TAR Torino, sez. I, sentenza 2024-02-23, n. 202400196

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Torino, sez. I, sentenza 2024-02-23, n. 202400196
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Torino
Numero : 202400196
Data del deposito : 23 febbraio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/02/2024

N. 00196/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00281/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 281 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-Ricorrenti-, rappresentati e difesi dagli avvocati R C, H L, J L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Torino, via dell'Arsenale, 21;
Arma dei Carabinieri, Centro Nazionale Amministrazione Esercito, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

1) del provvedimento di accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da sars covid 2 previsto per il personale dell'arma dei carabinieri del ministero della difesa dall'art. 2 del decreto legge 172/2021 e contestuale sospensione del rapporto di lavoro del 30.12.2021 - prot. n. -OMISSIS- emesso dal comandante della legione dei carabinieri Piemonte e Valle d'Aosta generale -Tizio- e notificato al signor -OMISSIS-in data 31.12.2021;

2) del provvedimento di accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da sars covid 2 previsto per il personale del Ministero della Difesa dall'art. 2 del decreto legge 172 del 2021 e contestuale sospensione del rapporto di lavoro del 03.02.2022 - prot. n. -OMISSIS- emesso dal comandante -OMISSIS- del primo reparto infrastrutture col. g. t.issmi -Caio- e notificato al sig. -OMISSIS- in data 07.02.2022;

3) del provvedimento di accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da sars covid 2 previsto per il personale del comparto difesa del ministero della difesa dall'art. 2 del decreto legge 172 del 2021 e contestuale sospensione del rapporto di lavoro del 05.01.2022 - prot. n. -OMISSIS- emesso dal comandante -OMISSIS- e notificato al sig. -OMISSIS- in data 05/01/2022;

4) del provvedimento di accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da sars covid 2 previsto per il personale del comparto difesa del ministero della difesa dall'art. 2 del decreto legge 172 del 2021 e contestuale sospensione del rapporto di lavoro del 05.01.2022 - prot. n. -OMISSIS- emesso dal comandante -OMISSIS- e notificato al sig. -OMISSIS- in data 19.01.2022;

5) del provvedimento di accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da sars covid 2 previsto per il personale del comparto difesa del ministero della difesa dall'art. 2 del decreto legge 172 del 2021 e contestuale sospensione del rapporto di lavoro - prot. n. -OMISSIS- emesso dal comandante -OMISSIS- e notificato al sig. -OMISSIS- in data 31.12.2021;

6) del provvedimento di accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da sars covid 2 previsto per il personale del comparto difesa del ministero della difesa dall'art. 2 del decreto legge 172 del 2021 e contestuale sospensione del rapporto di lavoro - prot. n. -OMISSIS- emesso dal comandante -OMISSIS- e notificato al sig. -OMISSIS- in data 20/01/2022;

7) del provvedimento di accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da sars covid 2 previsto per il personale del comparto difesa del ministero della difesa dall'art. 2 del decreto legge 172 del 2021 e contestuale sospensione del rapporto di lavoro del 21/12/2021 - prot. n. -OMISSIS- emesso dal comandante -OMISSIS- e notificato al sig. -OMISSIS- in data 21/12/2021;

8) del provvedimento di accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da sars covid 2 previsto per il personale del comparto difesa del ministero della difesa dall'art. 2 del decreto legge 172 del 2021 e contestuale sospensione del rapporto di lavoro del 15.12.2021 emesso dal direttore -OMISSIS- e notificato al sig. -OMISSIS- in data 20.12.2021;

9) del provvedimento di accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da sars covid 2 previsto per il personale del comparto difesa del ministero della difesa dall'art. 2 del decreto legge 172 del 2021 e contestuale sospensione del rapporto di lavoro del 21.12.2021 - prot. n.-OMISSIS- emesso dal comandante -OMISSIS- e notificato al sig. -OMISSIS- in data 21/12/2021;

10) del provvedimento di accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da sars covid 2 previsto per il personale del comparto difesa del ministero della difesa dall'art. 2 del decreto legge 172 del 2021 e contestuale sospensione del 15/12/2021 emesso dal comandante -OMISSIS- notificato alla sig.ra -OMISSIS- in data 21/12/2021;

11) del provvedimento di accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da sars covid 2 previsto per il personale del comparto difesa del ministero della difesa dall'art. 2 del decreto legge 172 del 2021 e contestuale sospensione del 12/01/2022 emesso dal comandante -OMISSIS- notificato al sig. -OMISSIS- 08/02/2022;

12) del provvedimento di accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da sars covid 2 previsto per il personale del comparto difesa del ministero della difesa dall'art. 2 del decreto legge 172 del 2021 e contestuale sospensione n. -OMISSIS-emesso dal comandante -OMISSIS- e notificato al sig. -OMISSIS- in data 13.01.2022;

Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati il 28/4/2022:

- provvedimento del 14/02/2022 -ricorrente-;

- provvedimento del 03/02/2022 -ricorrente-;

- provvedimento del 14/02/2022 -ricorrente-;

- provvedimento del 04/03/2022 -ricorrente-.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2024 la dott.ssa Paola Malanetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

I ricorrenti sono dipendenti del Ministero della difesa operanti nell’Arma dei carabinieri e nell’Esercito, in servizio in Piemonte.

Nel dicembre 2021 venivano tutti invitati ad esibire la prescritta documentazione di avvenuta vaccinazione da Covid-19 e, essendone privi, venivano sospesi dal servizio;
la sospensione si protraeva, a seconda dei casi, sino al rientro per aver contratto la malattia, così superando l’esigenza vaccinale, ovvero sino alla cessazione dell’obbligo di legge.

Tutti impugnano i rispettivi atti di sospensione lamentandone:

1) la nullità/annullabilità/irregolarità in quanto mancanti della clausola di enunciazione del regime dell’atto;

2) la contrarietà “ alla luce dei provvedimenti legislativi stranieri e della giurisprudenza pandemica internazionale e nazionale e delle norme europee e della costituzione italiana e delle regole scientifiche internazionalmente condivise ”;
si lamenta la violazione dell’art. 36 del Regolamento UE 2021/953 del 14.6.2021 e delle risoluzioni del Consiglio d’Europa n. 2361/21 e n. 2424/2022 che vietano discriminazioni nei confronti di soggetti non vaccinati e prescrivono che eventuali misure non abbiano durata superiore a quanto necessario;
ancora sussisterebbe una violazione dell’art. 3 della Convenzione dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che tutela l’integrità fisica e psichica di ogni individuo e dell’art. 8 della stessa Convenzione, che sancisce il rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza;
lamentano altresì una disparità di trattamento rispetto ad altre categorie (ad esempio operatori della scuola), per le quali è stato ammesso l’accesso al lavoro previo tampone, con l’uso di mascherina o in smart working;

3) il contrasto dell’art. 2 del d.l. n. 172/2021 con gli artt. 2, 3, 13 e 32 Cost.;
si invoca, in ogni caso, una interpretazione costituzionalmente orientata dalla normativa;

4) l’illegittimità/nullità/irregolarità degli atti di sospensione dei signori -OMISSIS-, in quanto emessi mentre si trovavano in malattia, e quindi in assenza giustificata;

5) illegittimità/nullità/irregolarità degli atti di sospensione emessi nei confronti dei signori -OMISSIS- in presenza di fattori di rischio per la loro salute (in specifico trombofilia).

In subordine si contesta che ai ricorrenti sospesi per mancata vaccinazione non sia stato riconosciuto un assegno alimentare, a differenza di quanto accade nelle sospensioni per ragioni disciplinari.

Con decreto n. 392/2022 l’istanza di misure cautelari monocratiche veniva respinta

Si costituiva l’amministrazione resistente, contestando in fatto e diritto gli assunti di cui al ricorso introduttivo.

Con atto depositato in data 14.3.2022 veniva, a posteriori, presentata istanza di autorizzazione al superamento dei limiti dimensionali delle difese ex art. 7 del decreto 167/2016.

La richiesta veniva respinta in sede di decisione cautelare.

Per la camera di consiglio fissata per la trattazione dell’istanza cautelare taluni ricorrenti, in quanto nelle more riammessi in servizio, rinunciavano alla domanda cautelare.

Con ordinanza n. 486/2022 l’istanza cautelare collegiale veniva respinta per i restanti ricorrenti.

Con atto depositato in data 28.4.2022 taluni ricorrenti depositavano motivi aggiunti di ricorso avverso i provvedimenti con i quali, nelle more, erano stati riammessi in servizio;
si tratta in particolare dei signori -OMISSIS- (riammessa in data 14.2.2022), -OMISSIS- (riammesso in data 7.2.2022), -OMISSIS-(riammesso in data 17.2.2022), -OMISSIS- (riammesso in data 4.3.2022). I motivi aggiunti nuovamente censurano la normativa in materia di vaccinazione obbligatoria, in parte per profili di presunta illegittimità costituzionale e violazione dei principi della Convenzione EDU già invocati in ricorso, e in parte lamentando la violazione di disposizioni di diritto internazionale varie per la prima volta individuate in questo atto (violazione del principio di precauzione dettato dalla dichiarazione di Rio de Janeiro, violazione del principio del consenso informato, della dichiarazione di Helsinky del 1964, Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, violazione dei principi di beneficienza, non maleficienza, equo accesso alle cure, della Convenzione di Oviedo, violazione degli artt. 1 e 2 della Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite, dell’art. 2 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo).

I ricorrenti hanno inoltre formulato richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea per contrasto dell’art. 2 del d.l. n. 172/2021 con il regolamento UE 2006/507, con il regolamento UE 2021/953 e gli articoli della Carta di Nizza, in quanto integranti il TFUE.

Lamentano ancora la violazione dell’art. 2087 c.c. e dell’obbligo di ricollocamento del soggetto idoneo alla mansione, art. 279 del d.lgs. n. 81/2008;
le sospensioni dovrebbero essere annullate per non essere stata previamente valutata la possibilità di ricollocamento dei lavoratori stessi.

Hanno ribadito la richiesta di percezione dell’assegno alimentare.

All’udienza del 13.2.2024 la causa veniva discussa e decisa nel merito.

DIRITTO

Deve premettersi che, pacificamente, tutti i ricorrenti sono stati riammessi in servizio, essendo nelle more cessato l’obbligo vaccinale.

Quanto alla durata della sospensione si osserva come parte ricorrente non abbia, nelle prospettazioni, fornito puntuali ricostruzioni della posizione dei singoli dei quali, inoltre, non è dato conoscere le specifiche mansioni;
risulta dall’ atto di motivi aggiunti che almeno 4 ricorrenti (-OMISSIS-) sono stati riammessi in servizio prima della scadenza dell’obbligo vaccinale perché, avendo contratto la malattia, hanno sviluppato l’immunità naturale;
degli altri non vi sono chiare indicazioni circa il momento di riammissione che deve essere ricostruito, ove possibile, dalla documentazione. Pur nel silenzio della difesa dei ricorrenti si evince dall’adempimento all’ordinanza collegiale n. 515/2023 di questo TAR da parte del Ministero resistente, che tuttavia interessa solo una parte dei ricorrenti, che anche altri ricorrenti sono rientrati in anticipo rispetto alla scadenza dell’obbligo, sempre in ragione della contratta malattia;
così il ricorrente -OMISSIS- è stato riammesso il 9.2.2022 per aver contratto il virus, il ricorrente -OMISSIS-ha contratto il COVID ed è stato sospeso sino al 14.1.2022, momento del contagio, così come il ricorrente -OMISSIS-è stato sospeso sino al 25.1.2022, momento del contagio.

Nonostante le lacunose allegazioni di parte circa le posizioni individuali dei ricorrenti può comunque desumersi dagli atti che, considerato che le sospensioni hanno avuto decorrenza da fine dicembre (i provvedimenti di sospensione in atti hanno varie decorrenze all’incirca tra il 26 e 28.12.2021;
alcuni ricorrenti hanno addotto malattie e le comunicazioni di sospensione venivano variamente consegnate loro a mani nel mese di gennaio), certamente almeno la metà dei ricorrenti è in tutto rimasta sospesa meno o poco più di un mese, fermo restando che, al più, qualora taluno avesse scontato l’intero periodo legale di sospensione, questo è cessato in data 24.3.2022 e dunque ha avuto una durata massima di tre mesi.

Quanto al quadro normativo di riferimento, esso risulta il seguente.

Il d.l. n. 172/2021 ha modificato il d.l. n. 44/2021 estendendo l’obbligo vaccinale da COVID-19, già previsto per il personale sanitario, anche, per quanto qui di interesse, al personale del comparto difesa, sicurezza, soccorso pubblico e polizia locale, con decorrenza 15.12.2021 (art. 4 ter co.1 lett. b) d.l. n. 44/2021, come modificato dal d.l. n. 172/2021).

Recitava l’originario comma 2 del novellato art. 4 ter del d.l. n. 44/2021: “2 . La vaccinazione costituisce requisito essenziale per lo svolgimento delle attività lavorative dei soggetti obbligati ai sensi del comma 1. I dirigenti scolastici e i responsabili delle istituzioni di cui al comma 1, lettera a), i responsabili delle strutture in cui presta servizio il personale di cui al comma 1, lettere b), c) e d), assicurano il rispetto dell'obbligo di cui al comma 1… ..

3. I soggetti di cui al comma 2 verificano immediatamente l'adempimento dell'obbligo vaccinale di cui al comma 1 acquisendo le informazioni necessarie anche secondo le modalità definite con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 9, comma 10, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87. Nei casi in cui non risulti l'effettuazione della vaccinazione anti SARS-CoV-2 o la presentazione della richiesta di vaccinazione nelle modalità stabilite nell'ambito della campagna vaccinale in atto, i soggetti di cui al comma 2 invitano, senza indugio, l'interessato a produrre, entro cinque giorni dalla ricezione dell'invito, la documentazione comprovante l'effettuazione della vaccinazione oppure l'attestazione relativa all'omissione o al differimento della stessa ai sensi dell'articolo 4, comma 2, ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione da eseguirsi in un termine non superiore a venti giorni dalla ricezione dell'invito, o comunque l'insussistenza dei presupposti per l'obbligo vaccinale di cui al comma 1. In caso di presentazione di documentazione attestante la richiesta di vaccinazione, i soggetti di cui al comma 2 invitano l'interessato a trasmettere immediatamente e comunque non oltre tre giorni dalla somministrazione, la certificazione attestante l'adempimento dell'obbligo vaccinale. In caso di mancata presentazione della documentazione di cui al secondo e terzo periodo i soggetti di cui al comma 2 accertano l'inosservanza dell'obbligo vaccinale e ne danno immediata comunicazione scritta all'interessato. L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati. La sospensione è efficace fino alla comunicazione da parte dell'interessato al datore di lavoro dell'avvio o del successivo completamento del ciclo vaccinale primario o della somministrazione della dose di richiamo, e comunque non oltre il termine di sei mesi a decorrere dal 15 dicembre 2021 ”.

La disciplina dettata per le forze di sicurezza si coordinava inoltre con la previsione dell’art. 4 co. 2 del d.l. n. 44/2021 che recita : “2. Solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal proprio medico curante di medicina generale ovvero dal medico vaccinatore, nel rispetto delle circolari del Ministero della salute in materia di esenzione dalla vaccinazione anti SARS-CoV-2, non sussiste l'obbligo di cui ai commi 1 e 1-bis e la vaccinazione può essere omessa o differita ” e consentiva, quindi, seguendo una specifico iter di accertamento tramite il proprio medico curante o il medico vaccinatore, a chi presentasse patologie ostative alla vaccinazione di esserne esentato.

Successivamente il d.l. 24 marzo 2022 n. 24 art. 8 ha abrogato l’art. 4 ter lett. b) del d.l. n. 44/2021 qui di interesse, sostituendolo con gli artt. 4ter- 1 ss. del d.l. n. 44/2021 che, nel ribadire l’obbligo di vaccinazione per le categorie qui di interesse sino al 15.6.2022, quanto alla prestazione dell’attività lavorativa, al successivo art. 4 quinquies, ha consentito, per i non vaccinati, l’accesso al luogo di lavoro con una certificazione di test negativa (oltre che ovviamente con attestato di vaccinazione e/o guarigione).

In sostanza gli effetti di sospensione dal lavoro per i non vaccinati sono cessati a decorrere dal 24 marzo 2022, data dalla quale in effetti risulta la riammissione in servizio di quei ricorrenti che, non avendo contratto la patologia né effettuato il vaccino, sono rimasti sospesi per tutto il periodo di legge.

Così ricostruito il quadro fattuale e normativo si passa all’analisi delle censure, non senza osservare in termini generali che:

parte ricorrente ha violato i limiti apposti dal d.P.C.S. n. 167/2016 alla lunghezza degli atti difensivi, limiti che presidiano il buon andamento del servizio giustizia;
l’autorizzazione al superamento di tali limiti, che avrebbe dovuto essere richiesta ex ante , è stata richiesta in sanatoria e negata in sede di decisione cautelare;
il Collegio non ha comunque omesso l’analisi dell’istanza cautelare (contenuta nella parte eccedente i limiti dimensionali) facendo applicazione di quella giurisprudenza più favorevole alla difesa, ancorché oggi minoritaria, che, in un contesto giurisprudenziale in allora ondivago, lasciava al giudice la facoltà di analisi delle difese in eccesso (Cons. St., sez. V, 2190/2018;
la giurisprudenza più recente si sta consolidando nel senso dell’inammissibilità delle difese eccedenti i limiti dimensionali, oltre che delle richieste di autorizzazione postuma, Cons. St., sez. V, 1502/2024);

buona parte del ricorso non contiene argomentazioni giuridiche quanto piuttosto generiche tesi apparentemente corredate di dati, statistiche o pareri di esperti volte a contestare sicurezza ed utilità del vaccino di cui per lo più non è dato evincere in atti (se non per indimostrata autoaffermazione di parte) né la verificabile fonte, né l’attendibilità scientifica.

A mero titolo esemplificato la difesa: insiste su scritti provenienti da un gruppo Co-Meta – che sarebbe acronimo per covid-metasciece - e ne produce uno studio (doc. 77) estrapolato da internet la cui paternità non risulta nel testo individualmente ascrivibile ad alcuno;
menziona un “comitato internazionale per l’etica della biomedicina” producendo nuovamente al doc. 62 un testo di cui non è nota la paternità individuale;
fermo l’anonimato e quindi l’inutilizzabilità del documento ai fini di causa, collegandosi al sito internet indicato in calce, appare un ente - apparentemente privato - che raccoglie alcuni studiosi la cui competenza spazia dalla contestazione dei vaccini a quella della green economy , dell’Europa, delle misure anti xylella, e della globalizzazione;
elenca una serie di numeri e presunte statistiche (di cui per lo più non è dato comprendere come siano state estratte, elaborate o interpretate) traendone conclusioni decontestualizzate, senza che sia comprensibile il percorso logico-critico seguito;
menziona un report della sanità scozzese (doc. 72) di cui non è neppure dato comprendere da quale sito sia stato estratto;
anche ad accreditarne la provenienza sulla base dell’affermazione di parte, esso esordisce con la seguente dichiarazione di principio e cautela: “ published management information are non-official statistics. They may not comply with the UK Statistics Authority’s Code of practice with regard to high data quality or high public value but there is a public interest or a specific interest by a specialist user group in accessing these statistics as there are no associated official statistics available. Users should therefore be aware of the aspects of data quality and caveats surrounding these data….Therefore the data presented are subject to change ”;
in sintesi lo stesso documento avverte il lettore che ne vuole fare lettura consapevole e complessiva della scarsa qualità e provvisorietà dei dati esposti.

Alla luce di siffatte inadeguate allegazioni e produzioni documentali le valutazioni tecniche verranno in questa sede limitate a quelle che possono essere ricostruite come argomentazioni giuridiche ammissibili in un contesto giurisdizionale;
le restanti, ancorché non esplicitamene vagliate, devono ritenersi dichiarate inammissibili.

Il primo motivo di ricorso è palesemente infondato;
l’eventuale mancanza della clausola enunciativa del regime dell’atto, per granitica giurisprudenza, non induce alcun tipo di illegittimità e tanto meno nullità del provvedimento, configurandosi, al più, una irregolarità che legittima una richiesta di remissione in termini per l’impugnazione da parte del destinatario;
posto che i ricorrenti hanno tutti fatto ricorso nel termine di legge la problematica appare nei loro confronti irrilevante ( ex pluribus Cons. St. sez. V n. 3710/2015, che esclude financo l’automatismo tra mancanza della clausola e remissione in termini).

La rubrica del secondo motivo di ricorso non rispetta i principi di specificità dei motivi dettati dall’art. 40 lett d) del c.p.a., la cui violazione è sanzionata con l’inammissibilità dal comma 2 del medesimo articolo, in quanto contiene una generica enunciazione di una disparata serie di fonti (provvedimenti legislativi stranieri, non meglio precisata “giurisprudenza pandemica nazionale ed internazionale”, decisioni di organi giurisdizionali stranieri) dei quali non è dato comprendere, a tratti, quali sarebbero e, a tratti, perché mai sarebbero applicabili, addirittura con effetti di disapplicazione della legge nazionale, nel nostro ordinamento.

Nell’analisi della censura ci si limiterà pertanto, in ausilio alla parte, ad estrapolare dal corpo dell’atto gli argomenti che, in modo minimamente giustificato, invocano disposizioni astrattamente applicabili nel nostro ordinamento argomentandone la rilevanza;
le restanti questioni non analizzate devono ritersi inammissibili.

La difesa lamenta, in modo decontestualizzato, la violazione dell’art. 36 ( rectius del considerando 36) del regolamento Ue 2021/953 il quale così recita: “ È necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anti COVID-19 è attualmente somministrato o consentito, come i bambini, o perché non hanno ancora avuto l'opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate. Pertanto il possesso di un certificato di vaccinazione, o di un certificato di vaccinazione che attesti l'uso di uno specifico vaccino anti COVID-19, non dovrebbe costituire una condizione preliminare per l'esercizio del diritto di libera circolazione o per l'utilizzo di servizi di trasporto passeggeri transfrontalieri quali linee aeree, treni, pullman, traghetti o qualsiasi altro mezzo di trasporto. Inoltre, il presente regolamento non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo a essere vaccinati .”

Preliminarmente, dal punto di vista delle fonti, benché i considerando costituiscano parte integrante dei regolamenti, esplicitandone gli obiettivi ed orientandone l’interpretazione, “ essi non hanno di per sé effetti vincolanti ” (Corte di giustizia UE, sentenze 24.2.2022 in causa C-262/20 e 13.7.2023 in causa C-765-21).

Leggendo integralmente l’invocato considerando e, come doveroso, contestualizzandone il significato, si evince che vengono ipotizzati rischi di discriminazione a livello unionale innanzitutto nei confronti di soggetti che non si sono potuti vaccinare per ragioni di salute, età, indisponibilità dei vaccini. Il considerando è stato poi rettificato prendendo in considerazione anche soggetti che hanno scelto di non vaccinarsi.

Senonché il regolamento, la cui base giuridica e rilevanza nazionale non può che trovare fondamento nelle competenze normative eurounitarie, ha ad oggetto la libertà di circolazione sul territorio dell’UE e i trasporti transfrontalieri, tutti ambiti di certa competenza dell’Unione. Nessuna di queste problematiche viene in considerazione nei confronti degli odierni ricorrenti, che contestano una puntuale scelta nazionale di politica sanitaria, estranea all’oggetto dell’invocato regolamento.

Rispetto alle politiche sanitarie nazionali l’Unione europea vanta, infatti, unicamente una competenza concorrente (art. 168 del TFUE) il che, ai sensi dell’art. 5 del TFUE, implica il potere di coordinare, completare e migliorare, ravvisandosi un interesse sovranazionale, le politiche sanitarie nazionali con tuttavia l’esplicita e reiterata precisazione che “ Gli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione adottati in base a disposizioni dei trattati relative a tali settori non possono comportare un'armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri ” (art. 5 § 2 TFUE) nonché (art. 168 § 5) che: “5. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, possono anche adottare misure di incentivazione per proteggere e migliorare la salute umana, in particolare per lottare contro i grandi flagelli che si propagano oltre frontiera, misure concernenti la sorveglianza, l'allarme e la lotta contro gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero, e misure il cui obiettivo diretto sia la protezione della sanità pubblica in relazione al tabacco e all'abuso di alcol, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri .”

In definitiva l’Unione Europea può intervenire in materia sanitaria per elevare gli standard di protezione generale, agevolare la mobilità transfrontaliera, affrontare episodi pandemici che richiedono coordinamento di risposte su ampi ambiti territoriali, vigilare sulla sicurezza di farmaci e prodotti ma non può sostituirsi agli Stati Membri nella gestione di puntuali politiche sanitarie e tanto meno nella gestione del rapporto lavorativo degli addetti di pubblica sicurezza che, tra l’altro, rappresenta un comparto di tradizionale appartenenza alle cosiddette funzioni “ régaliens ” degli Stati Membri, sulle quali sussistono specifiche riserve di disciplina degli stessi.

Ne consegue la non attinenza del campo di applicazione dell’invocato regolamento alle questioni qui in contestazione.

A tutto concedere potrebbero venire in considerazione principi generali quali la proporzionalità e la non discriminazione, che tuttavia non possono essere valutati a prescindere dalla concreta dinamica dei fatti sub iudice . In linea di principio, infatti, il vaglio di proporzionalità è, in se stesso, un esercizio di bilanciamento in concreto di valori, i quali, singolarmente presi, mantengono tutti una astratta e significativa rilevanza (nel caso specifico salute individuale, diritto al lavoro e connesso sostentamento da un lato, e salute e sicurezza pubblica dall’altro);
la ponderazione presuppone, fisiologicamente, una concreta analisi delle circostanze del caso per individuare un punto di valido equilibrio per definizione mobile a seconda della situazione concreta. A mero titolo esemplificato è del tutto evidente che, di fronte a un grave e generalizzato rischio di sanità pubblica con ulteriori pesanti ricadute sociali, un basso rischio per la salute individuale può restare soccombente.

Tuttavia le allegazioni sostanzialmente astratte e per petizione di principio che caratterizzano il ricorso (che, come già evidenziato, non descrive neppure le mansioni individuali né, puntualmente, il periodo di sospensione effettivamente sofferto) già di per sé appaiono inadeguate a sollecitare un serio esercizio di bilanciamento in concreto. Restando dunque sul piano astratto che caratterizza le censure i ricorrenti sono stati sospesi (senza conseguenze disciplinari) per un lasso di tempo che varia da meno di un mese ad un massimo di tre mesi;
le misure di vaccinazione obbligatoria hanno subito, seguendo in modo cronologicamente ravvicinato e quasi convulso l’andamento della pandemia, plurime modifiche e rimodulazioni, proprio in ossequio all’invocato principio di proporzionalità nella gestione anche normativa del fenomeno. In questi termini non vi è dubbio che la normativa non travalichi, come anche infra chiarito alla luce della giurisprudenza costituzionale, un principio di ragionevole proporzionalità.

Quanto alla non discriminazione, tralascia la difesa di considerare che essa vieta di trattare in modo difforme situazioni identiche ma non impedisce di differenziare situazioni nella realtà difformi tra loro;
i ricorrenti (rispetto ai quali, per le ragioni già ricordate, le funzioni vengono necessariamente considerate “in astratto”) operano nel comparto della pubblica sicurezza, che rappresenta un presidio fondamentale di qualsiasi società democratica, il cui funzionamento, per ovvie ragioni, non è stato sospeso nemmeno nel momento più difficile della vicenda pandemica. Le mansioni implicano, nella normalità e sempre necessariamente in astratto, contatto con vasto pubblico anche in contesti di rischio, mentre mancando le necessarie allegazioni non è possibile alcuna valutazione di questioni specifiche quali l’eventuale possibilità di svolgere taluni compiti in modalità alternativa o smart working .

In definitiva, quanto al presunto contrasto dei provvedimenti impugnati con norme di diritto unionale, deve riscontrarsi la non concreta attinenza con le problematiche oggetto di ricorso dell’invocato regolamento 2021/953, come per altro già sancito dal giudice europeo nella sentenza 13.7.2023 resa in causa C-765/21, che ha dichiarato irricevibili questioni pregiudiziali prospettate su similari basi giuridiche (ivi compreso il regolamento 507/2006 e la presunta natura pericolosa - in quanto sperimentale - dei vaccini) e con similari argomentazioni astratte. Sulla specifica problematica dell’autorizzazione provvisoria dei vaccini, per altro non argomentata in diritto nel ricorso introduttivo ed evincibile implicitamente dalla finale richiesta di proposizione di questione pregiudiziale comunitaria, si rinvia alle considerazioni ampiamente illustrate dal Consiglio di Stato nelle decisioni n. 7045/2021 e 1381/2022.

Ne deriva che non può trovare accoglimento la richiesta di promuovere una questione pregiudiziale comunitaria prospettata con modalità sostanzialmente sovrapponibili a quelle già valutate irricevibili della competente Corte.

Parte ricorrente invoca poi la presunta violazione di due risoluzioni del Consiglio d’Europa, la nn. 2361/21 e 2424/2022.

Da un punto di vista di corretto inquadramento delle fonti del diritto l’accostamento delle risoluzioni del Consiglio d’Europa ad una disciplina regolamentare, come prospettato in ricorso, risulta inappropriato;
mentre il regolamento UE è norma precettiva di diritto unionale direttamente applicabile negli Stati Membri, le risoluzioni del Consiglio d’Europa sono norme di diritto internazionale aventi, per altro ed anche in quel contesto, una valenza principalmente di soft law; le risoluzioni dell’assemblea parlamentare hanno una valenza programmatica e di esortazione degli Stati ma certamente non contemplano norme di diretta applicazione nei singoli ordinamenti. E’ poi demandato alla Corte EDU, e non alla Corte di giustizia, la vigilanza sul rispetto complessivo di atti convenzionali del Consiglio d’Europa, quali la convenzione EDU;
né l’applicazione delle norme EDU è invocabile indiscriminatamente in ambito eurounitario a meno che non si individui una loro connessione con un ambito ab origine di competenza del diritto unionale, connessione, come visto, che il ricorso manca di individuare.

Nel merito, a leggere integralmente le citate risoluzioni, se ne ricavano complessive conclusioni opposte a quelle prospettate in ricorso.

La risoluzione n. 2361/2021 (doc. 58 di parte ricorrente), esprime un complessivo favor per i vaccini quale strumento non certo unico né infallibile ma fondamentale per la gestione della pandemia. Viene stigmatizzata la carenza iniziale di disponibilità dei vaccini rispetto alle esigenze e l’importanza di una loro equa distribuzione, con necessità di stabilire delle priorità di soggetti da vaccinare (tra cui sono espressamente menzionati gli addetti ai servizi essenziali e le forze dell’ordine), gli sforzi da profondere per evitare l’esitazione vaccinale e la disinformazione. Proprio in relazione a queste ultime esigenze deve essere contestualizzato anche il favor espresso per la libera scelta sui vaccini, posto che è evidente che la comprensione e condivisione degli obiettivi risulta, in linea di principio, sempre più efficace di una loro imposizione.

Ancora nella risoluzione n. 2023/2022 (sub doc. 59 di parte ricorrente) si legge espressamente “ the vaccines approved by WHO have proven safe and very effective in reducing desaease severity ”;
si evidenzia che, nel mondo, si sono verificati oltre 330 milioni di casi e oltre 5,5 milioni di morti e che, nel contesto europeo, 57 persone su 100 hanno ricevuto il vaccino;
i numeri danno contezza delle dimensioni del fenomeno ed evidenziano l’inadeguatezza logico-matematica di dati statistici randomicamente citati in ricorso che, a fronte di un impatto di queste dimensioni, pretendono di desumere conclusioni di pericolosità o inefficacia da casistiche che si esprimono in centinaia o decine o considerano selettivamente, e quindi in modo distorto, a priori soggetti (ad esempio anziani) già individualmente maggiormente a rischio.

Sempre nella risoluzione del 2022 si dà atto degli effetti, oltre che sanitari, socio-economici della pandemia, dei costi e rischi che il long-COVID comporta per le persone che contraggono la malattia, della necessità delle politiche sanitarie pubbliche di confrontarsi anche con decisioni impopolari quali quelle di imporre la vaccinazione per ristrette platee di destinatari o periodi di tempo. Il documento, in modo equilibrato, non propaganda certo l’impossibile infallibilità o autosufficienza delle campagne vaccinali, dando atto anche del fatto che si tratta di misure in necessario progressivo aggiustamento, anche per il mutare del virus, e della necessità di monitorare attentamente gli effetti collaterali, il che non implica tuttavia che se ne possa apoditticamente inferire l’inutilità o, peggio, la dannosità dei vaccini.

Sempre nella risoluzione del 2022 si esorta ad incoraggiare la vaccinazione e si contempla espressamente (punto 9.1.2) l’ipotesi della vaccinazione obbligatoria;
vi si legge infatti che è possibile “ when it is necessary to impose public health measures which interfere with fundamental rights, by ensuring that decisions are made and communicated in a clear and transparent manner, that they are as far as possible evidence based, fulfil a legitimate aim and that they are proportionate ”;
si aggiunge che le imposizioni devono essere sindacabili e non devono restare in vigore più del necessario, caratteristica che i provvedimenti qui impugnati, la cui durata non ha mai superato i tre mesi, certamente presentano.

In definitiva, fermo restando che nessun divieto di imporre la vaccinazione a specifiche categorie e per limitatissimi periodi di tempo risulta precettivamente ricavabile dalle invocate risoluzioni sia per la natura della fonte sia perché, al contrario, i testi invocati espressamente contemplano la possibilità di vaccinazioni obbligatorie, la difesa di parte ricorrente finisce per estrapolarne pochi e decontestualizzati passaggi, funzionali alle proprie tesi, ignorando de plano le ulteriori considerazioni e il contesto che, in sostanza, smentiscono buona parte delle tesi di cui al ricorso, finendo così per non restituire affatto il senso complessivo e correttamente problematico delle disposizioni invocate.

D’altro canto che sia indimostrato il paventato rischio che la strategia degli obblighi vaccinali abbia comportato uno sbilanciato eccesso di effetti collaterali ed avversi è assunto che è già stato valutato dal giudice di appello alla luce dei rapporti AIFA e ISS secondo cui “ il quadro complessivo dei vantaggi offerti dalla copertura vaccinale e dei marginali rischi che ad essa si associano (in termini statistici coerenti al comune effetto collaterale da assunzione di medicinale) fuga ogni serio dubbio sulla ragionevolezza delle composizione di interessi attuata attraverso il vincolo normativo ” (Cons. St. sez. III, n. 1381/2022).

Ancora parte ricorrente adombra, più che sviluppare, presunte problematiche di compatibilità della vaccinazione obbligatoria con i principi, questi sì convenzionali, CEDU. Fermo restando che, anche per questa tipologia di fonte, non potrebbe porsi un problema di disapplicazione ma, al più, di legittimità costituzionale, la giurisprudenza della Corte EDU risulta da anni assestata su posizioni opposte a quelle invocate in ricorso in quanto ammette pacificamente la compatibilità con la Convenzione di campagne di vaccinazione obbligatoria (addirittura indirizzate a soggetti per definizione deboli quali i minori e con incidenza su diritti fondamentali quali l’accesso all’educazione scolastica), fermo il rispetto del principio di proporzionalità (di cui già si è detto) e il presupposto dell’esigenza di tutela della salute o dei diritti e libertà altrui, che certamente vengono in considerazione nella gestione dei progressivi effetti e poi postumi di una pandemia.

Nel senso che compete alla discrezionalità degli Stati, salvi i sopra ricordati parametri di esercizio di cui già si è ampiamente detto nel caso di specie, si è espressa, richiamando anche precedenti conformi, la Grande Camera della Corte EDU nella causa Vavrika e altri

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