TAR Venezia, sez. I, sentenza 2011-03-11, n. 201100402

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. I, sentenza 2011-03-11, n. 201100402
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 201100402
Data del deposito : 11 marzo 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02531/2007 REG.RIC.

N. 00402/2011 REG.PROV.COLL.

N. 02531/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2531 del 2007, proposto dall’arch. Sbrogio' Roberto, in proprio e quale capogruppo dell’a.t.i. costituenda con l’arch. M Virgilio, rappresentato e difeso dagli avv.ti C C, G Q, e G B, con domicilio eletto presso il loro studio in Stra', piazza Marconi, 48;

contro

Comune di Lazise - (Vr), rappresentato e difeso dagli avv.ti V D e F Z, con domicilio eletto presso il secondo in Venezia-Mestre, via Cavallotti, 22;

nei confronti di

Studio Arch. Tombolan Piergiorgio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Francesco Curato e Antonio Franciosi, con domicilio eletto presso il primo in Venezia, Piazzale Roma, 468/B;

per l'annullamento

della determinazione 24 settembre 2007 di affidamento alla controinteressata .t.i. dell’incarico di redazione del P.A.T. di Lazise;.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Lazise - (Vr) e dello Studio Arch. Tombolan Piergiorgio, rappresentati e difesi come sopra;

Visto il ricorso incidentale proposto dal contro interessato studio arch. Tombolan Piergiorgio, rappresentato e difeso come sopra;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2011 il dott. Vincenzo Antonio Borea e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La controversia in esame ha ad oggetto una procedura per il conferimento dell’incarico per la redazione del PAT (piano di assetto territoriale) del comune di Lazise, ed è stata portata all’esame di questo Tar su impulso dalla ATI seconda graduata (con punti 84,07 su di un lotto di ben nove concorrenti) , la quale con tre motivi di censura attinenti tutti ad asseriti vizi procedurali, senza cioè contestare i maggiori punteggi attribuiti alla aggiudicataria ATI (87,25), mira in sostanza non già ad ottenere per sé l’incarico oggetto di gara, quanto invece soltanto ad un rifacimento della gara stessa. Poiché peraltro all’atto introduttivo presentato dalla ricorrente principale si contrappone un ricorso incidentale proposto dalla ATI aggiudicataria con il quale si sostiene sotto vari profili che la prima non avrebbe dovuto neppure essere ammessa alla procedura, per essere l’offerta presentata priva di requisiti necessari, si pone al Collegio in via pregiudiziale il problema di stabilire a quale delle due contrapposte strategie di attacco debba nella specie darsi la precedenza.

In via generale, com’è noto, seppur il ricorso incidentale si configuri come concettualmente subordinato al principale, nel senso che l’interesse a coltivarlo nasce soltanto in caso di fondatezza di quest’ultimo, non per questo si conclude che necessariamente debba essere data priorità all’esame del ricorso principale, come apparentemente sembrerebbe logico ritenere;
la giurisprudenza è infatti pacifica, ad es., nell’affermare che nel caso in cui sia proposto un ricorso incidentale tendente a paralizzare l'azione principale per ragioni di ordine processuale, il giudice è tenuto a dare la precedenza alle questioni sollevate dal ricorrente incidentale che abbiano priorità logica su quelle sollevate dal ricorrente principale, e tali sono in particolare quelle che si riverberano sull'esistenza dell'interesse a ricorrere del ricorrente principale, perché esse producono effetti sull'esistenza di una condizione dell'azione (così, tra le tante, si legge in C.d.S., IV, 1772/09). Appare peraltro agevole osservare che l’attribuzione nel caso ora visto della rilevanza prioritaria al ricorso incidentale rispetto al principale non costituisce l’espressione di una regola che si contrapponga in via generale a quella, opposta, che discenderebbe dalla natura subordinata dell’incidentale rispetto al principale:la verità è che non esiste una regola generale, né in un senso né nell’altro, dovendo invece il giudice applicare il generalissimo principio che si definisce di economia processuale e di logicità, il che significa che si deve dare la precedenza a quella, tra le due prospettazioni contrapposte, che si presenta come la più liquida nel portare ad una definitiva soluzione della controversia (cfr., tra le tante, Tar Lazio, III, 2297/10;
C.d.S., A.P., n. 11/08). Così, ad es., se il ricorso principale è palesemente infondato, non sarà necessario esaminare l’incidentale, così come, viceversa, se l’ammissione alla procedura del ricorrente principale è avvenuta illegittimamente secondo quanto deduce il contro interessato, la controversia si chiude con l’accoglimento del ricorso incidentale, senza dover esaminare l’atto introduttivo del giudizio.

