TAR Bari, sez. I, sentenza 2018-04-13, n. 201800556

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bari, sez. I, sentenza 2018-04-13, n. 201800556
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bari
Numero : 201800556
Data del deposito : 13 aprile 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/04/2018

N. 00556/2018 REG.PROV.COLL.

N. 01032/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1032 del 2013, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato M C L, con domicilio eletto presso Giovanna Corrente, in Bari, via M. Celentano, 27;

contro

Ministero dell'Interno, Questura di Foggia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, domiciliataria ex lege in Bari, via Melo, 97;

per l'annullamento

- del provvedimento n. 1625/2.8/Disc. del Questore -OMISSIS- con il quale si infliggeva la sanzione disciplinare del “richiamo scritto” all’odierno ricorrente, Assistente Capo della Polizia di Stato, -OMISSIS-;

- di ogni altro atto conseguente e/o comunque connesso a quelli impugnati, ancorché non conosciuti.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Questura di Foggia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2018 il dott. Alfredo Giuseppe Allegretta e uditi per le parti i difensori come specificato nel medesimo verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con ricorso notificato in data 1.7.2013 e depositato in Segreteria in data 30.7.2013, -OMISSIS- adiva il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sede di Bari, al fine di ottenere le pronunce di annullamento meglio indicate in oggetto.

Esponeva in fatto di rivestire il ruolo di Assistente Capo della Polizia di Stato e di svolgere le proprie funzioni presso la Sala Operativa 113.

In data 21.2.2013 alle ore 19:23, durante il proprio turno di lavoro in Sala Operativa, il ricorrente riceveva la telefonata del titolare di un supermercato, il quale riferiva di una rapina appena consumata ai danni della propria attività commerciale.

L’Assistente Capo -OMISSIS-, dopo aver chiesto all’utente notizie in ordine all’accaduto, trasferiva la telefonata alla centrale operativa dei Carabinieri - competenti in quella data nell’area territoriale dove si era verificato il crimine - omettendo tuttavia di darne notizia all’Ispettore della Polizia di Stato di turno, nonché via radio a tutti gli equipaggi presenti in zona, violando, così, le direttive di servizio.

Per tale motivo, in data 5.4.2013, al ricorrente veniva notificata la nota n.1281/Pers./2.8/Disc., datata 26.3.2013, con la quale il Questore di -OMISSIS-contestava formalmente a suo carico una negligenza in servizio e lo informava delle conseguenze disciplinari da essa derivanti.

In data 19.4.2013, -OMISSIS- presentava giustificazioni in ordine alla contestazione degli addebiti disciplinari, nelle quali lo stesso evidenziava di aver erroneamente ritenuto che, nel corso delle operazioni, la nota fosse già stata inviata via radio dal collega che lo affiancava quale secondo operatore nelle circostanze in cui si verificò il fatto.

Ritenute non sufficienti le giustificazioni addotte dall’Assistente Capo -OMISSIS-, il Questore di Foggia, con provvedimento oggetto di impugnazione, infliggeva la sanzione disciplinare del “richiamo scritto”.

Il ricorrente insorgeva avverso tale esito provvedimentale, articolando diversi motivi di ricorso:

1) “violazione dell’art. 12 D.P.R. 737/1981 - Illegittimità procedimento disciplinare”, per mezzo del quale il ricorrente contestava la legittimità del procedimento disciplinare, in quanto carente di alcune fasi procedimentali indicate dal su citato articolo ed, in particolare, del rapporto sui fatti di causa del diretto superiore del ricorrente;

2) “violazione dell’art. 103 del T.U. 10 gennaio 1957, n. 3, applicabile ai procedimenti disciplinari dell’Amministrazione di pubblica sicurezza in virtù del rinvio operato dall’art. 31 del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 - violazione del principio di immediata contestazione degli addebiti disciplinari”, con il quale ci si doleva della tempestività del procedimento, con particolare riguardo alla contestazione degli addebiti, evidenziandosi sul punto “un comportamento chiaramente dilatorio” dell’Amministrazione procedente;

3) “violazione art. 1 L. 241/1990 e art. 1 co. 3 D.P.R. 737/1981;
eccesso di potere per carenza, incongruità e/o contraddittorietà e/o illogicità della motivazione, carenza d’istruttoria e travisamento del fatto”;

4) “violazione dell’art. 97 Cost.;
violazione del D.P.R. 737/1981;
difetto di istruttoria;
eccesso di potere per illogicità, ingiustizia manifesta, disparità di trattamento, difetto di motivazione” per aver comminato, nonostante la medesima omissione, una sanzione differente, ingiustificatamente “più blanda”, al secondo operatore;

5) “violazione degli artt. 1 e 13 del D.P.R. 737/1981 e del principio di gradualità delle sanzioni disciplinari”, con il quale, ricollegandosi al motivo di cui al punto 4), il ricorrente poneva in evidenza l’ineccepibile condotta tenuta dallo stesso nel corso degli anni di servizio presso la Centrale Operativa.

