TAR Roma, sez. I, sentenza 2012-03-14, n. 201202503

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2012-03-14, n. 201202503
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201202503
Data del deposito : 14 marzo 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05683/2011 REG.RIC.

N. 02503/2012 REG.PROV.COLL.

N. 05683/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5683 del 2011, proposto da:
R D P, rappresentata e difesa dagli avv.ti A P, L C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. D G in Roma, via dei Due Macelli, n.66;

contro

Ministero della giustizia, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n.12;

nei confronti di

C B;

per l'annullamento:

- del verbale del 12.01.2011 della II Sottocommissione esaminatrice del concorso per esami a 350 posti di magistrato ordinario indetto con d.m. 15.12.2009, conosciuto in data 28.4.2011 a seguito dell’istanza di accesso agli atti, nella parte in cui, relativamente alla busta n. 1586 associata alla dott.ssa di Palo, attribuisce il giudizio N.I. (non idoneo) alla prova di diritto civile della ricorrente e, per l’effetto, non la ammette alle prove orali;

- della graduatoria delle prove scritte del concorso per esami a 350 posti di magistrato ordinario indetto con d.m. 15.12.2009, pubblicata sul sito internet del Ministero della giustizia in data 21.04.2011, nella parte in cui, relativamente alla busta n. 1586 associata alla dott.ssa Di Palo, assegna N.I. (non idoneo) alla prova di diritto civile della ricorrente, per l’effetto non ammettendola alle successive prove orali;

- di ogni altro atto agli stessi preordinato, presupposto, connesso e conseguente, parimenti lesivo;


Visto il ricorso;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 25 gennaio 2012 il cons. A B e uditi per le parti i difensori come da relativo verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

Espone la ricorrente di aver riportato, in esito alla correzione delle prove scritte del concorso indicato in epigrafe, il punteggio di 13/20 per le prove in diritto penale e in diritto amministrativo, mentre per la prova in diritto civile ha conseguito la valutazione di non idoneità, per effetto della quale non è stata ammessa a sostenere le prove orali.

Avverso la negativa valutazione, di cui contesta la legittimità, la ricorrente deduce:

Violazione dei principi di ragionevolezza, del diritto di difesa e della giustiziabilità degli interessi legittimi nei confronti della p.a., di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa (artt. 3, 24, 97, 103 e 113 Cost.) – Violazione dell’art. 3 della l. 241/1990 in relazione all’art. 16 del r.d. 15 ottobre 1925, n. 1860 – Falsa applicazione dell’art. 16 del r.d. 1860/1925 – Eccesso di potere – Sviamento – Disparità di trattamento – Illogicità manifesta – Irragionevolezza – Omessa ponderazione della fattispecie contemplata – Carenza di istruttoria – Contraddittorietà intrinseca ed estrinseca – Perplessità – Manifesta ingiustizia – Altri profili.

L’elaborato di diritto civile, valutato con giudizio negativo palesemente dissonante rispetto all’esito positivo delle altre due prove, sarebbe ampio, completo e corretto e risponderebbe ai predeterminati criteri di valutazione predisposti dalla Commissione esaminatrice.

Ad un siffatto accertamento nell’adita sede giudiziale non osterebbe il carattere tecnico-discrezionale del giudizio reso, in forza di una lettura costituzionalmente orientata e adeguatrice della risalente normativa di settore e di una interpretazione evolutiva dei precetti costituzionali invocati, in vista della finalità della selezione, e ciò pena il possibile arbitrio nello svolgimento delle attività delle commissioni valutatrici.

Tramontata l’equazione discrezionalità tecnica-merito insindacabile a partire dalla sentenza del Consiglio di Stato, IV, n. 601 del 1999, con la conseguente l’estensione del sindacato giurisdizionale, sebbene in termini estrinseci, sino alla verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche, sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico e a procedimento applicativo, sarebbe possibile accertare nella presente sede l’abnormità che affligge la gravata valutazione e la superficialità del giudizio reso dalla Commissione esaminatrice, anche alla luce dell’esito favorevole delle altre due prove scritte.

L’erroneità della valutazione negativa impugnata emergerebbe anche alla luce della mera lettura dell’elaborato con le lenti del cd. “sindacato debole”.

La lettura proposta in ordine all’estensione dei poteri da esercitarsi nel presente giudizio salvaguarderebbe l’effettività del diritto di difesa e l’imparzialità e il buon andamento dell’azione amministrativa.

