TAR Roma, sez. 2B, ordinanza collegiale 2009-12-11, n. 200901630
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N. 01630/2009 REG.ORD.COLL.
N. 06587/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
ONZA
Sul ricorso numero di registro generale 6587 del 2009, proposto da:
Nicola Vendola, in proprio e nella sua qualità di candidato di “Sinistra e Libertà – Federazione dei Verdi” alle Elezioni Europee del 6 e 7 giugno 2009;
G C F, in proprio e nella qualità di portavoce e legale rappresentante della Federazione dei Verdi;
O P, in proprio e nella qualità di legale rappresentante dell’Associazione “Sinistra e Libertà – Federazione dei Verdi”;
M F, in proprio e nella qualità di legale rappresentante dell’Associazione “Sinistra e Libertà – Federazione dei Verdi”;
M L, in proprio e nella qualità di legale rappresentante dell’Associazione “Sinistra e Libertà – Federazione dei Verdi,
tutti rappresentati e difesi dagli Avv. ti Felice Besostri e Luca Di Raimondo, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, Via della Consulta, 50,
contro
Ufficio Elettorale Nazionale presso la Suprema Corte di Cassazione, Ufficio Elettorale Centrale presso la Corte di Cassazione, Ufficio Elettorale Circoscrizionale della Circoscrizione I - Italia Nord Occidentale, Ufficio Elettorale Circoscrizionale della Circoscrizione II - Italia Nord Orientale, Ufficio Elettorale Circoscrizionale della Circoscrizione III - Italia Centrale, Ufficio Elettorale Circoscrizionale della Circoscrizione IV - Italia Meridionale, Ufficio Elettorale Circoscrizionale della Circoscrizione V - Italia Insulare, non costituitisi in giudizio,
nei confronti di
G U, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli Avv. ti Silvio Pinna e Giorgio Carta, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, viale Bruno Buozzi, 87;
C M, non costituitosi in giudizio;
Oreste Rossi, non costituitosi in giudizio
e con l'intervento di
ad opponendum:
S V, rappresentata e difesa dagli Avv. ti Luigi Manzi, Pietro Piciocchi e Giampaolo Parodi, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via F. Confalonieri, 5;
Lega Nord Per L'Indipendenza della Padania, in persona del Segretario legale rappresentante p.t. U B, anche in proprio nella qualità di cittadino elettore, rappresentati e difesi dagli Avv. ti Luigi Manzi e Chiara Troubetzkoy Hahn, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via F. Confalonieri, 5,
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
del verbale delle operazioni dell’Ufficio Elettorale Nazionale presso la Suprema Corte di cassazione per l’elezione dei membri del Parlamento Europeo spettanti all’Italia in data 9 luglio 2009, pubblicato sulla GURI - Serie Generale n. 158, in data 10 luglio 2009, con cui è stato adottato l’atto di proclamazione degli eletti al Parlamento Europeo in esito alle elezioni svoltesi in data 6 e 7 giugno 2009, nella parte in cui non è stato assegnato un seggio alla lista “Sinistra e Libertà – Federazione dei Verdi”;nonché di ogni ulteriore atto presupposto, connesso e/o consequenziale, ivi compresi il verbale dell’Ufficio Elettorale Nazionale del 26 giugno 2009 e i verbali delle operazioni degli Uffici Elettorali delle Circoscrizioni I, II, III, IV e V.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di G U;
Visto l’intervento ad opponendum di S V;
Visto l’intervento ad opponendum della Lega Nord per l’Indipendenza della Padania e di U B;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2009 il dott. F A e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Visto l’art. 134 della Costituzione, l’art. 1 della L. cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e succ. mod., nonché l’art. 23 della L. 11 marzo 1953, n. 87 e succ. mod.;
FATTO
1. Con il ricorso indicato in epigrafe, gli istanti rappresentano che in data 1° aprile 2009, con decreto pubblicato nella G.U. del 3.4.2009, il Presidente della Repubblica ha convocato i comizi per l’elezione dei membri del Parlamento Europeo da svolgersi nei giorni 6 e 7 giugno 2009. In precedenza, con la legge 20 febbraio 2009, n.10 era stato modificato il sistema elettorale vigente per l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, prevedendosi la ripartizione dei seggi tra le liste che hanno superato lo sbarramento del 4 per cento, con l’introduzione nell’art. 21, primo comma, della legge 24 gennaio 1979, n. 18, dopo il n.1, del successivo n.1-bis e con la sostituzione del n. 2) dello stesso primo comma.
Concluse le votazioni, l’Ufficio Elettorale Nazionale, istituito presso la Corte di Cassazione, ha redatto il verbale delle operazioni individuando le liste che hanno conseguito una cifra elettorale nazionale pari almeno al 4 per cento dei voti validi espressi. Dopo aver rilevato che il totale delle cifre elettorali nazionali conseguite da tutte le liste è stato pari a n. 30.623.840 voti, l’Ufficio ha attestato il 4 per cento di tale cifra, pari a 1.224.953,60 corrispondente a 1.224.954, con approssimazione per eccesso all’unità.
L’Ufficio Elettorale Nazionale ha individuato poi, ai sensi del predetto art.21, primo comma, n.1 bis, le liste che hanno conseguito sul piano nazionale almeno il 4 per cento dei voti validi espressi, e poi ha proceduto al riparto dei seggi tra le medesime liste, applicando la disposizione di cui al successivo n.2) del predetto comma :
- ha diviso il totale delle cifre elettorali nazionali delle liste ammesse alla ripartizione dei seggi, pari a 26.572.238, per il numero dei seggi da attribuire, pari a 72, ottenendo il quoziente elettorale nazionale, pari a 369.058 (tralasciando la parte frazionaria);
- ha diviso poi la cifra elettorale di ciascuna lista per tale quoziente, attribuendo ad ogni lista tanti seggi quante volte il quoziente elettorale nazionale risultava contenuto nella cifra elettorale nazionale di ciascuna lista;
- i restanti seggi (nella specie due) sono stati assegnati alle liste per le quali le ultime divisioni hanno dato maggiori resti (Italia dei valori-Lista Di Pietro, che aveva ottenuto un resto di 263.494 e alla Lega Nord, che aveva ottenuto un resto di 173.717).
In seguito, l’Ufficio Elettorale Nazionale ha provveduto, ai sensi del predetto art.21, primo comma, n.3 alla distribuzione nelle singole circoscrizioni dei seggi attribuiti alle predette liste. A tal fine, l’Ufficio ha anzitutto diviso la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista per il numero di seggi attribuiti alla lista stessa, ottenendo così il quoziente elettorale di lista. Ha poi attribuito a ciascuna lista tanti seggi quante volte il quoziente elettorale di lista è risultato contenuto nella cifra elettorale circoscrizionale della lista ed ha assegnato i seggi non assegnati ad ogni lista con il metodo dei quozienti interi, a favore delle circoscrizioni nelle quali la lista ha conseguito il maggior numero di resti. E così l’Ufficio elettorale ha assegnato il nono seggio spettante alla Lega Nord nella Circoscrizione III-Italia Centrale, con un resto di 186.988 e ha assegnato il settimo seggio spettante all’Italia dei Valori-Lista Di Pietro, nella Circoscrizione V-Italia Insulare, con un resto di 186.326.
