TAR Brescia, sez. II, sentenza 2023-08-02, n. 202300651
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Pubblicato il 02/08/2023
N. 00651/2023 REG.PROV.COLL.
N. 00601/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 601 del 2019, proposto da
ATAACI - ASSOCIAZIONE PER LA TUTELA DELL'ALLEVAMENTO E DELL'ADDESTRAMENTO CINOFILO ITALIANO, rappresentata e difesa dall'avv. M B, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia, e domicilio fisico presso l’avv. Renato Montanari in Brescia, via Creta 72;
contro
COMUNE DI TREVIGLIO, rappresentato e difeso dall'avv. K B, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia;
per l'annullamento
- del regolamento approvato con deliberazione consiliare n. 49 di data 28 maggio 2019 ( “Regolamento per la tutela ed il benessere degli animali” ), nella parte in cui vieta l’utilizzo dei collari a strozzo;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Treviglio;
Visti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 maggio 2023 il dott. Mauro Pedron;
Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Considerato quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il Comune di Treviglio, con deliberazione consiliare n. 49 di data 28 maggio 2019, ha approvato il “ Regolamento per la tutela ed il benessere degli animali” , finalizzato a promuovere il benessere e la tutela degli animali, e a diffondere i principi di corretta convivenza con la specie umana.
2. L’art. 7 del regolamento contiene la definizione delle condotte che configurano maltrattamento sanzionabile. In particolare, è considerato maltrattamento (punto 7) “tenere qualsiasi animale d’affezione alla catena o alla corda ed applicare qualunque altro strumento di contenzione similare, salvo che per ragioni sanitarie certificate da un veterinario, con specificazione della diagnosi e della durata del trattamento, o per effettive, comprovabili e temporanee ragioni di sicurezza. Nei casi ammessi, la catena deve essere mobile, dotata di anello rotante assicurato ad un cavo aereo di scorrimento e tale da permettere all’animale di alimentarsi, abbeverarsi, ripararsi da condizioni meteorologiche avverse e da impedire che la catena si avvolga, accorciandosi;è in ogni caso vietato agganciare la catena a collari a strozzo” . Parimenti, è considerato maltrattamento (punto 8) “far indossare agli animali museruole «stringi bocca», collari a strangolo e/o con punte in qualsiasi modo in grado di provocare potenziale dolore all’animale. È ammesso invece il collare salvapelo se adoperato da personale pubblico e/o autorizzato. Gli animali dovranno essere condotti preferibilmente con pettorina ad H, cercando di evitare il modello a Y il quale, stringendo le scapole del cane può causare danni fisici soprattutto in soggetti giovani” .
3. Il regolamento è stato impugnato dall’Associazione per la Tutela dell’Allevamento e dell’Addestramento Cinofilo Italiano (ATAACI), che ne ha chiesto l’annullamento nella parte in cui qualifica l’utilizzo di collari a strangolo (o a strozzo) come una forma di maltrattamento degli animali, e specificamente dei cani.
4. L’ ATAACI è un’associazione costituita il 13 gennaio 2015 in rappresentanza degli allevatori e degli addestratori di cani, e si propone di “promuovere la diffusione della cultura della selezione del cane di razza e dell'addestramento, sia del cane di razza che del meticcio” . Per quanto riguarda specificamente l’addestramento, nelle premesse dello statuto viene descritta la cultura a cui l’associazione si ispira. L’impostazione ritenuta corretta non è quella che “[intende] il cane come creatura asservita all'uomo” , trasformandolo “in protesi identitaria dell'uomo” , ma al contrario quella che riconosce e rispetta l'alterità del cane “curandone l'integrazione nel tessuto sociale attraverso […] una dimensione morale eteronoma, cioè, nella fattispecie, che provenga dall'uomo” . Nell’addestramento, pertanto, i cani sono considerati “esseri senzienti come sancito dal Trattato di Lisbona del 13/12/2007” , e sono sottoposti a un certo livello di stress per metterli in condizione “di adottare consapevolmente (senza alcun intervento farmacologico) nuove strategie di adattamento all'ambiente umano senza che queste comportino compromissione del [loro] equilibrio psichico e fisico” .
