TAR Venezia, sez. I, sentenza 2023-08-23, n. 202301223

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. I, sentenza 2023-08-23, n. 202301223
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 202301223
Data del deposito : 23 agosto 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/08/2023

N. 01223/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00366/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 366 del 2023, proposto da
F T, rappresentato e difeso dall'avvocato M S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Università degli Studi Verona, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege , in Venezia, San Marco 63;

per l'annullamento

- del Decreto Rettorale n. 701 prot. 46761 del 30 gennaio 2023, a firma del Rettore dell'Università degli Studi di Verona, con il quale il ricorrente è stato collocato in aspettativa obbligatoria senza assegni ai sensi dell'art. 13 – comma 9 – del D.P.R. n. 382 del 1980, a seguito della nomina a Presidente di AGSM – AIM s.p.a. a decorrere dal 6 dicembre 2022 e sino all’assemblea di approvazione del bilancio relativo all'anno 2023;

- di ogni altro eventuale atto e/o provvedimento, presupposto e/o conseguente.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Università degli Studi Verona;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 luglio 2023 il dott. Nicola Bardino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il ricorrente, F T, è professore ordinario presso il Dipartimento di Management dell’Università degli Studi di Verona, nel Settore scientifico disciplinare Economia e gestione delle imprese. Ha optato, quale docente universitario di ruolo, per l’impegno a tempo definito, ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. n. 382 del 1980.

Espone di essere stato nominato componente del consiglio di amministrazione della Società A.g.s.m. A.i.m. s.p.a. e che il consiglio di amministrazione della società lo ha quindi nominato presidente. Detta carica comporterebbe l’esercizio di poteri inerenti all’amministrazione della società.

2. Il ricorrente trasmetteva all’Ateneo la comunicazione relativa all’assunzione dell’incarico extra-istituzionale, precisandone il compenso e la durata (dal 6 dicembre 2022 all’assemblea di approvazione del bilancio di esercizio del 2023) e dichiarando altresì di non essere titolare di deleghe operative.

Ricevuta tale comunicazione, l’Università – dopo aver avviato l’interlocuzione procedimentale – collocava il docente in aspettativa obbligatoria senza assegni, ai sensi dell’art. 13, 1° comma, n. 10 ), del d.P.R. n. 382 del 1980.

3. Avverso tale determinazione ricorre il Prof. T, il quale premette che A.g.s.m. A.i.m. s.p.a. è una multiutility di proprietà interamente pubblica, sorta dal 1° gennaio 2021 per la fusione di A.i.m. Vicenza con A.g.s.m. Verona. La partecipazione azionaria è ripartita tra il Comune di Verona, socio di maggioranza, e il Comune di Vicenza.

La deliberazione di nomina avrebbe affidato al presidente del consiglio di amministrazione i seguenti compiti, privi di connotazioni operative e gestionali: presiedere il comitato esecutivo e il comitato dei territori;
curare le relazioni istituzionali con il territorio, Istituzioni, Pubbliche amministrazioni e associazioni;
curare, di concerto con il consigliere delegato, la comunicazione istituzionale e i rapporti con i media e sovrintendere alla segreteria.

Di contro, tutti i poteri di gestione e di rappresentanza, nonché le deleghe operative sarebbero stati affidati al consigliere delegato, come specificato nella relativa visura camerale (doc. 10 del ricorrente). Inoltre, lo statuto della società avrebbe previsto, riguardo all’approvazione delle delibere del consiglio di amministrazione che “ in caso di parità, prevale la decisione che ha riportato il voto favorevole del Consigliere Delegato ” (c.d. casting vote ;
cfr. l’art. 23, 6° cpv. dello statuto) e non del presidente.

I restanti compiti sarebbero assegnati all’assemblea dei soci, senza che sia previsto alcun coinvolgimento del prof. Dal T, quale presidente del consiglio di amministrazione.

In questo quadro, il ricorrente lamenta dunque di essere stato privato della retribuzione (l’aspettativa è infatti “ senza assegni ”) e, nel contempo, della possibilità di assicurare la dovuta continuità didattica agli insegnamenti di cui risulta titolare, a seguito dell’assunzione di una carica poco più che onorifica (per il cui svolgimento sarebbe stato previsto un compenso pari ad € 90.000,00, la cui metà sarebbe stata donata al “ Fondo di solidarietà comunale e del contributo ‘caro bollette’ ”) che non avrebbe comportato l’attribuzione di poteri autonomi e l’assunzione di compiti gestionali all’interno della società.