Le caratteristiche dell’elaborato, quali la struttura e la forma, i temi e gli istituti trattati, le considerazioni svolte, i richiami normativi e giurisprudenziali effettuati, la rispondenza alla traccia, la proprietà di linguaggio tecnico-giuridico, l’ampiezza, la chiarezza e l’esaustività, attesterebbero un chiarissimo conflitto logico tra il gravato giudizio e i criteri predeterminati.

In assenza di una espressa articolazione del giudizio negativo, il solo riferimento al mancato raggiungimento della soglia di sufficienza non assicurerebbe la trasparenza della motivazione della valutazione.

Esaurita l’illustrazione delle illegittimità rilevate a carico dell’atto impugnato, e affidata ad un parere pro-veritate la dimostrazione della bontà delle argomentazioni svolte in relazione all’idoneità dell’elaborato per cui è causa, la ricorrente domanda, previa eventuale disposizione di consulenza tecnica d’ufficio, l’annullamento della valutazione di non idoneità, con conseguente ordine giudiziale di riesame in via amministrativa dell’elaborato stesso con modalità che ne assicurino la correttezza e l’anonimato.

L'amministrazione intimata, costituitasi in giudizio, ha eccepito l'infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione dell'impugnativa.

Il ricorso viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 25 gennaio 2012.

DIRITTO

1. In via preliminare, in relazione alle istanze istruttorie formulate dalla ricorrente, va osservato che la controversia si presenta matura per la decisione.

2. Le doglianze articolate in gravame non meritano accoglimento.

3. Deve, innanzi tutto, rammentarsi che la disciplina del concorso per l’accesso alla magistratura ordinaria è costituita sia da disposizioni dettate dal r.d.15 ottobre 1925, n. 1860, sia da previsioni introdotte dal d. lgs. 5 aprile 2006, n. 160, come modificate dall’art. 1 della legge 30 luglio 2007, n. 111.

Queste ultime hanno dettato, in particolare, una nuova regolamentazione concernente l’oggetto delle prove scritte e orali, i punteggi minimi per l’ammissione agli orali e il superamento del concorso, nonché la nomina e la composizione della commissione esaminatrice e la disciplina dei suoi lavori.

L’art.1 del d. lgs. n. 160 del 2006 dispone che:

- la prova scritta è data dallo svolgimento “…di tre elaborati teorici, rispettivamente vertenti sul diritto civile, sul diritto penale e sul diritto amministrativo” (comma 3);

- la prova orale verte su dieci materie (diritto civile ed elementi fondamentali di diritto romano;
procedura civile;
diritto penale;
procedura penale;
diritto amministrativo, costituzionale e tributario;
diritto commerciale e fallimentare;
diritto del lavoro e della previdenza sociale;
diritto comunitario;
diritto internazionale pubblico e privato;
elementi di informatica giuridica e di ordinamento giudiziario) nonché su un colloquio facoltativo su lingua straniera indicata dal candidato tra inglese, spagnolo, francese e tedesco (comma 4);

- sono ammessi alla prova orale i candidati che conseguono “…non meno di dodici ventesimi di punti in ciascuna delle materie della prova scritta” e conseguono l’idoneità i candidati che ottengano in ciascuna materia della prova orale “non meno di sei decimi… e comunque una votazione complessiva nelle due prove non inferiore a centootto punti”, salvo il giudizio almeno di sufficienza nel colloquio facoltativo di lingua straniera (comma 5);

- “agli effetti di cui all’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, il giudizio in ciascuna delle prove scritte e orali è motivato con l’indicazione del solo punteggio numerico, mentre l’insufficienza è motivata con la sola formula "non idoneo"” (comma 5).

Il comma 3 dell’art. 5 ha, quindi, stabilito che “nella seduta di cui al sesto comma dell’art. 8 del r.d. n. 1860 del 1925 (ossia a seguito del raggruppamento delle buste degli elaborati di ciascun candidato in unica busta contrassegnata da numero progressivo, operazione immediatamente prodromica all’inizio delle correzioni) “…la commissione definisce i criteri per la valutazione omogenea degli elaborati scritti;
(mentre) i criteri per la valutazione delle prove orali sono definiti prima dell’inizio delle stesse”.