5. Gli argomenti formulati nel ricorso sono così sintetizzabili:
(i) incompetenza e violazione dell’art. 4 comma 4 della legge 5 giugno 2003 n. 131, in quanto la potestà regolamentare sarebbe stata esercitata oltre i limiti delle funzioni amministrative comunali, e al di fuori di un quadro di regole posto della legislazione dello Stato o della Regione, necessario per assicurare i requisiti minimi di uniformità;
(ii) violazione dell’art. 105 commi 2 e 6 della LR 30 dicembre 2009 n. 33, nonché dell’art. 6 comma 6 del RR 13 aprile 2017 n. 2, che nel fissare le regole sul corretto trattamento degli animali d'affezione stabilirebbero quale unico limite inderogabile il divieto di agganciare la catena a collari a strozzo;
(iii) irragionevolezza del divieto generalizzato di utilizzo dei collari a strozzo. Tale pratica, secondo il parere del prof. Angelo Peli del Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie dell’Università di Bologna di data 17 luglio 2017, non comporterebbe rischi per la salute dei cani, in quanto gli episodi di incidenti e malattie riportati nella letteratura scientifica non sarebbero significativi: “dall'esame delle ricerche reperite sull'argomento oggetto del presente parere, non è possibile affermare che l'uso del collare a scorrimento e le patologie segnalate siano associati, in quanto queste ultime sembrano sempre legate al caso, dal momento che non viene dimostrata (e neppure affrontata) l'associazione statistica tra l'uso del collare a scorrimento (variabile indipendente) e l'evento avverso (variabile dipendente);i suddetti studi sono infatti privi di un gruppo di controllo che consenta di analizzare statisticamente i risultati” .
6. Il Comune si è costituito in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso, ed eccependone l’inammissibilità.
7. Questo TAR, con ordinanza n. 318 del 10 settembre 2019, ha respinto la domanda cautelare.
8. Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono svolgere le seguenti considerazioni:
(a) per quanto riguarda le eccezioni preliminari, si osserva in primo luogo che l’associazione ricorrente è dotata di legittimazione attiva in relazione all’oggetto del ricorso;
(b) come esplicitato nelle premesse dello statuto, gli associati, distribuiti su tutto il territorio nazionale, condividono un’impostazione metodologica che implica l’utilizzo di tecniche in grado di indurre e consolidare nei cani comportamenti utili alle attività umane (da quelle tradizionali come la caccia e l’allevamento a quelle più recenti come l'accompagnamento delle persone ipovedenti e non vedenti, la protezione civile, il salvataggio in mare e in montagna, i compiti di polizia, la pet therapy ). È quindi chiaro che dalla prospettiva dell’associazione qualsiasi divieto interferente con gli scopi e i risultati dell’addestramento, se non giustificato da esigenze di benessere animale scientificamente documentabili, costituisce una limitazione irragionevole dell’iniziativa economica degli associati. Nella difesa di interessi collettivi non occorre dimostrare che ogni singolo associato sia ugualmente colpito dalla specifica norma impugnata;
(c) poiché l’iniziativa economica deve essere libera su tutto il territorio nazionale, e in realtà all’interno dell’intero spazio europeo, per intraprendere le proprie iniziative legali l’associazione non deve neppure documentare un particolare radicamento in una zona determinata. È sufficiente l’obiettivo di rimuove le prescrizioni degli enti locali che potrebbero ostacolare l’insediamento o il trasferimento nei rispettivi territori di un centro di addestramento, oppure condizionarne i risultati imponendo divieti e sanzioni ai proprietari dei cani addestrati;
(d) quando viene impugnata una norma di regolamento, l’interlocutore della parte ricorrente è solo l’amministrazione. Non diventano controinteressati i soggetti che, avendo posizioni opposte a quelle dei ricorrenti, condividano il contenuto della norma impugnata, neppure nell’ipotesi in cui tali soggetti siano stati consultati nel corso della stesura del regolamento o abbiano contribuito a creare il consenso che ha poi condotto all’adozione dello stesso;
(e) passando al merito, non appare condivisibile l’argomento con il quale la ricorrente afferma il superamento dei limiti della potestà regolamentare del consiglio comunale. L’art. 7 del Dlgs. 18 agosto 2000 n. 267 attribuisce ai Comuni il potere di adottare norme di regolamento nelle materie di propria competenza. Le funzioni amministrative comunali non sono però numerate, perché i Comuni sono enti locali a fini generali per quanto riguarda la cura degli interessi e la promozione dello sviluppo delle rispettive comunità (v. art. 3 comma 2 del Dlgs. 267/2000). Diventa quindi materia amministrativa di competenza comunale qualsiasi tema che i Comuni intendano regolare in quanto connesso con gli interessi della collettività a livello locale. I limiti sono, da un lato, il divieto di incidere in modo sproporzionato o non necessario sulle libertà personali ed economiche, e dall’altro il rispetto delle disposizioni legislative dello Stato o della Regione, sia quelle che disciplinano compiutamente una certa materia sia quelle finalizzate ad assicurare i requisiti minimi di uniformità ai sensi dell’art. 4 comma 4 della legge 131/2003;