4. Svolte tali premesse, il ricorrente formula il seguente motivo:

I. Violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento alla L. 30.12.2010, n. 240, in particolare art. 6 e al d.P.R. 11.07.1980, n. 382, in particolare artt. 11 e 13 . La riforma dell’organizzazione delle università e – special modo - dell’ordinamento del personale accademico, introdotta dalla legge n. 240 del 2010 (c.d. legge Gelmini), disciplina le incompatibilità dei professori e dei ricercatori, stabilendo, quanto ai professori che, come il ricorrente, abbiano optato per il tempo definito, “ possono svolgere attività libero-professionali e di lavoro autonomo anche continuative, purché non determinino situazioni di conflitto di interesse rispetto all’ateneo di appartenenza. La condizione di professore a tempo definito è incompatibile con l’esercizio di cariche accademiche. Gli statuti di ateneo disciplinano il regime della predetta incompatibilità. Possono altresì svolgere, anche con rapporto di lavoro subordinato, attività didattica e di ricerca presso università o enti di ricerca esteri, previa autorizzazione del rettore che valuta la compatibilità con l’adempimento degli obblighi istituzionali ” (art. 6, comma 12). La disposizione avrebbe in una certa misura sollecitato una reinterpretazione di quanto disposto in materia dal d.P.R. n. 382 del 1980, favorendo maggiormente la possibilità per il mondo delle professioni e delle imprese di attingere – per finalità consultive - alle competenze del corpo docente, ferma l’incompatibilità “ con l’esercizio del commercio e dell’industria ” (art. 11, comma 4, d.P.R. n. 382 del 1980;
art. 6, comma 9, l. n. 240 del 2010).

All’interno di tale cornice normativa, il ricorrente ritiene che, nel proprio caso, non possa configurarsi alcuna situazione di incompatibilità (o meglio, che non emergano i presupposti per il collocamento in aspettativa), tenuto conto (oltreché dell’opzione per il tempo definito) delle caratteristiche concrete dell’incarico assegnatogli, che non comporterebbe compiti gestori e non imporrebbe carichi significativi, capaci di precludere il corretto svolgimento dei compiti accademici.

A conferma dei propri assunti, il ricorrente richiama tra l’altro uno scritto sulla questione controversa redatto da un altro professore universitario (ordinario di Economia Aziendale), documenti interpretativi formati in ambito accademico, uno stralcio del Piano Nazionale Anticorruzione, pareri della Corte dei Conti nonché una serie di disposizioni estratte dai regolamenti di alcuni atenei italiani. Ciascuno di essi attesterebbe la compatibilità con il rapporto di servizio del professore a tempo definito rispetto all’assunzione di posizioni non operative all’interno dell’organizzazione di società di capitali ovvero di persone giuridiche private anche a carattere lucrativo.

5. Si è costituita in giudizio l’Università degli Studi di Verona, tramite la difesa erariale, che ha resistito nel merito, sottolineando come l’assunzione di cariche istituzionali all’interno di società pubbliche, indipendentemente dal fine di lucro eventualmente perseguito, imponga il collocamento del docente in posizione di aspettativa obbligatoria senza assegni, ai sensi dell’art. 13, 1° comma, n. 10) , del d.P.R. n. 382 del 1980, anche quando l’assunzione della carica non risulti assecondata dal conferimento di poteri gestori o di indirizzo (come sarebbe avvenuto per il ricorrente).

6. Nella propria memoria e, da ultimo, nel corso della discussione, il ricorrente ha contestato gli assunti dell’Università, ribadendo che (anche alla luce del quadro nascente dalla riforma introdotta dalla legge n. 240 del 2010) il regime di aspettativa obbligatoria riguarderebbe esclusivamente le ipotesi in cui l’assunzione della carica sociale dia luogo allo svolgimento di una attività imprenditoriale (c.d. “ esercizio dell’industria e del commercio ”), con la conseguenza che l’assunzione della carica di presidente non operativo rivestirebbe un ruolo poco più che onorifico, di per sé non idoneo a generare elementi di incompatibilità rispetto alla prestazione del docente (con la quale non verrebbe in nessun modo ad interferire, non minando né la qualità dell’insegnamento, né il contenuto dell’attività scientifica) e, più in generale, rispetto all’andamento del rapporto di servizio che lega il ricorrente all’Ateneo di appartenenza.

7. Chiamata alla pubblica udienza del 12 luglio 2023, la causa è stata quindi trattenuta in decisione.

8. Il ricorso è infondato in relazione all’unico motivo dedotto, le cui declinazioni, strettamente connesse, possono essere trattate congiuntamente.

