TAR Palermo, sez. II, sentenza 2022-03-31, n. 202201115

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Palermo, sez. II, sentenza 2022-03-31, n. 202201115
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Palermo
Numero : 202201115
Data del deposito : 31 marzo 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 31/03/2022

N. 01115/2022 REG.PROV.COLL.

N. 00202/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 202 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato A A, con domicilio digitale come da registro tenuto presso il Ministero della Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio, in Palermo, via Goethe n. 1;

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli - Monopoli di Stato - Direzione Regionale Sicilia, in persona dei legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo;
domicilio digitale: ads.pa@mailcert.avvocaturastato.it;
domicilio fisico: Palermo, via Valerio Villareale n. 6;

per la condanna

al risarcimento dei danni subiti dal sig. -OMISSIS- in conseguenza del provvedimento prot. n.-OMISSIS-, con cui l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli – Ufficio dei Monopoli per la Sicilia – Palermo ha disposto la revoca della concessione di raccolta del gioco del lotto -OMISSIS-, già sospesa con provvedimento prot. n. -OMISSIS-a decorrere dalla stessa data, poi annullati dal giudice amministrativo con sentenza del T.A.R. Sicilia – Palermo – Sezione I n. -OMISSIS-, non appellata e già passata in giudicato;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli - Monopoli di Stato - Direzione Regionale Sicilia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2022 la dott.ssa Raffaella Sara Russo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con atto notificato in data 20 gennaio 2020 e depositato il successivo 1 febbraio, parte ricorrente ha esposto le seguenti circostanze.

Il sig. -OMISSIS-, sin dal 1° luglio 2008, è stato titolare della concessione della ricevitoria del lotto n. -OMISSIS-. Il ricorrente ha adempiuto sempre con puntualità ai propri obblighi, fino al giorno 11 luglio 2012, quando è rimasto vittima di una truffa perpetrata da due persone, recatesi presso i locali della ricevitoria, (all’apparenza) munite di tesserino di riconoscimento di Lottomatica s.p.a. (concessionaria dello Stato per la gestione del gioco del lotto), oltre che di apparecchiatura idonea ad azionare il terminale delle giocate;
i due soggetti hanno effettuato numerose giocate, nel tentativo di lucrare eventuali vincite senza versamento di danaro e quindi senza incasso da parte del -OMISSIS-;
quest’ultimo, ricevuta la segnalazione dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli in data 12 luglio 2012, ha sporto tempestiva denuncia alla competente Procura della Repubblica di Palermo già in data 13 luglio 2012, nella quale ha esposto i fatti occorsi ed ha indicato le generalità dei testimoni dell’accaduto.

Tuttavia, con nota prot. n. -OMISSIS-, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli – Ufficio dei Monopoli per la Sicilia – Palermo ha disposto la sospensione della concessione di raccolta del gioco del lotto -OMISSIS- rilasciata al -OMISSIS-, e successivamente, con provvedimento prot. n. -OMISSIS-, ne ha disposto la revoca, in considerazione dell’omesso versamento dei proventi delle giocate del lotto effettuate dai due ignoti.

Con ricorso proposto innanzi a questo Tribunale (R.G. n. 3266/2015), il -OMISSIS- ha impugnato detto provvedimento, deducendone l’illegittimità, atteso che l’Amministrazione non aveva tenuto in alcun conto la circostanza che lo stesso fosse stato vittima di una truffa, disconoscendo valore probatorio alla denuncia penale tempestivamente sporta, perchè ritenuta “atto di parte”.

Con ulteriore provvedimento prot. n. -OMISSIS-(impugnato con ricorso giurisdizionale R.G. n. 185/2016), la stessa Agenzia delle Dogane e dei Monopoli – Ufficio dei Monopoli per la Sicilia – Palermo ha dichiarato il -OMISSIS- decaduto dalla concessione di rivendita di tabacchi -OMISSIS-, sull’unico presupposto che la decadenza conseguisse “automaticamente” alla revoca della concessione di raccolta del gioco del lotto.

Infine, con ordinanza-ingiunzione prot. R.I. n. -OMISSIS-, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli - Ufficio dei Monopoli per la Sicilia - Palermo ha ingiunto al ricorrente il pagamento della somma di € 126.311,86, commisurata all’ammontare dei proventi derivanti dalla raccolta delle giocate del lotto relative alla settimana in cui aveva avuto luogo la truffa.