Nel rilevare che “alle sottocommissioni e ai collegi trovano applicazione le disposizioni di cui agli artt. 12, 13 e 16 e, quanto alle prove orali e all’assegnazione del punteggio finale, di cui agli artt. 14, 15 e 16 del r.d. n. 1860 del 1925 (comma 7 dell’art. 5 di cui sopra), va ulteriormente soggiunto come le disposizioni ora richiamate disposizioni prevedano, a loro volta:

- le operazioni prodromiche alla correzione, nonché le modalità della correzione (esame contestuale da parte delle sottocommissioni o dei collegi dei tre elaborati riferibili a ciascun candidato, con assegnazione del punteggio, salvo l’eventuale annullamento di elaborati che risultino in tutto o in parte copiati da altro lavoro o dai quali risulti che il concorrente si sia fatto riconoscere: art. 12);

- le operazioni successive a ciascuna correzione (annotazione a cura del segretario della commissione e “a piede di ciascun lavoro” del voto assegnato, sottoscritta dal presidente della commissione o sottocommissione) e delle operazioni conclusive della correzione (apertura delle buste contenenti i nomi dei candidati, al fine dell’abbinamento con gli elaborati corretti e dell’individuazione dei candidati ammessi agli orali;
pubblicazione dell’elenco degli ammessi all’orale: art. 13);

- lo svolgimento in seduta pubblica delle prove orali (art. 14);

- le modalità delle interrogazioni dei candidati, di assegnazione della votazione e l’immediata pubblicazione del risultato della prova (art. 15);

- il numero di voti a disposizione di ogni commissario (sino a 10 per ciascuna prova scritta e orale), la cui attribuzione è subordinata alla valutazione, a cura della commissione o sottocommissione, se il candidato meriti di conseguire il punteggio minimo richiesto (art. 16).

4. Calando l’attenzione sulla tornata concorsuale nel cui ambito è stato espresso l’avversato giudizio, va osservato quanto segue.

Nella seduta del 26 luglio 2010 (verbale n. 9) la Commissione valutatrice competente ha enucleato tre parametri alla stregua dei quali considerare idonei i candidati, richiedendo che ciascuno degli elaborati nelle tre materie:

- “presenti una forma italiana corretta sotto il profilo terminologico, sintattico e grammaticale, e riveli adeguata padronanza della terminologia giuridica, nonché sufficiente chiarezza espositiva, requisiti tutti indispensabili per la corretta redazione dei provvedimenti giudiziari;

- “presenti una pertinente ed esauriente trattazione del tema, dimostrando in capo al candidato una sufficiente conoscenza dell’istituto cui direttamente esso si riferisce e dei principi fondamentali della materia, nonché un’adeguata cultura giuridica generale”;

- “riveli la capacità del candidato di procedere all’analisi delle specifiche questioni a lui sottoposte e di proporne la soluzione, tuttavia senza che questa, se non condivisibile, possa assumere rilievo determinante nella valutazione, ove, nonostante ciò, sia comunque logicamente argomentata in coerenza con gli istituti e principi della materia”.

Al riguardo, pare opportuno premettere, ancorchè i suddetti criteri non abbiano formato oggetto di censura da parte della ricorrente, che gli stessi si rivelano pertinenti, razionalmente coordinati alla preparazione richiesta per il superamento delle prove scritte di un concorso debitamente selettivo quale quello per l’accesso alla magistratura ordinaria, nonché sufficientemente esaurienti nella delineazione del profilo di “adeguatezza” richiesto all’elaborato.

Invero, il conseguimento di un livello minimale di sufficienza presuppone la dimostrazione di un grado di cultura generale (correttezza lessicale, sintattica e grammaticale del testo) e di cultura tecnico-specialistica (padronanza della terminologia giuridica), che integrano la presenza di indefettibili presupposti ai fini di una trattazione lineare, comprensibile, adeguatamente sintetica della traccia fornita.

E’ innegabile, poi, che la trattazione non possa non essere pertinente agli istituti giuridici da esaminare e per quanto possibile esauriente, tale da denotare la conoscenza degli istituti, dei principi fondamentali di ciascuna materia, della giurisprudenza e della dottrina, quale può conseguire soltanto da un previa corretta analisi e inquadramento delle questioni giuridiche affrontate.

In funzione della professionalità richiesta ad aspiranti magistrati, è stato richiesto che gli elaborati debbano inoltre dimostrare che il candidato è in grado di procedere all’analisi delle questioni giuridiche sottoposte e di proporre una soluzione argomentata coerente con la disciplina degli istituti e i principi generali della materia oggetto della prova.

Può ancora aggiungersi, sul punto, che è noto che la individuazione dei criteri di valutazione delle prove appartiene comunque all’ampia sfera della discrezionalità tecnica delle commissioni esaminatrici insindacabile salvo che per profili di “manifesta e intrinseca illogicità e irrazionalità” ( ex plurimis , Cons. Stato, sez. IV, 15 febbraio 2010, n. 835).