In linea generale, deve essere ricordato che l’art. 13, 1° comma, n. 10 ), del d.P.R. n. 382 del 1980 (significativamente rubricato “ aspettativa obbligatoria per situazioni di incompatibilità ”) prevede che “ ferme restando le disposizioni vigenti in materia di divieto di cumulo dell'ufficio di professore con altri impieghi pubblici o privati, il professore ordinario è collocato d'ufficio in aspettativa per la durata della carica, del mandato o dell'ufficio nei seguenti casi: […] 10) nomina alle cariche di presidente, di amministratore delegato di enti pubblici a carattere nazionale, interregionale o regionale, di enti pubblici economici, di società a partecipazione pubblica, anche a fini di lucro. Restano in ogni caso escluse le cariche comunque direttive di enti a carattere prevalentemente culturale o scientifico e la presidenza, sempre che non remunerata, di case editrici di pubblicazioni a carattere scientifico ”.

Secondo un risalente ma non superato insegnamento giurisprudenziale, tale disposizione “ prevede il collocamento in aspettativa, come obbligatorio e non come meramente facoltativo […] , sicché risulta esclusa la possibilità di valutazioni discrezionali dell'amministrazione di appartenenza del dipendente, in ordine al se accordare o meno il collocamento in aspettativa, e per quale durata accordarlo ” (così Cons. Stato, Sez. VI, n. 1056 del 2004).

L’indirizzo richiamato impone di considerare come il regime di incompatibilità, e il conseguente obbligatorio collocamento in aspettativa, siano entrambi da ricondurre al puntuale verificarsi della fattispecie individuata dalla disposizione in esame, in ragione della carica assunta dal docente (“ presidente ” del consiglio di amministrazione) e della qualificazione pubblica da ascrivere al soggetto presso il quale la medesima carica viene rivestita, senza che residui alcuno spazio intermedio per un apprezzamento discrezionale da parte dell’Ateneo, che consenta di accertare la sussistenza o meno di una condizione di incompatibilità nel caso concreto.

9. Il punto nodale (data la pacifica assunzione della carica di presidente del consiglio di amministrazione della società) attiene dunque alla natura (pubblica o privata) del soggetto giuridico presso il quale è avvenuta ed è stata accettata la nomina, essendo, a ben vedere, del tutto irrilevante, alla stregua della norma, quali poteri o compiti siano stati in tal modo assegnati al ricorrente.

Proprio sotto quest’ultimo profilo, deve essere osservato come la società A.g.s.m. A.i.m. s.p.a. (presso la quale viene assunto l’incarico), partecipata dai Comuni di Verona e di Vicenza, rientri pienamente nella categoria delle “ società a partecipazione pubblica ” secondo la piana definizione introdotta dall’art. 2, 1° comma, del d. Lgs. n. 175 del 2016, in base al quale sono tali “ le società a controllo pubblico, nonché le altre società partecipate direttamente da amministrazioni pubbliche o da società a controllo pubblico ” (lett. n ).

Tale conclusione è ulteriormente avvalorata dall’apparato definitorio contenuto nel citato art. 2 del d. Lgs. n. 175 del 2016 ( Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica ), con il quale si chiarisce che per partecipazione deve intendersi “ la titolarità di rapporti comportanti la qualità di socio in società o la titolarità di strumenti finanziari che attribuiscono diritti amministrativi ” (lett. f ).

10. Ma ancor più dev’essere rammentato che, ai sensi del successivo art. 12, i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono comunque soggetti – indipendentemente dall’assunzione di una posizione di controllo da parte dell’Amministrazione (vi è infatti una chiara amplificazione del regime di responsabilità nel caso di società che, come A.g.s.m. A.i.m. s.p.a., sia sottoposta all’attività di direzione e coordinamento di un Ente pubblico) - alla giurisdizione della Corte dei conti, quantomeno “ nei limiti della quota di partecipazione pubblica ” (1° comma), in tutti i casi di “ danno erariale […], patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che, nell'esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore della partecipazione ” (2° comma).

Il che rende immediatamente percepibile come, nella specie, l’assunzione della carica di presidente, benché in carenza di deleghe esplicite e di poteri gestori o di indirizzo, ponga il ricorrente in una condizione di responsabilità volta a tutelare l’Amministrazione nei limiti della partecipazione (che si assomma alle ordinarie figure in cui si articola l’ordinaria responsabilità privatistica degli organi sociali nei confronti dei soci e del ceto creditorio), la quale costituisce un chiaro elemento sintomatico della qualificazione della società come “ a partecipazione pubblica ”, nel significato sotteso alla stessa lettera dell’art. 13, 1° co., n. 10 ), del D.P.R. n. 382 del 1980.