Il -OMISSIS- ha impugnato anche detta ordinanza con ricorso proposto innanzi al Tribunale Civile di Palermo (R.G. n. 6067/2016).

I tre giudizi indicati hanno avuto esito favorevole per l’odierno ricorrente: con sentenza n. -OMISSIS-, è stato accolto il ricorso proposto avverso il provvedimento di decadenza dalla gestione della rivendita di tabacchi -OMISSIS-;
con sentenza n. -OMISSIS-, è stato annullato il provvedimento di revoca della concessione del lotto e, con sentenza n. -OMISSIS-, il Tribunale di Palermo ha accolto il ricorso avverso l’ordinanza-ingiunzione prot. R.I. n.-OMISSIS-.

Con il ricorso all’esame, il -OMISSIS- ha chiesto la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli – Ufficio dei Monopoli per la Sicilia – Palermo al risarcimento dei danni ingiusti cagionati dal provvedimento prot. n. -OMISSIS- e degli atti ad esso presupposti, connessi o conseguenziali (fra cui il provvedimento di

sospensione della concessione disposta con nota prot. n. -OMISSIS-).

Segnatamente, il ricorrente ha chiesto il risarcimento delle seguenti voci di danno.

I) Danni patrimoniali

I. A) Il -OMISSIS-, a causa della cessazione, sin dal 25 luglio 2012, dell’attività di ricevitoria del gioco del lotto, avrebbe subito gravissimi pregiudizi economici, come sarebbe dimostrato dalle dichiarazioni dei redditi del ricorrente relative agli anni precedenti e successivi alla sospensione della detta concessione, che attestano una riduzione degli introiti prodotti dall’attività “-OMISSIS-” del sig. -OMISSIS- successivamente alla sospensione della concessione, pari in media a circa € 45.000,00 per ogni anno, dal 2012 al 2019, per un importo complessivo pari a € 315.000,00.

I. B) Inoltre, a causa della cessazione della detta attività, dal 2012 il ricorrente non sarebbe più stato in grado di far fronte agli impegni economici precedentemente assunti e, segnatamente, al pagamento delle rate relative a due mutui precedentemente concessigli, a garanzia dei quali il -OMISSIS- aveva offerto tre immobili di sua proprietà;
al detto inadempimento ha fatto seguito il pignoramento e la vendita forzata degli immobili, di valore complessivo pari ad € 700.000,00;
tale sarebbe, dunque, la quantificazione del pregiudizio subito.

I. C) Ancora, la sospensione, a far data dal 25 luglio 2012, della concessione del gioco del lotto avrebbe impedito al sig. -OMISSIS- la vendita della propria azienda (che comprendeva anche la concessione del gioco del lotto), già promessa al sig. -OMISSIS-con contratto preliminare stipulato il 30 novembre 2010 per l’importo complessivo di € 380.000,00. Poiché il ricorrente sarebbe tenuto a versare al promittente acquirente un importo pari al doppio della caparra confirmatoria ricevuta all’atto della stipula del preliminare, di ammontare pari ad € 76.000,00, l’Amministrazione dovrebbe corrispondere al -OMISSIS- la somma di € 152.000,00.

II) Danni non patrimoniali

II. A) I descritti problemi economico-finanziari, conseguiti ai provvedimenti di sospensione e revoca della concessione del gioco del lotto e che, come detto, hanno determinato anche la perdita della proprietà di alcuni immobili, tra cui la casa coniugale, sita in -OMISSIS-, avrebbero cagionato l’insorgere di una malattia neuropsichiatrica, da cui tuttora l’odierno ricorrente sarebbe affetto, come risulterebbe da una relazione medica di parte prodotta agli atti del giudizio.

II. B) Inoltre, il descritto dissesto patrimoniale avrebbe comportato, oltre ad una consistente riduzione del tenore di vita familiare, anche gravi dissidi coniugali e nei rapporti con i figli, sino alla separazione dalla moglie, con conseguenti danni morali e/o esistenziali.

