TAR Roma, sez. 1S, sentenza 2020-11-05, n. 202011487
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Pubblicato il 05/11/2020
N. 11487/2020 REG.PROV.COLL.
N. 10635/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Stralcio)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10635 del 2011, proposto da
Fastweb S.p.A., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avv.ti V M e P S R, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, viale Mazzini, 11;
contro
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliata
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del provvedimento dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato n. 22830 del 28 settembre 2011, relativo alla pratica commerciale attribuita alla società Fastweb S.p.A., consistente nella frapposizione di ostacoli all'esercizio di diritti contrattuali quali il diritto di risolvere il contratto o di interrompere l'erogazione di un servizio;
di ogni altro atto anche endoprocedimentale, ancorchè non conosciuto, adottato nel procedimento concluso con il predetto provvedimento.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’AGCM;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatrice la dott.ssa L M;
Nessuno presente nell'udienza straordinaria del giorno 30 ottobre 2020, come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso in epigrafe la ricorrente Fastweb S.p.A. ha impugnato il provvedimento dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato n. 22830 del 28 settembre 2011, con cui è stato accertato che Fastweb ha posto in essere una pratica commerciale scorretta, consistente nella frapposizione di ostacoli all'esercizio di diritti contrattuali, quali il diritto di risolvere il contratto o di interrompere l'erogazione di un servizio ed è stata di conseguenza irrogata alla società ricorrente la sanzione amministrativa pecuniaria pari a € 200.000 (duecentomila).
L’AGCM si è costituita in giudizio depositando memoria con cui ha chiesto la reiezione del ricorso.
Alla camera di consiglio dell’11 gennaio 2012 la trattazione della domanda cautelare è stata rinviata al merito.
In vista della trattazione del merito l’AGCM ha depositato ulteriore memoria difensiva.
All’udienza pubblica straordinaria del 30 ottobre 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.
2. A seguito di alcune segnalazioni pervenute nel periodo aprile 2009 - luglio 2011, in data 4 aprile 2011, ha avviato il procedimento istruttorio n. PS4066, con contestuale richiesta di informazioni a Fastweb, per possibile violazione degli artt. 20, 24 e 25, lettera d), del Codice del Consumo.
Nelle segnalazioni si riferiva che Fastweb da una parte non avrebbe provveduto a cessare i contratti, o lo avrebbe fatto con notevole ritardo, nonostante i segnalanti avessero inviato le relative richieste di disdetta mediante raccomandata A/R, spesso seguita da numerosi solleciti telefonici effettuati al Servizio Clienti della società e, dall’altra, non avrebbe dato seguito alle richieste di disattivazione di singoli servizi, quali la TV di Fastweb, il servizio ADSL, il servizio di telefonia mobile e internet in mobilità, continuando a emettere le relative fatture ed effettuando attività di recupero crediti, anche tramite apposita società, nonostante la volontà manifestata dai consumatori per iscritto e telefonicamente.
Nella comunicazione di avvio era ipotizzata l'aggressività della pratica commerciale oggetto di valutazione, in quanto contraria alla diligenza professionale e idonea a condizionare indebitamente, se non escludere, la libertà dei consumatori di non usufruire più dei servizi erogati dal professionista, attraverso l'imposizione di ostacoli all'esercizio del diritto di recesso e la sollecitazione di pagamenti per servizi non più richiesti dagli utenti, effettuata anche mediante il ricorso a procedure di esecuzione coattiva, in caso di mancata corresponsione delle somme fatturate ai consumatori e dagli stessi contestate.
Il Professionista, dopo aver depositato le risposte alla richiesta di informazioni, in data 4 maggio 2011 ha presentato impegni volti a rimuovere i profili di scorrettezza della pratica commerciale oggetto di contestazione.
Nel corso dell’istruttoria è emerso che, da novembre 2008 a marzo 2011, Fastweb ha disattivato 234.364 contratti, di cui 95.389 sono stati cessati tra i trenta e i sessanta giorni dalla data di ricezione della raccomandata A/R e 58.159 a distanza di oltre sessanta giorni: per questi ultimi la disattivazione è stata effettuata dopo il primo ciclo di fatturazione. Inoltre, nel medesimo periodo, Fastweb ha ricevuto 305.933 richieste di recesso o di rientro in Telecom Italia, inviate mediante lettera raccomandata A/R. I tempi di gestione dell'attività di " retention " praticata dal professionista sono risultati superiori a dieci giorni per 139.515 richieste (di cui 84.473 tra dieci-trenta giorni e 55,042 oltre trenta giorni).
