TAR Firenze, sez. III, sentenza 2020-12-31, n. 202001772
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Testo completo
Pubblicato il 31/12/2020
N. 01772/2020 REG.PROV.COLL.
N. 00011/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 11 del 2015, proposto da
Q V, al quale è subentrata nel ricorso D V, in qualità di suo erede, rappresentata e difesa dagli avvocati A P e P R, con domicilio eletto presso lo studio A P in Firenze, via Landucci 17;
contro
Comune di Pistoia, rappresentato e difeso dagli avvocati V P e F P, con domicilio eletto presso lo studio legale Lessona in Firenze, via dei Rondinelli n. 2;
per l'annullamento
del provvedimento prot. n. 56852, notificato il 27.10.2014, del dirigente del Servizio Governo del Territorio e Edilizia Privata del Comune di Pistoia avente ad oggetto: "P.E. 2771/2011 Sanzione ai sensi dell'art. 140 L.R. 1/05", nonché di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti, ivi compresa la Deliberazione della Giunta Comunale di Pistoia n. 26 del 17.2.2011;
nonché per la condanna
del Comune intimato alla restituzione delle somme pagate dal ricorrente, in eccesso rispetto a quelle effettivamente dovute, in virtù dei provvedimenti impugnati.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pistoia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 novembre 2020 il dott. Gianluca Bellucci e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il signor Q V è proprietario di due unità immobiliari (aventi superficie totale di mq. 249,23) poste ai numeri civici n. 2 e 4 di via Vergiolesi in Pistoia, adibiti ad ufficio (la destinazione originariamente prevista, come da permesso di costruire del 20.6.1968 e variante del 17.9.1969, era commerciale): il costruttore aveva infatti suddiviso il piano terreno in tre unità autonome, due delle quali cedute al signor Vescovi e l’altra a terzi.
Nella prospettiva di una possibile vendita, il ricorrente ha presentato al Comune di Pistoia, in data 25.11.2011, istanza di accertamento di conformità ex art. 140 della L.R. n. 1/2005, avente a oggetto difformità planimetriche: la superficie e il volume realizzati erano inferiori a quelli assentiti, cosicché le uniche difformità erano rappresentate da una modifica dell’aspetto esteriore dell’edificio senza incrementi planovolumetrici ma “con modifiche planimetriche” (pagina 2 dell’istanza), cambio di destinazione da commerciale a direzionale e suddivisione in due separate unità immobiliari (oltre alla terza, intestata ad altra persona e quindi estranea alla domanda di sanatoria edilizia).
Il Comune di Pistoia, con atto del 5.8.2014, ha determinato in euro 44.655,26 la sanzione complessiva (di cui euro 15.562 quale oblazione, un uguale importo quali oneri di urbanizzazione e costo di costruzione ed euro 13.530 quale monetizzazione di posti auto), in dichiarata applicazione dell’art. 7 della deliberazione della giunta comunale n. 26 del 17.2.2011, secondo cui “nei casi di interventi valutabili in termini di superficie ma non penalmente rilevanti…si applica una sanzione pari al medesimo importo della quota relativa agli oneri concessori (anche se non dovuti qualora all’interno dei centri abitati, con importi a prescindere dall’epoca di esecuzione)”.
L’interessato ha provveduto al pagamento al fine di ottenere il titolo sanante.
Il signor Q V (al quale è subentrata nel ricorso la signora D V quale erede) è insorto avverso il suddetto atto e la presupposta deliberazione deducendo (ai fini dell’annullamento dell’atto impugnato e della condanna alla restituzione delle somme pagate in eccesso rispetto al dovuto):
1) In ordine alla determinazione del 5.8.2014 ed alla citata deliberazione della giunta comunale: violazione dell’art. 140 della L.R. n. 1/2005;eccesso di potere per errore di motivazione, carenza di istruttoria, travisamento dei fatti, difetto dei presupposti, ingiustizia, contraddittorietà e illogicità.
L’art. 140, comma 4, della L.R. n. 1/2005 prevede un’oblazione pari agli oneri concessori solo in relazione ai casi penalmente rilevanti, ma, come ammesso nella stessa determinazione impugnata, l’intervento edilizio de quo non costituisce illecito penale.
L’oblazione doveva essere quantificata in misura compresa tra 516 e 5.164 euro, ovvero secondo quanto previsto per gli interventi penalmente irrilevanti dall’art. 140, comma 6, della L.R. n. 1/2005.
