TAR Roma, sez. V, sentenza 2023-07-18, n. 202312121

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. V, sentenza 2023-07-18, n. 202312121
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202312121
Data del deposito : 18 luglio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/07/2023

N. 12121/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00852/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 852 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Michele Bonetti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

- Inps, Istituto Nazionale Previdenza Sociale in persona Presidente in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Flavia Incletolli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
- Ministero della Difesa, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti


per l'annullamento

PER QUANTO RIGUARDA IL RICORSO INTRODUTTIVO:

- della lettera del 15 novembre 2021 indirizzata dall'INPS al Generale -OMISSIS-, n. protocollo 7004.02/11/2021.0405983, nella parte in cui si contesta la legittimità della somma di denaro ottenuta dal ricorrente a titolo di TFS e si richiede la restituzione dell'importo di cui si asserisce l'indebita percezione;

- della lettera n. protocollo 219815, del 8 giugno 2021 indirizzata dall'INPS al Generale -OMISSIS- e mai ricevuta, nella parte in cui contesta la legittimità della somma di denaro ottenuta dal ricorrente a titolo di TFS e si richiede la restituzione dell'importo di cui si asserisce l'indebita percezione;

- della comunicazione a mezzo pec del 3 giugno 2021, nella parte in cui il Dirigente INPS, -OMISSIS-, comunica alla Direzione di Coordinamento Metropolitano di Roma, alla Filiale di Roma Montesacro e alla Direzione Centrale Audit, l'importo dell'indebito pari ad euro 150.103,57;

- della comunicazione a mezzo pec del 26 ottobre 2020 tramite cui l'Ufficio Audit e Monitoraggio Contenzioso comunica alla Filiale di Roma Montesacro e alla Direzione Centrale pensioni la necessità di approfondimenti sul TFS liquidato al ricorrente e di operare, all'esito del ricalcolo, il tempestivo recupero dell'indebito;

- della comunicazione a mezzo pec tra gli Uffici dell'INPS effettuata in data 30 aprile 2020 tramite la quale si riscontrano “anomalie” sulle dichiarazioni del PL/1;

- della comunicazione a pezzo pec del 5 dicembre 2019 inviata dall'Ufficio Audit Trasparenza e Anticorruzione al Direttore della Filiale metropolitana di Roma Montesacro, tramite la quale si richiede di effettuare delle verifiche circa il fascicolo previdenziale e pensionistico del ricorrente e si “prega di soprassedere momentaneamente alla eventuale corresponsione del trattamento riliquidatorio del TFS”;

- della comunicazione a mezzo pec tra gli Uffici dell'INPS effettuata in data 9 luglio 2020 con la quale si richiedono “specifiche valutazioni di competenza” all'esito del riscontro fornito dall'Amministrazione datoriale;

- della comunicazione a mezzo pec effettuata tra gli Uffici dell'INPS in data 31 agosto 2020 con la quale si porgono chiarimenti in merito alla procedura di liquidazione;

- di ogni altro atto prodromico, connesso, successivo e conseguenziale ancorché non conosciuto, nella parte in cui lede gli interessi del ricorrente e comunque di tutti gli atti depositati;

- in via subordinata, per la condanna in forma specifica ex art. 30 c.p.a. dell'Amministrazione resistente all'adozione del relativo provvedimento di revoca e/o rettifica del provvedimento di cui al numero di protocollo n. 7004.02/11/2021.0405983, nonché, ove occorra, e comunque in via subordinata, al risarcimento del danno, con interessi e rivalutazioni come per legge.

PER

QUANTO RIGUARDA I MOTIVI AGGIUNTI PRESENTATI IL

31/5/2022:

- della raccomandata a.r., pervenuta in data 21 marzo 2022, avente ad oggetto “recupero dell’indebito di €127.024,53, accertato per somme di trattenimento di fine servizio in più percepito dal signor -OMISSIS-, da effettuarsi sulla pensione iscrizione al medesimo intestata” , inoltrata al ricorrente dalla filiale di Roma Sud Ovest Eur e dei relativi allegati;

- di ogni altro atto prodromico, connesso, successivo e conseguenziale ancorché non conosciuto, nella parte in cui lede gli interessi del ricorrente e comunque di tutti gli atti depositati;


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Inps e del Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 maggio 2023 il dott. S Z e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.1. Con ricorso notificato il 14 gennaio 2022 e depositato il 31 gennaio 2022 il ricorrente, Generale di Corpo d’Armata in quiescenza dell’Esercito Italiano, ha premesso di aver ricoperto dal febbraio 2015 il ruolo di Capo di Stato Maggiore dell’Esercito fino alla data di collocamento in quiescenza avvenuto il 27 febbraio 2018, ruolo che gli garantiva un emolumento economico addizionale riservato alle più alte cariche dello Stato e previsto dall’art. 65 comma 4 d.lgs. 490/97.