In relazione alla disdetta del servizio mobile, nel periodo febbraio 2010 - marzo 2011, su 20.271 richieste di disdetta 5.121 sono state gestite oltre i trenta giorni dalla ricezione della raccomandata A/R (di cui 1.705 tra trenta-sessanta giorni e 3.416 oltre sessanta giorni), registrando un backlog pari a 9.669. Per quanto riguarda la TV di Fastweb, su 53.571 richieste di disdetta, ricevute nell'arco temporale novembre 2008 - marzo 2011, 16.375 sono state gestite non rispettando gli SLA5 (di cui 15.969 tra trenta- sessanta giorni e 406 oltre sessanta giorni).
Infine, da novembre 2008 a marzo 2011, Fastweb ha ricevuto 8.553 reclami, effettuati dai consumatori oltre trenta giorni dalla data di richiesta della disdetta, per tematiche di ritardi nella disattivazione dei servizi con conseguente prolungamento della relativa fatturazione. Dei suddetti reclami, 5.067 sono pervenuti in fase di "pre-gestione retention ", di cui 3.899 in fase di "post arrivo A/R disdetta e pre-apertura retention " e 1.168 in fase di "gestione retention oltre 30 gg da data disdetta", mentre 3.486 in fase di "post gestione retention (cliente perso) e oltre 30 gg da data disdetta". Il 18,4% dei reclami pervenuti in fase di "pre-gestione retention" e il 22,6% dei reclami pervenuti in fase di "posi gestione retention ", per un totale di 1.721, riguardano consumatori a carico dei quali è stata avviata una "gestione stragiudiziale successiva per recupero crediti".
Sulla base del complesso degli elementi acquisiti nel corso del procedimento, l’Autorità ha ritenuto che la condotta posta in essere da Fastweb integri una fattispecie di pratica commerciale aggressiva, in quanto idonea a condizionare indebitamente la libertà di scelta dei consumatori, ostacolandone il pieno ed effettivo esercizio di un diritto fondamentale di primaria importanza, quale il diritto di recedere dal rapporto contrattuale con il professionista, ed esigendo il reiterato pagamento di corrispettivi per la fruizione di servizi non più richiesti. Inoltre ha qualificato il comportamento di Fastweb come contrario al grado di diligenza ragionevolmente esigibile dal Professionista che, consapevole della natura e della dimensione del problema, avrebbe dovuto assumere misure e iniziative efficaci e adeguate ad assicurare una gestione sufficientemente corretta e tempestiva delle richieste di recesso dei consumatori, nonché l'immediata sospensione del processo di fatturazione, almeno per il tempo necessario a verificare, in caso di incertezza, l'effettiva volontà espressa dal cliente mediante la richiesta di interruzione del rapporto contrattuale.
3. La ricorrente è insorta avverso il suddetto provvedimento formulando i seguenti motivi.
I) Incompetenza;violazione e falsa applicazione degli artt. da 18 a 27, D.Lgs. 206/2005 (Codice del Consumo), dell'art. 70 e 98, D.Lgs. 259/2003, nonché dell'art. 1, L. 4/2007;violazione dei principi di legalità, di ripartizione delle competenze fra Autorità amministrative indipendenti, del principio generale di ogni sistema sanzionatorio che vieta il bis in idem .
Con tale motivo la ricorrente sostiene che l'autorità competente a valutare ed eventualmente a sanzionare la specifica violazione attribuitale sarebbe l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in applicazione del combinato disposto tra la disciplina settoriale, la cui fonte primaria è il D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, Codice delle Comunicazioni Elettroniche, unitamente alla legge 2 aprile 2007, n. 40, di conversione del cd. decreto Bersani.