2) Quanto alla monetizzazione dei 3 posti auto (euro 4.510 X 3 = euro 13.530): violazione dell’art. 140 della L.R. n. 1/2005, dell’art. 32 del regolamento urbanistico e della deliberazione della giunta comunale n. 1 dell’11.1.2011;eccesso di potere per errore di motivazione, carenza di istruttoria, travisamento, difetto dei presupposti, ingiustizia, contraddittorietà, illogicità.
L’art. 32 del regolamento urbanistico stabilisce che il frazionamento delle unità immobiliari deve prevedere un posto auto (monetizzabile) per ciascuna delle nuove unità, mentre la deliberazione della giunta comunale n. 1 dell’11.1.2011 prevede come monetizzabile un posto auto di mq. 25 per ciascuna delle nuove unità immobiliari scaturenti dal frazionamento (euro 4.510 per posto auto). La contestata determinazione, in dichiarata applicazione di detta delibera, ha monetizzato 3 posti auto, e però l’istanza di sanatoria edilizia si riferiva a 2 unità immobiliari derivanti dal frazionamento, talché dovevano essere considerati 2 e non 3 posti auto (la terza unità immobiliare derivante dal frazionamento è intestata ad altra persona). Secondo il ricorrente la monetizzazione doveva pertanto portare ad un valore di euro 9.020 e non di euro 13.530.
La difesa del Comune ha obiettato che la legge n. 122/1989 impone, per ogni 10 metri cubi di volume realizzato, 1 mq. di superficie a parcheggio, e poiché le due unità immobiliari del ricorrente hanno un volume di mc. 747,69, la relativa superficie a parcheggio deve essere pari a mq. 74,769, corrispondente a 3 posti auto di mq. 25 ciascuno.
Su tali premesse il ricorrente ha chiesto la condanna alla restituzione delle somme pagate in eccesso rispetto a quelle effettivamente dovute.
Si è costituito in giudizio il Comune di Pistoia, il quale ha eccepito il difetto di giurisdizione in ordine alla domanda di restituzione della somma pagata in eccesso.
All’udienza del 25 novembre 2020 la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO
1. L’eccezione sollevata dal Comune non ha alcun pregio, in quanto l’azione di restituzione dell’indebito proposta dalla ricorrente, riguardante gli oneri economici connessi al titolo edilizio in sanatoria, rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f, del d.lgs. n. 104/2010.
La restituzione può inoltre costituire il risultato dell’effetto conformativo dell’eventuale sentenza di accoglimento della domanda di annullamento dell’atto impugnato.
2. Con la prima censura l’istante contesta la quantificazione dell’oblazione effettuata dal Comune.
Il rilievo è fondato.
L’Ente, con la contestata determinazione, quantifica la sanzione in misura pari all’importo dovuto per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione in dichiarata applicazione dei criteri stabiliti dall’art. 7 della deliberazione della giunta comunale n. 26 del 17.2.2011, secondo cui deve applicarsi la sanzione in misura pari al medesimo importo della quota relativa agli oneri concessori “nel caso di interventi valutabili in termini di superficie ma non penalmente rilevanti”.
Tale regola, autonomamente deliberata dal Comune, si pone in conflitto con l’art. 140 della L.R. n. 1/2005, il quale, al comma 4, circoscrive il suddetto criterio di computo della sanzione alle fattispecie penalmente rilevanti e, al comma 6, stabilisce invece, per gli abusi edilizi non costituenti reato, che la sanzione non può eccedere l’importo di euro 5.164 (in tal caso, in ragione della natura e consistenza dell’abuso, essa va infatti calcolata in misura compresa tra 516 e 5.164 euro).
Ne deriva l’illegittimità della contestata determinazione e del presupposto art. 7 della citata deliberazione comunale per violazione dell’art. 140 della L.R. n. 1/2005, il quale ragguaglia l’oblazione agli oneri concessori solo per gli abusi edilizi concretanti un illecito penale.
In definitiva, da un lato l’Ente ha ritenuto l’opera abusiva come non penalmente rilevante, dall’altro ha effettuato un calcolo della sanzione che, ai sensi dell’art. 140 della L.R. n. 1/2005, vale solo per gli abusi edilizi costituenti illecito penale, e ciò è avvenuto in quanto è stata applicata una deliberazione della giunta comunale che prevedeva per gli interventi non penalmente rilevanti una sanzione eccedente il quantum previsto dalla normativa regionale.
