TAR Roma, sez. 1Q, sentenza 2011-04-06, n. 201103036
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
N. 03036/2011 REG.PROV.COLL.
N. 04176/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4176 del 2006, proposto da:
S B, rappresentato e difeso dall’Avv. F L ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo (Studio Lubrano &Associati) in Roma Via Flaminia, n. 79;
contro
il Comune di Genazzano in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. M V presso il cui studio in Roma, Via Paolo Emilio n. 59 domicilia;
per l'annullamento
dell’ordinanza n. 1 del 16 febbraio 2006 con la quale il Comune di Genazzano ha ingiunto al ricorrente la sospensione dei lavori e la demolizione di opere abusive realizzate, nonché di ogni altro atto, connesso, presupposto e consequenziale;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Genazzano;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 marzo 2011 il dott. P B e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso notificato all’Amministrazione comunale di Genazzano in data 19 aprile 2006 e depositato il successivo 10 maggio, il ricorrente impugna l’ordinanza con la quale quell’amministrazione comunale gli ha ingiunto la demolizione di opere abusive, sottoponendole, altresì, a sequestro.
Espone il ricorrente di avere anche presentato domanda di condono ex art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326 per le opere in questione acquisita al protocollo comunale al numero 2441 in data 1° aprile 2004.
Avverso l’ingiunzione a demolire il ricorrente oppone:
1. Violazione degli articoli 7, 8 e 10 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
2. Violazione e falsa applicazione degli articoli 10, 44 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380;eccesso di potere sotto tutti i profili sintomatici;in particolare travisamento dei fatti e degli atti, contraddittorietà.
Conclude chiedendo l’accoglimento dell’istanza cautelare e del ricorso.
L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio, ha contestato tutte le doglianze ponendo in rilievo che il ricorrente è stato pure condannato per gli abusi edilizi di cui è questione con sentenza n. 107 del 25 ottobre 2005 emessa dal Tribunale di Tivoli ed ha rassegnato dunque opposte conclusioni.
Alla Camera di Consiglio del 29 maggio 2006 l’istanza cautelare è stata accolta ai fini della valutazione della domanda di condono.
Con memoria per l’udienza pubblica parte ricorrente rappresenta che non vi è stata ancora una pronuncia sulla domanda di condono.
Il ricorso infine è stato trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 3 marzo 2011.
DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va pertanto respinto.
Con esso parte ricorrente impugna l’ordinanza con la quale il Comune di Genazzano gli ha ingiunto la demolizione di opere realizzate senza titolo abilitativo e consistenti: “nella realizzazione di un solaio piano costituito da travetti prefabbricati in cemento armato e pignatte, il tutto gettato con conglomerato cementizio;sono stati inoltre posti in opera fogli di guaina bituminosa alla base dei pilastri;sono state smontate tutte le impalcature e ponteggi in ferro”;nel prosieguo l’ordinanza rileva che le opere ammontano ad una superficie complessiva di mq. 183,00 per una volumetria di mc. 514,00 e che il“…solaio presenta una sporgenza rispetto alla struttura verticale di m. 1,30 circa lungo tutto il perimetro”. Le opere già sottoposte a sequestro del 28 ottobre 2003, con la stessa ordinanza sono state sottoposte nuovamente a sequestro con nomina del ricorrente quale custode giudiziario.
2. Avverso tale provvedimento l’interessato lamenta che è mancata completamente la comunicazione di avvio del procedimento e che, nell’ordinanza il Comune non dà atto che per l’opera abusiva in questione, che fa parte di un immobile adibito ad attività agrituristica, è stata presentata domanda di condono edilizio ai sensi del D.L. n. 269 del 2003 acquisita al protocollo comunale al n. 2441 in data 1° aprile 2004 e che ai fini della concessione del detto condono basta che l’edificio sia stato completato al rustico. Nel caso in esame non solo l’opera è idonea ad usufruire del richiesto condono, ma gli abusi contestati evidenziano opere quali la posa in opera di fogli di guaina bituminosa non modificanti in alcun modo le dimensioni e la volumetria dell’immobile. D’altra parte l’intervento del ricorrente sulla struttura è stato determinato dalle infiltrazioni di acqua nel tetto, causate dal ritardo con cui l’Amministrazione comunale sta istruendo la pratica di condono.
In particolare il ricorrente insiste che ai fini dell’applicazione del cosiddetto condono edilizio è sufficiente provare, ai sensi del precedente articolo 31 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 che l’edificio possa essere considerato ultimato laddove sia stato eseguito il rustico, considerandosi come tale il completamento di tutte le strutture essenziali che configurano l’opera nella sua fondamentale volumetria.