Inoltre la ricorrente osserva che, nel settore delle comunicazioni, il recesso dal contratto è previsto in generale dall'art. 70 D.Lgs. 259/2003 (c.d. Codice delle Comunicazioni Elettroniche, che recepisce le direttive comunitarie 2002/19/CE, 2002/20/CE, 2002/21/CE del 7 marzo 2002 e 2002/77/CE del 16 settembre 2002) ed è disciplinato in particolare dall'art. 1, comma 3 e 4, L. 40/2007;ciò posto, fa presente che entrambe le normative di settore attribuiscono la competenza in via esclusiva a valutare e, nel caso, a sanzionare comportamenti in tal senso illegittimi all'AGCom e afferma che la normativa di settore disciplinerebbe in modo puntuale l'ipotesi della lesione del diritto di recesso del consumatore dettando quale normativa speciale debba trovare applicazione in luogo delle previsioni generali a tutela dei consumatori contenute nel Codice del Consumo.
II) Violazione degli artt. 3 e 10, L.241/1990;eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà fra le risultanze istruttorie e la decisione;difetto di motivazione.
Con tale motivo la ricorrente denuncia la contraddittorietà del provvedimento impugnato laddove per un verso, pur avendo riassunto le "argomentazioni difensive della Parte", la quale aveva rappresentato come molti ritardi non le fossero imputabili ma dipendessero dalla tempistica per il rientro in Telecom, non ne avrebbe tenuto conto e, per altro verso, avrebbe trascurato le risultanze dell'istruttoria.
III) Eccesso di potere per contraddittorietà;mancata corrispondenza temporale tra la pratica prospettata nella comunicazione di avvio e quella accertata nel provvedimento finale;violazione del principio di necessaria corrispondenza tra contestazione e provvedimento sanzionatorio.
La ricorrente lamenta che, mentre nella comunicazione di avvio del procedimento il periodo considerato era aprile 2009 — marzo 2011, nel provvedimento conclusivo, invece, il periodo considerato si allunga a quello compreso fra aprile 2009 e luglio 2011, aggiungendo quattro mesi, mai contestati.
IV) Violazione dell'art. 11 L. 689/1981 e dell'art. 27, comma 9, Codice del Consumo;eccesso di potere per contraddittorietà e illogicità;violazione del principio di proporzionalità della sanzione;disparità di trattamento;errata valutazione della durata della violazione.
Con tale motivo la ricorrente ritiene che l’Autorità, nel quantificare la sanzione, abbia errato nel valutare sia il parametro della gravità della violazione sia quello della durata della violazione.
4. Il ricorso non può essere accolto.
4.1. Il primo motivo è infondato alla luce delle conclusioni cui è pervenuta la Corte UE nella sentenza del 18 settembre 2018, laddove ha affermato la prevalenza della disciplina di settore solo se sia individuabile un “contrasto” insanabile con quella di cui alla normativa generale (in Italia del “Codice del Consumo”), nel senso che la nozione di “contrasto” denota un rapporto, tra le disposizioni cui si riferisce, che va oltre la mera difformità o la semplice differenza, mostrando una divergenza che non può essere superata mediante una formula inclusiva che permetta la coesistenza di entrambe le realtà, senza che sia necessario snaturarle (cfr. quanto già osservato anche da T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 3 febbraio 2020, n. 1418 e 19 settembre 2019, n. 11097).
Dunque, secondo la Corte, il contrasto sussiste solo quando disposizioni di stretta derivazione UE, disciplinanti aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, impongono ai professionisti, senza alcun margine di manovra, obblighi “incompatibili” con quelli stabiliti dalla direttiva 2005/29, dando vita a una divergenza insanabile che non ammette la coesistenza di entrambi i plessi normativi.
Osserva il Collegio che le riportate conclusioni della Corte di Giustizia depongono per l’affermazione di una specialità normativa “per fattispecie” e non “per settore”, configurando i rapporti tra i due corpi normativi in termini di complementarietà più che di specialità (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 16 aprile 2019, n. 4922).
La Corte di Giustizia ha anche osservato come il contrasto rilevante ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2005/29/Ce: a) deve riguardare norme dell’Unione e non norme nazionali e b) può ritenersi sussistente solo là dove disposizioni diverse rispetto a quelle della direttiva 2005/29/Ce, disciplinanti aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, impongono ai professionisti senza alcun margine di manovra obblighi incompatibili con quelli stabiliti da tale direttiva.