In conclusione, la parte della deliberazione applicata nel caso di specie è contra legem e, di conseguenza, è illegittimo il provvedimento datato 5.8.2014.
3. La difesa del Comune obietta che il rinvio, espresso nell’atto impugnato, all’art. 7 della deliberazione è frutto di errore e che invece l’abuso edilizio realizzato dal ricorrente costituirebbe una fattispecie concretante reato, come tale suscettibile di incorrere nella sanzione (corrispondente a quella determinata con l’atto impugnato) prevista dal quarto comma dell’art. 140 della L.R. n. 1/2005 per gli interventi penalmente rilevanti.
La suddetta replica non ha pregio: il gravato provvedimento opera uno specifico rinvio all’art. 7 della deliberazione della giunta comunale n. 26/2011, riportandone fedelmente il contenuto precettivo. Sono quindi chiare l’avvenuta qualificazione dell’abuso edilizio in questione, contenuta nella determinazione impugnata, come penalmente irrilevante e l’applicazione di una regola, espressione di autonomia normativa dell’Ente, contrastante con la legislazione regionale.
La deduzione difensiva dell’Amministrazione si configura quindi come inammissibile modifica postuma della motivazione dell’atto impugnato, ovvero come un vero e proprio sovvertimento della qualificazione giuridica data all’abuso edilizio oggetto dell’istanza di sanatoria.
Invero, se la tesi difensiva del Comune fosse corretta, risulterebbe nell’atto impugnato una motivazione erronea, con la quale il gravato provvedimento dà atto della sussistenza di un presupposto (la configurazione di un fatto penalmente irrilevante) diverso da quello poi addotto dalla difesa del Comune (la configurazione di un illecito penale): in tale evenienza non si tratterebbe di un errore di calcolo, ma di una discordante (rectius: antitetica), rispetto alla realtà, classificazione dell’abuso edilizio operata con la contestata determinazione. Accettare l’impostazione difensiva del Comune significherebbe perciò sovvertire il senso della contestata determinazione, sul quale si è basata la difesa del ricorrente.
La modifica postuma della motivazione, non prevedibile né intuibile al momento della conoscenza dell’atto impugnato o nella fase endoprocedimentale, concreterebbe quindi una violazione del diritto di difesa. Si tratterebbe sostanzialmente della inammissibile introduzione di una istruttoria diversa, operata dalla difesa del Comune, sostitutiva di quella svolta dal Servizio edilizia privata ad esito della domanda di sanatoria, e finalizzata a legittimare (rectius: originare) un vero e proprio irrituale ripensamento della qualificazione dell’abuso edilizio e, quindi, dell’atto impugnato.
4. Del resto la giurisprudenza amministrativa, in tema di integrazione postuma della motivazione (peraltro nel caso di specie si tratterebbe, più radicalmente, di modifica postuma), ha precisato che il relativo vizio risulta dequotato solo nelle ipotesi in cui il difetto di motivazione successivamente esternata non abbia leso il diritto di difesa dell'interessato e nei casi in cui, in fase infraprocedimentale, risultino percepibili le ragioni sottese all'emissione del provvedimento gravato (Cons. Stato, IV, 4.3.2014, n. 1018;idem, 26.2.2015, n. 969), fattispecie queste che esulano dalla determinazione adesso contestata e dal relativo procedimento (nel quale rileva una motivazione antitetica a quella rivelata in giudizio dalla difesa del Comune).
5. Non può quindi valere l’indirizzo giurisprudenziale (TAR Sicilia, Palermo, II, 24.2.2016, n. 549) secondo cui non occorre (e quindi sarebbe irrilevante) la motivazione negli atti con i quali viene definita l'entità del contributo dovuto per il rilascio di una concessione edilizia in sanatoria o l’entità dell'oblazione in quanto espressione di attività non discrezionale relativa ad importi la cui misura è determinata in base alla tabella allegata alla legge e individuata con meri calcoli matematici (TAR Piemonte, I, 16.2.1990, n. 65).