(f) la vigenza di una normativa statale o regionale di dettaglio nella stessa materia non impedisce ai Comuni di esercitare una potestà regolamentare interstiziale, coprendo aspetti non ancora trattati. D’altra parte, per l’esercizio della potestà regolamentare dei Comuni non è necessario che sia stata precedentemente approvata una disciplina di armonizzazione statale o regionale. Se una simile disciplina dovesse intervenire in seguito si porrà eventualmente un problema di abrogazione implicita delle norme comunali anteriori, o di coordinamento delle stesse, da risolvere in via interpretativa;
(g) le disposizioni contenute nell’art. 105 commi 2 e 6 della LR 33/2009 rappresentano allo stesso tempo le linee-guida per la disciplina regolamentare della Regione e i requisiti minimi di uniformità per l’esercizio della potestà regolamentare dei Comuni. Si tratta dei principi generali della materia (divieto di tenere gli animali d'affezione in condizioni tali da costituire pericolo per la salute umana;obbligo per qualsiasi detentore di assicurare agli animali d'affezione condizioni di vita adeguate sotto il profilo dell'alimentazione, dell'igiene, della salute, del benessere, della sanità dei luoghi di ricovero e contenimento e degli spazi di movimento);
(h) l’art. 6 comma 6 del RR 2/2017, che riprende quanto previsto dall’art. 114 comma 1-h della LR 33/2009, pone una norma specifica per i cani, escludendo l’uso della catena o di similari strumenti di contenzione, tranne che per ragioni sanitarie certificate da un veterinario, e vietando in ogni caso di agganciare la catena a collari a strozzo. Contrariamente all’argomento esposto dalla ricorrente, si ritiene che questa norma fissi soltanto il livello minimo di benessere animale, e dunque non impedisca ai Comuni di estendere l’area dei comportamenti vietati in quanto potenzialmente nocivi per la salute e per l’equilibrio psicofisico degli animali;
(i) occorre però stabilire fino a che punto possa essere estesa la tutela del benessere dei cani, e degli animali d'affezione in genere, quando siano coinvolti interessi pubblici o privati di segno opposto (necessità addestrative;sicurezza nei contatti con le persone o con altri animali). Si pone, in altri termini, il problema se debba prevalere l’impostazione seguita dalla ricorrente nelle premesse dello statuto e sopra sintetizzata, che considera accettabile l’imposizione di forme di disciplina e controllo in vista di un risultato utile, e dunque ammetterebbe in concreto anche l’utilizzo del collare a strozzo, o se sia comunque preferibile evitare di sottoporre gli animali a situazioni stressanti;
(j) la difesa del Comune ha prodotto una nota del veterinario dott. Salvatore Di Mauro di data 23 agosto 2019, che evidenzia, da un lato, i danni fisici provocati dall'uso del collare a strozzo (piaghe, ferite e infiammazioni della cute del collo), e dall’altro il fenomeno dell’alterazione della comunicazione posturale (nell'incontro con un altro cane, il proprietario, tirando il collare a strozzo, può far assumere al proprio cane una posizione percepita come assertiva, e dunque potenzialmente pericolosa). Viene poi contestata l’efficacia educativa del collare a strozzo, in quanto lo strattonamento del collo non è una punizione etologica, riconosciuta dal cane, ma una punizione coercitiva umana, e quindi l'obbedienza così ottenuta è provocata da timore o paura. Esiste peraltro un’alternativa, ossia la pettorina, preferibile in quanto, al contrario del collare a strozzo, non offre al cane un fulcro (il collo) su cui far leva;
(k) sempre a cura della difesa del Comune è stata poi depositata una nota del veterinario dott. E B (senza data), nella quale vengono espresse considerazioni analoghe a quelle del collega, e si afferma che una corretta e buona educazione del cane è ottenibile anche senza l'utilizzo di metodi coercitivi. Le produzioni del Comune sono completate da una nota dell’educatrice cinofila dott. P M di data 27 agosto 2019, nella quale si evidenzia che “l'utilizzo di una pettorina (e oggi in commercio ne esistono di diversi tipi, tra cui anche pettorine antifuga dotate di agganci particolari che impediscono al cane di sfilarsi da essa) consente al cane di poter muovere il collo, meccanismo fondamentale nella comunicazione, e di poter annusare correttamente senza interruzione di flussi d'aria, atteggiamento assolutamente necessario per un cane, che ha una percezione della realtà principalmente olfattiva” ;
(l) dai contrapposti pareri tecnici a disposizione emerge, in definitiva, che i danni più gravi connessi all’utilizzo del collare a strozzo sono generalmente dovuti a comportamenti scorretti dei proprietari, ma questa pratica espone comunque gli animali a situazioni stressanti e al rischio di lesioni. Le esigenze dell’addestramento e della sicurezza potrebbero richiedere strumenti in grado di assicurare un blocco rapido ed efficace dell’animale, ma essendo disponibile l’alternativa costituita dalla pettorina, che presenta minori inconvenienti sotto il profilo del benessere animale, la possibilità di continuare a utilizzare il collare a strozzo è subordinata alla dimostrazione della non perfetta sostituibilità dei due strumenti;
(m) questa dimostrazione è però mancata nel ricorso, sia in generale sia con riguardo a situazioni particolari.
9. Ne consegue che il ricorso deve essere respinto.
10. Le difficoltà interpretative poste dalla materia trattata giustificano la compensazione delle spese di giudizio. Restano peraltro ferme le spese liquidate favore del Comune in sede cautelare.