Al momento della quiescenza, il ricorrente – sulla base del mod. PL/1 trasmesso dallo Stato Maggiore dell’Esercito in data 5 maggio 2016, n. prot. 0086914 – riceveva a titolo di “trattamento di fine servizio” la somma di € 739.531,57, che gli veniva liquidata dall’Amministrazione resistente secondo il seguente prospetto: - 1 rata: 75.211,25 € versata in data 19/9/2016;
- 2 rata: 47.181,99 € versata in data 14/9/2017;
- 3 rata: 581.010,35 € versata in data 21/9/2018;
- 4 e ultima rata: 36,127,99 € versata in data 25/1/2019, per un totale di € 739.531,57.

Successivamente, tuttavia, gli Uffici dell’Amministrazione resistente decidevano di avviare una istruttoria per valutare se si fossero verificati o meno degli errori o se si fossero palesate delle incongruenze non riscontrate precedentemente.

All’esito delle verifiche, con nota del 15 novembre 2021, l’INPS richiedeva al ricorrente la restituzione della somma di €. 150.103,21 sull’assunto che lo stesso doveva percepire a titolo di TFS la somma di € 589.428,36, in luogo di quella erroneamente liquidata pari a € 739.531,57.

A tale assunto si perveniva all’esito dell’istruttoria promossa dall’Istituto previdenziale, e dalla quale emergevano delle asserite incongruenze “tra lo stato di servizio prestato e quanto dichiarato nel modello PL/1 trasmesso dallo Stato Maggiore dell’Esercito in data 5/05/2016 con prot 0086914 relativamente alla speciale indennità certificata come corrisposta dall’1/09/1975 al 30/04/2014 ininterrottamente e integralmente. L’esito della verifica svolta ha evidenziato l’attribuzione della predetta indennità con decorrenza 27/02/2015” . Nella stessa missiva, l’Amministrazione comunicava, altresì, che nel caso in cui il ricorrente non avesse provveduto a restituire quanto richiesto entro l’esiguo termine di 30 giorni, si sarebbe provveduto al recupero coatto sulla pensione nei limiti di un quinto, secondo quanto disposto dall’art. 13 punto 2 del “Regolamento recante i criteri, i termini e le modalità di gestione del recupero dei crediti INPS derivanti da indebiti pensionistici e da trattamenti di fine servizio/fine rapporto nelle fasi antecedenti l’iscrizione a ruolo” .

Il ricorrente, in data 16 novembre 2021, si rivolgeva al Centro Nazionale Amministrativo dell’Esercito, con lo scopo di prendere contezza della posizione del Ministero della Difesa circa le presunte irregolarità evidenziate dall’INPS e onde poter conoscere i criteri adottati ai fini della liquidazione. Il Ministero della Difesa, previa una analisi della normativa vigente ed applicabile al caso in parola, rispondeva ribadendo la regolarità della “azione amministrativa dell’Ufficio Amministrazione dello Stato Maggiore dell’Esercito … perché evidentemente coerente alle norme e disposizioni regolamentari di settore” .

1.2. Il gravame è affidato a quattro motivi di ricorso così rubricati:

I) Violazione di legge. Violazione dell’art. 7 e dell’art. 8 della l. 241/1990. violazione del diritto di partecipazione al procedimento amministrativo. Violazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa. Violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione.

II) Violazione e/o erronea applicazione dell’art. 3, 14, 15 e 38 del d.p.r. n. 1032/1973 “Testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello stato”. Carenza di presupposti di diritto e di fatto. Illogicità e ingiustizia manifesta. Travisamento dei fatti. Violazione del principio di trasparenza dell’agere amministrativo. Contraddittorietà tra più atti della pubblica amministrazione. Violazione delle circolari D.G. n. dgpm/vi/2500/a del 10/12/2004, del 21/2/2005 e 28/11/2005.