Con comunicato del 9 luglio 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale –Serie Generale n.158 del 10.7.2009, l’Ufficio Centrale Nazionale presso la Corte di Cassazione ha infine proclamato gli eletti al Parlamento Europeo. A seguito delle rinunce e opzioni ammesse, nella Circoscrizione III-Italia Centrale per la Lista Lega Nord è stato proclamato eletto l’On. C M (con 2710 preferenze), nella Circoscrizione V – Italia Insulare per la Lista Italia dei Valori-Lista Di Pietro è stato proclamato eletto l’On. G U (con 17.476 preferenze).
Ne è derivato che alla lista “Sinistra e Libertà-Federazione dei Verdi”, odierna ricorrente, nonché alla lista “Rifondazione comunista – Sinistra Europea – Comunisti italiani” non sono stati assegnati seggi, pur avendo le stesse avuto candidati maggiormente votati rispetto a coloro che hanno beneficiato dell’assegnazione dei due seggi residuati dopo l’assegnazione dei seggi “a quoziente pieno”.
Pertanto, i ricorrenti hanno impugnato gli atti, meglio indicati in epigrafe, con il ricorso proposto a questo Tribunale Amministrativo Regionale, deducendo le seguenti censure:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 21 e 22 della Legge n. 18 del 1979, così come modificati dalla legge 20 febbraio 2009, n. 10;eccesso di potere per disparità di trattamento ed ingiustizia manifesta: in particolare, non sarebbe stata correttamente applicata la norma di cui all’ultimo periodo della norma recata dall’art. 21, primo comma, n.2) della citata legge n. 18 del 1979 e succ. mod., il quale prevede che “si considerano resti anche le cifre elettorali nazionali delle liste che non hanno raggiunto il quoziente elettorale nazionale”.
Questa disposizione imporrebbe di considerare, nell’assegnazione dei seggi che rimangono ancora da attribuire dopo che si è divisa la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista per il quoziente elettorale nazionale, non solo le liste per le quali le ultime divisioni hanno dato maggiori resti, ma anche le cifre elettorali nazionali delle liste che non hanno partecipato all’attribuzione dei seggi non avendo raggiunto il quoziente elettorale nazionale: ossia delle liste che non hanno conseguito sul piano nazionale il 4 per cento dei voti validi e non hanno dunque partecipato all’assegnazione dei seggi a coefficiente c.d. pieno.
Secondo i ricorrenti l’intenzione del legislatore sarebbe quella di prevedere un meccanismo tale da consentire a quelle liste che non hanno raggiunto la soglia di sbarramento del 4 per cento un “diritto di tribuna”, consentendo alle stesse di partecipare all’assegnazione dei seggi attribuiti con il meccanismo dei resti.
Ciò si evincerebbe in primo luogo dal fatto che la recente introduzione di tale norma è contenuta nel medesimo provvedimento legislativo che ha indicato nel 4% la soglia per la partecipazione alla ripartizione dei seggi a coefficiente pieno, con la conseguenza che essa non può essere considerata in altro modo che come disposizione di salvaguardia per le liste che non abbiano ottenuto tale percentuale di voti a livello nazionale. Ciò in coerenza con le deroghe alla soglia di accesso previste p.es. per le liste che siano espressione di minoranze linguistiche o per le liste coalizzate che non abbiano raggiunto la soglia del 2%, come previsto dall’art. 83, comma 1, n. 6 del D.P.R. n. 361/1957.
D’altra parte, secondo i ricorrenti, la diversa interpretazione adottata dall’Amministrazione, volta a consentire la ripartizione dei seggi restanti alle sole liste che abbiano raggiunto la soglia del 4%, è irrealizzabile, in quanto non si è mai avverata l’ipotesi in cui una lista abbia ottenuto un numero di voti sufficiente a superare detta soglia, ma tale da non consentirne la partecipazione alla ripartizione dei seggi a coefficiente pieno.
Inoltre, il comunicato del Ministero dell’Interno del 24.2.2009, nell’annunciare l’entrata in vigore del quoziente elettorale del 4 per cento, ha segnalato che in virtù di tale sbarramento sono individuate “le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 4 per cento dei voti validi espressi”, ma pure che “si considerano resti anche le cifre elettorali nazionali delle liste che non hanno raggiunto il quoziente elettorale nazionale”.
Inoltre, secondo i ricorrenti, la circostanza per la quale la norma ammetterebbe al riparto dei seggi residui da attribuire con i resti anche le liste che non hanno raggiunto il 4 per cento dei voti validi risulterebbe confermata, “a contrario”, dai lavori preparatori della Legge 20 febbraio 2009, n. 10, e in particolare dalla relazione accompagnatoria all’A.S. n. 1360-A (disegno di legge di approvazione delle modifiche alla legge n. 18 del 1979). Secondo detta relazione, in assenza dell’ultimo periodo, vi sarebbe il rischio di ritenere escluse dall’assegnazione dei resti anche le liste che avessero superato lo sbarramento, ma che non avessero raggiunto il quoziente elettorale nazionale, che in quel caso sarebbe superiore al 4 per cento: caso, questo, che potrebbe verificarsi nell’ipotesi che il numero dei seggi spettanti all’Italia - non fissato per legge e determinato sulla base di un rinvio alle competenti fonti europee - scendesse al di sotto delle venticinque unità.
Ma in realtà, secondo i ricorrenti, il legislatore, al momento dell’approvazione della norma, non può non aver tenuto conto del numero dei seggi spettanti all’Italia;e anche del fatto che a regime, sulla base del Trattato di Lisbona, detto numero sarà pari a 73.
Quindi la lettura data dai relatori della legge appare slegata sia dalla realtà sia dalla lettera della norma. Secondo i ricorrenti la corretta interpretazione della stessa risulta dal significato proprio delle parole e dall’intenzione del legislatore: ove esso avesse voluto escludere le suddette liste dall’assegnazione dei seggi restanti con il meccanismo dei maggiori resti, lo avrebbe potuto fare esplicitamente, non inserendo tale ultimo periodo nella disposizione in questione.
L’interpretazione accolta dai ricorrenti intende rispondere anche a principi di ragionevolezza ed equità, nonché al criterio della “non ridondanza”, che impone di evitare - fino ai limiti del possibile - di intendere come inutili le parole impiegate dal legislatore.
