TAR Roma, sez. 2Q, sentenza 2021-05-10, n. 202105404
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Testo completo
Pubblicato il 10/05/2021
N. 05404/2021 REG.PROV.COLL.
N. 09453/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9453 del 2008, proposto da
Associazione Circolo Culturale Olimpo 1, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’avvocato A C e dall’avvocato A R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Ladispoli, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’avvocato M P e dall’avvocato B C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
P C non costituito in giudizio;
per l’annullamento
- dell’ordinanza n. 25 del 15 maggio 2018 del Comune di Ladispoli di demolizione di opere abusive e ripristino dello stato dei luoghi.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Ladispoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 25 del d.l. n. 137/2020;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 gennaio 2021 la dott.ssa S C;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso ritualmente notificato, l’Associazione specificata in epigrafe ha chiesto l’annullamento, previa sospensione della sua efficacia, dell’ordinanza n. 25 del 15 maggio 2008, con la quale il Responsabile del Servizio 2° dell’Area IV del Comune di Ladispoli le ha ordinato la demolizione di alcune opere edilizie, realizzate sul terreno sito in Ladispoli, alla Via Aurelia km. 37+300, ove la stessa ha fissato la propria sede legale.
1.1. Segnatamente, con la citata ordinanza, il Comune ha contestato all’Associazione ricorrente di aver realizzato in assenza e/o difformità dai prescritti titoli autorizzativi le opere così descritte:
- « il corpo principale dell’ex magazzino agricolo autorizzato non concessione n.133/90 successivamente ampliato sui due lati attraverso la chiusura delle due tettoie di pertinenza, risulta destinato, nella parte di magazzino agricolo rimanente, ad attività diverse da quelle connesse con l’attività agricola, il tutto concretato attraverso la realizzazione di un piano soppalcato e di numerose opere finalizzate allo svolgimento di tale attività;
- l’ingresso in struttura metallica e vetro concretante una volumetria di mc 39 circa risulta non autorizzato e costituisce quindi un ampliamento planivolumetrico non assentito;
- il manufatto destinato a centrale termica e concretante una volumetria di mc 37 circa risulta non autorizzato e costituisce quindi un ampliamento planivolumetrico non assentito;
- la casetta in legno di tipo prefabbricato concretante una volumetria di mc 35 circa risulta non autorizzata e costituisce quindi un ampliamento planivolumetrico non assentito;
- la realizzazione della piscina ovale delle dimensioni di ml 5,00x10,00 risulta non autorizzata;
- la realizzazione di n.7 capanne con struttura in legno, tetto a doppia falda realizzato con pannelli coibentati tipo "sandwich" e chiuse sui lati con cannucce e rete risulta non autorizzata;
- la realizzazione delle tettoie in legno con copertura in paglia adibite a zona Bar ed esibizione risultano non autorizzate;
- il manufatto destinato a “Docce e Bagni” realizzato con muratura in blocchetti di tufo mista a struttura in legno con copertura in pannelli coibentati tipo "sandwich" concretante una volumetria di mc 72 circa risulta non autorizzato e costituisce quindi un ampliamento planivolumetrico non assentito ».
1.2. In sostanza l’Amministrazione ha qualificato tali opere ampliamenti planovolumetrici integranti variazioni essenziali ex art. 32 del DPR n. 380/2001.
1.3. La ricorrente ha denunciato l’illegittimità dell’ordine di demolizione suddetto per violazione di legge ed eccesso di potere sotto plurimi profili, deducendo di essere un’associazione sociale e culturale priva di fini di lucro, rispetto alla quale non avrebbero potuto essere contestati gli abusi sopra descritti trattandosi di interventi edilizi di “minima entità” e di sostanziale “irrilevanza” sul piano urbanistico-edilizio, riguardanti principalmente “opere strumentali rispetto alla destinazione principale a sede di Circolo ed utilizzate per lo più per la somministrazione di alimenti e bevande e per l’esercizio delle altre attività connesse”. L’Amministrazione, quindi, da un lato, non avrebbe tenuto conto della “specialità” della destinazione dell’immobile principale a sede legale del circolo culturale ricorrente, in cui vengono svolte attività sociali regolarmente autorizzate;dall’altro, non avrebbe considerato la natura meramente pertinenziale delle strutture contestate.
1.4. Inoltre, sotto il profilo procedimentale, l’ordinanza sarebbe stata adottata a) in mancanza di alcun “tempestivo preavviso che potesse consentire un apporto partecipativo da parte degli interessati”, b) in assenza di idonea motivazione relativamente all’istruttoria svolta e alle ragioni dell’asserito carattere abusivo delle opere, considerata la normativa speciale di cui all’art. 32 della legge n. 383/2000 (vigente all’epoca dei fatti), in base alla quale sarebbe consentito di localizzare le sedi delle associazioni di promozione sociale in tutte le parti del territorio comunale, essendo esse compatibili con ogni destinazione d’uso.
2. Si è costituta in giudizio l’Amministrazione comunale mediante articolata memoria, chiedendo il rigetto del ricorso per infondatezza.