III) Violazione dell’art. 30 d.p.r. n. 1032/1973 “Testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello stato”. Carenza di presupposti di diritto e di fatto. Provvedimento adottato in regime di decadenza. Ingiustizia manifesta. Violazione del principio di ragionevolezza e di buona amministrazione – artt. 3 e 97 Cost. contraddittorietà tra più atti dell’amministrazione. violazione dei punti n. 7 ed 8 della circolare n. 47 del 16 marzo 2018.

IV) Violazione del principio del legittimo affidamento, del consolidamento della posizione. Violazione dei principi di imparzialità e buon andamento ai sensi dell’art. 97 costituzione. Contraddittorietà tra più atti della pubblica amministrazione. Violazione della buona e corretta amministrazione.

1.3. In data 1 febbraio 2022 si è costituito in giudizio l’Inps depositando documenti e una memoria di costituzione con la quale ha chiesto rigettarsi il ricorso.

1.4. Il 7 febbraio 2022 si è costituito in giudizio anche il Ministero della Difesa con atto di costituzione di mera forma.

1.5. Alla camera di consiglio del 25 febbraio 2022 il difensore di parte ricorrente ha dichiarato di rinunciare alla misura cautelare in quanto chiesta per mero errore materiale e il Presidente del Collegio ha disposto la cancellazione della causa dal ruolo degli affari camerali.

1.6. Con atto notificato l’11 maggio 2022 e depositato il 31 maggio il ricorrente ha proposto ricorso per motivi aggiunti impugnando la raccomandata a.r. dell’Inps, pervenuta in data 21 marzo 2022, avente ad oggetto “recupero dell’indebito di €127.024,53, accertato per somme di trattenimento di fine servizio in più percepito dal signor -OMISSIS-, da effettuarsi sulla pensione iscrizione al medesimo intestata” , riproponendo in sostanza i medesimi motivi di doglianza del ricorso introduttivo. Ha contestualmente proposto istanza cautelare.

1.7. L’Inps ha depositato una memoria difensiva.

1.8. Alla camera di consiglio del 17 giugno 2022 il ricorso è stato trattenuto in decisione per la trattazione dell’istanza cautelare e con ordinanza n.3863 del 17/06/2022 questa Sezione – impregiudicato il merito del ricorso - ha respinto l’istanza cautelare per mancanza del requisito del periculum in mora. L’ordinanza non è stata impugnata dal ricorrente.

1.9. In vista dell’udienza pubblica il Ministero della Difesa ha depositato documenti e una memoria difensiva con la quale ha chiesto di essere estromesso dal giudizio per difetto di legittimazione passiva.

1.10 Anche il ricorrente e l’Inps hanno depositato memorie conclusionali, e il ricorrente anche una memoria di replica.

1.11. Alla pubblica udienza del 10 maggio 2023 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

2. Preliminarmente va esaminata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal Ministero della Difesa sul rilievo che il “modello PL/1” è un documento amministrativo redatto dal datore di lavoro, che riporta i dati giuridici ed economici del dipendente utili all’Istituto previdenziale per il calcolo del trattamento di fine servizio;
deduce la difesa erariale che si tratta dunque di un’incombenza istruttoria indubbiamente gravante sul datore di lavoro, che purtuttavia non priva l’Ente di previdenza del potere - dovere di controllare gli atti prodromici posti in essere dalle amministrazioni datoriali, allo scopo di accertarne la regolarità/congruità ovvero, in caso contrario, di richiederne la revoca e/o la rettifica. Pertanto sul rilievo che la liquidazione e il pagamento del T.F.S., alla luce delle previsioni degli artt. 25 e 28 del d.P.R. n. 1032 del 29 dicembre 1973 sono, comunque, di competenza dell’I.N.P.S. il Ministero della difesa ha chiesto l’estromissione dal giudizio.

2.1. Questa Sezione si è sempre conformata al principio affermato da consolidata giurisprudenza, secondo cui l’unico soggetto obbligato a corrispondere l’indennità di buonuscita è il competente Ente previdenziale (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 22 febbraio 2019, n.1231;
Cons. Stato, Sez. VI, 6 settembre 2010, n. 6465;
Cons. Stato, Sez. VI, 31 gennaio 2006, n. 329).