II. C) Infine, a seguito della revoca della concessione del lotto, altri uffici della medesima Amministrazione hanno adottato ulteriori provvedimenti di revoca relativi alle altre concessioni di cui il ricorrente era titolare (tabacchi, generi di monopolio, ricevitoria Sisal, lotterie etc.), in ragione del venir meno del “rapporto fiduciario” ad esse sottostante. Ancora, dal provvedimento in questione sarebbe conseguita anche la lesione dell’onore e/o della reputazione del ricorrente nell’ambiente dei concessionari dell’Agenzia dei Monopoli, nonché tra la clientela dell’azienda, che sarebbe andata irrimediabilmente persa. Ulteriore conseguenza del descritto dissesto economico sarebbe stato lo sfratto per morosità dal locale adibito a sede del bar/ricevitoria.

I detti danni non patrimoniali sarebbero quantificabili in via equitativa nel complessivo importo di € 100.000,00, di cui € 50.000,00 a titolo di risarcimento dei danni alla salute per la malattia neuropsichiatrica, € 30.000,00 per i danni morali e/o esistenziali conseguenti alla fine del rapporto

coniugale ed € 20.000,00 a titolo di risarcimento per la lesione dell’onore e/o dell’immagine e/o della reputazione.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli – Direzione Regionale Sicilia, chiedendo l’estromissione dal giudizio del Ministero, per difetto di legittimazione passiva, oltre al rigetto del ricorso.

Alla pubblica udienza del 26 gennaio 2022, la causa è stata trattenuta per la decisione.

Preliminarmente, deve essere accolta la domanda di estromissione dal giudizio avanzata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Il provvedimento di revoca della concessione del lotto, da cui sarebbero scaturiti i danni di cui è chiesto il ristoro, è stato, invero, adottato unicamente dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

Ciò premesso, il Collegio ritiene che la domanda risarcitoria debba trovare accoglimento, sebbene nei soli limiti di seguito indicati.

Ricorrono, invero, i presupposti in presenza dei quali può riconoscersi la responsabilità della pubblica amministrazione da provvedimento amministrativo illegittimo.

L’adozione del provvedimento di revoca risulta infatti ascrivibile ad un comportamento colposo della p.a.

A fronte del mancato pagamento per le scommesse abusive effettuate da terzi, il mancato versamento dei proventi (non ricevuti) non poteva costituire motivo di revoca della concessione;
né poteva attribuirsi rilievo alla natura di atto di parte della denuncia/querela sporta dal ricorrente, come ritenuto nella motivazione dell’illegittimo provvedimento, mancando l’accertamento della falsità di quanto dichiarato dal ricorrente.

A tale riguardo assume rilievo anche la circostanza che, con sentenza n. -OMISSIS-, il Tribunale Civile di Palermo ha disposto la revoca della sopra menzionata ingiunzione di pagamento, così disconoscendo l’esistenza del credito sul cui mancato adempimento si è fondato il provvedimento impugnato.

In presenza, dunque, di un’omissione del pagamento non attribuibile a responsabilità del concessionario, dichiaratosi vittima di una truffa, con atto la cui veridicità non è stata contestata, l’amministrazione non avrebbe potuto ritenere sussistente il presupposto dell’ “omesso pagamento” , qualificato, nel provvedimento impugnato, “la violazione più grave che può commettere un ricevitore lotto” , tale da comportare il venir meno del rapporto fiduciario.

Stante, dunque, la (giudizialmente accertata) illegittimità del provvedimento di revoca annullato, va rilevato che questa, secondo i consolidati principi in tema di responsabilità della p.a., costituisce uno degli indici presuntivi della colpevolezza dell’Amministrazione, a fronte del quale ricade sulla stessa Amministrazione l’onere di provare la mancanza di colpa, mediante la deduzione di circostanze integranti gli estremi dell’errore scusabile (cfr. Cons. Stato, sez. II, 12 gennaio 2022, n. 226;
Cons. Stato, sez. IV, 16 aprile 2015, n. 1953;
id. 31 gennaio 2012 n. 482;
sez. V, 6 dicembre 2010, n. 8549;
id., 18 novembre 2010, n. 8091;
sez. VI, 27 aprile 2010, n. 2384;
id., 11 gennaio 2010, n. 14;
sez. V, 8 settembre 2008, n. 4242).