Con atto depositato in data 31.7.2013, si costituivano in giudizio il Ministero dell’Interno e la Questura di Foggia, a mezzo dell’Avvocatura erariale.

All’udienza pubblica del 21.2.2018, il ricorso veniva definitivamente trattenuto in decisione.

Ciò premesso in punto di fatto, il ricorso è infondato e, pertanto, non può essere accolto.

I fatti che hanno dato origine alla sanzione disciplinare oggetto del presente giudizio sono stati descritti in narrativa e trovano ampio riscontro negli atti presentati in giudizio, sia da parte ricorrente che da parte resistente.

Risulta, pertanto, pacifico che, in data 21.2.2013, ore 19:23, l’Assistente Capo -OMISSIS-, a seguito della chiamata alla centrale operativa che comunicava l’avvenuto verificarsi di una rapina consumata ai danni di un supermercato, non abbia diramato nell’immediatezza le informazioni precedentemente acquisite all’Ispettore della Polizia di Stato di turno, nonché agli equipaggi presenti nel territorio.

Il Collegio ritiene che la circostanza dedotta come giustificazione dal ricorrente, “ anche per il frenetico susseguirsi delle attività di Centrale Operativa, che nella fascia oraria serale sono sicuramente molteplici e molto impegnative, cadeva nell’errore che la nota via radio inerente la rapina l’avesse data l’altro operatore atteso che lo scrivente era impegnato a trasferire la chiamata ai Carabinieri ”, non sia sufficiente per sollevare da responsabilità il ricorrente da quanto contestatogli ed, anzi, al contrario conferma con modalità sostanzialmente confessorie la negligenza verificatasi in servizio in quanto fondata su un suo errore, in tal modo, a sua volta, pienamente giustificando la fondatezza dell’addebito mosso dall’Amministrazione in sede disciplinare.

Con riferimento alle cinque doglianze sollevate in ricorso dalla difesa di parte ricorrente, il Collegio ritiene che esse non siano fondate, avendo l’Amministrazione ampiamente dimostrato, anche con produzione di documenti, l’esatta esecuzione del procedimento disciplinare in esame.

Quanto al primo motivo di ricorso, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, il rapporto del diretto superiore del ricorrente è stato concretamente redatto, con l’indicazione di tutti gli elementi necessari alla definizione in sede disciplinare del fatto contestato, venendo altresì successivamente trasmesso all’organo competente alla contestazione formale dell’addebito.

Peraltro, a fronte delle compiuta conoscenza degli addebiti mossigli, ottenuta anche in seguito ad apposito accesso agli atti, ed al conseguente, pieno, esercizio del suo diritto di difesa infraprocedimentale, non si coglie in cosa possa essere consistita la specifica lesione subita dal -OMISSIS- e in tesi scaturita da lamentata carenza procedimentale, anche alla luce del disposto di cui all’art. 21-octies L. n. 241/1990.

Quanto al secondo motivo di ricorso, il procedimento disciplinare in concreto posto in essere appare essersi svolto in modo pienamente congruo sul piano temporale.

Come è noto, in base all’art. 103 del T.U. 10 gennaio 1957, n. 3, applicabile ai procedimenti disciplinari dell’Amministrazione di pubblica sicurezza in virtù del rinvio operato dall’art. 31 del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, nella parte che qui interessa, recita “(…) L'ufficio del personale che abbia comunque notizia di una infrazione disciplinare commessa da un impiegato svolge gli opportuni accertamenti preliminari e, ove ritenga che il fatto sia punibile con la sanzione della censura, rimette gli atti al competente capo ufficio;
negli altri casi contesta subito gli addebiti all'impiegato invitandolo a presentare le giustificazioni”.

Il condizionamento normativo della discrezionalità amministrativa nel “quando” da esercitarsi in simili procedimenti è dunque affidato - per ciò che concerne la tempistica della contestazione degli addebiti - all’avverbio “subito”.

Esso lascia all’Amministrazione procedente un opportuno, quanto ineliminabile, spazio di discrezionalità temporale che non può che essere colmato in stretta relazione alle strette specificità del caso concreto.

