TAR Napoli, sez. V, sentenza 2012-02-09, n. 201200702
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N. 00702/2012 REG.PROV.COLL.
N. 03842/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3842 del 2011 proposto dalla Sig.ra Russo M T, rappresentata e difesa dall’Avv. A G ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Immacolata Coppola in Napoli, Piazza Garibaldi n.73;
contro
ASL NA 3 SUD in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv. R A P e C D B ed elettivamente domiciliata presso la Segreteria del TAR di Napoli;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
del provvedimento n.10049 del 7/4/2011 con il quale si è comunicato di non poter procedere all’approvazione degli atti relativi alla selezione interna di cui alla Delibera n.390 del 4/7/2006.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista la memoria dell’ASL NA 3 SUD;
Visti tutti gli atti della causa;
Designato relatore il Consigliere Gabriele Nunziata alla pubblica udienza del 26 gennaio 2012, ed ivi uditi gli Avvocati come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Espone in fatto parte ricorrente di essere dipendente dell’ex ASL NA 5 – ora ASL NA 3 Sud – in qualità di Coadiutore Amministrativo fascia B1 e di aver partecipato alla selezione interna per Coadiutore Amministrativo Esperto;la Commissione concludeva i propri lavori e l’Azienda Sanitaria ne prendeva atto ma, a seguito di diffida inoltrata da parte ricorrente, con l’impugnato provvedimento comunicava di non poter procedere all’approvazione degli atti relativi alla selezione interna di cui alla Delibera n.390 del 4/7/2006.
L’ASL NA 3 SUD si è costituita per sostenere l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione di questo giudice a conoscere di controversie che afferiscono a concorsi interni, e comunque l’infondatezza del medesimo.
Alla pubblica udienza del 26 gennaio 2012 la causa è stata chiamata e trattenuta per la decisione come da verbale.
DIRITTO
1. Con il ricorso in esame parte ricorrente lamenta la violazione dell’art.12, comma 2, del CCNL del Comparto Sanità, dei Decreti del Commissario ad acta della Regione Campania nn.56 e 62/2010, del principio di affidamento, dell’art.21-quinquies della Legge n.241/1990 e dell’art.18 del DPR n.220/2001.
2. Quanto al merito della controversia ed alla eccezione sollevata dall’ASL di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere di vicende che afferiscono a concorsi interni, il Collegio osserva che la giurisprudenza delle Sezioni Unite (31.10.2008, n.26295;12.7.2007, n.15588;n.10419/2006) ritiene che, nel lavoro pubblico contrattualizzato, "per procedure concorsuali di assunzione" ascritte al diritto pubblico e all'attività autoritativa dell'amministrazione (alla stregua del art. 63, comma 4, D.Lgs. n. 165 del 2001) si intendono non soltanto quelle preordinate alla costituzione "ex novo" dei rapporti di lavoro (essendo tali tutte le procedere aperte a candidati esterni, ancorchè vi partecipino soggetti già dipendenti pubblici), ma anche i procedimenti concorsuali "interni", destinati, cioè, a consentire l'inquadramento di dipendenti in aree funzionali o categorie più elevate, profilandosi in tal caso una novazione oggettiva dei rapporti lavoro. Le progressioni all'interno di ciascuna area professionale o categoria, sia con acquisizione di posizioni più elevate meramente retributive, sia con il conferimento di qualifiche (livello funzionale di inquadramento connotato da un complesso di mansioni e di responsabilità) superiori (art. 52, comma 1, del D.Lgs. n. 165 del 2001), sono affidate, invece, a procedure poste in essere, dall'Amministrazione, con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato (art. 5, comma 2, cit. D.Lgs. n.165). Tale differente disciplina, tra i passaggi interni alle aree professionali rispetto a quelli esterni, appare, peraltro, confermata dalla Legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Legge finanziaria per il 2006), nel suo riferimento "agli importi relativi alle spese per le progressioni all'interno di ciascuna area professionale o categoria" e alla diversa nozione di "passaggio di area o di categoria" (art. 1, comma 193, cit. L. n.266). Alla stregua dell'interpretazione enunciata, assume rilevanza determinante, ai fini dell'indicato criterio di riparto della giurisdizione, il contenuto della contrattazione collettiva, sicchè in presenza di progressioni, secondo disposizioni di legge o di contratto collettivo, all'interno di ciascuna area professionale o categoria, la procedura, estranea all'ambito delle attività amministrative autoritative, è retta dal diritto privato (art. 1, comma 1 bis, della Legge n.241 del 1990), con devoluzione delle relative controversie alla giurisdizione ordinaria.