5. Restringendo ulteriormente la messa a fuoco delle questioni poste dal ricorso in trattazione, il Collegio ritiene estremamente condivisibili le articolate argomentazioni con le quali la ricorrente ha illustrato, in via generale, il processo evolutivo che ha caratterizzato il percorso della giurisprudenza amministrativa in tema di sindacabilità della attività amministrativa connotata da discrezionalità tecnica.

In particolare appare corretto registrare, come fa la ricorrente, che proprio la specifica materia delle procedure concorsuali, specificamente investita dalla controversia, ha costituito un terreno molto fertile, che ha permesso di giungere ad importanti conclusioni in ordine al necessario equilibrio da assumere nello svolgimento della funzione giurisdizionale amministrativa per garantire, da un lato, la effettiva e piena giustiziabilità delle posizioni vantabili dai soggetti che, partecipando alle selezioni pubbliche, si sottomettono alla valutazione altamente discrezionale delle commissioni valutatrici competenti, scongiurando, dall’altro, il pericolo che l’attività giurisdizionale, sfuggendo al ruolo che l’ordinamento vigente le assegna, possa trasformarsi in una sostanziale rinnovazione della valutazione già effettuata in sede amministrativa , ovvero in una autonoma verifica da parte del giudice del grado di livello culturale che si reputa necessario dimostrare da parte del candidato per il conseguimento del giudizio idoneativo.

A tale ultimo riguardo, la ricorrente dimostra di non versare in alcun dubbio nel considerare che l’avversata ipotesi darebbe luogo ad una attività completamente estranea alla sfera dell’esercizio della funzione giurisdizionale.

Ma a tali – si ribadisce – condivisibili premesse la ricorrente non fa seguire una coerente prospettazione delle istanze rivolte a questa sede nella concreta fattispecie.

Ciò che, infatti, la ricorrente domanda è proprio una rinnovazione del giudizio già reso dalla competente Commissione esaminatrice in relazione al suo elaborato di diritto civile.

A tale conclusione il Collegio perviene osservando che il ricorso non indica, neanche al livello minimale del “principio di prova” richiesto nel processo amministrativo, alcun elemento che possa denotare, far presumere o lasciar trasparire al cospetto del Collegio la sussistenza di un vizio del processo logico nel quale si assume che la Commissione sarebbe incorsa esprimendo il negativo giudizio gravato.

In altre parole, il ricorso sostanzialmente si limita, nelle parti propriamente deputate a radicare i temi della controversia, a sostenere che l’elaborato in parola, alla luce dei criteri di valutazione predeterminati dalla Commissione, meritava un giudizio di idoneità.

Siffatta prospettazione, per quanto sopra riferito, non può trovare, naturalmente ingresso.

E, anche laddove tenta di pervenire all’esposizione di elementi sintomatici dell’esistenza di un vizio della funzione, la ricorrente mette in luce elementi del tutto insuscettibili di perseguire utilmente l’esito sperato.

5.1. Ci si riferisce, in primo luogo, al rilievo che il giudizio “non idoneo” non integrerebbe il grado di trasparenza richiesto dall’ordinamento per rendere percepibile, anche in vista dell’esercizio del diritto costituzionale alla difesa in giudizio, il ragionamento seguito nelle operazioni di correzione.

Sul punto, la ricorrente trascura, infatti, di considerare che la Commissione esaminatrice ha correttamente applicato la disposizione di cui all’art. 1, comma 5, del d. lgs. 160/2006, la quale, come già rammentato, dispone espressamente che “agli effetti di cui all’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, il giudizio in ciascuna delle prove scritte e orali è motivato con l’indicazione del solo punteggio numerico, mentre l’insufficienza è motivata con la sola formula "non idoneo"”.

Di talchè, da un lato, l’operato della commissione si rivela pienamente coerente con la normativa di settore di riferimento, della cui costituzionalità, può aggiungersi, il Collegio non ha motivo di dubitare.

Si ritiene, in particolare, pertinente all’ambito del ragionevole esercizio della discrezionalità della funzione che il legislatore abbia ritenuto di fissare un punteggio minimo per ciascuna prova scritta, pari a 12/20, corrispondente al voto di 6, in decimi, ossia alla tradizionale soglia della sufficienza, e di ragguagliare tutti gli elaborati insufficienti ad un’unica formula “non idoneo”, piuttosto che esigere una votazione numerica articolata su una scala da 0/20 a 11/20, tenuto conto dell’irrilevanza obiettiva dell’attribuzione di un voto numerico a elaborati giudicati inferiori alla soglia della sufficienza.