2) Violazione degli articoli 3, 48, 49, 51 e 97 della Costituzione: l’introduzione di una soglia di sbarramento del 4 per cento va interpretata nella logica del legislatore europeo. In particolare, la Decisione del Consiglio del 20 settembre 1976 e succ. mod. n. 76/787/CECA/CEE/EURATOM, prevede all’art. 2 che “gli Stati membri possono costituire circoscrizioni elettorali per le elezioni al Parlamento europeo o prevedere altre suddivisioni elettorali, senza pregiudicare complessivamente il carattere proporzionale del voto”, mentre il successivo art. 7 stabilisce che la disciplina nazionale non deve “pregiudicare il carattere proporzionale del voto”. In questo contesto, la previsione derogatoria dell’art. 2 – bis (Art. 1 della decisione 2002/CE/EURATOM) prevede la possibilità, per gli Stati membri, di prevedere la fissazione di una soglia minima, da stabilirsi in misura non superiore al 5% dei suffragi espressi;ma essa ha carattere eccezionale ed è di stretta interpretazione, dovendosi favorire la lettura secondo cui i seggi da assegnare con i resti vadano attribuiti alle liste che non abbiano raggiunto la soglia del 4%, nell’ipotesi che la loro cifra elettorale sia superiore ai resti delle liste che hanno ottenuto dei quozienti elettorali nazionali interi.
Del resto, ad avviso dei ricorrenti, l’opposta interpretazione - se fondata - porrebbe un problema di costituzionalità per omessa previsione del diritto di tribuna per le formazioni minori.
Infatti:
a) la tutela delle minoranze linguistiche, nonché della lista coalizzata che abbia la maggiore cifra elettorale nazionale ma non raggiunga la soglia del 2% di cui all’art. 83 del D.P.R. n. 361/1957, è volta a dare effettività a specifiche disposizioni costituzionali;
b) per non incorrere in un’ingiustificata disparità di trattamento, occorre dare pari tutela anche alle situazioni che ridonderebbero in violazione degli artt. 49 e 51 Cost.;
c) le limitazioni alla partecipazione dei partiti politici non devono essere arbitrarie e irragionevoli;
d) tra l’altro, l’interpretazione censurata dai ricorrenti può condurre anche all’elezione di un rappresentante della lista che abbia superato la soglia, in una circoscrizione diversa da quella di spettanza, con conseguente violazione del principio di eguaglianza del voto e nel concorso alle cariche elettive.
I ricorrenti concludono con la richiesta di annullamento in parte qua dei provvedimenti impugnati e di proclamazione del candidato On. N V, candidato nella lista “Sinistra e Libertà”, in sostituzione del candidato On. C M, candidato nella lista “Lega Nord” ovvero dell’On. G U, candidato nella lista “Italia dei Valori – Lista Di Pietro”.
2. Le Amministrazioni intimate non si sono costituite in giudizio.
3. Si è costituito in giudizio il controinteressato G U, per resistere al ricorso, controdeducendo alle censure di parte ricorrente.
In primo luogo, il medesimo ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione dei ricorrenti, atteso che la lista “Sinistra e libertà – Federazione dei Verdi” non avrebbe diritto ad alcun seggio, in quanto avrebbe ottenuto una cifra elettorale nazionale inferiore al quoziente elettorale nazionale che era pari a 369.058, non sussistendo così i presupposti per l’applicazione della disposizione invocata. Lamenta inoltre il controinteressato, nel merito, che la lista non ha conseguito il 4 per cento dei voti validi e, pertanto, sarebbe stata correttamente esclusa dal riparto dei seggi, dato che il relativo procedimento di ripartizione è unitario e non prevede alcuna deroga alla generale operatività della soglia di sbarramento: la parte avversa sembrerebbe sovrapporre la nozione di quoziente elettorale nazionale con la nozione di soglia di sbarramento, mentre si tratterebbe di concetti giuridicamente e matematicamente distinti. Il legislatore elettorale del 2009 non avrebbe inteso riconoscere alcun diritto di tribuna: pur introducendo la soglia dello sbarramento del 4 per cento, esso avrebbe mantenuto invariata la norma in questione nella sua formulazione originaria e nella sua funzione di chiusura, secondo la quale costituiscono “resto” anche i voti delle liste che non hanno raggiunto almeno una volta il quoziente elettorale nazionale: disposizione, questa, di chiara intepretazione testuale (“in claris non fit interpretatio”).
4. Hanno proposto intervento “ad opponendum” l’Avv. S V, quale elettrice candidata nella Lista Lega Nord alle predette elezioni europee, nonché l’Associazione politica denominata “Lega Nord per l’Indipendenza della Padania”, unitamente all’On. U B.
Gli intervenienti evidenziano che la situazione in cui versa la lista ricorrente sarebbe completamente diversa da quella evocata dalla norma citata, la quale si riferisce alle liste che non hanno raggiunto il quoziente elettorale nazionale, sul presupposto che - a seguito dell’introduzione dello sbarramento del 4 per cento - esse abbiano superato tale soglia, integrando così la condizione principale per l’ammissione al riparto dei seggi. La lista ricorrente, invece, da un lato ha superato il quoziente elettorale nazionale (pari a 369.058), dall’altro ha tuttavia ottenuto un numero di voti inferiore al 4 per cento di quelli validi. Le argomentazioni del ricorso introduttivo si reggerebbero su un presupposto errato e su una confusione del concetto di quoziente elettorale nazionale, richiamato dalla norma, con quello della clausola di sbarramento del 4 per cento. Inoltre, precisano gli intervenienti che la disposizione evocata non sarebbe stata inserita dal legislatore elettorale del 2009 contestualmente alla clausola di sbarramento, ma risulta presente fin dall’inizio nella legge n. 18 del 1979. Essa, in seguito all’introduzione della soglia di sbarramento, presenta una diversa e più ridotta portata. Infine, in merito ai profili di incostituzionalità sollevati, l’interveniente evidenzia che l’introduzione della clausola di sbarramento non rappresenterebbe una scelta irragionevole, essendo volta a rafforzare la stabilità delle maggioranze parlamentari e del potere esecutivo evitando eccessive frammentazioni proprio nell’ambito delle elezioni del Parlamento europeo. Né i correttivi introdotti nel sistema elettorale inciderebbero sulla parità di condizione di cittadini e sull’uguaglianza del voto, che non si estende al risultato concreto della manifestazione di volontà dell’elettore, rimessa ai meccanismi del sistema elettorale determinati dal legislatore.
5. Con la memoria conclusionale i ricorrenti hanno ribadito le proprie posizioni insistendo sull’illegittimità degli atti impugnati e sulla richiesta di annullamento degli stessi.
6. All’udienza pubblica del 22 ottobre 2009, dopo la discussione, la causa è stata introitata per la decisione.
DIRITTO
1. Il Collegio deve preliminarmente esaminare, ai fini della decisione, il quadro normativo che regola la materia, ponendo l’attenzione sulla prospettata questione di legittimità costituzionale avanzata dai ricorrenti, in relazione all’art.21 della legge n. 18 del 1979, con riferimento agli artt. 3, 48, 49, 51 e 97 della Costituzione.
1.1. Al riguardo, deve essere necessariamente illustrata la disciplina comunitaria. In particolare, occorre richiamare la Decisione del Consiglio 76/787/CECA/CEE/EURATOM del 20.9.76, la quale all’art.189 stabilisce che “Il Parlamento europeo, composto da rappresentanti dei popoli degli Stati riuniti nella Comunità, esercita i poteri che gli sono attribuiti dal presente Trattato”, e all’art. 190 prevede che “I rappresentanti al Parlamento europeo, dei popoli degli Stati riuniti nella Comunità sono eletti a suffragio universale diretto. Il numero dei rappresentanti eletti in ogni Stato membro è fissato come segue: (…).Il numero dei rappresentanti eletti in ciascuno Stato membro deve garantire un’adeguata rappresentanza dei popoli degli Stati riuniti nella Comunità…”.