2.1 Alla luce della giurisprudenza costituzionale in tema di obbligatorietà del concorso pubblico (ordinanza n. 2 del 2001), l'art. 63 del D.lgs. n. 165 del 2001 va inteso nel senso che la giurisdizione del giudice amministrativo non solo sussiste per le controversie relative a concorsi aperti a candidati esterni, ma si estende ai concorsi per soli candidati interni indetti per il passaggio da un'area funzionale ad un'altra, spettando poi al giudice munito di giurisdizione la verifica della legittimità dell'esclusione o dell'apertura del concorso all'esterno. Ne consegue che la giurisdizione del giudice ordinario assume in tale ambito carattere residuale, limitata ai concorsi per soli interni che comportino progressioni professionali nell'ambito della medesima area, senza alcuna "novazione" dei relativi rapporti di lavoro.
2.2 Nella fattispecie, per quanto è dato desumere ad esempio da procedure che hanno interessato soggetti concorrenti per ctg. diversa da quella di appartenenza, si è comunque almeno in parte in presenza di procedure di riqualificazione tali per le quali va dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine ad un concorso indetto per il passaggio da un’area funzionale all’altra, ciò in disparte il ragionamento di certa giurisprudenza (cfr. TAR Marche, 19.12.2008, n.2152;Cons. Stato, V, 16.7.2007, n.4030) secondo la quale tali concorsi comportano, per coloro che li hanno utilmente superati, una radicale modificazione o novazione del precedente rapporto di lavoro: l'utile superamento del corso non determina, infatti, solo la modifica del trattamento retributivo, ma anche della posizione giuridica nell'ambito della pianta organica del personale dell’Ente di appartenenza, dal momento che il dipendente acquisisce una nuova "qualifica" o, come ora definito, un nuovo "profilo professionale" cui corrispondono nuove e diverse mansioni.
Per tali motivi l’eccezione sollevata al riguardo dalla difesa dell’ASL resistente va disattesa.
3. Nel merito della vicenda, come peraltro in analoga vicenda già scrutinata dalla Sezione (10.11.2011, n.5274), si ritiene che le censure dedotte in sede ricorsuale, quali si prestano ad una trattazione congiunta, non siano meritevoli di positiva valutazione.
3.1 Infatti il Decr. Lgs. n.150/2009 (cd. “Decreto Brunetta”) ha chiaramente affermato che la progressione nei pubblici uffici deve sempre avvenire per concorso e la Corte Costituzionale (n.108 del 2011) ha anche dichiarato l’illegittimità di una Legge della Regione Calabria che disponeva in senso contrario. Ora, con riguardo alla questione se le selezioni verticali, a prescindere se siano state o meno programmate, non possano essere comunque effettuate a partire dall’entrata in vigore del Decr. Lgs. n.150/2009, si ritiene, come già osservato dalla Sezione in vicende analoghe (nn.16016 e 16014 del 24/6/2010), che si tratta di garantire il rispetto dei principi, antecedenti al citato Decr. n.150/2009, quali contenuti nell'art. 35 del D.Lgs. n.165/01, secondo cui l'assunzione deve avvenire mediante procedure selettive volte all'accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano adeguatamente l'accesso dall'esterno e siano conformi ai principi di trasparenza, imparzialità, economicità ed efficacia meglio specificati al terzo comma dello stesso art. 35;la modalità selettiva del corso-concorso di per sé non contrasta certo con il rispetto di tali principi e non vi sono pertanto ragioni per non considerarla utilizzabile per l'accesso all'impiego ed alle qualifiche dirigenziali degli enti locali, purché disciplinata conformemente ai dettami della normazione di rango primario.
