TAR Genova, sez. II, sentenza 2012-05-24, n. 201200732

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Genova, sez. II, sentenza 2012-05-24, n. 201200732
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Genova
Numero : 201200732
Data del deposito : 24 maggio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00032/2007 REG.RIC.

N. 00732/2012 REG.PROV.COLL.

N. 00032/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 32 del 2007, proposto da:
R B, rappresentato e difeso dagli avv. A B e A B, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Genova, via alla Porta degli Archi, 10/6;

contro

Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Genova, viale Brigate Partigiane, 2;

per l'annullamento

del provvedimento del Capo Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Ds 07 0186157-2006/15228 matr. 72570, notificato il 9/11/2006, di inflizione della sanzione disciplinare della destituzione a decorrere dal 20/3/1995, nonché di tutti gli atti ad esso presupposti e/o connessi, con particolare riferimento al provvedimento di contestazione degli addebiti.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 aprile 2012 il dott. Richard Goso e uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso giurisdizionale ritualmente notificato e depositato, l’esponente, ex agente del Corpo di polizia penitenziaria, contesta la legittimità del provvedimento indicato in epigrafe, con cui è stata applicata nei suoi confronti la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio a decorrere dal 20 marzo 1995.

In tale data, il ricorrente era stato tratto in arresto per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti (art. 73 del d.P.R. n. 309/1990), cedute in numerose occasioni dietro compenso a soggetti detenuti nella stessa casa circondariale di Genova-Marassi in cui egli prestava servizio.

Sospeso dal servizio in data 31 marzo 1995, il dipendente era sottoposto a procedimento penale, conclusosi con sentenza di condanna alla pena di anni quattro e mesi nove di reclusione, divenuta definitiva in data 7 febbraio 2006.

All’esito del procedimento penale, l’amministrazione provvedeva a riesercitare il potere disciplinare, con atto di contestazione degli addebiti notificato il 6 maggio 2006, e, sulla base di conforme deliberazione del Consiglio centrale di disciplina, irrogava al dipendente la sanzione prevista dall’art. 6 del d.lgs. 30 ottobre 1992, n. 449.

Il ricorso giurisdizionale si fonda su motivi di gravame così rubricati:

I) Eccesso di potere per violazione dei principi generali in tema di tempestività della contestazione degli addebiti. Violazione di legge (art. 103, t.u. 10 gennaio 1957, n. 3).

II) Violazione di legge (art. 6, comma 4, d.lgs. n. 449/1992;
art. 9, comma 2, l. n. 19/1990). Eccesso di potere per violazione dei principi generali in tema di termini del procedimento disciplinare.

III) Violazione di legge (art. 6, comma 4, d.lgs. n. 449/1992;
art. 9, comma 2, l. n. 19/1990) sotto altro profilo.

IV) Violazione di legge (art. 16, commi 1 e 4, d.lgs. n. 449/1992). Eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione. Eccesso di potere per difetto di istruttoria.

Si è costituita in giudizio l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Genova, in rappresentanza del Ministero della giustizia, contrastando nel merito la fondatezza del ricorso e opponendosi al suo accoglimento.

Nel prosieguo del giudizio, parte ricorrente ha depositato due memorie ad ulteriore illustrazione delle proprie argomentazioni difensive.

Il ricorso, infine, è stato chiamato alla pubblica udienza del 27 aprile 2012 e ritenuto in decisione.

DIRITTO

1) Come riferito in premessa, il ricorso in trattazione ha per oggetto la legittimità della sanzione disciplinare della destituzione dal servizio irrogata al dipendente con l’impugnato provvedimento in data 26 ottobre 2006.

Tutte le censure proposta da parte ricorrente, nel contesto dei quattro motivi di ricorso, attengono alle modalità di esplicazione del potere disciplinare che, sotto diversi profili, sarebbe stato esercitato in modo intempestivo.

2) Con il primo motivo di ricorso, l’esponente denuncia la violazione del principio di immediatezza della contestazione disciplinare, sancito sia dalla normativa generale in materia di pubblico impiego (art. 103, comma 2, del d.P.R. n. 3/1957) sia dalla normativa speciale in tema di determinazione delle sanzioni disciplinari per il personale del Corpo di polizia penitenziaria (il ricorrente cita, a quest’ultimo riguardo, l’art. 9 del d.lgs. n. 449/1992 che, però, ha un diverso contenuto).

Nel caso in esame, precisa il deducente, la contestazione degli addebiti notificata nel 2006 sarebbe ampiamente tardiva, dal momento che i fatti cui essa si riferisce erano stati commessi in un periodo di tempo compreso fra il 1988 e il 2001.

La genericità della doglianza impone di formulare alcune precisazioni in fatto.