Orbene, nel caso in esame, non consentono di ritenere l’assenza di colpa le deduzioni in tal senso rese dall’Amministrazione resistente, che attengono, per un verso, al fatto che la revoca della concessione è stata disposta solamente dopo l’archiviazione del procedimento penale avviato su denuncia del ricorrente e, per altro verso, sulla natura di atto dovuto del provvedimento annullato.

In realtà, la sola archiviazione del procedimento penale non è idonea a costituire prova della falsità dei fatti esposti nella denuncia;
piuttosto, va rilevato che il giudice civile chiamato a decidere sull’esistenza del credito relativo all’ammontare delle giocate dell’11 luglio 2012, previa escussione di un testimone dei fatti, ha revocato l’ordinanza-ingiunzione emessa dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Quanto alla natura di atto dovuto della revoca, è sufficiente rilevare che questa è stata annullata in sede giurisdizionale proprio per l’assenza dei necessari presupposti di legge.

Ciò premesso quanto alla colpa, occorre valutare le singole voci di danno denunciate da parte ricorrente, al fine di vagliare la sussistenza di un nesso di causalità tra fatto e danno.

Parte ricorrente ha chiesto il risarcimento di un importo complessivo pari a € 315.000,00, a titolo di minore reddito percepito negli anni 2012-2019;
il calo reddituale sarebbe stato determinato dalla sospensione della concessione, prima, e dalla revoca della stessa, successivamente, e sarebbe dimostrato dal minore reddito indicato dal ricorrente in sede di dichiarazione annuale, al rigo

Rg2 del quadro Rg ( Reddito di impresa in regime di contabilità semplificata ) dei Modelli unici compilati nel detto periodo.

Occorre precisare, in primo luogo, che non può riconoscersi alcun risarcimento del danno derivante dalla sospensione della concessione, atteso che tale provvedimento (prot. n. -OMISSIS-) non è mai stato impugnato da parte ricorrente. È, invero, palesemente infondato l’assunto di parte ricorrente, secondo cui tale provvedimento dovrebbe ritenersi impugnato con il ricorso proposto avverso la successiva revoca, ricorso ove sono indicati, tra gli atti impugnati, anche quelli presupposti.

Per un verso, infatti, è pacifico che tale generica indicazione costituisce mera formula di stile e non può validamente esprimere la volontà di impugnare un atto non espressamente menzionato;
per altro verso, va rilevato che l’impugnazione è stata proposta a distanza di anni dall’adozione (e dalla conoscenza) della sospensione, ossia quando era ampiamente scaduto il termine decadenziale per la proposizione del ricorso.

Premesso, dunque, che la sospensione non è stata oggetto di impugnazione, giova ricordare che, secondo quanto statuito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (n. 3/2011), cui si è adeguata la giurisprudenza successiva, l’omessa attivazione degli strumenti di tutela offerti dall’ordinamento costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza:

“se si considera che…l’obbligo di cooperazione di cui al comma 2 dell’art. 1227 ha fondamento proprio nel canone di buona fede ex art. 1175 c.c. e, quindi, nel principio costituzionale di solidarietà, si deve concludere che anche le scelte processuali di tipo omissivo possono costituire in astratto comportamenti apprezzabili ai fini della esclusione o della mitigazione del danno laddove si appuri, alla stregua del giudizio di causalità ipotetica di cui si è detto, che le condotte attive trascurate non avrebbero implicato un sacrificio significativo ed avrebbero verosimilmente inciso, in senso preclusivo o limitativo, sul perimetro del danno.

Si deve allora preferire al tradizionale indirizzo che esclude, per definizione, la sincadabilità delle condotte processuali ai sensi del capoverso dell’art. 1227 c.c., un più duttile criterio interpretativo che, in coerenza con le clausole generali in materia di correttezza, buona fede e solidarietà di cui la norma in esame è espressione, consenta la valutazione della condotta complessiva, anche processuale, del creditore, con riguardo alle specificità del caso concreto” (Cons. Stato, Ad. Plen. n. 3/2011).