Tale previsione è, infatti, coerente con gli arresti giurisprudenziali che costituiscono ormai vero e proprio “diritto vivente”, che la Corte Costituzionale (ancora, da ultimo, con la sentenza 30 gennaio 2009, n. 20) ha ritenuto conforme ai parametri costituzionali del giusto processo e del diritto di difesa.

Dall’altro, consolidata giurisprudenza, cui la Sezione notoriamente aderisce, ha costantemente riconosciuto l’adeguatezza della motivazione dei giudizi valutativi delle prove dei concorsi pubblici espressa dall’attribuzione del voto numerico o, come nella specie, della non idoneità, laddove prevista, qualora l’elaborato non raggiunga nemmeno la soglia della sufficienza, senza la necessità di ulteriori indicazioni e chiarimenti a mezzo di proposizioni esplicative e di glosse, annotazione e segni grafici (tra tante, C. Stato, V, 13 luglio 2010, n. 4528;
IV, 15 febbraio 2010, n. 835,13 gennaio 2010, n. 92, 11 maggio 2009, n. 2880 e 11 luglio 2008, n. 3480).

5.2. Ci si riferisce, ancora, al parere pro-veritate versato in atti.

È consolidato, infatti, l'indirizzo giurisprudenziale circa la sostanziale irrilevanza dei pareri pro veritate al fine di confutare il giudizio delle commissioni valutatrici, atteso che spetta in via esclusiva a queste ultime la competenza a valutare gli elaborati degli esaminandi, e che, a meno che non ricorra l'ipotesi residuale del macroscopico errore logico (nella fattispecie prima facie non rilevabile), non è consentito al giudice della legittimità sovrapporre alle determinazioni da essa adottate il parere reso da un soggetto terzo, quale che sia la sua qualifica professionale ed il livello di conoscenze e di esperienze acquisite nella materia de qua (C. Stato, IV, 30 maggio 2007, n. 2781;
11 gennaio 2008, n. 71;
17 aprile 2009, n. 1853).

Ciò che attesta anche l’insuscettibilità della questione di essere trasferita in sede di consulenza tecnica d’ufficio, come pure richiesto dalla ricorrente.

5.3. Ci si riferisce, inoltre, alla circostanza, evidenziata in più parti del ricorso, che la ricorrente ha conseguito un giudizio di più che sufficienza in relazione alle altre due prove in diritto penale e in diritto amministrativo, elemento del tutto inidoneo ad influire nell’apprezzamento della fondatezza del gravame.

Infatti, in una procedura concorsuale che affida la selezione dei candidati, per quanto attiene alle prove scritte, alla valutazione di tre elaborati su diverse ed autonome materie (art.1 del d. lgs. n. 160 del 2006, cit.), l’accertamento di una adeguata preparazione in capo al candidato in solo alcune di esse, mediante il voto favorevole apposto sui corrispondenti elaborati, appare del tutto irrilevante, sotto il profilo logico prima ancora che giuridico, ai fini della dimostrazione dell’erroneità del giudizio negativo resa sulle restanti, posto che lo stesso non sarà mai in grado di far intravedere che il giudizio negativo sulla materia contemplata dall’elaborato non positivamente valutato sia, per ciò solo, affetto da mende.

Un diverso approccio alla questione valorizzerebbe, contrariamente all’espresso disposto della legge di riferimento, e cioè inconfigurabilmente, la possibilità che la preparazione dell’aspirante magistrato sia suscettibile di essere gravemente “sbilanciata” tra le diverse materie, laddove, invece, si richiede inequivocabilmente che il candidato dimostri il possesso di una completa, complessiva ed equilibrata cultura e preparazione giuridica nell’ambito delineato dalla pertinente normativa.

5.4. Nulla muta considerando, infine, che alle prove orali del concorso de quo sia stato ammesso un numero di candidati inferiore ai posti messi a concorso.

L’argomentazione attiene invero ad un ambito meramente “cronachistico”, e si pone, vieppiù, in contrasto con la finalità di ogni selezione pubblica che richiede, come del resto la ricorrente mostra di ben conoscere, che ogni prova basata sul merito sia superata non da un numero di candidati corrispondenti o superiori ai posti di organico disponibili, bensì dai candidati che nella stessa risultino migliori, e ciò a maggior ragione nella procedura per cui è causa, in forza della quale si è ammessi ad un così delicato e prestigioso percorso professionale.

6. Per tutto quanto precede, il ricorso deve essere respinto.

La natura dell’interesse azionato rende opportuno disporre la integrale compensazione tra le parti costituite delle spese di lite.

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