Sul punto l’Amministrazione ha dimostrato - con allegazioni rimaste non contestate - che, nei circa cinquanta giorni trascorsi dalla data dell’evento oggetto di contestazione alla notifica degli addebiti al trasgressore, non vi è stata affatto mera inerzia amministrativa.

Già il 23.2.2013, ossia due giorni dopo l’accaduto, il Dirigente dell’Ufficio di servizio del ricorrente lo contattava per chiedere conto di quanto accaduto e procedere ad una prima informale contestazione dell’addebito.

Già tale atto, di per sé, integrava sul piano sostanziale pieno soddisfacimento del principio di immediata contestazione degli addebiti disciplinari, mettendo ampiamente sull’avviso l’interessato dell’avvio di una procedura disciplinare a suo carico in relazione ad un fatto di servizio preciso e determinato.

Ne consegue l’evidente infondatezza della censura svolta sul punto.

Quanto al terzo motivo di ricorso, i lamentati vizi di motivazione, difetto di istruttoria e travisamento dei fatti non risultano in alcun modo sussistenti.

Se, infatti, da un lato si asserisce, in tesi, che la motivazione posta a base della sanzione sarebbe erronea e travisata, in quanto relativa ad un preteso ma inesistente comportamento scorretto del ricorrente, dall’altro è lo stesso ricorrente che attesta, nelle sue difese procedimentali e processuali, l’erroneità della propria condotta di servizio per come posta in essere nel caso di specie.

Del resto, è un dato di fatto che la comunicazione via radio agli equipaggi in zona circa l’avvenuta rapina non sia stata data;
a tale specifico riguardo, peraltro, il ricorrente non ha mai contestato tale elemento fondativo della fattispecie di responsabilità disciplinare a suo carico.

La motivazione svolta sul punto nel provvedimento fatto oggetto di impugnazione fornisce, in modo sintetico ma chiaro, la ragioni di fatto e di diritto alla base della sanzione disciplinare irrogata, giustificando compiutamente l’esercizio del relativo potere.

Quanto poi al quarto motivo di ricorso, non risulta ravvisabile in concreto nessuna disparità di trattamento per avere l’Amministrazione resistente comminato, nonostante la asserita medesima omissione, una sanzione differente - in tesi ingiustificatamente ritenuta più blanda - a carico del secondo operatore presente quella medesima sera in Sala Operativa.

Non vi è stata disparità di trattamento in quanto l’omissione - e la correlata negligenza in servizio - non è stata la medesima.

La telefonata che riportava la notitia criminis fu materialmente presa in carico dal ricorrente e non dal secondo operatore Ass. -OMISSIS-.

Anche solo tale circostanza gradua il livello di responsabilità in modo chiaramente difforme fra i due operatori, peraltro entrambi sanzionati disciplinarmente per i medesimi fatti, pur se, per l’appunto, con una sanzione opportunamente meno grave il secondo.

Infine, con un quinto motivo di ricorso, il -OMISSIS- invoca a sua sostanziale discolpa l’ineccepibile condotta tenuta dallo stesso nel corso dei pregressi anni di servizio svolti presso la Centrale Operativa.

In proposito basta rilevare come qualunque sanzione disciplinare interviene sempre, sul piano logico prima che giuridico, su stati di servizio originariamente privi di censure e, per dir così, immacolati, per poi eventualmente reiterarsi a carico di quei dipendenti che ricadano nelle stesse o in altre violazioni, non conformandosi alla disciplina del ruolo istituzionale nel quale sono inseriti.

Una specchiata ed ineccepibile condotta lavorativa pregressa non può, pertanto, trovare particolare apprezzamento in sede disciplinare, se il fatto di negligenza in servizio posto in essere imponga comunque di per sé una risposta sanzionatoria per il superiore fine della salvaguardia degli interessi pubblici e delle esigenze istituzionali dell’Amministrazione ed, in particolare, di quelli - nevralgici - di Pubblica Sicurezza.

In conseguenza di tali argomentazioni, i motivi di ricorso si appalesano tutti infondati e pertanto non possono essere accolti.

Ne discende l’integrale reiezione del ricorso.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, tra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663;
sez. I, 27 dicembre 2013 n. 28663).

Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Tenuto conto della limitata attività processuale svolta, della peculiarità del caso di specie e del rapporto di servizio già intercorrente fra le parti, sussistono i presupposti di legge per compensare integralmente le spese di lite.

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