Va precisato che ciò che impedisce il riconoscimento del diritto al risarcimento non è una pregiudiziale processuale (non più configurabile, dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo), quanto il comportamento inerte del danneggiato/creditore, che non si sia attivato per evitare il danno e che rileva sul piano sostanziale del nesso causale tra fatto e danno.

Come rilevato dalla richiamata decisione dell’Adunanza Plenaria, “il codice, pur negando la sussistenza di una pregiudizialità di rito, ha mostrato di apprezzare, sul versante sostanziale, la rilevanza eziologica dell’omessa impugnazione come fatto valutabile al fine di escludere la risarcibilità dei danni che, secondo un giudizio causale di tipo ipotetico, sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di tempestiva reazione processuale nei confronti del provvedimento potenzialmente dannoso” .

L’art. 30, comma 3, del codice, infatti, al secondo periodo, stabilisce che, nel determinare il risarcimento, “il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti” .

Deve dunque ritenersi che, nelle ipotesi, quale è la presente, in cui la proposizione di un ricorso avrebbe presumibilmente evitato il danno lamentato e la parte, piuttosto, abbia preferito agire solo successivamente al configurarsi del danno, proponendo una domanda tesa ad ottenerne il ristoro, si configuri “un comportamento complessivo di tipo opportunistico che viola il canone della buona fede” , che, “quindi, in forza del principio di auto-responsabilità cristallizzato dall’art. 1227, comma 2, c.c., implica la non risarcibilità del danno evitabile” (così Cons. Stato, Ad. Plen., cit.).

Può, dunque, prendersi in considerazione soltanto il risarcimento del danno cagionato dal provvedimento di revoca, impugnato dal ricorrente ed annullato con sentenza n. -OMISSIS-.

Dunque, ai fini della quantificazione del danno risarcibile, dovrà prendersi in considerazione soltanto il periodo intercorrente tra la detta revoca (prot. n. -OMISSIS-) e la data di rilascio della nuova concessione del lotto (che parte ricorrente genericamente riferisce essere intervenuta nell’anno 2020);
va precisato che, con riferimento a tale periodo, non potrà riconoscersi un danno pari alla complessiva riduzione media del reddito d’impresa subita dal ricorrente;
il calo reddituale indicato in ricorso, invero, è stato determinato anche (e soprattutto) dalla revoca di ulteriori licenze già rilasciate al ricorrente ( “tabacchi, generi di monopolio, ricevitoria Sisal, lotterie etc.” , così il ricorso).

L’adozione di tali provvedimenti di revoca - sebbene, in alcuni casi, motivata con riferimento al venir meno del rapporto fiduciario conseguente ai fatti posti a base della revoca della concessione del lotto – costituisce autonoma causa degli ulteriori danni patiti dal ricorrente;
si tratta infatti di distinti provvedimenti, uno dei quali (la revoca della concessione dei tabacchi) è stato infatti impugnato dal ricorrente con separato ricorso.

Ciò che può riconoscersi al ricorrente quale danno cagionato dalla revoca della concessione del lotto, dunque, è il solo venir meno del vantaggio patrimoniale direttamente derivante da tale ultima attività (artt. 1223 e 2056 c.c.).

A base della determinazione del corrispondente importo dovrà porsi una somma pari all’aggio medio derivante dal lotto conseguito dal -OMISSIS- nell’ultimo triennio antecedente al 2012 (anno in cui è stata disposta la sospensione).

Tale importo, tuttavia, non costituisce reddito netto;
pertanto, in assenza di elementi che consentano di individuare le entrate nette che il ricorrente avrebbe conseguito (che si sarebbero potute desumere, ad esempio, dalla produzione in giudizio del bilancio o di altri documenti indicanti le voci di spesa sostenute), può ritenersi che il danno in esame (comprensivo anche del pregiudizio derivante da un verosimile calo degli acquisti presso l’attività da parte dei giocatori) sia determinabile, forfettariamente, in un importo pari al 50% dell’aggio medio dell’ultimo triennio.