Così chiarita in via generale la problematica della scelta da operare in caso di conpresenza di due contrapposti ricorsi, e venendo alla fattispecie, appare necessario soffermarsi sulla singolarità ch’esso presenta per il fatto che entrambi i contendenti, nella trasparente consapevolezza della mancanza di una regola generale alla quale attenersi, così come sopra si è tentato di evidenziare, insistono tenacemente nel sostenere la priorità logica delle rispettive argomentazioni.

Si afferma infatti da un lato che l’accoglimento del ricorso principale per vizi della procedura, e cioè idoneo ove fondato a travolgerla ab origine (con conseguente necessità di rifare la gara, non importa se solo in ipotesi, risultando l’incarico già in buona misura espletato al momento della proposizione del ricorso, tanto è vero che per tale ragione fu negata suo tempo la richiesta misura cautelare: salva naturalmente l’istanza risarcitoria per equivalente) precluderebbe l’esame del ricorso incidentale, il cui eventuale accoglimento non renderebbe comunque inammissibile il principale essendo il suddetto incidentale attinente alla fase procedimentale di valutazione delle offerte, e cioè ad una fase logicamente e cronologicamente successiva a quella colpita dalle censure del ricorso principale (si rchiama qui la pronuncia dell’A.P. del C.di S. n. 1 del 2010, peraltro resa in una controversia concernente una gara con due soli contendenti, mentre nella specie sono nove).

Dal lato opposto, viceversa, si insiste sulla natura paralizzante del ricorso incidentale, tale, cioè, ove accolto in forza di censure che contestano l’ammissione alla gara, con conseguente estromissione del ricorrente principale dalla procedura, da far venir meno qualunque interesse all’eventuale fondatezza delle dedotte censure (invocandosi qui, non a caso, una pronuncia del C.di S (V, 1373/10), resa in presenza di una pluralità di concorrenti, e cioè al di fuori del ben noto caso esaminato dall’A.P. nella sentenza n. 11 del 2008, in cui si è affermata la reciproca soccombenza dei due soli contendenti in vista dell’interesse strumentale al rifacimento della gara).

Il Collegio a questo punto, è ben consapevole della delicatezza delle questioni poste, dato che alla tesi, diremo così, più tradizionale sostenuta dal ricorrente incidentale si contrappone la ricostruzione, certamente più ardua, proposta dalla ricorrente e in buona misura inesplorata, dato che i richiami di giurisprudenza si riferiscono a casi con due soli concorrenti (alla già ricordata A.P. n. 1 del 2010 si aggiungono VI, 3404/09 e V, 3888/10, mentre la pronuncia 5811/07, pur non risultando quanti concorrenti fossero in gara, ma si deve presumere fossero due, dà priorità al ricorso principale nel diverso caso di censura che mira ad escludere il concorrente, e non già, come ora accade, a rifare la gara);
senonchè nella specie, come sopra accennato, i concorrenti in gara sono ben nove con conseguente necessità di affrontare il problema dato dal fatto che, a voler tener conto anche qui del principio di economia giuridica sopra indicato, piuttosto che un defatigante rifacimento della gara sarebbe forse da seguire, una volta ritenuto fondato l’incidentale, che contesta l’ammissione alla gara del ricorrente principale, la più semplice via offerta dal ritenere che, rimanendo all’interno della gara in corso, l’Amministrazione, sia piuttosto tenuta a disporre l’aggiudicazione a favore del soggetto meglio collocato in gara rimasto sinora estraneo alla lite: con conseguente venir meno dell’intereresse strumentale del ricorrente principale a rifare la gara (questo infatti sostiene il ricorrente incidentale, richiamando sul punto la già ricordata pronuncia n. 1373/10 del C. di S.).