La materia elettorale europea è stata disciplinata a livello nazionale con la legge n. 18 del 1979, la quale dispone all’art. 1 che “i membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia sono eletti a suffragio universale con voto diretto, libero e segreto attribuito a liste di candidati concorrenti. L’assegnazione dei seggi tra le liste concorrenti è effettuata in ragione proporzionale, con le modalità previste dai successivi articoli 21 e 22”, e all’art. 2 prevede che “Le circoscrizioni elettorali ed i loro capoluoghi sono stabiliti nella tabella A(…). Il complesso delle circoscrizioni elettorali forma il collegio unico nazionale. L’assegnazione del numero dei seggi alle singole circoscrizioni, di cui alla tabella A, è effettuata, sulla base dei risultati dell’ultimo censimento generale della popolazione, riportati dalla più recente pubblicazione ufficiale dell’Istituto centrale di statistica, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno, da emanarsi contemporaneamente al decreto di convocazione dei comizi. La ripartizione dei seggi di cui al precedente comma si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica per il numero dei membri spettante all’Italia e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti”.
Il successivo art. 21 della medesima legge prevede il computo dei voti e il riparto dei seggi secondo il seguente schema, secondo cui l’Ufficio elettorale nazionale, compiuto lo scrutinio:
a) riceve gli estratti dei verbali degli uffici elettorali circoscrizionali costituiti presso le corrispondenti circoscrizioni;
b) sulla base di tali atti, procede a determinare la cifra nazionale di ciascuna lista, ottenuta dalla somma dei voti validi conseguiti da ciascuna lista su tutto il territorio nazionale;
c) individua le liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 4 per cento dei voti validi espressi;
d) procede al riparto dei seggi tra le liste che abbiano superato la soglia del 4 per cento in base alla cifra elettorale nazionale di ciascuna lista;a tal fine si divide il totale delle cifre elettorali nazionali delle liste ammesse alla ripartizione dei seggi per il numero dei seggi da attribuire, ottenendo così il quoziente elettorale nazionale;il quoziente nazionale così ottenuto, di cui si tralascia l’eventuale parte frazionaria, indica, in buona sostanza, il numero dei voti necessari per ottenere un seggio;
f) infine, per conoscere il numero dei seggi da assegnare a ciascuna lista, provvede a dividere la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista (cioè la suddetta somma dei voti ottenuti da ogni lista) per tale quoziente elettorale nazionale;
g) attribuisce, quindi, ad ogni lista tanti seggi quante volte il quoziente elettorale nazionale risulti contenuto nella cifra elettorale di ciascuna lista (assegnazione dei seggi a quoziente intero);
h) i seggi che rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alle liste per le quali le ultime divisioni hanno dato maggiori resti e, in caso di parità di resti, a quelle liste che hanno avuto la maggiore cifra elettorale nazionale;a parità di cifra elettorale nazionale si procede per sorteggio;si considerano resti anche le cifre elettorali nazionali delle liste che non hanno raggiunto il quoziente elettorale nazionale.
Dopo aver determinato, a livello nazionale, il numero dei seggi spettanti a ciascuna lista, si procede alla distribuzione successiva nelle singole circoscrizioni. A tal fine:
- si divide la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista per il totale dei seggi ad essa già attribuiti, determinando così il quoziente elettorale di lista;
- si dividono i voti ottenuti da ogni lista nella singola circoscrizione (cifra elettorale circoscrizionale) per il quoziente elettorale di lista. In tal modo si assegnano i seggi a quoziente intero;i seggi che eventualmente rimangono ancora da attribuire sono assegnati alle circoscrizioni per le quali le divisioni hanno dato i maggiori resti e, nel caso di parità di questi ultimi, si prende in considerazione la circoscrizione con il più alto numero di voti;si ricorre al sorteggio nell’ipotesi di ulteriore parità;
- se in una circoscrizione ad una lista spettano più seggi di quanti siano i suoi componenti, risultano eletti tutti i candidati della lista e si procede ad un nuovo riparto dei seggi per tutte le altre circoscrizioni sulla base del secondo quoziente di lista ottenuto dividendo i voti di lista nelle circoscrizioni per il numero dei seggi che sono rimasti da assegnare.
Il predetto art. 21 ha subito delle modificazioni e integrazioni per effetto della legge 20 febbraio 2009, n. 10, che ha aggiunto il numero 1-bis al primo comma, stabilendo una soglia di sbarramento non superiore al 4 per cento dei suffragi espressi per le liste che partecipano al voto (alla luce di quanto consentito dalla Decisione 2002/772/CE, EURATOM del 25 giugno 2002).
L’applicazione di siffatto meccanismo derogatorio va unito al criterio della proporzionalità che contraddistingue il sistema elettorale del Parlamento europeo, o meglio al criterio della “proporzionalità degressiva”, in base al quale il rapporto tra la popolazione e il numero di seggi di ciascuno Stato membro deve variare in funzione della rispettiva popolazione, in modo che ciascun deputato di uno Stato membro più popolato rappresenti più cittadini rispetto al rappresentante eletto in uno Stato membro meno popolato e viceversa (principio ribadito da ultimo anche nell’art. 9 del Trattato di Lisbona).
Nella specie, i ricorrenti non censurano la scelta del legislatore riguardo all’introduzione, nel sistema di attribuzione dei seggi, della soglia di sbarramento: sistema consentito, come già visto, dalla stessa Decisione n. 772/2002. Piuttosto, essi censurano il fatto che i voti raccolti dalle liste che non superano il 4 per cento non concorrano all’assegnazione dei seggi con il meccanismo dei resti.
Nel verbale delle operazioni del 26.6.2009, l’Ufficio elettorale nazionale ha replicato alle osservazioni avanzate dai candidati esclusi che hanno contestato l’antinomia tra l’art.2 e l’art. 21 della legge n. 18 del 1979 sul meccanismo del riparto dei seggi, precisando che l’assegnazione dei seggi alle liste è un’operazione la quale presuppone che vi siano dei voti da ripartire in seggi, e che pertanto avviene dopo aver individuato la cifra elettorale nazionale superiore al 4 per cento con successivo travaso a livello circoscrizionale sulla base dei voti conseguiti.
I ricorrenti contestano il mancato rispetto del carattere proporzionale del voto e la necessità di rendere operativo l’ultimo periodo del n.2 del primo comma dell’art.21 in esame, il quale, pur essendo stato confermato anche a seguito della novella di cui all’art.1 della Legge n. 10 del 2009, non sarebbe stato tuttavia applicato dall’Ufficio Elettorale.