In primo luogo, va chiarito che, come emerge dalla documentazione versata in atti dalla difesa erariale, il procedimento penale che assume rilievo nella presente controversia riguardava solo i fatti commessi in servizio fra il 1988 e il 1994 (l’esponente fa indistintamente riferimento, invece, ad episodi avvenuti in epoche diverse e oggetto di autonomi procedimenti penali).

Per tali fatti, il dipendente era stato sospeso dal servizio in data 31 marzo 1995 e in seguito, con provvedimento del 12 ottobre 1998, la sospensione era stata trasformata da obbligatoria in facoltativa.

Una prima contestazione degli addebiti recava la data del 19 aprile 2000 ed era stata notificata al dipendente il successivo 4 maggio.

Successivamente, con provvedimento del 13 giugno 2000, il procedimento disciplinare era stato sospeso in pendenza del procedimento penale, come previsto dall’art. 9 del d.lgs. n. 449/1992.

Infine, dopo la definitività della sentenza di condanna e l’arresto del dipendente per esecuzione pena, l’amministrazione ha provveduto a rinnovare la contestazione degli addebiti con atto del 5 maggio 2006, notificato all’interessato il giorno successivo.

Tutto ciò premesso, va rilevato come la censura di tardività dell’azione disciplinare abbia subito “aggiustamenti progressivi” nel corso del giudizio.

Nel ricorso introduttivo, come riferito, l’esponente si limitava a porre in evidenza che la contestazione degli addebiti era stata notificata a parecchi anni di distanza dai fatti per i quali era stata pronunciata la sentenza di condanna.

Nelle due memorie depositate in corso di causa, invece, il deducente sostiene che l’amministrazione avrebbe posto a fondamento della propria iniziativa il provvedimento di esecuzione pena, evento che, di per sé, è irrilevante rispetto al procedimento disciplinare, la cui tempestività deve invece essere valutata in relazione alla data di conoscenza della sentenza definitiva di condanna.

Tanto precisato, l’esponente chiede che venga ordinato all’amministrazione di depositare in giudizio la documentazione atta a dimostrare il momento in cui la sentenza penale era pervenuta alla sua conoscenza.

Anche con tali precisazioni, però, la censura all’esame si appalesa priva di pregio giuridico e l’attività istruttoria sollecitata dal privato risulta irrilevante ai fini del decidere.

La fattispecie è regolata, infatti, dall’art. 6, comma 4, del d.lgs. n. 449/1992, secondo cui “ la destituzione … è inflitta all'esito del procedimento disciplinare, che deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla data in cui l'Amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna… ”.

Come risulta chiaramente dal provvedimento di esecuzione pena, in atti, la sentenza di condanna a carico dell’odierno ricorrente era divenuta definitiva in data 7 febbraio 2006.

La conoscenza della sentenza definitiva da parte dell’amministrazione non poteva, pertanto, che essere successiva a tale data e la notifica della contestazione degli addebiti, effettuata in data 6 maggio 2006, era quindi ampiamente compresa entro il termine di 180 giorni fissato dal citato art. 6.

3) La censura dedotta con il secondo motivo di ricorso concerne la violazione del termine di novanta giorni per la conclusione del procedimento disciplinare, previsto dall’art. 6, comma 4, del d.lgs. n. 449/1992.

Parte ricorrente sostiene, inoltre, che il provvedimento disciplinare avrebbe illegittimamente riguardato, oltre che i fatti per i quali era stata pronunciata la sentenza di condanna divenuta definitiva nel 2006, anche ulteriori due condanne penali del 1991, rispetto alle quali l’esercizio dell’azione disciplinare risulterebbe irrimediabilmente tardivo.

Con riguardo alla prima censura, va precisato che il citato art. 6, comma 4, prevede due distinti termini in tema di procedimento disciplinare volto alla destituzione del dipendente: il primo di 180 giorni concerne l’inizio del procedimento disciplinare e, come precisato sub 2), decorre dal momento in cui l’amministrazione acquisisce conoscenza dell’intervenuta sentenza irrevocabile di condanna;
il secondo termine di 90 giorni concerne la conclusione del procedimento e decorre dallo scadere del primo.

Tali disposizioni riproducono sostanzialmente la disciplina dettata per la generalità dei pubblici dipendenti dall’art. 9, comma 2, della legge 7 febbraio 1990, n. 19, con una lieve differenza inerente il termine di avvio del procedimento (che, nel caso del personale del Corpo di polizia penitenziaria, decorre alternativamente dal momento di conoscenza della sentenza ovvero da quello di applicazione definitiva della misura di sicurezza o di prevenzione) che non costituisce certo, contrariamente a quanto pretende parte ricorrente, un elemento di significativa differenziazione della disciplina speciale.