Da tali complesse problematiche, mai del resto definitivamente affrontate dalla giurisprudenza con soluzioni che non siano contrastanti o anche solo ambigue ( come nel caso sopra ricordato della pronuncia n. 5811/07 in cui non viene esplicitato il numero dei concorrenti in gara), si può comunque nella specie prescindere (non senza ricordare in proposito che recentissimamente la VI Sez., con ord.za n. 351/ del 18 gennaio 2011, ha tra l’altro messo in dubbio la stessa consistenza del pilastro su cui si regge la ben nota e già ricordata pronuncia n. 11 del 2008 sulla possibile doppia soccombenza in caso di due soggetti in gara, ovvero la consistenza dell’interesse strumentale all’indizione di una nuova gara), in considerazione del fatto che il ricorso incidentale proposto dalla contro interessata, al quale il collegio ritiene di poter attribuire nella specie priorità logica, in quanto capace, ove esaminato per primo, di far venir meno tutti i dubbi sopra accennati, non appare, ad un approfondito esame in diritto ed in fatto, nonostante l’apparente persuasività ad una prima superficiale lettura, meritevole di accoglimento.

Passando dunque all’esame del suddetto ricorso incidentale, .deve in primo luogo, alla luce di quanto risulta dalla lettera di invito, ritenersi priva di pregio la doglianza con la quale si sostiene che l’ATI ricorrente avrebbe dovuto essere esclusa per incompletezza dell’offerta, in quanto presentata a nome dei soli architetti R S e V M, mentre ai sensi della lettera di invito (e delle disposizioni contenute nella L.R. n. 11/04) la redazione del PAT comporta anche l’esercizio di competenze professionali diverse ed estranee alla professione di architetto (analisi agronomiche, analisi idrogeologiche, valutazioni ambientali), non potendosi prendere in considerazione, si aggiunge, al fine di considerare completa l’offerta e cioè compatibile con quanto previsto dalla lettera di invito, l’indicazione nell’offerta stessa dei nominativi come consulenti del dott. Geologo L M e del dott. Agronomo G B.

La tesi è smentita proprio dall’invocata lettera di invito, nella quale, dopo essersi specificato (punto 2) che “indipendentemente dalla natura giuridica del soggetto affidatario dell’incarico lo stesso dovrà essere espletato da professionisti iscritti in appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali, personalmente responsabili e che dovranno essere nominativamente indicati in sede di presentazione della domanda di partecipazione con la specificazione delle rispettive qualificazioni professionali”, si ha cura di precisare più oltre (punto 4) , in sede di predisposizione del modello di domanda di partecipazione, che la dichiarazione da presentarsi con la domanda stessa deve tra l’altro specificare che “la struttura operativa ( e quindi non l’ATI in sé, bensì l’ATI eventualmente allargata ad altri soggetti professionalmente competenti) sarà costituita dai seguenti professionisti… segue la scritta proponente/collaboratore/consulente”.

Ne segue che correttamente la P.A. ha ritenuto l’offerta della ricorrente principale, nella quale accanto ai nomi dei due architetti componenti l’ATI risultano indicati come consulenti i due nominativi poc’anzi indicati e sulla cui esaustiva competenza alla luce delle professionalità richieste della lettera di invito non viene sollevato alcun dubbio, pienamente compatibile con la lex specialis, con la precisazione che non trova fondamento alcuno l’affermazione del ricorrente incidentale secondo la quale in base alla suddetta lex specialis sarebbero valutabili soltanto i curricula e i titoli dei partecipanti all’ATI o raggruppamento che dir si voglia, dato che al contrario la lettera di invito (punto 4, ultimo capoverso di pag. 8), riferisce la valutazione dei titoli ai “componenti quali responsabili delle prestazioni di servizio, in relazione alla valenza ed attinenza delle diverse prestazioni svolte”, espressione nella quale il termine “componenti”, contrariamente a quanto si vorrebbe, va logicamente correlato alla “struttura operativa” sopra ricordata, della quale fanno parte anche i consulenti, e non già all’ATI in senso stretto: interpretazione questa, va aggiunto, in ogni caso da preferire, anche a voler ammettere (ma così non è) una certa scarsa chiarezza del testo, in ragione del generale principio di ispirazione comunitaria del favor partecipationis..

