TAR Firenze, sez. II, sentenza 2018-06-19, n. 201800884

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. II, sentenza 2018-06-19, n. 201800884
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 201800884
Data del deposito : 19 giugno 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/06/2018

N. 00884/2018 REG.PROV.COLL.

N. 01757/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1757 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Soc. Verde Ambiente S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati R A, S D R, G C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. G C in Firenze, via Gino Capponi n. 26;

contro

Regione Toscana, in persona del Presidente pro tempore, Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Toscana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dall'Avv. A D, con domicilio eletto presso l’Ufficio Legale Regione Toscana, in Firenze, piazza dell’Unità Italiana, 1;
Comune di Campagnatico, Provincia di Grosseto, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

- dell'atto n. 421442 del 19 ottobre 2016, con cui la Regione Toscana - Direzione Ambiente e

Energia - Settore Autorizzazioni Ambientali ha stabilito di concludere il procedimento con l'archiviazione della domanda di Autorizzazione Unica ambientale presentata da Verde Ambiente srl in data 9 agosto 2016, qualora la ricorrente non avesse presentato la documentazione integrativa richiesta nello stesso atto dall'Amministrazione, e di ogni altro atto ad esso presupposto,

conseguenziale e comunque connesso, ed in particolare, per quanto possa occorrere, della comunicazione n. 447493 del 7 novembre 2016 della Regione Toscana al legale della ricorrente, della nota prot. n. 508070 del 15 dicembre 2016 della Regione Toscana e della nota del 25 novembre 2016 dell'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana;

nonché per la condanna della REGIONE TOSCANA, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, al rilascio dell'Autorizzazione Unica Ambientale richiesta dalla ricorrente in data 9

agosto 2016;

- e a seguito dei motivi aggiunti depositati il 12 settembre 2017;

- dell'atto prot n. 250032 della Regione Toscana, notificato alla ricorrente il 16 maggio 2017, recante "comunicazione motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza" e della comunicazione del SUAP dell'Unione Amiata Grossetana del 20 giugno 2017, avente ad oggetto “preavviso di diniego pratica 523/2016”.

- e a seguito dei motivi aggiunti depositati il 15 dicembre 2017;

del decreto dirigenziale n. 13332 del 15 settembre 2017, con cui la Regione Toscana ha disposto di non rilasciare alla Società ricorrente l'Autorizzazione unica ambientale richiesta nonché del provvedimento di diniego espresso dallo Sportello Unico per le Attività produttive dell' Unione dei Comuni Montani Amiata Grossetana n. 12456 del 4 ottobre 2017, in ordine alla stessa domanda, entrambi conosciuti dalla ricorrente il 4 ottobre 2017.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Toscana Presidente e di Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Toscana;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2018 il dott. N F e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Verde Ambiente s.r.l., società operante nel settore della raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti non pericolosi e fanghi, volendo avviare l'attività di raccolta di fanghi derivanti dai processi di depurazione delle acque reflue domestiche o assimilate per utilizzarli in attività agricole di terzi, recuperandoli mediante il loro spandimento ed uso su terreni agricoli, il 9 agosto 2016, ha presentato domanda di autorizzazione unica ambientale, in sostituzione (come previsto dall'art. 3, comma 1, lett. f) del dpr 13 marzo 2013, n. 59) dell'autorizzazione all'utilizzo in agricoltura dei fanghi derivanti dal processo di depurazione, di cui all'articolo 9 del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 99.

L'istanza aveva ad oggetto l’attività di recupero dei fanghi, "mediante il loro spandimento sul suolo o qualsiasi altra applicazione sul suolo e nel suolo", secondo quanto previsto dall'art. 2, comma 1, lett. d) del d.lgs. n. 99/92.

Alla domanda era allegata la documentazione richiesta dal d.lgs. n. 99/92, dalla deliberazione della Giunta regionale toscana 28 settembre 2015, n. 905 e dal Regolamento regionale 25 febbraio 2004, n. 14/R.