11. Emerge, sotto il profilo ora esaminato, la funzione di garanzia insita nell’automatico collocamento in aspettativa del docente, che “ si giustifica (come riconosciuto anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 158 del 1985) per la plausibile e ragionevole considerazione della impossibilità del contemporaneo svolgimento, in modo adeguato, dell'attività di docente universitario nei compiti nuovi e complessi derivante dalla riforma dell'ordinamento universitario e dei compiti di notevole impegno connessi ad alcune cariche pubbliche.

La regola è quindi quella del collocamento in aspettativa d'ufficio (e non a domanda, come per gli altri dipendenti dello Stato) senza assegni dei professori che assumono cariche pubbliche in senso lato. Ciò in quanto detta regola, sollevando il titolare dell'incarico dalle incombenze connesse al suo status di docente, gli consente di dedicare tutto il suo impegno al migliore espletamento dell'incarico, senza privarlo del suo posto di lavoro (cfr. Cons. di Stato, VI, n. 7945 del 2003) ” (Cons. Stato, Sez. VI, n. 6511 del 2008), scongiurando gli effetti della altrimenti inevitabile dilatazione del perimetro della responsabilità erariale (automaticamente circoscritta, mediante il collocamento in aspettativa, al solo alveo della carica conferitagli).

12. Deve inoltre essere evocato in questa sede il prevalente indirizzo giurisprudenziale, formatosi successivamente alla modifica dell'art. 2392 c.c., avvenuta a seguito della riforma delle società di capitali del 2003, secondo il quale (contrariamente alla tesi esposta in sede d’impugnazione) i componenti del consiglio di amministrazione che, come il ricorrente, non siano stati destinatari di deleghe e risultino quindi non operativi, restano pur sempre implicati nelle scelte gestorie, rispetto alle quali risultano pienamente responsabili quando non abbiano impedito fatti pregiudizievoli commessi dagli amministratori operativi, “ in virtù della conoscenza — o della possibilità di conoscenza, per il loro dovere di agire informati ex art. 2381 c.c. — di elementi tali da sollecitare il loro intervento alla stregua della diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze ” (così, ad es., Cass. Civ. Sez. I, n. 17441 del 2016).

Sotto quest’ultimo profilo, va poi considerato come le particolari competenze tecniche, le quali costituiscono il necessario apporto scientifico-esperienziale del ricorrente alle sedute degli organi societari, non possono che acuirne l’influenza, così da interferire, quanto meno di fatto (specie in ragione della propria autorevolezza, amplificata dalla sottostante designazione pubblica), con gli indirizzi e la gestione della società.

Tale influenza, d’altro canto, risulta formalizzata anche nel contesto dello statuto, il quale, nell’art. 22, comma 4, definisce e pone in capo al presidente i poteri propulsivi (proporre gli “ indirizzi strategici della Società ”;
stabilire “ l’ordine del giorno delle adunanze del Consiglio di Amministrazione, tenendo conto delle proposte formulate dal Consigliere Delegato ”), compiti di controllo (vigilare “ sulla corretta gestione della Società e sul regolare andamento dell'attività sociale ”;
sovrintendere “ all'esercizio dei poteri attribuiti al Consigliere Delegato ”), nonché le funzioni di legale rappresentanza della società (di cui esercita “ la legale rappresentanza e la firma sociale di fronte ai terzi e la rappresentanza nei giudizi di qualsiasi ordine e grado ”).

13. Sulla base delle considerazioni che precedono, il collocamento in aspettativa senza assegni del ricorrente non può che essere qualificato, dunque, come obbligatorio ai sensi dell’art. 13, 1° co., n. 10 ), del D.P.R. n. 382 del 1980, con piena conferma del provvedimento assunto in tal senso dall’Ateneo, in quanto:

a) la nomina a consigliere di amministrazione e quindi a presidente afferiscono indiscutibilmente ad una società a partecipazione pubblica;

b) anche a prescindere da questo rilievo (di per sé assorbente), i compiti ascritti al ricorrente, in ragione del conferimento della carica di presidente e delle vigenti disposizioni statutarie, non appaiono prima facie estranei alla gestione, anche imprenditoriale, della compagine sociale, così da configurare una situazione di chiara incompatibilità, la cui rimozione impone l’automatico collocamento in aspettativa del docente.

14. Per i rilievi anzidetti il ricorso va dunque respinto.

Sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite, considerata la particolarità e la parziale novità delle questioni esaminate.

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