Secondo i ricorrenti, pertanto, sarebbe illegittima l’applicazione della norma fatta dall’Ufficio Elettorale, secondo cui “i resti prodotti dai quozienti di lista possono essere utilizzati coerentemente per confrontare le “performances” della stessa lista nelle diverse circoscrizioni, ma risultano inutilizzabili, per la loro disomogeneità, per il confronto dei risultati conseguiti nelle diverse liste nella stessa circoscrizione”. Al contrario, secondo parte ricorrente, il rispetto del carattere proporzionale del voto porterebbe a ritenere che nell’assegnazione dei seggi, da attribuire dopo che si è divisa la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista per il quoziente elettorale nazionale, andrebbero considerate non solo le liste per le quali le ultime divisioni abbiano ottenuto maggiori resti, ma anche le cifre elettorali nazionali delle liste che non abbiano partecipato all’attribuzione dei seggi, non avendo raggiunto il quoziente elettorale nazionale a motivo del mancato conseguimento sul piano nazionale di almeno il 4 per cento dei voti validi.
Il risultato elettorale derivato, al contrario, dall’applicazione dell’art.21 della citata legge n. 18 del 1979 ad opera dell’Ufficio Elettorale ha fatto sì che i ricorrenti abbiano ottenuto un numero di voti superiore, in termini di resti, rispetto a quelli ottenuti dalla Lega Nord e dalla IDV, senza che agli stessi sia stato attribuito alcun seggio.
Conseguenza di ciò è che i voti delle liste escluse per effetto dello sbarramento, espressi da cittadini elettori della UE, non appaiono aver avuto alcun peso nella competizione elettorale, con pregiudizio del principio di rappresentanza parlamentare (territoriale e politica). Tale effetto distorsivo, a detta dei ricorrenti, non può essere considerato una necessaria conseguenza del criterio della proporzionalità decrescente, bensì della scelta legislativa adottata da ultimo con la modifica dell’art.21. L’ introduzione della soglia di sbarramento, seppur consentita dalla decisione del Consiglio del 1976, e non contestata dai ricorrenti, andrebbe tuttavia interpretata, relativamente alle sue modalità di attuazione - e soprattutto qualora vi sia la combinazione della suddivisione in circoscrizioni - nel senso di non svilire il principio di proporzionalità e di consentire che il Parlamento europeo, risultante a seguito delle elezioni svolte negli Stati membri, sia composto “di rappresentanti dei cittadini dell’Unione”.
2. Nel merito, assume rilievo, in via preliminare, la verifica della possibilità di attribuire al primo comma, n. 2, del citato art. 21 il significato invocato dai ricorrenti, ai fini dell’eventuale accoglimento del ricorso.
2.1. In particolare, secondo i ricorrenti, come si è detto, l'Ufficio Elettorale Nazionale, nel procedere all'assegnazione dei seggi, avrebbe applicato in maniera erronea e illegittima il disposto dell'art. 21, primo comma, n. 2) della legge n. 18 del 1979, come modificata dalla legge 20 febbraio 2009, n. 10, secondo cui “si considerano resti anche le cifre elettorali nazionali delle liste che non hanno raggiunto il quoziente elettorale nazionale". La corretta applicazione di questa disposizione avrebbe dovuto portare all’attribuzione di un seggio a ciascuna delle liste denominate "Partito della Rifondazione Comunista-Sinistra Europea-Partito dei Comunisti Italiani"” (nella Circoscrizione II-Italia Centrale) e "Sinistra e Libertà-Federazione dei Verdi" (nella Circoscrizione IV- Italia Meridionale). Ciò in quanto dell'assegnazione dei seggi che rimangono ancora da attribuire, dopo che si è divisa la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista per il quoziente elettorale nazionale, beneficiano non solo le liste per le quali le ultime divisioni hanno dato maggiori resti, ma anche le liste che non hanno partecipato all'attribuzione dei seggi non avendo raggiunto il quoziente elettorale nazionale (4 per cento dei voti validi).
Secondo i ricorrenti, quindi, il legislatore avrebbe previsto un vero e proprio "diritto di tribuna", consentendo anche alle liste escluse dalla soglia di sbarramento di partecipare all'assegnazione dei seggi attribuiti con il meccanismo dei resti.
Questa interpretazione risulterebbe confermata da molteplici elementi. In primo luogo, in caso contrario il legislatore si sarebbe dovuto limitare a non inserire il periodo in esame, che non potrebbe avere altro significato. In particolare, secondo i ricorrenti andrebbe considerato come del tutto non plausibile il tentativo di spiegazione “postuma” della norma fornito dai relatori al disegno di legge A.S. n. 1360 – A, secondo i quali si sarebbe trattato di una sorta di norma di chiusura volta a garantire il funzionamento del sistema di riparto anche nel caso di liste prive del quorum necessario ad ottenere un seggio “pieno” pur avendo superato il 4% dei voti.
Infatti - argomentano i ricorrenti - si tratterebbe di un’ipotesi oggi del tutto teorica, avendo oggi l’Italia ben 72 seggi fra cui ripartire i voti ottenuti dalle molto meno numerose liste in lizza, e comunque irrealistica anche per il futuro, in quanto, in base al principio comunitario della “rappresentanza degressiva”, il numero di seggi attribuiti all’Italia non potrà in ogni caso ragionevolmente scendere sotto il numero di circa 40, in relazione all’esigenza di mantenere un corretto rapporto fra tutti gli Stati, anche i più piccoli, cui occorrerà comunque attribuire almeno tre seggi (oggi ne sono previsti sei) per garantire il rispetto del metodo proporzionale.
In secondo luogo, la clausola in esame risponderebbe in realtà all’esigenza costituzionale di introdurre un correttivo alla soglia di sbarramento, la quale altrimenti vanificherebbe del tutto la volontà di circa 3 milioni 400 mila elettori italiani (cifra ottenuta sommando tutte le liste sotto al 4%): cioè di un numero rilevantissimo, pari al doppio del totale degli elettori di Malta, Lussemburgo, Cipro, Estonia e Slovenia, che invece eleggono ben 30 europarlamentari.
In terzo luogo, secondo la prospettazione dei ricorrenti, l’interpretazione in esame sarebbe doverosa, essendo l’unica che consentirebbe di evitare l’illegittimità costituzionale dell’intera norma, con particolare riguardo alla violazione degli artt. 3, 48, 49, 51 e 97 della Costituzione.
2.2. In realtà, a giudizio del Collegio, occorre evitare di confondere il concetto di “cifra elettorale nazionale” (presupposto previsto, nel minimo del 4%, per l'ammissione al riparto dei seggi) con quello di “quoziente elettorale nazionale” (frutto di un’elaborazione matematica per l’assegnazione in concreto dei seggi).
Ne consegue che il riferimento della norma al mancato raggiungimento del quoziente elettorale nazionale non può essere esteso al mancato raggiungimento del quorum elettorale nazionale del 4% da parte di una lista: non sembra infatti possibile assimilare i risultati delle liste che in ipotesi non hanno raggiunto un quoziente elettorale nazionale intero nel meccanismo di ripartizione dei seggi, da un lato, a quelli delle liste che non hanno affatto partecipato all'attribuzione dei seggi, in quanto non hanno raggiunto il quorum minimo del 4% dei voti validi espressi, dall’altro.