In sostanza, la disciplina consumeristica non trova applicazione unicamente quando disposizioni estranee a quest’ultima, disciplinanti aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, impongono ai professionisti, senza alcun margine di manovra, obblighi incompatibili con quelli stabiliti dalla direttiva 2005/29 (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 10 gennaio 2020, n. 261);circostanza, questa, non rinvenibile nel caso di specie atteso che il Codice delle Comunicazioni Elettroniche, disciplinando il recesso dal contratto, non reca una disciplina specifica in tema di pratiche commerciali scorrette in subjecta materia e, come tali, incompatibili con quelle dettate dal Codice del Consumo, ponendosi le due discipline in termini di complementarietà.
4.2. Con il secondo motivo la ricorrente sostiene che il provvedimento impugnato sarebbe contraddittorio e immotivato, perché per un verso, pur avendo riassunto le "argomentazioni difensive della Parte", la quale aveva rappresentato come molti ritardi non le fossero imputabili ma dipendessero dalla tempistica per il rientro in Telecom, non ne avrebbe tenuto conto e, per altro verso, avrebbe obliterato le risultanze dell'istruttoria, da cui era emerso che "il recupero crediti per la maggior parte di essi è stato avviato prima della richiesta di disattivazione in quanto il cliente risultava già moroso e, di conseguenza, ha fatto riferimento ad importi fatturati e dovuti in quanto riferiti a periodi antecedenti la richiesta di disattivazione": in tal modo l’AGCM avrebbe vanificato l'istituto della partecipazione al procedimento così venendo meno anche all'obbligo di motivazione.
Il motivo è nel complesso infondato.
4.2.1. Come correttamente riportato dalla ricorrente l’Autorità, al par. 3 (punti da 19 a 28), ha puntualmente riferito le argomentazioni difensive della parte.
L’attenzione della ricorrente si appunta sul punto 10 del provvedimento, in cui si ricorda che Fastweb ha riferito che: "I ritardi nella fase di esecuzione delle richieste di cessazione /rientro in Telecom Italia sarebbero riconducibili, essenzialmente, a tre motivazioni: a) errate modalità dell'esercizio del recesso;b) incompleta o errata indicazione dei dati necessari all'identificazione del cliente, così da produrre il suo mancato riconoscimento da parte dei sistemi;c) provenienza del recesso da un soggetto differente dall'intestatario della linea;d) bocciatura di Telecom Italia per il rientro del cliente, in questo caso, il cliente rimane attivo con Fastweb che ritenta la procedura di rientro in Telecom".
Sostiene la ricorrente che, ove non avesse condiviso le argomentazioni di Fastweb, l’Autorità avrebbe dovuto contestarle;viceversa, ove le avesse condivise, avrebbe dovuto detrarre dal numero dei ritardi rilevati tutti i numerosi casi di ritardo non imputabile alla ricorrente.
Inoltre la parte ricorrente si sofferma punto 21 del provvedimento in cui si dà atto che Fastweb ha prospettato che "nei casi in cui il cliente, oltre ad aver inviato la richiesta di cessazione tramite raccomandata a/r, abbia avviato una procedura di migrazione" occorre previamente "verificare col cliente a quale richiesta dare seguito" e osserva che, tuttavia, il provvedimento non conterrebbe alcun accenno a tale oggettiva situazione di impedimento.
Infine ricorda che al punto 27 viene riportata la circostanza, evidenziata da Fastweb, che "il recupero crediti per la maggior parte di essi è stato avviato prima della richiesta di disattivazione in quanto il cliente risultava già moroso e, di conseguenza, ha fatto riferimento ad importi fatturati e dovuti in quanto riferiti a periodi antecedenti la richiesta di disattivazione" e che "La parte rimanente dei clienti sui quali è stata avviata una procedura di recupero credito si riferisce a casi in cui presumibilmente il cliente ha deciso di attivare un nuovo contratto con un altro operatore senza usufruire della Number Portability, chiedendo al nuovo operatore un nuovo numero e una nuova linea, senza inviare richiesta di recesso a Fastweb".
Ciò posto la ricorrente si duole che l’Autorità, contraddittoriamente, non avrebbe tenuto conto di tali difese.