In particolare il principio sancito dal citato art. 35, comma 1, secondo il quale per la costituzione del rapporto di pubblico impiego devono superarsi procedure selettive, è applicabile, in via generale, anche con riferimento all'attribuzione al dipendente di una qualifica superiore (in base alle disposizioni contenute nei contratti collettivi cui rinvia l'art. 40, comma 1 dello stesso Decreto Legislativo), dato che, a norma del successivo art. 52, comma 1, la qualifica superiore viene acquisita dal lavoratore «per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive» (Cons. Giust. Ammin., 29.6.2005, n.412);pertanto si deve ritenere che le procedure che consentono il passaggio da un'area inferiore a quella superiore integrano un vero e proprio concorso, qualunque sia l'oggetto delle prove che i candidati sono chiamati a sostenere, ciò perché in materia di pubblico impiego il concorso costituisce (di norma) la regola generale anche per l'accesso ad una fascia funzionale superiore, essendo lo stesso «il mezzo maggiormente idoneo ed imparziale per garantire la scelta dei soggetti più capaci ed idonei ad assicurare il buon andamento della Pubblica amministrazione».
3.2 Come chiarito dalla giurisprudenza (cfr. T.A.R. Campania, Salerno, II, 15.1.2008, n.38), il contesto vincolistico che, in nome del contenimento della spesa pubblica, attraverso la riduzione delle dotazioni organiche la cui determinazione assume sempre più strategicamente il ruolo di presupposto necessario ed ineludibile per pianificare la politica del personale e quindi le procedure di reclutamento ex artt.35 e 36 del D. Lgs n.165/01, è sicuramente valevole anche per le Regioni e le autonomie locali che devono attenersi ai criteri e limiti fissati al riguardo. In tale ottica si inseriscono le pronunce della Corte costituzionale (n. 1 del 1999 e n.194 del 2002), della Corte di Cassazione (SS. UU 15.10.2003, n. 15403) e del Consiglio di Stato (parere del 9 novembre 2005) che hanno evidenziato come con il citato art. 35 il Legislatore abbia stabilito che l'assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene con contratto individuale di lavoro tramite procedure selettive, conformi ai principi del comma 3, volte all'accertamento della professionalità richiesta e che garantiscano in misura adeguata l'accesso dall'esterno. La Corte regolatrice della giurisdizione, nell'interpretazione della norma, con la citata pronuncia, ha chiarito che "questa regola deve ritenersi applicabile, in via generale, anche con riferimento all'attribuzione al dipendente di una qualifica superiore (in base alle disposizioni contenute nei contratti collettivi cui rinvia l'art. 40, primo comma, del medesimo decreto legislativo) dato che, a norma del successivo art. 52, primo comma, la qualifica superiore viene acquisita dal lavoratore per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive". Pertanto, considerato che mediante gli accordi collettivi stipulati nel comparto del pubblico impiego è stato previsto un sistema di inquadramento del personale articolato in aree o fasce, all'interno delle quali sono contemplati diversi profili professionali, si deve ritenere che le procedure che consentono il passaggio da un'area inferiore a quella superiore integrino un vero e proprio concorso tali essendo anche le procedure che vengono denominate "selettive" qualunque sia l'oggetto delle prove che i candidati sono chiamati a sostenere".
Tale indirizzo ha trovato conferma nella successiva giurisprudenza costituzionale intervenuta dopo la privatizzazione del rapporto di impiego, essendo stato in particolare precisato che il passaggio ad una fascia funzionale superiore costituisce l'accesso ad un nuovo posto di lavoro e che la selezione, alla stregua di qualsiasi altro strumento di reclutamento, deve rimanere soggetta alla regola del pubblico concorso (ex multis, nn.320/97 e 314/94). Con la sentenza n. 194 del 2002 la Corte costituzionale, dopo aver richiamato, in materia di progressioni verticali (concorsi interni da un'area all'altra), i suestesi principi, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di alcune norme della Legge n.133 del 1999 che riservava ai dipendenti dell'amministrazione finanziaria "la totalità dei posti messi a concorso, pari a gran parte dei posti disponibili, per di più prevedendo una quota riservata che appare incongruamente elevata...Né, oltre tutto, all'epoca risultava bandito il concorso pubblico per la residua parte dei posti, mentre è noto che il modello concorsuale richiede che la selezione avvenga con criteri tali da "prevedere e consentire la partecipazione anche agli estranei,assicurando così il reclutamento dei migliori" e, a tale modello si deve ricorrere anche per scongiurare "gli effetti distorsivi" che il criterio dei concorsi interni può produrre (sentenza n. 313 del 1994), attraverso forme di surrettizia reintroduzione dell'ormai superato sistema delle carriere "in contrasto con il canone di buon andamento dell'amministrazione (sentenza n. 313 del 1993)." In sostanza il Giudice delle Leggi ha censurato, per violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost., la previsione normativa del "concorso interno", che riservava ai dipendenti dell'amministrazione una percentuale dei posti disponibili particolarmente elevata, per di più senza aver bandito il concorso pubblico per la residua parte dei posti.