Da ultimo, per rispondere ad un ulteriore profilo di doglianza con il quale si avanza, peraltro senza molta convinzione, l’ipotesi che il geologo dott. L M non sarebbe stato compreso tra i componenti del raggruppamento in senso stretto per nasconderne (?) la situazione di incompatibilità per il fatto di essere membro della commissione edilizia di Lazise, si osserva da un lato che sotto tale profilo ben poco sembra rilevare il fatto che l’interessato facesse o meno formalmente parte del raggruppamento in questione, e dall’altro che non si vede in che cosa consisterebbe, né in proposito viene indicata alcuna specifica norma né tantomeno viene invocato alcun principio, la accennata incompatibilità. Per non dire poi che ove anche si volesse sospettare che per tale ragione la commissione insediata dal Comune di Lazise avrebbe potuto avere…(ma non si vede perché) un occhio di riguardo nei confronti del “consulente” interessato, la circostanza sarebbe a ben vedere irrilevante, sia perché indimostrata ( e non di tale evidenza comunque da comportare l’estromissione dalla gara) e sia perchè l’offerta presentata dal ricorrente è stata ritenuta sul piano tecnico meritevole di un punteggio nettamente minore (circa 8 punti di differenza) rispetto a quello del’aggiudicatario ora ricorrente incidentale.

Viene poi fatto oggetto di censura il mancato allontanamento, da parte della P.A., dalla procedura, dell’offerta ricorrente con riguardo ai curricula presentati da entrambi gli appartenenti all’ATI:

Con riguardo innanzi tutto all’arch. S, si sostiene la non rispondenza al vero e comunque l’inadeguatezza del medesimo a ricevere l’incarico e quindi l’assoluta illegittimità del massimo punteggio conseguito al riguardo (25 punti sui 25 previsti per tale voce).

La doglianza appare inconsistente sotto tutti i profili dedotti.

In primo luogo, non è assolutamente condivisibile l’affermazione secondo la quale l’interessato avrebbe falsamente qualificato come concernenti PAT (piani di assetto del territorio comunale ex art. art. 13 L.R. n. 11/04, vulgo, per intendere meglio, PRG, come si diceva un tempo) taluni degli interventi indicati nel curriculum allegato.

E’ vero, come si afferma e non si contesta ex adverso, che per taluni comuni (Belfiore, Zimella, Roncà, S. Giovanni Ilarione, Vestenova, Brentino Belluno) il PAT non esiste;
ma è anche certamente vero che nel curriculum dichiarato dall’interessato si afferma una cosa tutt’affatto diversa, e cioè che l’interessato ha elaborato la redazione della scelte di piano relative ai territori dei comuni sopra indicati “all’interno del PATI” (e cioè del piano di assetto del territorio intercomunale sovraordinato), il piano cioè che nella logica ben comprensibile di evitare una costosa ed eccessiva frammentazione della pianificazione urbanistica a causa delle modeste o modestissime dimensioni di molti comuni, sostituisce ed assorbe la pianificazione limitata ad un solo comune: il che significa che, pur mancando formalmente il PAT, l’attività professionale svolta dall’interessato in sede di formazione del PATI appare del tutto equivalente, né può tanto meno dubitarsi della veridicità della dichiarazione resa.

In secondo luogo, poi, non si comprende come si possa insistere nell’affermare come non veritiera la dichiarazione in questione per il fatto che alcuni degli interventi indicati sarebbero solo allo stato di bozza: al contrario, come giustamente si osserva ex adverso, è da segnalare lo scrupolo con il quale l’interessato ha avuto cura di fare una quadruplice distinzione tra 1), strumenti già completati ed inviati all’autorità superiore;
2), strumenti con bozza definitiva consegnata e in attesa di adozione;
3), strumenti con bozza preliminare già consegnata;
4), strumenti con bozza in fase di predisposizione.