Deve precisarsi, a tale riguardo, che gli importi a tale titolo percepiti dal -OMISSIS- sono stati indicati dall’Amministrazione resistente nel documento indicato quale allegato n. 9;
parte ricorrente ha però contestato l’efficacia probatoria di tale schema riassuntivo, rilevando che si tratta un atto non sottoscritto, proveniente unilateralmente dalla stessa Agenzia resistente, contenente cifre con l’indicazione delle voci di riferimento scritte manualmente. Tuttavia, a fronte di tale contestazione, il -OMISSIS- non ha indicato gli importi da lui stesso ritenuti corretti, ciò che certamente avrebbe potuto fare;
dovrà, pertanto, aversi riguardo alle risultanze ufficiali relative a tali entrate, di cui entrambe le parti deve ritenersi dispongano.

In conclusione, ai sensi dell’art. 34, co. 4 c.p.a., va disposto che, entro il termine di giorni sessanta dalla comunicazione della presente sentenza, l’Agenzia dovrà proporre a parte ricorrente, a titolo di ristoro per il pregiudizio subito, una somma pari al 50% dell’aggio medio annuo relativo al lotto, percepito dal -OMISSIS- negli anni 2009-2010-2011;
tale somma andrà moltiplicata per ciascuno degli anni intercorsi tra la data della revoca della concessione e quella del rilascio della successiva;
per ogni mese o frazione di mese superiore ai quindici giorni, si computerà un dodicesimo del detto importo.

Quanto ai danni relativi alla perdita della proprietà degli immobili pignorati, alla malattia psichiatrica, allo sfratto subito, al danno esistenziale ed all’immagine ed alla reputazione, va rilevato che non si tratta di pregiudizi riconducibili in via diretta al provvedimento di revoca che ha formato oggetto di annullamento.

L’inadempimento degli obblighi derivanti dai contratti di mutuo, invero, difficilmente può ricondursi alla sola mancata percezione dell’aggio del lotto ( recte , delle entrate nette derivanti da tale attività). Si noti, a tale proposito, che a fronte, ad esempio, di una rata di mutuo pari ad € 4.085,43 (contratto del 18 aprile 2008, per un importo complessivo di € 300.000,00) gli aggi derivanti dal lotto – per come indicativamente possono desumersi dalla scheda riassuntiva prodotta dall’Agenzia (cui, in mancanza di una puntuale contestazione da parte del ricorrente, può riconoscersi valore indiziario) – sono pari, in media, a circa 10.000,00 euro annui. La notevole sproporzione tra tali entrate e le rate mensili del mutuo rende evidente come non possa riconoscersi nesso causale tra revoca della concessione ed inadempimento del mutuo, con consequenziale vendita forzata degli immobili di proprietà del ricorrente.

Quanto all’ulteriore vendita forzata, conclusasi con il trasferimento per decreto di due immobili di proprietà del ricorrente siti in -OMISSIS-, parte ricorrente non ha prodotto agli atti del giudizio neppure il contratto di mutuo, e, soprattutto, non ha provato che l’inadempimento sia direttamente imputabile alla mancata percezione delle entrate derivanti dal lotto. Piuttosto, come si è detto, ha avuto luogo un complessivo tracollo economico dell’attività di impresa del ricorrente, derivante anche e soprattutto dai provvedimenti successivi all’annullata revoca, in relazione alla quale è chiesto il risarcimento.

Analogamente deve dirsi con riferimento al danno morale derivante dallo sfratto per morosità ed a tutte le vicende (danni psicologici, dissidi familiari, etc.) che negli anni hanno accompagnato, come spesso accade, i problemi economici, nonché con riferimento allo sfratto subito, anch’esso riconducibile al complessivo stato di decozione dell’attività d’impresa.

Resta da valutare la richiesta di risarcimento del danno corrispondente all’importo del doppio della caparra versata all’atto del preliminare di cessione d’azienda (per un importo complessivo di € 152.000) e che il ricorrente sarebbe tenuto a versare in favore del promittente acquirente.

Va rilevato che parte ricorrente non ha provato di avere spontaneamente versato tale somma, né di essere stata condannata a farlo. Peraltro, deve dubitarsi che sia tenuta a restituire il doppio della caparra, trattandosi di inadempimento non imputabile, in quanto determinato da factum principis (la revoca delle varie concessioni). Si tratta, dunque, di un danno solo ipotetico.

In conclusione, il ricorso merita accoglimento nei soli limiti infra indicati.

In considerazione dell’esito della lite, solo parzialmente favorevole per parte ricorrente, deve essere disposta la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

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