3. Con l’ordinanza n. 5317/2008, adottata alla camera di consiglio del 13 novembre 2008, la Sezione ha respinto la domanda di sospensione in via cautelare.
4. A seguito di domanda di fissazione d’udienza in data 1 febbraio 2016, la causa è stata ritualmente chiamata all’udienza pubblica del 19 gennaio 2021 e, a tale udienza, è stata trattenuta in decisione ex art. 25 del d.l. n. 137/2020.
5. La prima censura poggia sull’assunto per cui il contestato mutamento d’uso si porrebbe in contrasto con l’art. 32 della legge n. 383/2000, il quale, in tesi, consentirebbe alle associazioni sociali e culturali (come la ricorrente) di localizzare le sedi di promozione sociale in tutte le parti del territorio comunale, cosicché non sarebbe configurabile alcun tipo di abuso edilizio.
5.1. La tesi non può essere condivisa.
5.2. L’art. 32, comma 4, della legge n. 383/2000 (oggi riprodotto nell’art. 71 del decreto legislativo n. 179/2017) posto a fondamento della censura, così recitava: “ La sede delle associazioni di promozione sociale ed i locali nei quali si svolgono le relative attività sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968, indipendentemente dalla destinazione urbanistica ”.
5.3. Orbene tale disposizione non riconosce affatto alle associazioni di promozione sociale la facoltà di realizzare liberamente opere edilizie a prescindere dal rilascio dei pertinenti titoli edilizi, ma contiene esclusivamente una norma di favore relativamente alla possibilità di fissare la propria sede legale “indipendentemente dalla destinazione urbanistica” di quest’ultima. Nella fattispecie in esame, invece, l’ordinanza di demolizione non ha ad oggetto l’immobile in cui la ricorrente ha scelto di stabilire la propria sede legale, a prescindere, appunto, dalla disciplina urbanistica impressa nell’area ove questo si trova, bensì le opere realizzate successivamente alla fissazione della sede legale medesima, con le quali è stata trasformata la destinazione della struttura edilizia originaria, e ciò in una zona classificata omogenea agricola “F” – sottozona “F/1”, con indice di fabbricabilità pari a 0,02 mc/mq.
Non appare dubitabile, quindi, che l’Associazione, prima di eseguire gli interventi edilizi sopra descritti, avrebbe dovuto chiedere al Comune di Ladispoli il necessario titolo abilitativo (permesso di costruire).
5.4. Ed invero, le opere in concreto realizzate integrano variazioni essenziali poiché hanno determinato ampliamenti che hanno alterato la struttura, la destinazione e le dimensioni dell’immobile originario, con evidente aumento del carico urbanistico di quest’ultimo.
5.5. Quanto, poi, alla pretesa natura meramente pertinenziale di alcune delle opere contestate, deve del pari rammentarsi che nell’ambito che qui interessa viene in considerazione un concetto di pertinenza edilizia più restrittivo di quello delineato dal codice civile. Segnatamente, la pertinenza edilizia è stata identificata esclusivamente con manufatti che, posti in relazione con l’edificio principale, risultino: a) di dimensioni modeste;b) non suscettibili di autonoma utilizzazione ovvero funzionalmente destinati ad offrire un servizio e/o un ornamento mediante un nesso oggettivo, cioè un nesso che, per natura e struttura dell’opera, non consente una diversa destinazione;c) tali da non alterare in modo significativo l’assetto del territorio.
5.6. Ebbene, la tettoia descritta nell’ordinanza, realizzata a ridosso del preesistente fabbricato, così come la piscina, avente una superficie di circa 50 mq., e le “capanne” edificate nell’area di pertinenza dell’edificio sono opere che si prestano tutte ad un’utilizzazione autonoma e non hanno modeste dimensioni, sicché non possono essere sussunte nella categoria delle pertinenze edilizie evocata dalla ricorrente.
5.7. Quanto al preteso difetto di motivazione dell’impugnato provvedimento, è sufficiente ribadire il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui l’ordinanza di demolizione non necessita di una specifica motivazione relativamente al pubblico interesse perseguito, atteso che si tratta di un atto vincolato rispetto al quale l’interesse pubblico alla rimozione è in re ipsa , ma è sufficiente che essa contenga l’enunciazione dei presupposti di fatto e di diritto rilevanti ai fini dell’individuazione della fattispecie di illecito e dell’applicazione della corrispondente misura sanzionatoria prevista dalla legge.
5.8. Infine, sotto il profilo procedimentale, è del pari principio giurisprudenziale consolidato quello per cui l’ordinanza di demolizione, proprio in ragione del suo carattere vincolato, non richieda la comunicazione di avvio ex art. 7 della legge n. 241 del 1990 di avvio del procedimento repressivo dell’abuso edilizio. Né può ritenersi che l’indicazione dell’area di sedime da acquisire al patrimonio comunale costituisca requisito di legittimità dell’ordinanza di demolizione, giacché siffatta specificazione è elemento essenziale del distinto provvedimento con cui l’Amministrazione accerta la mancata ottemperanza alla demolizione da parte dell’ingiunto.
6. Pertanto, alla luce di tutte le considerazioni che precedono, il ricorso deve essere respinto sotto tutti i profili sollevati.
7. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.