Nel caso in esame tuttavia, pur non essendo impugnati atti promananti dal Ministero della Difesa, è impugnato il provvedimento con il quale l’Inps ha riliquidato il TFS e ha chiesto al ricorrente la restituzione delle somme indebitamente corrisposte, adottando una motivazione che imputa all’Amministrazione militare la causa dell’errore di calcolo del TFS, avendo l’ente previdenziale rilevato asserite incongruenze “tra lo stato di servizio prestato e quanto dichiarato nel modello PL/1 trasmesso dallo Stato Maggiore dell’Esercito in data 5/05/2016 con prot 0086914 relativamente alla speciale indennità certificata come corrisposta dall’1/09/1975 al 30/04/2014 ininterrottamente e integralmente. L’esito della verifica svolta ha evidenziato l’attribuzione della predetta indennità con decorrenza 27/02/2015” .

Sul punto la difesa erariale, nella propria memoria, ha stigmatizzato come nella vicenda in esame “il Dicastero abbia sempre improntato la propria azione amministrativa alla massima trasparenza, che tale è rimasta anche nella corrispondenza intercorsa con l’Istituto. Di contro, altrettanto non si può dire dell’Ente previdenziale che, pur non avendo mai palesato obiezioni sull’operato del Dicastero, ha addossato su di esso la responsabilità dell’indebito (peraltro, tenendolo all’oscuro di tutto), sicché da palesare una condotta non ortodossa”.

Ne consegue – pur dovendosi riconoscere una posizione di sostanziale neutralità del Ministero rispetto agli atti impugnati - che appare necessaria la sua partecipazione al giudizio ai fini della completezza del contradittorio, assumendo rilevanza ai fini del decidere sia i documenti da esso depositati in giudizio, sia le difese spiegate nel merito dalla difesa erariale, dovendosi pertanto rigettare l’istanza di estromissione dal giudizio.

3. Per ordine logico, va prioritariamente esaminato il terzo motivo di ricorso con il quale il ricorrente deduce le censure di violazione dell’art. 30 d.p.r. n. 1032/1973 (Testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello stato) per essere, il provvedimento impugnato, stato adottato dall’Inps oltre il termine decadenziale di legge.

Deduce infatti il ricorrente – senza recesso dalle ulteriori censure con cui deduce l’infondatezza nel merito della pretesa azionata dall’Inps - che con l’impugnata nota del 15 novembre 2021 l’Amministrazione resistente gli ha richiesto per la prima volta la restituzione della somma di € 150.103,21 a titolo di ripetizione dell’indebito che, tuttavia, può essere recuperato dall’ente soltanto entro i termini perentori previsti dall’art. 30 del d.P.R. 1032/73, così come richiamato anche dalla circolare Inps n. 47 del 16 marzo 2018, il quale recita:

“I provvedimenti adottati dall’Amministrazione del Fondo di previdenza nelle materie previste dal presente testo unico possono essere revocati, modificati o rettificati d’ufficio quando:

a) vi sia un errore di fatto o si sia omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti;

b) vi sia stato un errore nel computo dei servizi o nel calcolo del contributo di riscatto o nel calcolo dell’indennità di buonuscita o dell’assegno vitalizio;

c) siano stati rinvenuti documenti nuovi dopo la emissione del provvedimento;

d) il provvedimento sia stato emesso in base a documenti riconosciuti o dichiarati falsi.

Nei casi previsti dalle precedenti lettere a) e b) il provvedimento è revocato, modificato o rettificato non oltre il termine di un anno dalla data di emanazione;
nei casi previsti dalle lettere c) e d) il termine è di sessanta giorni dal rinvenimento di documenti nuovi o dalla notizia della riconosciuta o dichiarata falsità dei documenti.”

Poiché è fuor di dubbio che la vicenda in esame è sicuramente sussumibile sotto una delle ipotesi calendate alle lettere a) e b) - in quanto l’INPS fonda la propria richiesta di restituzione del denaro sul presupposto che l’indennità aggiuntiva sia stata percepita da ricorrente soltanto a partire dal 2015 e non già nel periodo dal 1973 sino al 2014 – il ricorrente ne inferisce che la nota del 15 novembre 2021 con la quale l’INPS gli ha richiesto la restituzione delle somme è stata adottata 34 mesi dopo la corresponsione dell’ultimo rateo di TFS (25/01/20219) e pertanto ben oltre il termine decadenziale di un anno stabilito dall’art.30 d.P.R. 29/12/1973 n.1032. In disparte l’ulteriore rilievo che il termine annuale andrebbe fatto decorrere dalla data in cui è stato adottato il provvedimento di liquidazione del TFS (2016), piuttosto che da quello più favorevole all’Inps di pagamento dell’ultimo rateo di TFS.