4.2.2. Le censure di parte ricorrente non colgono nel segno.
Dalla lettura del provvedimento impugnato risulta che l’Autorità ha attentamente vagliato gli elementi acquisiti nel corso del procedimento, da cui è emersa l'esistenza di una pratica di ampia portata, connotata da ritardi e inefficienze nel sistema di gestione dei rapporti tra il professionista e la propria clientela, tale da pregiudicare sia l'efficace esecuzione della volontà dei consumatori di recedere dal rapporto contrattuale, sia la tempestiva interruzione del processo di fatturazione successivamente alla richiesta di disattivazione dei servizi.
Il provvedimento dà conto del fatto che Fastweb era pienamente consapevole dell'esistenza e della dimensione del problema relativo alla mancata/tardiva esecuzione delle richieste dei consumatori di cessazione del contratto o del singolo servizio attraverso dati precisi, evidenziando:
- che su un totale di 234.364 contratti disattivati, nell'arco temporale novembre 2008 a marzo 2011, in media il 41% dei contratti sono stati cessati tra i trenta e i sessanta giorni dalla data di ricezione della raccomandata A/R e il 25% a distanza di oltre sessanta giorni;
- che in relazione alla disdetta del servizio mobile, su 20.271 richieste di disdetta, pervenute nel periodo febbraio 2010 - marzo 2011, il 25% sono state processate non rispettando gli SLA;
- che quanto alla TV di Fastweb, su 53.571 richieste di disdetta, ricevute nel periodo novembre 2008 — marzo 2011, il 31% sono state gestite oltre trenta giorni dalla data di ricezione della raccomandata A/R;
- che Fastweb ha ricevuto, da novembre 2008 a marzo 2011, 8.553 reclami, per tematiche relative ai ritardi nella disattivazione, effettuati dai consumatori trascorsi trenta giorni dalla data di richiesta di disdetta.
L’Autorità ha anche rilevato che Fastweb ha utilizzato i ritardi e il prolungamento dei tempi di gestione dei recessi anche per effettuare apposite attività di retention , infatti, il 41% dei reclami sono pervenuti successivamente alla gestione della predetta attività di retention , conclusa con la perdita del cliente, e prima della chiusura dell' account ;mentre, il 59% dei reclami sono pervenuti trenta giorni dopo la data di richiesta della disdetta tramite A/R e prima della data di conclusione della fase di gestione della retention; inoltre, per il 76,9% di questi ultimi la fase di gestione della retention è stata "aperta" dopo il reclamo.
Osserva il Collegio che l’Autorità da una parte ha basato le proprie valutazioni su dati concreti ed oggettivi, dall’altra ha evidenziato come, “contrariamente a quanto argomentato dal professionista, i dati illustrati palesano la sussistenza di rilevanti e non occasionali criticità, a fronte delle quali Fastweb non ha adeguatamente monitorato la tempistica di gestione delle richieste di disdetta in fase di lavorazione, correttamente inviate dai consumatori tramite lettera raccomandata A/R” (punto 39).
Sempre sulla base dei dati acquisiti nel corso del procedimento l’autorità ha rilevato che Fastweb, nonostante la piena consapevolezza in ordine alla natura e all'entità del problema, non ha previsto alcuno strumento gestionale per la tracciabilità delle richieste di disdetta e degli eventuali reclami ad esse conseguenti, per informare adeguatamente i consumatori sullo stato della disdetta in fase di lavorazione e per evitare non solo l'imposizione di oneri economici, altrimenti connessi alla prosecuzione del rapporto contrattuale, ma anche la costituzione in mora del consumatore al fine di recuperare l'insoluto tramite società di recupero crediti. A tale proposito l’Autorità ha documentato che il 20% dei suddetti reclami riguarda consumatori a carico dei quali è stata avviata una "gestione stragiudiziale successiva per recupero crediti".
Sono state individuate condotte ostruzionistiche da parte di Fastweb nella gestione del diritto di recesso, (imponendo ai clienti che intendevano disdire l'erogazione di un singolo servizio l’onere di contattare il customer care della società per richiedere l'apposito modulo da compilare, sottoscrivere e inviare con raccomandata A/R all'indirizzo indicato) nonché condotte aggressive nei confronti dei consumatori interessati dalla tardiva esecuzione delle proprie richieste di disattivazione del servizio, i quali hanno subito non solo il prolungamento della fatturazione dei servizi, ma anche la minaccia di esecuzione coattiva in caso di mancato versamento delle somme contestate.