Il Consiglio di Stato - Commissione speciale per il pubblico impiego, con il parere del 9 novembre 2005 ha chiarito che "il lemma assunzione - come da ultimo confermato anche dalla recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 14259 del 7 luglio 2005 - deve essere correlato alla qualifica che il candidato va a conseguire e non all'ingresso iniziale nella pianta organica del personale, dal momento che , oltretutto, l'accesso nell'area superiore del personale interno o esterno implica, esso stesso, un ampliamento della pianta organica". In sostanza, le progressioni verticali sono equiparate alle assunzioni e quindi, sono soggette alle limitazioni complessive della spesa massima consentita per ogni ente secondo i criteri fissati dai DPCM del 15 febbraio 2006.
3.3 Ciò premesso, il Collegio ritiene, con riguardo a quanto di specifico interesse nel gravame in questione, che, in perfetta aderenza ai principi di rango costituzionale compendiati nell'art. 98 Cost., la normativa di settore tuttora impone per l'assegnazione di pubblici uffici il ricorso a procedure concorsuali che salvaguardino l'accesso dall'esterno (cfr. T.A.R. Calabria, Catanzaro, II, 11.3.2002, n.568;n.1108/2001) ai sensi degli artt. 36 e 36 bis del D. Lgs. 29/93 i cui principi sono oggi trasfusi nel citato art. 35 del D. Lgs 165/2001. Peraltro la riserva, in favore del personale interno, di una quota non superiore al 50% dei posti messi a concorso nell'ambito di una progressione verticale, è ammissibile per ogni singola procedura selettiva, non potendo l'ente effettuare una sorta di "compensazione" tra procedure selettive interamente riservate al personale interno con procedure selettive interamente aperte a soggetti esterni, seppur ricomprese nell'ambito della programmazione triennale del fabbisogno del personale di cui all'art. 39, comma 1, della Legge 27 dicembre 1997 n. 449 (Corte Conti, reg. Friuli Venezia Giulia, sez. contr., 2.7.2009, n.70).
4. In definitiva nella fattispecie l’Amministrazione resistente ha dato applicazione, ricorrendone le condizioni, al potere di adottare provvedimenti di revoca con l’effetto che, una volta intervenuta la revoca, il provvedimento revocato non può produrre ulteriori effetti. Sul punto il Tribunale ricorda a se stesso che l’art. 21 quinquies della Legge n.241 del 1990 testualmente recita: “Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo. Le controversie in materia di determinazione e corresponsione dell'indennizzo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”. L’art.21 nonies ha poi disposto: “1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. 2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole”.
4.1 Come già affermato dalla Sezione in vicende analoghe (cfr. 15.10.2010, n.19651), la novella del 2005, dunque, ha confermato la possibilità per l’Amministrazione di adottare, al ricorrere delle condizioni prime indicate, provvedimenti di revoca;una volta intervenuta la revoca, il provvedimento revocato non può produrre ulteriori effetti. L’innovativa disciplina positiva data all’istituto della revoca del provvedimento amministrativo dal Legislatore del 2005 ne ha dilatato la preesistente nozione elaborata dall’insegnamento dottrinario e giurisprudenziale, ricomprendendo in essa sia il c.d. jus poenitendi della Pubblica Amministrazione di ritirare i provvedimenti ad efficacia durevole sulla base di sopravvenuti motivi di interesse pubblico ovvero di mutamenti della situazione di fatto, sia il potere di rivedere il proprio operato in corso di svolgimento e di modificarlo, perché evidentemente ritenuto affetto da inopportunità, in virtù di una rinnovata diversa valutazione dell’interesse pubblico originario. Il potere di autotutela decisoria in capo all'Amministrazione non ha in verità come unica finalità il mero ripristino della legalità, costituendo una potestà discrezionale che deve contemplare la verifica di determinate condizioni, previste dall'ordinamento e concernenti l'opportunità di correggere l'azione amministrativa svoltasi illegittimamente;l'annullamento è stato, pertanto, connotato dalla norma del citato art. 21 nonies, comma 1, in termini di rinnovata manifestazione, entro un termine ragionevole, della funzione amministrativa. In tale ambito rilevano, oltre all'attualità di un interesse pubblico distinto ed ulteriore rispetto al mero ripristino della legalità violata, anche gli interessi di tutte le parti coinvolte e il tempo trascorso dalla determinazione viziata.