Con nota prot. n. 393995 del 3 ottobre 2016, la Regione ha chiesto il parere all'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (d'ora in avanti, "ARPAT'), da rendersi entro 60 giorni;
ha chiesto altresì alla Provincia di Grosseto il parere di conformità dell'intervento in relazione al Piano territoriale di coordinamento provinciale, da rendersi entro 30 giorni.

Né l'ARPAT né l'Amministrazione provinciale si sono pronunciate.

La Regione, con provvedimento prot. n. 421442 del 19 ottobre 2016, ha chiesto all'impresa di presentare - entro 30 giorni - documentazione integrativa ed ha subordinato il rilascio dell'AUA alla presentazione dei documenti richiesti.

In particolare, la Regione ha chiesto a Verde Ambiente:

- " una relazione sull'impianto di provenienza di ogni tipo di fango, firmata dal Responsabile dell'impianto nel quale i fanghi sono prodotti, contenente obbligatoriamente le seguenti informazioni: a) i diversi tipi di lavorazione degli insediamenti produttivi da cui derivano i reflui;
b) dichiarazione sottoscritta dal responsabile dell'impianto relativa alla eventuale autorizzazione al trattamento di rifiuti liquidi;
c) tipologia e caratteristiche degli scarichi che recapitano agli impianti di depurazione, con particolare attenzione ai rifiuti liquidi eventualmente ricevuti come extraflussi;
d) descrizione del ciclo che origina i fanghi e i trattamenti a cui sono stati sottoposti con particolare riferimento al processo di stabilizzazione adottato;
e) natura, composizione, quantità annua prodotta (espressa sul tal quale e come sostanza secca) e caratteristiche di ogni tipologia di fango
";

- per i fanghi prodotti dal singolo impianto (con riserva di " individuare ulteriori parametri da sottoporre a verifica analitica "), " la documentazione relativa alla caratterizzazione dei fanghi da spandere, che dovrà essere estesa, oltre ai parametri previsti dal d.lgs. 99/92, anche ai seguenti parametri selezionati sulla base delle conoscenze al momento disponibili: Idrocarburi (distinti nelle componenti leggera con C<=12 e pesante con C>12);
As, Se, Tl e Crw;
BTEX;
IPA;
PCB;
PCDD/PCDF;
Tricloroetilene;
Tetracloroetilene
";

- che il campionamento dei fanghi fosse effettuato " in conformità alla UNI EN 150 56667-13 " e che le successive analisi fossero condotte " con metodiche analitiche aventi adeguato limite di rilevabilità, auspicabilmente almeno pari ad 1/10 dei limiti previsti per la valutazione della contaminazione dei suoli di cui alla colonna A della Tabella I Allegato 5 al Titolo V della Parte quarta del d.lgs. n. 152/2006, comunque in ogni caso ampiamente inferiore ai limiti da verificare ";

- che gli esiti analitici fossero " utilizzati per produrre certificazione, resa da laboratorio pubblico o privato qualificato con i requisiti di cui all'art. 10, co. 2, del d.lgs. n. 99/92, secondo i criteri dell'allegato D alla parte quarta del d.lgs. n. 152/2006 per la dimostrazione della non pericolosità del rifiuto ";

- la verifica, " sia nei fanghi che nel suolo " del rispetto " per tutti i parametri indagati dei valori limite stabiliti dal d.lgs. n. 99/92 nonché dei valori di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) di cui alla Tabella 1, colonna A, dell'allegato 5 alla Parte IV del d.lgs. n. 152/2006 ".

A seguito delle memorie procedimentali presentate da Verde Ambiente, la Regione, con nota n. 447493 del 7 novembre 2016, ha fornito chiarimenti in ordine alle modalità di individuazione delle aree oggetto della spandimento dei fanghi e della programmazione triennale dell'attività;
ha altresì ribadito la " necessità di approfondimenti di natura tecnica da parte di questa Amministrazione, emersa dalle indagini penali in corso relative allo spandimento fanghi nel territorio regionale ", confermando così la richiesta di integrazioni del 12 ottobre 2016 (trasmessa per altre pratiche di Verde Ambiente ma sostanzialmente identica a quella contenuta nell'atto n. 421442/2016, qui impugnato).