In definitiva il provvedimento reca valutazioni puntuali di tutte le circostanze prospettate in ottica difensiva dalla parte le quali risultano, tuttavia, smentite da dati oggettivi, dai quali correttamente l’Autorità ha ricavato l’ampia portata della condotta, la sua natura scorretta ed aggressiva, soprattutto in considerazione della piena consapevolezza di Fastweb dei disagi arrecati ai consumatori e della totale assenza di apprestamento di rimedi. L’Autorità ha, altresì, valutato le argomentazioni svolte dalle parti volte a sostenere la parziale non imputabilità delle condotte rilevate, ditalchè, sotto tale profilo, la motivazione e l’attività istruttoria che la sorregge si presentano esaustive e immuni da censure.
Il Collegio osserva che la condotta in rassegna ragionevolmente è stata ritenuta scorretta, in quanto contraria allo standard di diligenza richiesto al professionista, nonché aggressiva.
Si deve rammentare che le pratiche “aggressive”, di cui agli artt. 24 e 25 del Codice del Consumo, si configurano mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o indebito condizionamento. Il concetto di “molestie” include tutti i comportamenti dell’operatore professionale che recano disagio, disturbo, fastidio al consumatore, inducendo quest’ultimo a ritenere che soltanto acconsentendo ad una determinata e imposta decisione di natura commerciale egli possa recuperare il pieno e indisturbato godimento della propria libertà negoziale (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 18 gennaio 2019, n. 701).
4.3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta che, mentre nella comunicazione di avvio del procedimento il periodo considerato era aprile 2009 — marzo 2011, nel provvedimento conclusivo, invece, il periodo considerato si allunga a quello compreso fra aprile 2009 e luglio 2011, aggiungendo quattro mesi, mai contestati e in relazione ai quali risulterebbe leso il diritto di difesa.
La censura è infondata atteso che l’Autorità non ha modificato l’oggetto di indagine né ha preso in considerazione condotte non contestate, essendosi limitata a rilevare, sulla base dei dati emersi dall’istruttoria, l’effettiva durata della pratica accertata come scorretta.
Si tratta, dunque, di dati noti alla parte, la quale ha preso regolarmente parte al procedimento ed ha avuto ampia possibilità di difendersi.
Quindi è del tutto insussistente la denunciata violazione del principio di necessaria corrispondenza tra contestazione e provvedimento sanzionatorio, ditalchè la relativa censura che si risolve in una petizione di principio.
Ciò risulta confermato dal fatto che la ricorrente neanche evidenzia in cosa consista la lesività della accertata maggiore durata della pratica scorretta accertata, non avendo sollevato specifiche censure sul punto neanche a proposito della quantificazione della sanzione laddove, pur avendo trattato l’argomento in apposito paragrafo, non ha affatto indicato come la eventuale minore durata della pratica avrebbe potuto, in ipotesi, condurre ad una quantificazione della sanzione in misura più ridotta.
4.4. Con l’ultimo motivo la ricorrente censura la quantificazione della sanzione sostenendo che l'affermazione per cui Fastweb "rappresenta un importante operatore attivo sul territorio nazionale nel settore della fornitura di servizi integrati di telefonia fissa e mobile, navigazione internet e audiovisivi" sarebbe priva di significato, rappresentando una sorta di clausola di stile, sulla quale non sarebbe possibile basare una valutazione di gravità della violazione.
Inoltre contesta le considerazioni svolte dall’Autorità in ordine all'ampia diffusione della pratica e al pregiudizio economico effettivamente arrecato ai consumatori, ripetendo in sostanza le contestazioni sulle modalità dell’accertamento, formulate con il secondo motivo.
Lamenta che, nonostante essa abbia presentato impegni, l’Autorità abbia affermato che nulla è stato fatto dal professionista per ovviare ai contestati ritardi e che non abbia tenuto conto dell'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, come previsto dall’art. 11 L. 689/81.
Denuncia, infine, disparità di trattamento rispetto all'analogo provv. PS5672, del 6 aprile 2010, assunto nei confronti di Mediaset.
Si tratta di censure nel complesso infondate.