In terzo luogo, poi, con riguardo alla asserita inadeguatezza del curriculum presentato dall’interessato a giustificare l’attribuzione dell’incarico oggetto di gara (profilo evidentemente dedotto in subordine), inadeguatezza quanto meno tale da non meritare il massimo punteggio conseguito (25 su 25) è agevole rispondere da un lato che il punteggio in questione non è da riferirsi ovviamente al solo architetto S, bensì all’offerta nel suo complesso e quindi anche ai curricula degli altri componenti la “struttura operativa di cui sé detto in precedenza, e, da un altro lato, che definire “inadeguato” il curriculum dell’interessato configura una palese invasione di campo in materia riservata alla discrezionalità della P.A.

Per non dire, da ultimo, che comunque, ove anche dovesse ritenersi ammissibile e fondato il suddetto profilo di doglianza, cioè anche ad ammettere che in sede di giudizio di legittimità si possa sindacare il merito delle valutazioni operate dalla commissione di gara, non per questo si potrebbe andare al di là di una semplice diminuzione del punteggio in questione, senza quindi che si possa configurare un’ipotesi di illegittima ammissione alla procedura (il che significa che, ricordata la singolarità della fattispecie, farebbe comunque salvo, al di là dei dubbi espressi in precedenza, l’interesse del ricorrente principale a chiedere l’annullamento dell’intera procedura).

Il ricorrente incidentale appunta poi le sue attenzioni anche sul curriculum dell’arch. V M, sostenendo che questi, pur partecipando all’ATI in proprio, esibisce il curriculum riferito allo studio di appartenenza e quindi comprendente anche lavori ed interventi operati da altri soggetti, il che determinerebbe incertezza e confusione sugli incarichi effettivamente svolti direttamente dall’interessato.

Anche qui la risposta deve essere negativa, giacchè se pur il curriculum dichiarato riguarda lo studio di appartenenza nel suo complesso, in esso si ha cura anche in questo caso di evidenziare con la necessaria precisione quali siano gli incarichi svolti direttamente dall’interessato. Del che appare del resto pienamente (e contraddittoriamente) consapevole lo stesso ricorrente incidentale ove sottolinea il fatto che soltanto due sarebbero gli incarichi dichiarati con il nome dell’arch. M come progettista, dato che in altri casi egli compare invece come “associato al progettista” ovvero “aiuto al progettista”.

Nessuna possibilità di confusione, quindi, ed anzi va precisato che l’interessato compare come progettista in quattro incarichi, e non in due soltanto, diversamente da come erroneamente si sostiene.

Privo di consistenza è anche l’ulteriore assunto secondo il quale l’indeterminatezza ed equivocità della documentazione presentata ( e tale profilo riguarda sia l’arch. S che l’arch. M) risulterebbe anche dalla relazione al programma di lavoro allegata all’offerta, nella quale si indicano genericamente come risorse umane “su cui si può contare per il corretto svolgimento delle attività”, oltre a consulenti, e cioè il geologo L M e l’agronomo G B dei quali si è detto, anche i collaboratori che operano negli studi di rispettiva appartenenza.

Anche qui non si vede infatti in che cosa consista il dedotto vizio di indeterminatezza ed equivocità, essendo pienamente logico che i professionisti partecipanti alla gara offrano l’apporto di sostegno alla attività da svolgere da parte dei loro diretti collaboratori, in pieno ossequio, del resto, ad una specifica prescrizione della lettera di invito, laddove si chiede espressamente di fornire una “descrizione dell’organizzazione tecnico-professionale a disposizione del candidato”: il che è quanto risulta nella tabella riassuntiva riportata nella suddetta relazione e ora vanamente censurata dal ricorrente incidentale.

Infine, neppure può essere condiviso l’ulteriore assunto secondo il quale il ricorrente principale avrebbe dovuto comunque essere escluso per il fatto che lo studio di cui è titolare l’arch. M annovera fra gli incarichi dichiarati quello attinente alle attrazioni di Gardaland in comune di Lazise.