Infatti, secondo l’inequivocabile lettera della legge, si ricorre ai maggiori resti per l'attribuzione eventuale dei seggi che non si siano potuti assegnare con i quozienti interi, ma senza con questo poter derogare alla esplicita previsione normativa dello sbarramento del 4 %: nel senso che partecipano all'assegnazione con i resti solo quei partiti o gruppi che, pur avendo superato il 4%, non abbiano eventualmente raggiunto un quoziente elettorale intero, ovvero abbiano i maggiori resti tra i voti riportati dai partiti ammessi all’assegnazione dei seggi per aver superato il 4%.
La lettura testuale della norma è confermata dalla oggettiva “ratio legis”, atteso che la clausola invocata dai ricorrenti era già presente nel testo della legge elettorale prima dell’introduzione della soglia del 4%, ed è ora stata mantenuta, nella complessiva riformulazione dell’articolo interamente novellato, presumibilmente per le stesse ragioni che a suo tempo portarono alla sua introduzione come norma di chiusura del sistema (coerentemente con il carattere generale e astratto della legge, rivolta in ipotesi anche alle possibili - pur se improbabili - evenienze del futuro);mentre nessun indizio sembra consentire di attribuirle una nuova e ulteriore funzione di correttivo degli effetti del previsto sbarramento, a fronte del chiaro tenore testuale della disposizione che - nel testo ora sostituito - limita la ripartizione dei seggi alle liste che abbiano superato la soglia del 4%.
2.3. Conclusivamente, a giudizio del Collegio, il disposto dell'art. 21, primo comma, n. 2) della legge n. 18 del 1979, come modificato dalla legge 20 febbraio 2009, n. 10, secondo cui “si considerano resti anche le cifre elettorali nazionali delle liste che non hanno raggiunto il quoziente elettorale nazionale", in base al suo tenore letterale, alla sua collocazione sistematica nell’ambito dell’art. 21, e alla oggettiva ratio della legge, non si presta all’applicazione evolutiva auspicata dai ricorrenti, volta a porre un correttivo alla soglia del 4% in conformità alla disciplina costituzionale richiamata dai medesimi: di conseguenza, la prospettazione contenuta al riguardo nel ricorso deve essere disattesa in applicazione del citato art. 21, che diventa così norma rilevante ai fini della decisione del giudizio a quo.
3. Diviene allora necessario esaminare le questioni di legittimità costituzionale sollevate in via subordinata dai ricorrenti.
4. Un primo possibile profilo di incostituzionalità riguarda - in primo luogo e in ordine logico - la previsione dell’art. 21 della legge n. 18 del 1979 che, nel testo sostituito dalla legge 20 febbraio 2009, n. 10, al n. 1 bis del primo comma, stabilisce una rigida soglia di sbarramento pari al 4% dei voti validi per l’ammissione delle liste alla ripartizione dei seggi e al rimborso delle spese elettorali, impedendo l’accoglimento della domanda dei ricorrenti.
4.1 Il richiamato profilo di possibile illegittimità costituzionale riguarda - in primo luogo e in via diretta - non la compatibilità della norma in esame con il diritto dell’Unione europea, bensì la possibile violazione, da parte della stessa, della nostra Carta Costituzionale, con riguardo al procedimento relativo allo svolgimento delle operazioni elettorali, la cui disciplina è rimessa al diritto nazionale alla stregua del noto criterio di sussidiarietà.
4.2. Il Collegio deve necessariamente richiamare le disposizioni costituzionali e comunitarie rilevanti in questa sede.
4.3 Viene dunque in primo luogo in rilievo l’articolo 11 Cost., che secondo la più autorevole dottrina e la consolidata giurisprudenza della Consulta costituisce la base giuridica dell’adesione dell’Italia all’Unione Europea, e secondo il quale “L’Italia (…) consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. Lo stesso tenore letterale della norma richiama alla mente l’art. 1 Cost., secondo cui “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, risultandone confermata la necessità - comunque rinvenibile dal complessivo sistema giuridico - che anche l’esercizio delle procedure nazionali relative all’attribuzione di profili di sovranità all’Unione Europea, quali l’elezione degli europarlamentari, avvenga in conformità al principio democratico così come disciplinato dalla nostra Costituzione, in modo analogo a quanto accade per l’esercizio della sovranità popolare in ambito nazionale mediante le elezioni politiche, partecipando quindi i due momenti (elezioni nazionali e al Parlamento europeo) alla medesima esigenza di rispetto dei principi costituzionali che disciplinano l’esercizio della sovranità popolare ai sensi dell’art. 1 Cost.
4.4 Peraltro, la Costituzione italiana non prevede alcuna disposizione in materia di sistema elettorale strettamente inteso, limitandosi a sancire, all’art. 48, che “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto” e a prescrivere, all’articolo 56, il suffragio universale e diretto per l’elezione della Camera dei Deputati.
Da ciò discende che "la determinazione delle formule e dei sistemi elettorali costituisce un ambito nel quale si esprime con un massimo di evidenza la politicità della scelta legislativa, censurabile in sede di giudizio di costituzionalità solo quando risulti manifestamente irragionevole" (Corte cost., ord. n. 260 del 2002).
La Corte costituzionale ha, altresì, precisato che i correttivi che possono essere introdotti nell'ambito di un sistema elettorale "non incidono sulla parità di condizione dei cittadini e sull'eguaglianza del voto, che non si estende al risultato concreto della manifestazione di volontà dell’elettore, rimessa ai meccanismi del sistema elettorale determinati dal legislatore" (Corte cost. sent. n. 356 del 1998). In altri termini, "il principio di eguaglianza non si estende al risultato concreto della manifestazione di volontà dell'elettore. Risultato che dipende, invece, dal sistema che il legislatore ordinario, non avendo la Costituzione disposto al riguardo, ha adottato per le elezioni politiche ed amministrative, in relazione alle mutevoli esigenze che si ricollegano alle consultazioni elettorali" (Corte cost. sent. n. 43 del 1961).
4.5. Nel caso specifico, inoltre, la decisione del Consiglio dell'Unione europea del 25 giugno 2002 e del 23 settembre 2002 - recante modifiche alla decisione del Consiglio 76/787/CECA, CEE, EURATOM (Atto relativo all'elezione dei rappresentanti nel Parlamento europeo a suffragio universale e diretto) - ha consentito agli Stati membri di prevedere la fissazione di una soglia minima per l'attribuzione dei seggi, precisando solo che la stessa non possa essere fissata a livello nazionale oltre il limite del 5% dei suffragi espressi;e molti Paesi comunitari risultano averla introdotta.
4.6 Ne consegue che, a giudizio del Collegio, la disciplina di legge nazionale che ha introdotto una clausola di sbarramento del 4% - inferiore, quindi, al limite massimo consentito dal legislatore comunitario - non può solo per questo ritenersi in contrasto con il citato articolo 48 Cost. e con le ulteriori disposizioni costituzionali sopra richiamate.