Invero, ad avviso del Collegio, la motivazione è parte sostanziale dell’atto laddove l’interessato desuma da essa la qualificazione dell’abuso edilizio operata dall’amministrazione, il connesso criterio di quantificazione dell’importo dovuto, la sua coerenza col dettato legislativo e la legittimità o meno dei parametri di calcolo individuati e applicati dall’amministrazione rispetto alla natura dell’abuso, talché il computo dell’oblazione non coerente con la tipologia dell’abuso edilizio addotta nella motivazione, ancorché si tratti di mero calcolo matematico, è sintomatico di un travisamento sui presupposti di fatto del conteggio effettuato, di una contraddittorietà interna all’atto e di una carenza (rectius: erroneità) dell’istruttoria, ovvero è sintomatico di un vizio che non è meramente formale o procedurale ma attiene al profilo sostanziale della determinazione e come tale ne inficia in radice la validità.
6. Con la seconda doglianza la ricorrente contesta la monetizzazione dei posti auto, basata sull’erroneo presupposto della necessità di 3 e non di 2 posti auto.
Il mezzo è condivisibile.
La gravata determinazione monetizza tre posti auto in dichiarata applicazione della deliberazione della giunta comunale n. 1 dell’11.1.2011, secondo la quale, per gli immobili ricadenti nella zona denominata “Tessuti storici”, “l’onere dovuto per la monetizzazione delle aree a parcheggio pertinenziale è determinato in euro 4.510 per ogni posto auto”, sul presupposto (esplicitato nella premessa di detta deliberazione) che “la quantità di parcheggi di cui sia possibile la monetizzazione corrisponde a un posto auto, comprensivo dello spazio di manovra, pari a mq. 25 (parcheggi privati per la sosta stanziale di cui alla legge n. 122/1989) per ciascuna delle nuove unità immobiliari ottenute dal frazionamento”. La suddetta delibera, in parte qua, è in linea con l’art. 32 del regolamento urbanistico, secondo il quale “ Il frazionamento delle unità immobiliari esistenti deve prevedere la localizzazione di un posto auto per ciascuna delle nuove unità;esso dovrà essere reperito nel resede di riferimento o entro di un raggio di m. 500, in aree legate da vincolo, da trascriversi nei registri immobiliari. In caso di impossibilità di reperimento dei posti auto, è consentita la monetizzazione” .
Il tenore letterale dell’impugnata determinazione e la ivi dichiarata applicazione del criterio di calcolo sancito dalla delibera della giunta comunale n. 1/2011 (in virtù della quale a ogni unità immobiliare deve corrispondere, ai fini della monetizzazione, un posto auto di mq. 25) dimostrano che il Comune ha considerato, come risultato del frazionamento eseguito dalla parte istante, l’esistenza di tre unità immobiliari, ovvero un numero di unità eccedente quello effettivamente realizzato dal ricorrente;infatti la domanda di sanatoria edilizia presentata dal signor Vescovi aveva ad oggetto due unità immobiliari (la relazione allegata alla suddetta domanda specificava che “resta da regolarizzare il cambio di destinazione da commerciale a direzionale, oltre alla suddivisione in due separate unità immobiliari, oltre alla residua porzione, di proprietà di terzi, che non costituisce oggetto della presente”: documento n. 1 depositato in giudizio il 7.1.2015), cosicché il Comune avrebbe dovuto monetizzare due posti auto anziché tre.
7. La difesa dell’Ente replica che l’operata monetizzazione sarebbe conforme alla legge n. 122/1989, la quale prescrive, per ogni 10 metri cubi di volume realizzato, 1 metro quadrato di superficie a parcheggio.
Orbene, tale obiezione si risolve in una inammissibile modifica postuma della motivazione dell’atto impugnato, il quale si fonda espressamente sulla regola della monetizzazione di un posto auto per ciascuna unità immobiliare realizzata;ciò in applicazione della deliberazione della giunta comunale n. 1/2011 e dell’art. 32 del regolamento urbanistico, i quali basano il calcolo della superficie a parcheggio non sul volume dell’unità immobiliare ottenuta dal frazionamento ma sul numero di unità immobiliari.
Vale al riguardo la parte finale del giudizio espresso dal Collegio nella trattazione della prima censura.
In conclusione, il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, il Comune di Pistoia deve restituire alla ricorrente le somme pagate in eccesso rispetto a quanto effettivamente dovuto, oltre ad interessi legali decorrenti dal giorno della notificazione del ricorso fino alla data del pagamento, ex art. 2033 cod. civ..
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come indicato nel dispositivo.