E ciò, si argomenta, in forza della incompatibilità sancita nell’art. 29 del codice deontologico degli architetti (nel testo all’epoca vigente) e nell’art. 41 bis della L.U. n. 1150/42.

E’ vero che le norme invocate sanciscono l’invocata incompatibilità, ma una cosa è il divieto posto al professionista che sia stato investito da un comune di un incarico di redazione di un PRG di assumere, fintanto che l’incarico è in corso di svolgimento e fin quando il piano non sia approvato, incarichi di progettazione di opere ed impianti che non siano pubblici (così recita il 41 bis della L.U. del ’42, seguito pedissequamente dall’art. 29 del codice deontologico degli Architetti, sia pur con parole diverse), divieto che ben si comprende;
ma una cosa del tutto diversa sarebbe per contro precludere, oggi, ad un professionista la possibilità di partecipare ad una gara per l’affidamento di un incarico di redazione di un piano regolatore comunale solo per il fatto che, in precedenza, in un momento cioè nel quale i presupposti della voluta incompatibilità non sussistevano e quindi non poteva imputarsi all’interessato nessuna violazione del codice deontologico, l’interessato aveva assunto l’incarico e svolto l’attività di progettista per l’esecuzione di un’opera privata qual è indubbiamente Gardaland: in sintesi si deve dunque ritenere che l’incompatibilità di cui si discute con il relativo divieto di assumere incarichi professionali relativi a progetti di natura privata operano solo per il futuro.

In definitiva, dunque, il ricorso incidentale deve essere rigettato, ciò che, riprendendo il discorso fatto .in precedenza, consente ed anzi impone, senza alcun margine di dubbio, di passare all’esame del ricorso principale.

Il quale appare innanzi tutto ammissibile. Si è accennato in precedenza al fatto che a suo tempo l’istanza cautelare era stata respinta in quanto l’incarico oggetto di gara risultava quasi completamente espletato, mentre ora risulta addirittura che il PAT elaborato dall’aggiudicatario studio Tombolan è stato definitivamente approvato dalla Regione con DGR 23 marzo 2010.

Ciò non toglie naturalmente che l’interesse ad una pronuncia rimanga vivo in funzione della proposta domanda di risarcimento per equivalente.

Il ricorso poi fondato nel merito, con riguardo alla prima censura, con la quale si assume l’illegittimità commessa dalla commissione per il fatto di avere, nella sua prima seduta, aperto le buste delle offerte prevenute in seduta segreta.

Ha buon gioco infatti parte ricorrente ad invocare sul punto da un lato il principio di trasparenza e imparzialità che impone la pubblicità, a tutela della par condicio, delle sedute iniziali delle commissioni dedicate alla apertura dei plichi contenenti le offerte, e, dall’altra, la granitica giurisprudenza che si è nel tempo consolidata sul punto, senza alcuna distinzione a seconda del tipo di procedura posta in essere, e cioè senza che sia consentito ritenere che per le procedure negoziate, come nella specie, e cioè caratterizzate da una certa informalità e da una particolare snellezza, non vi sia il suddetto obbligo di trasparenza e imparzialità al momento iniziale di apertura dei plichi contenenti le offerte, salva, comunque, in caso di procedure con il criterio dell’offerta più vantaggiosa, la legittimità delle sedute segrete per l’esame delle offerte tecniche (si richiamano, fra le tante, C. di S.,V, 7470/10;
45/07;
VI, 1856/08;
TAR Piemonte, II, 3937/10, e infine, di questo TAR, la recentissima pronuncia n. 5525/10, nella quale, pur con riguardo ad una procedura negoziata senza bando ex art. 57 del codice appalti, si è sancita da un lato l’illegittimità di una disposizione della lex specialis che espressamente prevede una seduta segreta per l’apertura delle buste, e, dall’altro, si è affermato l’obbligo di far luogo a seduta pubblica per l’apertura del plico contenente le buste –documentazione amministrativa, offerta tecnica, offerta economica, potendosi fare eccezione, come già sopra ricordato, soltanto per ciò che concerne, in una ulteriore e distinta seduta, l’apertura della busta contenente le offerte tecniche.