Ne discende, sotto tale profilo, la manifesta infondatezza della relativa questione di legittimità costituzionale.
5. Gli ulteriori profili di costituzionalità della questione, su cui si incentra principalmente la prospettazione dei ricorrenti, attengono in buona sostanza al meccanismo che esclude il cd. "diritto di tribuna", non consentendo anche alle liste escluse dalla soglia di sbarramento di partecipare all'assegnazione dei seggi attribuiti con il meccanismo dei resti.
5.1 Il Collegio osserva al riguardo che proprio la giurisprudenza costituzionale richiamata in precedenza ha chiarito che la determinazione dei sistemi elettorali è comunque censurabile in sede di giudizio di costituzionalità quando risulti “manifestamente irragionevole". La valutazione del Collegio in ordine alla sollevata questione di legittimità costituzionale deve, quindi, estendersi a tutti i possibili profili direttamente connessi, concernenti la dedotta manifesta irragionevolezza e ingiustizia della previsione normativa di cui al citato art. 21 rispetto alla dichiarata finalità di garantire una maggiore razionalità ed efficacia del sistema rafforzando la stabilità delle maggioranze parlamentari e del potere esecutivo e favorendo le aggregazioni politiche nella sede comunitaria.
Il Collegio ritiene che il rispetto del principio costituzionale democratico che disciplina l’esercizio della sovranità popolare ai sensi dell’art. 1 Cost. debba essere valutato (così per le elezioni nazionali come per quelle al Parlamento europeo) al fine di verificare la ragionevolezza della norma di legge, con esclusivo riguardo alle specifiche disposizioni costituzionali di riferimento.
5.2 Appare allora necessario partire dalla ricognizione dei diversi modi di esercizio della sovranità popolare: innanzitutto, “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art. 49 Cost);essi possono, inoltre, partecipare a sindacati (art. 39), associazioni e comitati (artt. 2 e 18), impegnarsi direttamente nel sociale (alla stregua del principio di sussidiarietà di cui all’art. 118), ed hanno il diritto di manifestare il proprio pensiero, informare ed essere informati (art. 21). Diverso è il caso, in cui, tramite il voto (uguale, libero e segreto ai sensi dell’art. 48) ciascun componente del corpo elettorale (organo del Popolo) può partecipare agli strumenti di democrazia diretta e rappresentativa, poiché in questo caso, evidentemente, la disciplina di legge ordinaria (quale quella in esame) deve essere coerente e non contraddittoria rispetto al ruolo attribuito dall’ordinamento costituzionale all’assemblea rappresentativa che viene in tal modo eletta.
5.3. Per quanto concerne l’ambito nazionale, la Costituzione delinea uno Stato di diritto caratterizzato da una forma di governo parlamentare, ovvero in cui le Camere sono elette direttamente dal Popolo e lo rappresentano, e quindi adottano le leggi e accordano la fiducia all’Esecutivo, operando secondo le previste maggioranze (art. 64). La duplice conseguenza di questo sistema è costituita, da un lato, dalle prerogative d’indipendenza garantite ad “ogni membro del Parlamento”, poiché ciascun parlamentare “rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” (art. 67 Cost.);dall’altro, dalla latitudine dei compiti conferiti, nel rispetto del principio della separazione dei Poteri, al Parlamento e a ciascuno dei parlamentari, mediante il potere d’iniziativa legislativa, di proposizione di mozioni, d’inchiesta (art. 82 Cost.) e di sindacato ispettivo (mozioni, interrogazioni, interpellanze…). Questi elementi sfuggono al principio maggioritario e valorizzano invece la funzione autonomamente e personalmente svolta da parte di ogni rappresentante democraticamente eletto alle Camere.
5.4. Per il Parlamento europeo, fermo restando quanto osservato circa la necessaria conformità delle norme nazionali di disciplina delle elezioni europee al principio democratico disciplinato dalla nostra Costituzione, valgono analoghe considerazioni, atteso che:
- ai sensi dell’art. 9 A del Trattato europeo tale organo esercita, oltre alle funzioni legislativa e di bilancio (congiuntamente al Consiglio), anche le funzioni di controllo politico e consultive alle condizioni stabilite dai Trattati;
- le sopra richiamate Decisioni del Consiglio del 1976 e del 2002 hanno imposto l’adozione di un sistema elettorale proporzionale, consentendo la ripartizione nazionale in circoscrizioni purchè “senza pregiudicare complessivamente il carattere proporzionale del voto”
5.5. Da quanto finora osservato discende, a giudizio del Collegio, la possibile illegittimità costituzionale di ogni norma di legge elettorale che pregiudichi la garanzia di indipendenza dei parlamentari nella rappresentanza della Nazione senza vincoli di mandato e che, quindi, offuschi nei loro confronti il principio di responsabilità diretta e personale di ogni soggetto investito di pubbliche funzioni. Principio che costituisce invece il cardine fondante di ogni moderna democrazia liberale, sia al momento della presentazione delle candidature, sia (come nel caso in esame) interrompendo il “filo” democratico che, secondo la Costituzione, lega i seguenti momenti:
- la possibilità per ciascun cittadino di concorrere a determinare la politica nazionale associandosi in un partito politico (art. 49 Cost);
- il diritto di ciascun componente del corpo elettorale di concorrere direttamente (mediante il proprio voto uguale, libero e segreto ai sensi dell’art. 48) all’elezione dei Parlamentari;
- il potere di ciascun Parlamentare, in tal modo eletto, di rappresentare la Nazione ed esercitare le sue funzioni senza vincolo di mandato (ai sensi dell’art. 67 Cost.);
- il conseguente esercizio, da parte di ciascun parlamentare, dei propri poteri d’iniziativa legislativa, d’indirizzo politico e di sindacato ispettivo previsti dalla Costituzione, i quali sfuggono al principio maggioritario e postulano, viceversa, una adeguata “rappresentanza politica” dell’intera “Nazione” (e non solo di una più o meno ampia cerchia, politica, territoriale o economico-professionale, di elettori).
Resta con ciò preclusa, secondo la ricostruzione del vigente ordinamento costituzionale operata dal Collegio, la legittima introduzione di clausole maggioritarie o di sbarramento, come quella in esame, le quali non si limitino a conformare i risultati pratici della competizione elettorale secondo i previsti meccanismi elettorali (così come espressamente consentito dalla giurisprudenza costituzionale), ma che, al contrario, pongano più radicalmente nel nulla la volontà popolare di una più o meno ampia platea di elettori, che viene in tal modo privata, di fatto, del proprio diritto di concorrere alla politica nazionale (in questo caso svolta in ambito comunitario mediante gli europarlamentari italiani);e ciò in modo non ragionevole e non proporzionato rispetto al superiore interesse a un più efficace funzionamento del sistema democratico.
