., è in realtà ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di una interpretazione evolutiva della norma di cui all’art. 1227, comma 2, cod.civ. (“ Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza ”), sicché tale regola è applicabile anche alle azioni risarcitorie proposte prima dell’entrata in vigore del «codice del processo amministrativo», essendo espressione, sul piano teleologico, del più generale principio di correttezza nei rapporti bilaterali, con l’obiettivo di prevenire comportamenti opportunistici che intendano trarre occasione di lucro da situazioni che hanno leso in modo marginale gli interessi dei destinatari tanto da non averli indotti ad attivarsi in modo adeguato onde prevenire o controllare l’evolversi degli eventi (v. Cons. Stato, Ad.plen., 23 marzo 2011 n. 3).
Nella fattispecie, allora, essendo il giudice chiamato ad accertare se la condotta del privato abbia integrato la violazione del canone comportamentale ex art. 1227, comma 2, cod.civ. ed abbia spiegato un effetto eziologico nella produzione di un danno altrimenti evitabile, emerge la totale inerzia del concessionario nella coltivazione di rimedi giudiziali e di iniziative stragiudiziali utili ad impedire la trasformazione del terreno in area a verde pubblico attrezzato, e ciò perché non è stato mai adito il giudice amministrativo per conseguire l’annullamento in parte qua della concessione edilizia del 1993 e solo nel 1999 è stato adito il giudice ordinario per ottenere il risarcimento dei danni legati ad un intervento già da molto tempo oramai eseguito – senza contestazioni – dal concessionario medesimo, con il risultato che al privato (dante causa e avente causa) va ascritta la violazione degli obblighi cooperativi che gravano sul creditore danneggiato. Inoltre, appare evidente che tale inerzia assume rilievo sotto il profilo eziologico, nel senso che i danni lamentati sarebbero stati scongiurati se il concessionario si fosse tempestivamente avvalso degli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento ed avesse posto in essere ulteriori iniziative utili a stimolare l’esercizio del potere di autotutela dell’Amministrazione.
Di qui l’infondatezza della pretesa al ristoro di danni che sarebbero stati in realtà evitati a mezzo della tempestiva impugnazione dell’atto lesivo o della sollecita adozione delle altre misure giudiziali o stragiudiziali adeguate allo scopo, iniziative la cui carenza si presenta determinante anche ove difettasse il carattere autoritativo della prescrizione contenuta nella concessione edilizia del 1993, a fronte di una condotta del privato che ha reso possibile l’integrale produzione dei danni (trasformazione dell’area con la realizzazione delle opere di urbanizzazione) solo ex post denunciandosi l’insussistenza dei presupposti legali per l’imposizione di quella prescrizione. E tutto ciò indipendentemente dalla reale portata del pregresso piano urbanistico attuativo di iniziativa privata, dalla cui indagine si può dunque prescindere.
Le spese di lite seguono la soccombenza della società ricorrente, e vengono liquidate come da dispositivo.