Anche per il personale di polizia penitenziaria vale, pertanto, il principio di elaborazione giurisprudenziale secondo il quale i due termini in questione, pur rispondendo a esigenze diverse, non si pongono in rapporto antitetico fra loro e, anzi, vanno considerati unitariamente alla luce della consistenza delle operazioni che, prima e durante il procedimento, devono essere compiute dall’una e dall’altra parte (Cons. Stato, Ad. plen., 14 gennaio 2004, n. 1).

Ne consegue che all'Amministrazione deve ritenersi attribuito, per l'irrogazione della sanzione disciplinare della destituzione a seguito di sentenza penale di condanna, un arco temporale di complessivi 270 giorni per l'inizio e la conclusione del procedimento disciplinare (cfr., per un’applicazione del principio al personale del Corpo di polizia penitenziaria, T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 14 marzo 2005, n. 366).

Nel caso in esame, pur non conoscendo la data dell’intervenuta conoscenza della sentenza irrevocabile di condanna, tale termine complessivo risulterebbe comunque rispettato, considerando che tra il momento in cui la sentenza è divenuta definitiva (7 febbraio 2006) e la data di adozione del provvedimento disciplinare (26 ottobre 2006) è intercorso un arco temporale di 261 giorni, inferiore al massimo di 270 giorni previsto dalla norma che regola la materia.

Privo di rilievo giuridico è, poi, il secondo profilo di censura proposto da parte ricorrente, poiché l’avversato provvedimento disciplinare prende in considerazione solamente i fatti che avevano formato oggetto della condanna divenuta irrevocabile nel 2006.

L’erroneo richiamo operato dalla contestazione degli addebiti a due distinte e antecedenti sentenze di condanna (in relazione alle quali, come chiarisce la difesa erariale, l’interessato è stato destinatario di altro provvedimento di destituzione) non ha comportato alcuna menomazione delle prerogative difensive del dipendente e non vale ad inficiare la legittimità del provvedimento conclusivo.

4) Il termine complessivo di 270 giorni per la conclusione del procedimento disciplinare risulterebbe comunque violato - sostiene il ricorrente con il terzo motivo di gravame - ove si abbia riguardo alla data di notificazione del provvedimento definitivo, avvenuta solamente in data 9 novembre 2006.

Neppure questa doglianza può essere condivisa in quanto il provvedimento sanzionatorio non ha natura recettizia e può dispiegare i suoi effetti costitutivi ex tunc indipendentemente dalla collaborazione del destinatario (Cons. Stato, sez. IV, 10 agosto 2007, n. 4392).

Risulta quindi irrilevante ai fini del rispetto del termine di conclusione del procedimento disciplinare la circostanza che il provvedimento medesimo, adottato prima dello spirare del termine, sia stato notificato solo in seguito.

5) Con il quarto e ultimo motivo di gravame, l’esponente denuncia la violazione dell’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 449/1992, che fissa un termine massimo di 15 giorni per la trattazione orale dinanzi al Consiglio di disciplina dopo la prima riunione di tale organo.

Nel caso in esame, invece, la prima riunione del Consiglio si è svolta in data 20 luglio 2006 e la trattazione orale ha avuto luogo il successivo 28 settembre, ampiamente oltre il termine quindicinale previsto dalla norma.

Tale circostanza, peraltro, è inidonea ad inficiare la sequenza procedimentale e la legittimità del provvedimento finale.

Il citato art. 16, infatti, disciplina espressamente la convocazione della seduta del Consiglio di disciplina che, con la trattazione orale e la deliberazione, conclude il procedimento, stabilendo che essa (come già precisato) deve svolgersi entro 15 giorni dalla prima riunione del collegio convocato per l'esame del carteggio e che all'incolpato deve essere notificata la data della riunione entro 10 giorni, con l'avviso che egli può prendere visione degli atti e chiederne copia nonché scegliersi un difensore.

La disposizione, pertanto, fissa due termini per detta seduta, il primo dei quali ha carattere chiaramente ordinatorio, come la generalità dei termini infraprocedimentali in materia disciplinare, non essendo prevista alcuna conseguenza per il caso in cui esso non venga rispettato (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 29 maggio 2000, n. 434).

Addirittura pretestuosa appare, infine, la conclusiva doglianza inerente la pretesa carenza di istruttoria, consistente nell’aver omesso di rendere noti i precedenti disciplinari dell’inquisito, dal momento che questi, essendo già risultato destinatario di un provvedimento di destituzione (oggetto di distinta impugnativa giurisdizionale), non poteva che trarre vantaggio dalla pretesa omissione.

6) Il ricorso, in conclusione, è infondato e deve essere respinto.

La considerazione della natura della controversia induce il Collegio, tuttavia, a disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti costituite.

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