Con nota n. 508070 del 15 dicembre 2016, la Regione ha ribadito che:

- " la condizione di assenza di sostanze pericolose deve intendersi correlata al danno atteso per il terreno, per le colture, per gli animali e per l'uomo e per l'ambiente in genere e pertanto riferita alla conformità dei valori di concentrazione ai limiti (CSC) stabiliti nella colonna A della Tabella n° 1 dell'Allegato V alla Parte IV del d.lgs. 152/06 e s. m. i. per le bonifiche di aree verdi ";

- " le integrazioni sono state richieste al proponente (e non acquisite da un soggetto terzo) conformemente alla norma regionale che disciplina lo spandimento dei fanghi in agricoltura (D.P.GR. 14/R/2004). In particolare l'art. 11 comma 1 del suddetto Regolamento regionale rimanda i contenuti dell'istanza agli allegali 4, 4°, 4b e 4c. La richiesta di integrazione del 12.10.2016 esplicita i contenuti dell'allegato 4 punto 8 del Regolamento regionale 14/R/2004, al fine di accertare le condizioni di cui all'art. 2 comma 1 del d.lgs. 99/92 ";

- riferendosi alla richiesta di integrazioni del 12 ottobre 2016 (identica all'atto n. 421442/2016, qui impugnato), " le informazioni del ciclo produttivo di origine e della quantità dei fanghi di cui si dispone, se ritenute esaustive ed aggiornate alla luce delle criticità emerse, possono essere semplicemente riconfermate ".

Nel frattempo, con atto del 27 maggio 2016, l'ARPAT aveva chiarito, in conformità alla disciplina vigente, che avrebbe limitato il proprio parere " alla conformità rispetto a quanto previsto dal D.lgs. 99/92 ";
pur considerando " necessario che al richiedente [fosse] ricordato il rispetto di quanto previsto dalla parte quarta, titolo quinto del d.lgs. 152/06 (rispetto CSC suoli ed acque) ";
riteneva inoltre opportuno che la caratterizzazione del fango e dei suoli di destinazione fosse integrata dai parametri As, Crvi, Cr tot, Se, IPA, PCB e idrocarburi totali.

Con la nota del 25 novembre 2016, invece, 1'ARPAT ha ritenuto che si dovesse fare riferimento anche ai valori limite tabellari previste per le CSC del suolo (colonna A) dal titolo E parte IV, del d.lgs. 152/06.

Con il ricorso principale la Verde Ambiente ha impugnato i suddetti atti articolando cinque motivi.

In particolare, con il primo motivo ha dedotto la violazione di tutta la normativa rilevante nella fattispecie, ovvero la violazione e falsa applicazione del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 99;
degli artt. 3, 4 e 5 del d.p.r. 13 marzo 2013 n. 59;
del Regolamento regionale 25 febbraio 2004, n. 14;
del d.p.c.m. 8 maggio 2015 recante "adozione del modello semplificato e unificato per la richiesta di Autorizzazione Unica Ambientale";
della deliberazione della Giunta regionale 28 settembre 2015, n. 905, di approvazione del modulo unico regionale per l'istanza di AUA;
in quanto, secondo la ricorrente, la domanda presentata dalla Verde Ambiente era da ritenersi conforme alla suddetta normativa e alla modulistica approvata dalla Regione. Del resto, nel caso di specie, l’ARPAT non aveva espresso il suo parere entro il termine (60 giorni) previsto dalla Carta dei Servizi dell'Agenzia, e pure la Provincia di Grosseto non si era pronunciata nel termine di 30 giorni. E secondo quanto stabilito dall'Allegato A della Deliberazione della Giunta regionale n. 1227/2015 (modificata dalla Deliberazione della Giunta regionale n. 1337/2015), " qualora i pareri non pervengano entro i termini sopra indicati si considereranno acquisiti e favorevoli ad esclusione dei pareri resi da soggetti competenti in materia ambientale designati dalla norma regionale come autorità competenti nel caso di titoli abilitativi che prevedano l'autorizzazione espressa ". Per cui, secondo la ricorrente, i pareri di ARPAT e della Provincia avrebbero dovuto essere dati per acquisiti e favorevoli. Di qui una prima ragione d’illegittimità della richiesta d’integrazione documentale del 19 ottobre 2016.

Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto la tardività della suddetta richiesta da parte della Regione, in quanto, in base all’art. 4, comma 3, del d.p.r. 13 marzo 2013, n. 59, nel procedimento finalizzato al rilascio dell'AUA, l'Autorità competente può chiedere l'integrazione della domanda non oltre 30 giorni dal ricevimento della stessa. A seguito della scadenza di questo termine, l’Amministrazione esaurirebbe il potere di chiedere ulteriore documentazione.

Nel caso di specie, Verde Ambiente aveva presentato la domanda il 9 agosto 2016, e solo il 19 ottobre 2016, la Regione - a distanza di oltre due mesi dalla presentazione dell'istanza - aveva chiesto all'impresa di inoltrare documentazione integrativa, esercitando così un potere che, secondo la ricorrente, la Regione aveva ormai esaurito.

Con lo stesso motivo la ricorrente ha dedotto l’illegittimità del parere dell’ARPAT del 25 novembre 2016 per contraddittorietà e difetto di motivazione, essendosi disposto, a suo dire, l’annullamento del precedente atto dell'Agenzia del 27 maggio 2016, senza illustrazione delle ragioni che potessero giustificare una decisione diversa.

Con il terzo motivo la Verde Ambiente ha dedotto l’illegittimità dell’atto del 19 ottobre 2016, specie laddove la Regione aveva imposto alla ricorrente la presentazione di: " una relazione sull'impianto di provenienza di ogni tipo di fango ", e della documentazione relativa alla caratterizzazione dei fanghi " estesa, oltre ai parametri previsti dal d.lgs. n. 99/92 " anche ad altri parametri;
ed infine, l’effettuazione della verifica, " sia nei fanghi che nel suolo ", del " rispetto, per tutti i parametri indagati, dei valori limite stabiliti dal d.lgs. 99/1992 nonché dei valori di Concentrazione Soglia di Contaminazione (CSC) di cui alla tabella 1, colonna A, dell'allegato 5 alla parte quarta del d.lgs. 152/2006 ". La Regione, quindi, avrebbe, secondo la tesi difensiva, arbitrariamente imposto a Verde Ambiente l'osservanza di parametri e condizioni ulteriori rispetto a quelli previsti dal d.lgs. n. 99/92 e dal Regolamento n. 14/2004.

Con il quarto motivo la ricorrente ha quindi lamentato il difetto di motivazione, l’arbitrarietà e l’irragionevolezza della suddetta richiesta istruttoria, avente ad oggetto peraltro informazioni (ad es., quelle relative ai tipi di lavorazione degli insediamenti produttivi i cui reflui fossero addotti agli impianti fognari, e alle analisi dei fanghi) già rientranti nella disponibilità della Regione. Inoltre, si tratterebbe di richieste superflue, in quanto la natura non pericolosa dei rifiuti risultava già certificata dai documenti allegati alla domanda di AUA presentata dalla ricorrente. Infatti, nella tabella A allegata alla domanda era indicato il Codice Europeo Rifiuti (CER) in relazione ai fanghi - prodotti da ciascuno dei 17 impianti di depurazione - che la ricorrente avrebbe utilizzato in agricoltura;
ed in particolare, per 15 impianti su 17, il fango prodotto era classificato con codice CER “non pericoloso assoluto” e per i rimanenti due come “non pericoloso”. Infine, il provvedimento impugnato sarebbe anche viziato da disparità di trattamento, avendo l'Amministrazione rilasciato ad altre imprese numerose AUA per l'utilizzazione agronomica di fanghi, sulla base della documentazione, allegata alle richieste, conforme alla normativa vigente sopra descritta, senza chiedere alcuna integrazione.