4. Il motivo di ricorso è fondato.

4.1. Quanto alla vigenza e alla operatività della citata norma - che l’INPS nelle sue difese ha posto in discussione agitando la pendenza, dinnanzi alla Corte Costituzionale, di un giudizio di legittimità sollevato dalla Corte di Appello di Roma, IV Sez. Lavoro - deve rilevarsi che nelle more del giudizio è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n.258 dei 22/11-20/12/2022 la quale ha dichiarato “non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 30, commi primo, lettera b), e secondo, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Roma, quarta sezione lavoro, con l'ordinanza indicata in epigrafe” ritenendo, tra l’altro, che “il termine decadenziale di cui si tratta (un anno dall'adozione dell'originario provvedimento di liquidazione), lungi dal porsi in contrasto con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, rappresenta uno strumento volto, sia pure indirettamente, ad accrescere l'efficienza dell'azione amministrativa, «senza incidere, ovviamente, nel caso di errore non tempestivamente rettificato, sulle eventuali responsabilità individuali» (sentenza n. 191 del 2005)” .

Ritenuto quindi pacificamente applicabile al caso in esame l’art. 30 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032, ne discende con tutta evidenza la tardività del provvedimento di cui alla nota Inps del 15 novembre 2021 di riliquidazione del TFS e di recupero dell’indebito, per intervenuta decadenza del diritto, appunto, di revocare, modificare o rettificare il TFS e quindi di ripetere le somme indebitamente corrisposte, decorso un anno dal provvedimento originario.

4.2. Sotto altro profilo il Collegio rileva che il provvedimento sarebbe tardivo anche accedendosi alla (non condivisa) tesi dell’INPS, secondo la quale il termine annuale entro il quale esercitare la pretesa restitutoria dovrebbe farsi decorrere dalla data della scoperta, da parte dell’INPS medesimo, dell’errore contenuto nel mod. PL/1 redatto dal Centro Nazionale Amministrativo Esercito;
errore del quale l’Inps sarebbe asseritamente venuto a conoscenza soltanto “dall’esame dello stato matricolare dell’iscritto e dai chiarimenti inviati dal CNA Esercito con la nota del 17 giugno 2020, dalla quale è emerso che la speciale indennità” ex art. 65- comma 4-D.Lgs. 490/97 di euro 273.059,76, spettante esclusivamente agli ufficiali generali o ammiragli nominati Capi di Sato maggiore, è stata attribuita all’iscritto con atto dispositivo SME del 02 aprile 2015 solo a decorrere dal 27 febbraio 2015, diversamente da quanto riscontrabile dal mod.PL/1 inviato dal Ministero della Difesa, dove tale emolumento era inserito come percepito “ininterrottamente ed integralmente” dal 1975 al 30.04.2014” .

Sul punto, deve in primo luogo rilevarsi che la norma in questione non ammette deroghe in ordine alla decorrenza del termine decadenziale come in essa stabilito, non prevedendo, appunto, che nelle ipotesi di cui alle lettere a) e b) il termine annuale debba decorrere soltanto dal momento in cui l’ente previdenziale sia venuto effettivamente a conoscenza dell’errore.

Ma in ogni caso il termine decadenziale annuale di cui all’art.30 d.P.R. 1032/1973 sarebbe ugualmente spirato anche prendendo in considerazione la data del 17 giugno 2020 nella quale l’Inps ammette di avere avuto piena contezza dell’errore contenuto nel mod. PL/1, essendo l’attività di recupero iniziata solamente con l’impugnata nota del 15 novembre 2021.

Non appare ultroneo poi rilevare anche l’infondatezza, in punto di mero fatto, della tesi difensiva in esame, poiché dalla documentazione depositata in atti risulta che l’INPS era a conoscenza del presunto errore ben prima del 17 giugno 2020. In particolare:

- un primo elemento di conoscenza è ravvisabile nell’esposto anonimo del 2019 da cui è scaturito il supplemento di istruttoria che ha dato luogo alla riliquidazione del TFS;