4.2 Deve pertanto ritenersi che il potere di autotutela, quale trova fondamento nel principio costituzionale di buon andamento, impegna la P.A. ad adottare gli atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire ed autorizza quindi anche il riesame degli atti adottati, ove reso opportuno da circostanze sopravvenute ovvero da un diverso apprezzamento della situazione preesistente (T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 24.10.2007, n.1077;Cons. Stato, V, n. 508/1999;n. 1263/96;VI, 29.3.1996, n. 518;30.4.1994, n. 652). Peraltro (Cons. Stato, VI, 16.3.2009, n.1550;V, 19.9.2008, n.4538) “in caso di annullamento d’ufficio di un illegittimo provvedimento di inquadramento non occorre una specifica motivazione sull’interesse pubblico all’intervento in autotutela in quanto tale interesse è in re ipsa, ed è quello di risparmiare ed evitare spese non giustificate in base alla normativa, il che significa che per procedere all’annullamento d’ufficio di un inquadramento illegittimo è sufficiente l’esigenza di ripristinare la legalità”.
In tale contesto la revoca assume una funzione più propriamente adeguatrice, intesa in termini di attualizzazione delle modalità di perseguimento dell’interesse pubblico specifico di cui occorre seguire la costante dinamica evolutiva. Pertanto sia la revoca che l’annullamento hanno come oggetto immediato del provvedere l’eliminazione di un precedente atto o provvedimento di primo grado cui coniugare l’esigenza di un’azione amministrativa che si ponga pur sempre come cura attuale dell’interesse pubblico: esigenza che, in termini funzionali, nelle ipotesi di annullamento si caratterizza come momento valutativo ulteriore rispetto al mero accertamento dell’illegittimità del provvedimento di primo grado, mentre nei casi di revoca discende proprio dalla necessità di adeguare per il futuro scelte ormai non più idonee ed efficaci, con inevitabile eliminazione dei provvedimenti formali che le contenevano.
Conclusivamente, per effetto dell'art. 21-nonies, l'esercizio della potestà di autotutela decisoria richiede non solo l'esistenza di un vizio dell'atto da rimuovere, ma anche la sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione e la sua comparazione con gli interessi privati sacrificati, quando, per effetto del provvedimento reputato illegittimo, siano sorte posizioni giuridiche qualificate dall’apparenza di uno stato di diritto basato sull’atto da ritirare, rilevando l’affidamento ingenerato dall’atto nell’interessato in merito alla legittimità del provvedimento (T.A.R. Lazio, Roma, II bis, 20.6.2008, n.6078).
4.3 Ora, nella fattispecie, anche in considerazione del fatto che l’unico limite ad esercitare tale potere consiste nella non irragionevolezza dell’esercizio del potere stesso (Cons. Stato, VI, 14.1.2009, n.136), il Collegio ritiene che legittimamente l’Amministrazione ha giustificato l’esercizio dello jus poenitendi in ragione di un mutato convincimento circa l’interesse pubblico sotteso al provvedimento ab origine adottato, ciò in particolare allorchè si è evidenziato che, trattandosi di procedure concorsuali, le selezioni verticali sono soggette alle prescrizioni di cui al Decr. Lgs. n.150/2009 e non possono più essere effettuate a partire dall’entrata in vigore del Decreto che ha positivizzato l’orientamento, peraltro già diffuso, che equiparava la mobilità verticale ad un nuovo accesso. Pertanto si è provveduto in maniera del tutto legittima a correggere l'azione amministrativa attraverso una rinnovata manifestazione della funzione amministrativa e previa valutazione dell’interesse pubblico concreto ed attuale alla revoca della procedura ancora in corso, valutazione dell’interesse pubblico svoltasi previa comparazione di questo con gli interessi privati sacrificati.
5. Il Collegio ritiene, conseguentemente, che il ricorso in epigrafe vada rigettato.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.