Con il quinto motivo la ricorrente ha contestato la legittimità della nota del 7 novembre 2016 con cui la Regione aveva chiesto di individuare l'appezzamento, sul quale i fanghi devono essere utilizzati, attraverso l'indicazione delle particelle catastali.

Con un primo ricorso per motivi aggiunti la Verde Ambiente ha impugnato la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, deducendo, oltre all’illegittimità derivata, con un primo motivo, che l’atto ora impugnato aggravava inutilmente il procedimento, avendo la Regione già preannunciato con il provvedimento impugnato con il ricorso principale, che avrebbe archiviato l’istanza ove la documentazione richiesta non fosse stata presentata. Con un secondo motivo la Verde Ambiente, nel ribadire che la valutazione da parte dell’Amministrazione sull’attività di spandimento dei fanghi avrebbe dovuto essere limitata al rispetto dei parametri previsti dal d.lgs. n. 99/92, ha segnalato che in tal senso si era espresso anche il Ministero dell’Ambiente con parere n. 173 del 5 gennaio 2017, laddove aveva sostenuto l’inapplicabilità della disciplina delle bonifiche alla valutazione della conformità dei fanghi e dei compost da utilizzare in agricoltura.

Con un secondo ricorso per motivi aggiunti la Verde Ambiente ha impugnato il decreto dirigenziale del 15 settembre 2017, con cui la Regione, a conclusione del procedimento, ha disposto di non rilasciare alla ricorrente l’autorizzazione unica richiesta;
è stato impugnato anche il conseguente diniego del 4 ottobre 2017 emesso dal SUAP dell’unione dei comuni montani Amiata Grossetana. Oltre all’illegittimità derivata, la ricorrente ha dedotto un ulteriore motivo ribadendo l’inapplicabilità, ai fanghi provenienti da impianti da depurazione autorizzati, dei limiti stabiliti dalla tabella 1, colonna A, dell’allegato 5 al titolo V della parte IV del d.lgs. 152/2006, limiti riguardanti la contaminazione dei suoli.

Si sono costituite la Regione Toscana e l’ARPAT contestando con successiva memoria la fondatezza dei singoli motivi di ricorso e chiedendone il rigetto.

In particolare e fra l’altro, le Amministrazioni hanno sostenuto che gli elenchi, contenuti nelle tabelle IA e IB allegate al d.lgs. n. 99/1992, delle sostanze da indagare nei fanghi e nei terreni non sarebbero esaustivi, in considerazione del divieto (previsto alla lettera c) dell’art. 3 del d.lgs.) di utilizzare fanghi contenenti “ sostanze tossiche e nocive e/o persistenti e/o bioaccumulabili in concentrazioni dannose per il terreno, per le colture, per gli animali, per l’uomo e per l’ambiente in generale ”. Il d.lgs. 99/1992 dovrebbe quindi essere integrato con la disciplina dei rifiuti. E quindi che nelle attività di recupero dei rifiuti tramite il loro utilizzo sul suolo, l’art. 5, comma 2, lettera d-bis del d.m. 5 febbraio 1998, imporrebbe la conformità ai valori limite delle CSC, previsti nella tabella 1, colonna A, dell’allegato 5 alla parte IV del d.lgs. 152/2006;
tali valori si dovrebbero applicare ai fanghi in quanto questi ultimi sarebbero assimilati alla matrice ambientale “suolo”. Inoltre, anche il principio di precauzione, secondo la difesa delle Amministrazioni, imporrebbe il rispetto dei valori limite delle CSC anche nei fanghi. Infine, le Amministrazioni resistenti hanno opposto di non essere in possesso delle informazioni richieste, che sarebbero necessarie al fine di accertare se eventuali scarichi da insediamenti industriali, confluiti negli impianti di depurazione, siano assimilabili a quelli civili, e che la “non pericolosità del rifiuto” non sarebbe garantita dal Codice CER attribuito dal produttore in quanto tale attribuzione non sarebbe preceduta da analisi chimiche;
ed infine che tutte queste informazioni sarebbero richieste negli allegati 4, 4a), 4b) e 4c) del Regolamento n. 14/2004.