- in ogni caso risulta che con mail datata 5 dicembre 2019 la Direzione Audit Trasparenza e Anticorruzione chiedeva al Direttore della Filiale metropolitana di Roma Montesacro l’invio del fascicolo previdenziale e pensionistico inerente al ricorrente “al fine di esperire delle verifiche”, segnalando l’”urgenza” della richiesta e chiedendo di “soprassedere momentaneamente alla eventuale corresponsione del trattamento riliquidatorio del TFS”, con ciò dandosi atto che già nel dicembre del 2019 l’Inps si era attivata per sottoporre a verifica la liquidazione del TFS operata in favore del ricorrente;

- ed ancora con comunicazione interna del 30 marzo 2020 (avente ad oggetto “Inoltro PEI: Esposto anonimo TFS – -OMISSIS-”) si evince chiaramente che l’INPS, almeno a quella data, aveva già piena contezza di quanto successivamente contestato al ricorrente con l’impugnata nota del 15 novembre 2021, posto che con detta nota il Direttore Centrale Pensioni invita la Filiale Metropolitana ad attivare un supplemento di istruttoria “in considerazione delle incongruenze che emergono tra lo stato di servizio (in particolare nello stato matricolare in cui al n. d’ordine 55 risulta che la “speciale indennità” è stata attribuita all’iscritto con atto dispositivo SME del 02.04.2015 a decorrere dal 27.02.2015) e il mod.PL/1 (ove invece tale emolumento risulta inserito come percepito al 30.04.2014)”; risultando quindi per tabulas che l’INPS aveva già individuato con esattezza l’errore nel mod. PL/1 ben prima di averne conferma dal CNA Esercito con la citata nota del 17 giugno 2020.

4.3. Per tutto quanto precede il motivo di ricorso è fondato, dovendosi dichiarare l’intervenuta decadenza del diritto dell’Inps di rettificare l’importo del TFS e di esercitare la pretesa restitutoria.

5. Nonostante il carattere decisivo ed assorbente del terzo motivo di ricorso, appare opportuno esaminare anche gli altri motivi di ricorso, anche avuto riguardo alla posizione assunta dal Ministero con riferimento alla vicenda in esame.

6. È fondato il primo motivo di ricorso con il quale il ricorrente deduce la violazione degli artt. 7 e 8 della l. 241/1990 e la violazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa.

L’art. 7 della L.241/90 è chiaro nello stabilire che “Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l’avvio del procedimento stesso è comunicato, con le modalità previste dall’articolo 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi. Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l’amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell’inizio del procedimento” .

Il provvedimento impugnato (riliquidazione del TFS e recupero dell’indebito) è stato adottato ai sensi dell’art.30 d.P.R. 1032/1973 il quale prevede che “ I provvedimenti adottati dall’Amministrazione del Fondo di previdenza nelle materie previste dal presente testo unico possono essere revocati, modificati o rettificati d’ufficio …” e pertanto si sostanzia in un atto adottato in autotutela, ovverosia un provvedimento di secondo grado, per il quale è necessaria la comunicazione scritta prescritta dall'art. 7 l. n. 241 del 1990, onde consentire l'effettiva partecipazione procedimentale e la difesa, già in sede amministrativa, dell'interesse alla conservazione del trattamento di fine servizio goduto.

Nel caso in esame al ricorrente non è mai stata data comunicazione dell’avvio del procedimento finalizzato alla riliquidazione del TFS, sebbene gravido di conseguenze negative per il ricorrente chiamato a restituire entro 30 gg. un’ingente somma superiore a € 150.000,00. Al ricorrente è stato, invece, comunicato soltanto il provvedimento finale, tramite il quale l’INPS ha formalizzato la richiesta di restituzione dell’indebito e nel quale non sono nemmeno ostese le eventuali esigenze di celerità del procedimento che avrebbero in tesi impedito la comunicazione di avvio del procedimento;
esigenze che peraltro risultano all’evidenza insussistenti, atteso che il procedimento è stato avviato in seguito al ricevimento da parte dell’Inps dell’esposto anonimo del 2019 e si è concluso soltanto con il provvedimento finale del 15 novembre 2021, rilevandosi peraltro come l’Inps nelle proprie difese nemmeno ha replicato alla censura in esame.

7. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce i vizi di: violazione e/o erronea applicazione degli artt. 3, 14, 15 e 38 del d.p.r. n. 1032/1973 (Testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello stato);
carenza di presupposti di diritto e di fatto;
violazione del principio di trasparenza dell’agere amministrativo;
violazione delle circolari D.G. n. dgpm/vi/2500/a del 10/12/2004, del 21/2/2005 e 28/11/2005.