5.6. Sotto il profilo da ultimo considerato, appare quindi non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per manifesta irragionevolezza e ingiustizia, dell’art. 21 della legge n. 18 del 1979, come sostituito dalla legge 20 febbraio 2009, n. 10, in quanto la novella legislativa del 2009, pur mantenendo la suddivisione del territorio nazionale in più collegi territoriali, richiede il raggiungimento da parte di ciascuna lista di un rigido quorum minimo complessivo nazionale, per poi ripartire i seggi nuovamente su base territoriale, però in relazione alla cifra elettorale nazionale dei soli partiti che hanno superato la soglia di sbarramento. Questi ultimi così si vedono attribuire, in sede di computo dei resti eccedenti il quorum elettorale intero, con riferimento a ciascun collegio territoriale, ulteriori europarlamentari (nella fattispecie, due) sulla base di cifre elettorali irragionevolmente ben più modeste (nel caso specifico, circa 263 mila voti complessivi per Italia dei Valori e 173 mila per Lega Nord) rispetto a quelle riportate dalle liste che non hanno raggiunto la soglia di sbarramento del 4% e che vengono escluse dalla norma in esame anche dal predetto riparto dei resti (nella fattispecie circa 960 mila voti per Sinistra e Libertà). Si creano in tal modo evidenti alterazioni dell’iniziale ripartizione dei seggi fra i previsti collegi territoriali e, per quanto interessa in questa sede, si lascia irragionevolmente priva di ogni rappresentanza e di ogni altro effetto la volontà politica espressa da molti elettori (circa 3 milioni e 400 mila, sommando tutte le liste sotto al 4%), premiando, in sede di riparto dei resti, quorum molto più bassi, in modo non congruo e, comunque, non proporzionato rispetto alle finalità di razionalizzazione del sistema politico perseguite con l’introduzione di una soglia di sbarramento.
6. Conclusivamente, il citato art. 21 della legge n. 18/1979, nel testo vigente, stabilisce una rigida soglia di sbarramento nazionale, estesa alla ripartizione (prevista invece su base territoriale) dei resti eccedenti i quorum elettorali “interi”, e così nega la sussistenza del c.d. “diritto di tribuna” di una consistente parte dell’elettorato, ai fini dell’esercizio degli indicati poteri di iniziativa, indirizzo e controllo sull’operato dell’Esecutivo, in rappresentanza della Nazione, da parte dei singoli parlamentari in tal modo eletti. Occorre, altresì, evidenziare che un ulteriore possibile profilo di irragionevolezza della norma in esame è costituito dal denegato accesso al rimborso delle spese effettuate dai partiti che hanno partecipato con proprie liste alla competizione elettorale, ma che non hanno raggiunto il quorum, in quanto ciò appare suscettibile di determinare una possibile disparità di trattamento fra i diversi attori politici operanti alla stregua del citato art. 49 della Costituzione.
Relativamente agli effetti descritti, lo stesso art. 21 palesa, a giudizio del Collegio, un possibile profilo di irragionevolezza manifesta, in quanto le illustrate ulteriori conseguenze della norma potrebbero ritenersi non giustificate dalle dichiarate finalità di rafforzamento della stabilità delle maggioranze parlamentari e del potere esecutivo in favore di più ampie aggregazioni politiche nella sede comunitaria, atteso che tali esigenze vengono già assicurate dalla generale esclusione delle liste minori dal meccanismo di ripartizione dei seggi fra le liste che hanno superato lo sbarramento del 4%, palesando una possibile e non manifestamente infondata questione di costituzionalità della norma di legge in esame sotto il profilo di eccesso o sviamento di potere del legislatore in violazione degli artt. 1, 3, 48, 49, 51 e 97 della Costituzione.
7. Inoltre, per le medesime considerazioni sopra svolte, deve essere altresì valutata la possibile violazione dell’art. 11 Cost. sotto il diverso profilo della compatibilità del citato art. 21 con l’art. 8 A del Trattato, secondo cui “il funzionamento dell’Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa” (paragrafo 1) e “ogni cittadino ha diritto di partecipare alla vita democratica dell’Unione” (paragrafo 3): disposizioni recepite dall’ordinamento italiano ai sensi dello stesso art. 11 Cost. e ulteriormente specificate dalla decisione del Consiglio dell'Unione Europea del 25 giugno 2002 e del 23 settembre 2002 - recante modifiche alla decisione del Consiglio 76/787/CECA, CEE, EURATOM, che impone il “rispetto complessivo del carattere proporzionale del voto”. Si può, pertanto, seriamente dubitare che una norma di legge nazionale che ha consentito di nominare due europarlamentari sulla base di resti elettorali complessivamente di poco superiori a 400 mila voti, lasciando senza alcuna rappresentanza politica i circa due milioni di elettori delle due principali liste rimaste sotto alla soglia del 4%, possa corrispondere al predetto criterio.
8. Infine, deve essere altresì valutata oltre la possibile violazione dell’art. 11 Cost. sotto il diverso profilo della compatibilità del citato art. 21 anche con quei principi che trovano conferma nel cd. “acquis communautaire” di cui sono espressione gli artt. 10, 11, 39 e 40 della CEDU – i quali non possono non porsi anche a fondamento della necessità di rappresentanza degli elettori comunitari nel Parlamento europeo. Tali articoli della Convenzione, sanciscono, infatti, il diritto di ciascun individuo di manifestare le proprie convinzioni e di godere dell’elettorato attivo e passivo per il Parlamento europeo: diritto strettamente connesso a quelli tutelati dagli articoli che nella Carta Costituzionale affermano la regola democratica secondo il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione.
9. In conclusione, la questione di costituzionalità dell’art. 21, primo comma, n. 2, della legge n. 18/1979, nel testo vigente, viene dal Collegio ritenuta rilevante e non manifestamente infondata, in quanto la predetta norma, nel prevedere la soglia nazionale di sbarramento nell’ambito di un sistema che già disciplinava l’attribuzione dei seggi su base circoscrizionale, senza stabilire alcun correttivo, anche in sede di ripartizione dei “resti”, osta all’accoglimento da parte di questo Tribunale della domanda dei ricorrenti di partecipare con i propri voti (superiori a tali “resti”) a detta ripartizione (c.d. diritto di tribuna) e comporta un’irragionevolezza e non proporzionalità della previsione legislativa rispetto alle perseguite finalità di maggiore efficacia del sistema politico democratico, nonché la violazione del circuito democratico che, secondo gli articoli 1, 3, 48, 49, 51 e 97 della Costituzione, deve assicurare la partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica nazionale nonché a quella delle Istituzioni comunitarie, alla stregua del richiamo operato dall’art.11 della Costituzione.
10. Per le ragioni fin qui esposte, a giudizio del Collegio, la delineata questione di legittimità costituzionale dell’art. 21, primo comma, n. 2, della legge 24 gennaio 1979, n. 18 e succ. mod. e integr. con riferimento agli art. 1, 3 , 11, 48 ,49, 51 e 97 della Costituzione è rilevante ai fini del decidere e non è manifestamente infondata.
Pertanto, essa va sottoposta al vaglio della Corte costituzionale nei termini che precedono.
Deve conseguentemente disporsi la sospensione del presente giudizio con l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Deve ordinarsi, altresì, che a cura della Segreteria della Sezione la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.
Rimane riservata alla decisione definitiva ogni statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese.