TAR Napoli, sez. V, sentenza 2024-05-08, n. 202403006

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. V, sentenza 2024-05-08, n. 202403006
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202403006
Data del deposito : 8 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 08/05/2024

N. 03006/2024 REG.PROV.COLL.

N. 05071/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5071 del 2021, proposto da
-OMISSIS-rappresentato e difeso dall'avvocato I L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

U.T.G. - Prefettura di Caserta, Ministero dell'Interno, Questura di Caserta, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via Diaz 11;

per l'annullamento

del silenzio - rigetto avverso il ricorso gerarchico proposto contro il provvedimento di diniego di rinnovo di porto d'armi emesso dal Questore della Provincia di Caserta, prot. n. 260/2021 — Cat 6/F PASI del 22/04/2021 notificato in data 27/04/2021, nonché del medesimo provvedimento di diniego di rinnovo di porto d'armi emesso dal Questore della Provincia di Caserta, prot. n. 260/2021 — Cat 6/F PASI del 22/04/2021, notificato una seconda volta in data 4/8/2021.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’U.T.G. - Prefettura di Caserta, del Ministero dell'Interno e della Questura di Caserta;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 aprile 2024 il dott. G D V e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

E’ contestato il provvedimento emesso dal Questore della Provincia di Caserta e preceduto dal preavviso di rigetto, recante rigetto della richiesta di rinnovo della licenza di porto di fucile uso caccia, oggetto di un ricorso gerarchico sul quale è stato serbato silenzio – rigetto per decorso del termine di 90 giorni previsto dall’art. 6 del D.P.R. n. 1199/1971.

A sostegno della gravata azione amministrativa sono stati addotti i seguenti profili ostativi;

- il ricorrente è stato deferito all'A.G. per il reato di cui all'art. 660 c.p. nell'ambito di un procedimento penale del 2015 definito con sentenza ex art. 444 c.p.p. e successiva declaratoria di estinzione del reato;

- nei confronti del padre convivente del prevenuto è stato adottato un provvedimento di divieto di detenzione armi ex art. 39 del R.D. n. 773/1931 in data 23.5.2006.

Per l’effetto, è stata contestata la carenza del requisito della affidabilità ed è stato ravvisato il pericolo di abuso dell’arma da parte del soggetto con cui l’istante intrattiene relazione familiare.

Avverso tale provvedimento insorge il ricorrente che lamenta violazione dell’art. 27 della Costituzione, travisamento, carenza di istruttoria, illogicità manifesta, eccesso di potere, violazione del T.U.L.P.S..

In sintesi, si duole della omessa valutazione delle proprie controdeduzioni rese in seguito al preavviso di rigetto, della insussistenza delle condizioni alle quali l’ordinamento subordina il diniego del rilascio di titoli di P.S. ai sensi degli artt. 11 e 39 del R.D. n. 773/1931, tenuto conto che l’unico ed isolato procedimento penale a carico del ricorrente è stato definito con l’estinzione del reato e, quanto alla relazione di convivenza con il padre, evidenzia che il proprio congiunto, allo stato, non ha procedimenti penali pendenti e, in ogni caso, dal 2019 l’istante ha trasferito la propria residenza e, quindi, non convive più con il proprio genitore.

Conclude con le richieste di accoglimento del ricorso e di conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

Si è costituita l’amministrazione chiedendo il rigetto del gravame.

All’udienza del 15.4.2024 la causa è stata introitata per la decisione.

Il ricorso è fondato.

L'art. 11 del Testo Unico delle leggi di Pubblica Sicurezza (R.D. n. 773/1931) dispone, al secondo e terzo comma, che “Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello stato o contro l'ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all'autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta.

Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione” .

L’art. 39 del medesimo Testo Unico dà poi facoltà al Prefetto di “vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne”.

L'art. 43, infine, oltre alle previsioni di carattere generale contenute nell'art. 11, dispone che la licenza di portare armi non può essere concessa a chi abbia riportato una condanna per le fattispecie penali ivi previste (ad esempio, per estorsione o per delitti contro la personalità dello Stato o l’ordine pubblico) e, altresì, “a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi” .

Come ha rilevato la Corte Costituzionale (sentenze n. 440/1993 e n. 24/1981), il potere di rilasciare le licenze per porto d'armi “costituisce una deroga al divieto sancito dall'art. 699 del codice penale e dall'art. 4, primo comma, della legge n. 110 del 1975";
“il porto d'armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, eccezione al normale divieto di portare le armi".

Ciò comporta che - in disparte le disposizioni specifiche previste dagli articoli 11, 39 e 43 del T.U.L.P.S. - rilevano i principi generali del diritto pubblico in ordine al rilascio dei provvedimenti discrezionali.

Oltre alle disposizioni del T.U.L.P.S. che riguardano i requisiti di ordine soggettivo dei richiedenti (in particolare, gli articoli 11, 39 e 43), rilevano quelle (in particolare, gli articoli 40 e 42) che attribuiscono in materia i più vasti poteri discrezionali per la gestione dell'ordine pubblico:

- per l'art. 40, "il Prefetto può, per ragioni di ordine pubblico, disporre, in qualunque tempo, che le armi, le munizioni e le materie esplodenti, di cui negli articoli precedenti, siano consegnate, per essere custodite in determinati depositi a cura dell'autorità di pubblica sicurezza o dell'autorità militare" , quindi il Prefetto può senz'altro disporre il ritiro delle armi, purché, ovviamente, sussistano le idonee ragioni da palesare nel relativo provvedimento;

- per l'art. 42, "il Questore ha facoltà di dare licenza per porto d'armi lunghe da fuoco e il Prefetto ha facoltà di concedere, in caso di dimostrato bisogno, licenza di portare rivoltelle o pistole di qualunque misura o bastoni animati la cui lama non abbia una lunghezza inferiore a centimetri 65" , il che significa che il Prefetto può verificare se nei casi concreti vi sia il "dimostrato bisogno" di un porto d'armi, in rapporto ai profili coinvolti dell'ordine pubblico.

La giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2162/2015 e n. 5398/2014) ha, inoltre, affermato che la valutazione al riguardo dell'Autorità di pubblica sicurezza persegue lo scopo di prevenire, per quanto possibile, l'abuso di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili, tanto che la valutazione ostativa è giustificabile anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma a situazioni genericamente non ascrivibili a "buona condotta" (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2158/2015 e n. 5398/2014).

Nell'osservare come l'autorizzazione al possesso delle armi non integri un diritto, ma costituisca, piuttosto, il frutto di una valutazione discrezionale nel quale devono unirsi la mancanza di requisiti negativi e la sussistenza di specifiche ragioni positive, deve ritenersi che la regola generale sia dunque rappresentata dal divieto di detenzione delle armi, che la autorizzazione di polizia è suscettibile di rimuovere in via di eccezione, in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito della competente amministrazione prevenire.

Ebbene, nel caso in esame, i profili ritenuti fondativi del diniego del rinnovo del titolo di polizia attengono, da un lato, al deferimento per un reato per il quale è successivamente intervenuta declaratoria di estinzione e, dall’altro, al rapporto di convivenza con il proprio genitore, a sua volta attinto dal divieto di detenzione di armi e munizioni ai sensi dell’art. 39 del T.U.L.P.S..

Riguardo al primo profilo ostativo, è vero che sono diversi i presupposti necessari per addivenire ad una condanna in sede penale e quelli, discrezionalmente valutabili (con il solo limite della palese irragionevolezza) in sede amministrativa, ai fini della valutazione circa la permanenza dei requisiti di affidabilità prescritti dalla legge in capo ai titolari di autorizzazione di polizia.

Tuttavia, ritiene il Tribunale che, nel caso specifico, in assenza di ulteriori fattori, la pendenza del procedimento penale non appare idonea a sorreggere il giudizio prognostico sulla pericolosità del soggetto e neppure consente, in presenza di un fatto isolato – che non appare strettamente connesso all'utilizzo delle armi e/o alla loro detenzione - di ritenere che il titolare della licenza abbia perso il possesso dei requisiti soggettivi, non offrendo più garanzia nel non abuso delle armi.

A fronte della natura episodica del fatto, del suo effettivo sviluppo in sede penale, della sua occasionalità, oltre che della mancanza di ulteriori elementi sopravvenuti nel corso degli anni idonei a palesare una qualche reiterazione di comportamenti espressivi di inaffidabilità, risulta del tutto parziale l'istruttoria valorizzata dall'amministrazione. Quest’ultima si è invero incentrata su un fatto isolato e collocato in un preciso e delimitato arco temporale, senza peraltro evidenziare profili di attualità cui ancorare la valutazione di inaffidabilità.

Con riferimento all’ulteriore elemento ostativo (rapporto di convivenza con il padre gravato da divieto di detenzione armi), l’amministrazione non ha tenuto conto delle osservazioni rese dall’istante in seguito alla notifica del preavviso di rigetto, con cui evidenziava di aver trasferito la propria residenza e, quindi, di aver cessato la coabitazione e, sotto distinto profilo, non risultano specificati imputazione e controindicazioni specificamente riferiti dal predetto congiunto, in modo da poter compiutamente apprezzare la pericolosità del prevenuto e la reale consistenza del pericolo di accesso all’arma. Si aggiunga che tali carenze non sono state emendate dalla Questura di Caserta neppure nel corso del giudizio, avendo prodotto una memoria di mero stile senza riferire elementi istruttori in grado di corroborare la valutazione di inaffidabilità dell’istante nell’uso di armi ovvero il perdurante pericolo per la collettività o di abuso che potrebbe derivare dalla relazione parentale.

Sulla base delle sovraesposte considerazioni, il ricorso è, quindi, meritevole di accoglimento per difetto di istruttoria e di motivazione, cosicché va disposto l'annullamento dei provvedimenti gravati, fatta salva ogni ulteriore valutazione dell’amministrazione, da condursi sulla scorta dei principi sopra richiamati.

La regolazione delle spese di giudizio segue il criterio della soccombenza nella misura indicata in dispositivo, con distrazione al procuratore antistatario che ha avanzato rituale istanza in calce all’atto introduttivo.

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