A proposito di quanto possa essere sul punto previsto dalla legge di gara, non vale opporre che nella specie la lettera di invito nulla prevede al riguardo, da ciò volendosi desumere la legittimità dell’operato della commissione in quanto non in contrasto con la disciplina di gara, essendo evidente che in presenza di un obbligo sancito in via generale dalla normativa di legge e dai principi cui questa fa capo (cfr. art. 2 del codice appalti) la commissione era comunque tenuta a rispettare l’obbligo in questione, alla luce del criterio generale in base al quale, in caso di norme cogenti e non derogabili, queste vanno applicate indipendentemente dal loro richiamo o meno nella lex specialis (principio cosiddetto di eterointegrazione), senza, naturalmente che sia necessario impugnare il mancato richiamo delle stesse nella suddetta lex specialis (cfr. di questo TAR, in termini, I, n. 619/06).

Di tanto infine in sostanza sembrano rendersi conto le stesse controparti, laddove, di fronte all’evidenza dell’errore commesso dalla commissione, sono costrette a rifugiarsi come extrema ratio, nel richiamo all’art. 21 octies della L. n. 241/90, ovvero al principio per cui non è annullabile un provvedimento amministrativo per vizi formali nei casi in cui il contenuto dispositivo di questo non avrebbe potuto comunque essere diverso: appare in verità evidente l’estraneità dell’ambito di operatività della disposizione richiamata rispetto al caso in esame, posto che nella specie, come giustamente oppone parte ricorrente, la violazione del principio di pubblicità delle sedute, in quanto mira da un lato ad assicurare la trasparenza e la correttezza dell’azione amministrativa e dall’altro a garantire la par condicio, non può certamente essere configurata come vizio meramente formale, assumendo per contro i caratteri propri di un vizio di natura sostanziale, come tale insuscettibile di essere sanato.

A questo punto, considerata la natura assorbente della doglianza sin qui esaminata, il ricorso deve essere accolto con annullamento dell’intera procedura, senza necessità, per ragioni di economia di giudizio, di esaminare le altre doglianze, il cui eventuale accoglimento nulla cambierebbe.

Resta da esaminare dunque la domanda di risarcimento danno contestualmente al ricorso presentata dalla ricorrente, in ragione del fatto che, come si è in precedenza accennato, già all’atto della proposizione del ricorso l’incarico risultava già ampliamente espletato ( e si è detto che ad oggi l’incarico di progettazione oggetto della gara è stato da tempo concluso con approvazione definitiva del PAT avvenuta nel marzo 2010), con conseguente impossibilità di rifare la gara, come di regola dovrebbe accadere a seguito dell’annullamento dell’intera procedura.

Di quanto sopra pienamente consapevole la ricorrente si limita a chiedere il ristoro delle spese inutilmente sostenute per la redazione e presentazione dell’offerta, liquidandole, come da prospetto esibito, in €. 34.920.

La domanda deve essere accolta, sia pur con qualificazione e misura diversi da quanto voluto.

Quanto alla qualificazione, ritiene il Collegio che a fronte della suddetta impossibilità di rifare la gara (ciò che avrebbe rappresentato, a terreno vergine, per la ricorrente, la possibilità soltanto, e non la certezza, di conseguire la voluta utilità (cosiddetto interesse strumentale), il risarcimento per equivalente non possa non configurarsi che come mera chance, secondo ormai consolidato orientamento giurisprudenziale.

Quanto alla misura, tenuto conto che la base d’asta della gara in questione ammontava a €. 211.000, risulta evidente che la somma richiesta sarebbe addirittura superiore a quel 10% che corrisponderebbe in ipotesi all’utile perduto, quale verrebbe riconosciuto però soltanto se con l’accoglimento del ricorso venisse riconosciuta la spettanza dell’aggiudicazione: il che ovviamente non accade nel caso in esame..

In definitiva ritiene equo il Collegio liquidare alla ricorrente a carico della Amministrazione resistente la somma onnicomprensiva di €. 8.000 (ottomila)

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

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