Nella impugnata missiva inviata al ricorrente in data 15 novembre 2021, si legge chiaramente che “sono emerse delle incongruenze tra lo stato di servizio prestato e quanto dichiarato nel modello PL/1 trasmesso dallo Stato Maggiore dell’Esercito in data 5/05/2016 con prot 0086914 relativamente alla speciale indennità certificata come corrisposta dall’1/09/1975 al 30/04/2014 ininterrottamente e integralmente. L’esito della verifica svolta ha evidenziato l’attribuzione della predetta indennità con decorrenza 27/02/2015.”

Dunque, l’Inps resistente ha basato la richiesta di restituzione sul rilievo che la speciale indennità sia stata corrisposta al ricorrente soltanto a partire dal 27/02/2015, e non dall’1/09/1975 fino al 30/04/2014. In virtù di tale asserito errore di compilazione del modello PL/1 da parte del Centro Amministrativo dell’Esercito, al ricorrente sarebbe stata versata la somma di € 739.531,57 anziché la somma di € 589.428,36 ed è proprio a causa di ciò che l’Amministrazione resistente ha richiesto entro il brevissimo termine di trenta giorni la restituzione dell’importo di € 150.103,21.

Orbene il ricorrente contesta detto assunto e afferma che nella documentazione trasmessa dallo Stato Maggiore dell’Esercito è stato correttamente evidenziato che la speciale indennità gli è stata attribuita soltanto a partire dal 27/02/2015, momento nel quale il ricorrente veniva nominato Capo di Stato Maggiore e dunque vertice dell’apparato militare;
lamentando come del resto risulti evidente che il ricorrente non potesse ottenere prima della nomina una indennità aggiuntiva prevista soltanto per quello specifico ruolo.

7.1. La censura è fondata.

Appare opportuno, sul punto, riportare pedissequamente il tenore delle difese spiegate in punto di fatto dalla difesa erariale, atteso che esse non risultano contestate dalla difesa dell’Inps.

“Lo Stato Maggiore dell’Esercito – con riguardo al trattamento previdenziale in questione – ha predisposto gli atti prodromici di competenza (“modello PL1”) applicando le istruzioni operative che l’Ente di previdenza aveva fornito all’indomani dell’entrata in vigore del decreto legge 66/2014;
tale provvedimento normativo ha portato innovazioni in tema di “tetto retributivo” fissando/riducendo ad € 240.000,00 la retribuzione massima di chiunque riceva emolumenti o stipendi a carico delle finanze pubbliche a far data dal 01/05/2014.

Prima di detta decorrenza, tale limite retributivo – coincidente con la retribuzione del Primo presidente della Corte di Cassazione – era stabilito in € 311.658,53. Senonché, dal momento che la procedura di liquidazione dei trattamenti previdenziali cd. “TOM” non era stata ancora adeguata, sul piano informatico, al “nuovo” limite retributivo introdotto dalla citata novella normativa, l’Istituto di previdenza – su sollecitazione dello Stato Maggiore dell’Esercito – si premurava di indicare una soluzione “tampone” che assicurasse al ricorrente l’erogazione per tempo del TFS spettante, nella previsione che il trattamento previdenziale così liquidato sarebbe stato riliquidato d’ufficio dall’Istituto una volta implementato il software di calcolo.

Più precisamente, l’Istituto di previdenza disponeva: “nelle more di tale implementazione ed in presenza di cessazioni dal servizio successive al 30/04/2014 la prestazione previdenziale viene liquidata in via provvisoria applicando il precedente limite retributivo di € 311.658,53 [omissis] quando verrà aggiornata la procedura di cui sopra, i TFS così calcolati saranno oggetto di riliquidazione tenendo conto delle anzianità escluse dalla prima liquidazione ed applicando, alle anzianità decorrenti dal 01/05/2014, la base retributiva ridotta entro il limite di euro 240.000,00”. Con tale precisazione, era stata quindi stabilita la necessità di predisporre due distinti “modelli PL1”: uno con la base di calcolo del TFS ridotta al limite retributivo in vigore al 30/04/2014;
l’altro con la base ridotta al “nuovo” limite in vigore dal 01/05/2014.