All’udienza del 23 maggio 2018 il Collegio ha sottoposto al contraddittorio delle parti la questione della sopravvenuta improcedibilità dell’impugnazione degli atti endoprocedimentali effettuata con il ricorso principale e con i motivi aggiunti, quindi, all’esito della discussione, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente, deve essere dichiarata l’improcedibilità per sopravvenuta carenza d’interesse del ricorso principale e del primo ricorso per motivi aggiunti, aventi ad oggetto l’impugnazione di atti endoprocedimentali ai quali è sopraggiunto il provvedimento conclusivo del 15 settembre 2017, l’unico dotato di lesività e impugnato con il secondo ricorso per motivi aggiunti.

2. Nel merito si osserva quanto segue.

2.1. Quanto al primo motivo, riservata al prosieguo della motivazione la valutazione della completezza della domanda di AUA, è infondato l’argomento dedotto dalla ricorrente in ordine alla formazione del silenzio assenso sulla richiesta di parere all’ARPAT e alla Provincia.

Infatti, la formazione del silenzio assenso, nel caso di pareri da rendersi da parte di autorità preposte alla tutela ambientale, è espressamente esclusa dall’art. 16 della L. 241/1990, e il regolamento regionale citato dalla ricorrente, ove dovesse essere interpretato in tal senso dovrebbe essere disapplicato per contrasto con tale fonte primaria.

2.2. Anche il secondo motivo è infondato, in quanto il termine di 30 giorni, assegnato all’Amministrazione dall'art. 4 del DPR 59/2013 per eventuali richieste d’ integrazione della domanda, non ha carattere perentorio e non determina alcun effetto preclusivo per l'Amministrazione, la quale ben può richiedere integrazioni necessarie ad acquisire una completa ed esaustiva cognizione della situazione fattuale anche oltre il suddetto termine.

E’ poi inammissibile per difetto d’interesse l’ulteriore censura articolata con lo stesso motivo afferente la nota del 25 novembre 2016 dell’ARPAT, non trattandosi di atto facente parte del procedimento in questione, bensì di un atto generale d’indirizzo formulato in favore della Regione.

2.3. Va inoltre ritenuto inammissibile per carenza d’interesse il quinto motivo, relativo alle modalità di identificazione degli appezzamenti di terreno su cui è effettuato lo spandimento, non essendosi tale questione tramutata in una ragione di diniego dell’istanza in oggetto.

2.4. La decisione del primo motivo di ricorso (per la parte ancora non esaminata) e del terzo e del quarto motivo ed infine dei motivi aggiunti, presuppone invece la soluzione della questione, centrale nel presente giudizio, costituita dalla possibilità d’integrare la disciplina prevista nel D.lgs. 99/1992 (recante l’ “ attuazione della direttiva 86/278/CEE concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura ”) con le norme in materia di rifiuti e di bonifica dei suoli contaminati contenute nel Codice dell’ambiente.

La Regione, con il provvedimento di diniego impugnato ha ritenuto di poter operare tale integrazione in quanto necessaria al fine di accertare che i fanghi da utilizzare non contenessero “ sostanze tossiche e nocive e/o persistenti, e/o bioaccumulabili in concentrazioni dannose per il terreno, per le colture, per gli animali, per l'uomo e per l'ambiente in generale ” come richiesto dall’art. 3 del D.lgs. 99/1992.

Tale operazione integrativa, in linea di principio, non pare del tutto ingiustificata.