Dalla lettura del provvedimento emerge che la quantificazione della sanzione è avvenuta considerando il minimo e il massimo edittale, le dimensioni economiche e l’importanza del professionista, incidendo per una percentuale minima sul fatturato della ricorrente. Peraltro la norma di cui all’art. 27, comma 9, del Codice del Consumo, anche nel testo applicabile ratione temporis , non indica parametri fissi né impone un calcolo algebrico, lasciando viceversa all’Autorità un margine di apprezzamento discrezionale che, nel caso di specie, non appare male esercitato (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 24 settembre 2020, n. 9764).
La somma irrogata non appare quantificata in violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità, alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, ai fini di una efficace funzione deterrente, la sanzione deve essere parametrata al fatturato realizzato dall’impresa (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 3 febbraio 2020, n. 1418).
Nella quantificazione della sanzione l’Autorità ha tenuto conto delle dimensioni del Professionista, società attiva nella fornitura di servizi di telefonia e navigazione in internet a consumatori e professionisti che, come si evince dal provvedimento, “nell'esercizio 2010, ha totalizzato ricavi per 1.880.145.000 euro e perdite per 72.449.000 euro”.
Dunque, lungi dall’aver adoperato una clausola di stile, l’Autorità si è basata sul fatturato;a tale proposito va richiamata la precisazione di matrice giurisprudenziale, alla quale il Collegio ritiene di conformarsi, per cui, nella materia delle pratiche commerciali scorrette, non sussiste il vincolo legale di ancorare la sanzione amministrativa pecuniaria ad una percentuale del fatturato “rilevante” della società, come avviene invece nel settore della concorrenza (Cons. Stato, Sez. VI, 13 gennaio 2020, n. 318).
Osserva il Collegio che, nella ponderazione della sanzione da irrogare, l’Autorità, avuto riguardo a tutti i parametri di riferimento e dovendo garantire l’effettiva efficacia deterrente della sanzione pecuniaria, secondo criteri di proporzionalità ed adeguatezza, ha tenuto conto di tutte le circostanze caratterizzanti il caso di specie ed ha determinato la sanzione nell’esercizio di una discrezionalità sindacabile, in sede giurisdizionale, solo nei limiti del travisamento o della macroscopica illogicità o della manifesta mancanza di proporzione, nel caso di specie non ravvisabili (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 30 giugno 2020, n. 7335).
Risulta poi condivisibile il giudizio dell’AGCM circa la gravità delle condotte contestate, che giustificano la sanzione in concreto irrogata, peraltro risultata largamente inferiore al massimo edittale, nel calcolare la quale l’Autorità ha tenuto conto di tutte le circostanze, ivi compresa l’aggravante della recidiva e l’oggettiva circostanza delle perdite di esercizio.
E’, altresì, infondata l’affermazione per cui l’Autorità non avrebbe tenuto conto dell’opera posta in essere per la eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze della violazione;la Sezione ha già avuto modo di chiarire che il comportamento meramente interruttivo non può essere ascritto ad un’ipotesi di ravvedimento operoso, il quale presuppone non il semplice venir meno della pratica commerciale scorretta ma una condotta attiva, tesa ad eliminare le conseguenze della precedente condotta, comportamento assente nel caso di specie (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 8 febbraio 2018, n. 1523).
Neanche può essere condivisa la censura per cui l’Autorità non avrebbe tenuto conto del numero esiguo di consumatori che avrebbero effettivamente subìto un pregiudizio dalle condotte ritenute illegittime, atteso che la tutela offerta dal Codice del Consumo, in materia di pratiche ingannevoli e scorrette, ha natura preventiva ed è finalizzata ad evitare che gli effetti dannosi, anche soltanto ipotetici, possano prodursi in danno della generalità dei consumatori, dotati di media accortezza e non solo nei confronti di quelli dotati di maggiore avvedutezza o di particolari cognizioni merceologiche (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 10 gennaio 2019, n. 337).
Infine, non può essere condotto un giudizio comparativo con la sanzione irrogata in altri casi stante l’assenza di identità di situazioni e la fisiologica complessità e peculiarità delle valutazioni compiute dall’Autorità nella quantificazione delle sanzioni (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 9 dicembre 2019, n. 14067).
Conclusivamente, per quanto precede, il ricorso deve essere respinto.
5. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.