Ed invero, in tal modo ha operato lo Stato Maggiore dell’Esercito che ha:

- predisposto, a tre mesi dalla cessazione dal servizio del ricorrente, due “progetti di liquidazione” del TFS (“modelli PL1” del 05/05/2016 in doc. 7) indicando, per i servizi statali:

- dal 01/09/1975 (assunzione in servizio) al 30/04/2014, la retribuzione utile ridotta al “vecchio” limite retributivo di € 311.658,53;

- dal 01/05/2014 al 11/08/2016 (cessazione dal servizio), la retribuzione utile ridotta al “nuovo” limite retributivo di € 240.000;00;

- integrato, stante il periodo di richiamo in servizio del ricorrente, i “modelli PL1” precedentemente trasmessi con un altro “progetto di liquidazione” riferito ai primi sei mesi di richiamo (dal 12/08/2016 al 27/02/2017) con la retribuzione utile ridotta al limite retributivo di € 240.000,00 (“modello PL1” del 22/02/2017);

- completato, al termine del citato periodo di richiamo in servizio del ricorrente, la documentazione già trasmessa con un ulteriore “progetto di liquidazione” riferito al periodo residuale di richiamo (dal 28/02/2017 al 26/02/2018), sempre con la retribuzione utile ridotta al previsto limite retributivo di € 240.000,00 (“modello PL1” del 29/01/2020).

La suesposta attività amministrativa dello Stato Maggiore dell’Esercito non appare – ictu oculi – diversa dalla soluzione “tampone” indicata dall’INPS, tanto più che il costante atteggiamento silente avuto dall’Istituto (che finanche ad oggi non ha mai contestato al Dicastero alcunché in ordine agli atti istruttori adottati), ha fatto sì che nel tempo si radicasse nei funzionari del Ministero il convincimento di aver operato correttamente secondo le istruzioni operative ricevute dallo stesso Istituto”.

Orbene, come sopra rilevato, l’Inps nelle proprie difese non ha contestato la ricostruzione in punto di fatto operata dal Ministero, ed anzi ha confermato in memoria che il CNA Esercito aveva predisposto due mod.PL/1 trasmessi il 05/05/2016;
sicché appare incongrua la motivazione adottata nel provvedimento impugnato, sembrando maggiormente rispondente ai fatti che l’ente previdenziale debba imputare a sé stesso l’errore sui presupposti che hanno condotto all’erronea liquidazione del TFS. Erronea liquidazione, peraltro, non compiutamente rilevabile dal provvedimento impugnato, essendo in esso individuata soltanto la presunta causa dell’errore commesso, senza però sviluppare i conseguenti e dovuti calcoli, risultando sul punto inammissibile la motivazione postuma offerta dall’Inps per il tramite degli scritti difensivi depositati in giudizio.

8. Infine risulta inconferente il quarto ed ultimo motivo di ricorso con il quale il ricorrente lamenta la violazione del principio dell’affidamento incolpevole.

9. Può infine essere esaminato il ricorso per motivi aggiunti, con il quale il ricorrente ha impugnato la raccomandata a.r. dell’Inps, pervenuta in data 21 marzo 2022, avente ad oggetto “recupero dell’indebito di €127.024,53, accertato per somme di trattenimento di fine servizio in più percepito dal signor -OMISSIS-, da effettuarsi sulla pensione iscrizione al medesimo intestata” e avverso il quale il ricorrente ha riproposto, in sostanza, i medesimi motivi di doglianza del ricorso introduttivo.

Con la suddetta nota l’Inps ha rideterminato l’indebito in €127.024,53 senza alcun cenno alla precedente richiesta (evidentemente erronea) di € 150.103,21 e ancora una volta senza alcuna indicazione dei conteggi che consentano di effettuare una verifica sull’entità della somma richiesta. Ed ha operato una trattenuta mensile di € 4.234,15 pari ad 1/5 della pensione per il recupero di detta somma.

La dichiarata illegittimità degli atti impugnati con il ricorso introduttivo travolge, per invalidità derivata, gli atti consequenziali adottati dall’Inps sui medesimi presupposti di fatto e di diritto, ed impugnati con i motivi aggiunti;
con conseguente annullamento degli atti impugnati con detto mezzo di gravame.

10. Conclusivamente, per tutti i surriferiti motivi, il ricorso introduttivo e quello per motivi aggiunti sono entrambi fondati e vanno accolti, e per l’effetto vanno annullati gli atti impugnati.

11. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo a carico dell’Inps;
sussistono giusti motivi per compensarle tra il ricorrente e il Ministero della Difesa.

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