Infatti, se è vero che la disposizione appena citata prosegue specificando che l'utilizzazione dei fanghi è consentita qualora la concentrazione di uno o più metalli pesanti nel suolo non superi i valori limite fissati nell'allegato I A del D.lgs. n. 99 del 1992, ovvero qualora tali valori limite non vengano superati a motivo dell'impiego dei fanghi (articolo 3, comma 2);
e precisa altresì che possono essere utilizzati i fanghi che al momento del loro impiego in agricoltura non superino i valori limite per le concentrazioni di metalli pesanti e di altri parametri stabiliti nell'allegato I B (articolo 3, comma 3);
e disciplina, poi anche le modalità dell’impiego dei fanghi in relazione alle caratteristiche della matrice ambientale "suolo" sulla quale tali fanghi possono essere utilizzati (articolo 3, commi 4 e 5, del d.lgs. n. 99 del 1992);
è tuttavia incontestabile che il ristretto elenco delle sostanze pericolose prese in considerazione dal D.lgs. 99/1992 non possa ritenersi esaustivo, e ciò se si guarda al fine dichiarato di scongiurare qualsiasi pericolo di deterioramento dell’ambiente ad opera dell’attività di spandimento dei fanghi. Il suddetto elenco non comprende infatti ulteriori e diversi inquinanti, che pure risultano potenzialmente presenti nei fanghi, per effetto del processo di depurazione dei reflui, invece inclusi nell’elenco di cui alla tabella 1, colonna A, dell'allegato 5 alla parte quarta del d.lgs. 152/2006.

D’altra parte, se pure l'articolo 6, comma 1, n. 2), dello stesso D.lgs. n. 99 del 1992 consente alle Regioni di stabilire ulteriori limiti e condizioni di utilizzazione in agricoltura per i diversi tipi di fanghi in relazione alle caratteristiche dei suoli, ai tipi di colture praticate, alla composizione dei fanghi, alle modalità di trattamento, la Regione Toscana non ha finora introdotto norme specifiche sulle caratteristiche dei fanghi destinati all'utilizzo agricolo.

In presenza di tale quadro normativo, la Regione, sulla scorta anche di quanto affermato dalla sentenza della Cassazione n. 27958 del 2017 (che aveva confermato l’applicazione delle misure cautelari nell’ambito delle indagini penali condotte in Toscana relativamente ad una ipotesi di illecita utilizzazione di fanghi in agricoltura), ha ritenuto che per le sostanze non normate dalla suddetta disciplina di settore, occorresse far rinvio ai valori limite di cui alla tabella 1 dell'allegato 5 alla Parte quarta del d.lgs. n. 152 del 2006 (CSC), in considerazione della commistione dei fanghi con il suolo cui sono destinati.

Tale operazione interpretativa appare per certi versi corretta, trovando la tesi della non autosufficienza del D.lgs. 99 del 1992 e della necessità dell’integrazione di tale testo legislativo con la disciplina dei rifiuti, diverse conferme, sia nell’ambito del D.lgs. 152/2006, sia all’interno dello stesso D.lgs. 99 del 1992.

Infatti, da una parte, l’art. 127 del D.lgs. 152 del 2006 stabilisce al primo comma che: “ Ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell'impianto di depurazione ”.

E, per proprio conto, l’art. 4 comma 2 del D.lgs. 99 del 1992, stabilisce che “ È vietata l'utilizzazione dei fanghi tossici e nocivi in riferimento alle sostanze elencate nell'allegato al decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915, con le concentrazioni limite stabilite nella delibera del 27 luglio 1984, anche se miscelati e diluiti con fanghi rientranti nelle presenti disposizioni ”, operando così un rinvio formale o mobile a quello che oggi è il Codice dell’ambiente, con conseguente applicabilità delle disposizioni in tema di rifiuti previste dalla normativa successiva.

Ebbene, in tema di rifiuti, l’art. 184-ter del D.lgs. 152 del 2006 (Cessazione della qualifica di rifiuto) stabilisce che:

1. Un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:

a) la sostanza o l'oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici;

b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;

c) la sostanza o l'oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;

d) l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana.

2. L'operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni. I criteri di cui al comma 1 sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente della sostanza o dell'oggetto.

3. Nelle more dell'adozione di uno o più decreti di cui al comma 2, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio in data 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269 e l'art.

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