3. La censura principalmente proposta è smentita dalla ricostruzione in fatto operata dall’Amministrazione comunale.
Quest’ultima, infatti, rappresenta che in data 28 ottobre 2003 gli agenti del Comando di Polizia Municipale accertavano che il ricorrente aveva realizzato su un immobile preesistente “una sopraelevazione di forma irregolare della superficie coperta di m. 13,80 e per complessivi mq. 182,73”.
Con ordinanza n. 144/2003 veniva ingiunto all’interessato di sospendere i lavori e di demolirli, essendo realizzati senza permesso a costruire.
Il ricorrente allora presentava in data 1° aprile 2004 la istanza di condono ai sensi della legge n. 326 del 2003, come in narrativa precisato, dichiarando che la sopraelevazione era ultimata al 10 febbraio 2003.
In data 25 ottobre 2005 il Tribunale di Tivoli – Sezione Distaccata di Palestrina con sentenza n. 107/05 condannava il ricorrente per il reato di abuso edilizio irrogandogli la pena di 5 mesi di arresto e E.6.000,00 di ammenda oltre il pagamento delle spese processuali.
Dalle risultanze processuali è emerso che, quanto alla ultimazione dell’opera, nonostante le dichiarazioni dell’interessato che ha asserito di essere stato costretto a causa delle ingenti piogge a ripristinare il tetto dello stabile adibito alla sua attività di agriturismo, “non vi è traccia di una preesistente sopraelevazione, né gli operanti hanno rinvenuto sul posto tracce di un preesistente ampliamento e neanche di ruderi o materiali di risulta”. Nel prosieguo la sentenza rileva che “E’ pacifico, per quanto dichiarato dai testi e dallo stesso imputato, oltre che rappresentato fotograficamente, che l’opera non era “ultimata” alla data del 31 marzo 2003, infatti all’atto del sequestro si presentava priva di tamponature laterali e di copertura, necessari per considerare l’opera ultimata”.(sentenza del Tribunale di Tivoli, 25 ottobre 2005, n. 107/05)
Invero dall’apparato fotografico, offerto a corredo della memoria di costituzione dall’Amministrazione comunale, si evince che alla data del 28 ottobre 2003 sull’edificio in questione non si stava sostituendo il tetto, ammalo rato da infiltrazioni, ma insistevano le impalcature della sopraelevazione, vi erano i pilastri (ben 14) in cemento armato ed un abbozzo della copertura ad essa relativa, laddove alla data 1° febbraio 2006 il tetto della sopraelevazione risultava completato e le impalcature rimosse, come emerge dalla ordinanza impugnata.
Di conseguenza le opere non potevano essere considerate ultimate alla data del 31 marzo 2003, né alla data del 10 febbraio 2003 dichiarata nella istanza di condono. Come specifica la sentenza del Tribunale di Tivoli “la nozione di “ultimazione” dell’immobile, ai fini dell’applicazione della sanatoria edilizia deve in ogni caso essere tratta dalla formulazione dell’art. 31 della legge n. 47/1985 che considera tali gli edifici per i quali sia completato il rustico ed eseguita la copertura – sì da rendere immodificabile la volumetria impegnata” e tali osservazioni trovano conferma nella cospicua giurisprudenza amministrativa sull’argomento (tra le tante TAR Toscana, sezione III, 6 aprile 2010, n. 927, Consiglio di Stato, sezione IV, 12 marzo 2009, n. 1474).
Tali considerazioni inducono ad escludere l’utilità dell’apporto che la comunicazione di avvio del procedimento avrebbe potuto far conseguire all’Amministrazione, come sostenuto, invece, dal ricorrente con la prima doglianza, qualora questa l’avesse inviata al ricorrente, il quale se ne duole principalmente col ricorso ed insiste con la memoria per l’udienza. In presenza di una sentenza di condanna del ricorrente per l’abuso specificamente sanzionato dapprima nel 2003 e successivamente nel 2006 l’Amministrazione non aveva altra possibilità se non adottare il provvedimento in esame, che viene considerato costantemente dalla giurisprudenza quale espressione di attività vincolata e che non deve necessariamente essere preceduto dall’osservanza delle garanzie procedimentali alle quali presiede l’art. 7 della legge n. 241 del 1990, (TAR Campania, sezione IV, 13 gennaio 2011, n. 84). Al riguardo va pure osservato che anche la mancanza della comunicazione di avvio del procedimento, non può comportare più l’annullamento dell’atto “qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato” (art. 21 octies della legge n. 241 del 1990) (TAR Lazio, sezione I quater, 10 dicembre 2010, n. 36046) e l’Amministrazione comunale ha appunto dimostrato di non aver potuto operare diversamente.
4. Per le superiori considerazioni il provvedimento va trovato scevro dalle dedotte censure ed il ricorso va, di conseguenza, respinto.
5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.