TAR Napoli, sez. III, sentenza 2022-12-19, n. 202207925

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. III, sentenza 2022-12-19, n. 202207925
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202207925
Data del deposito : 19 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/12/2022

N. 07925/2022 REG.PROV.COLL.

N. 03518/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3518 del 2018, proposto da
F.Lli Marano di M U &
C. Snc, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato I M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia

contro

Comune di Boscoreale, in persona del Sindaco p.t.- non costituito in giudizio;
Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via Armando Diaz, 11;

per il risarcimento dei danni derivati dalla sentenza del Consiglio di Stato n°2775 del 2018, con la quale è stato rigettato l'appello proposto avverso la sentenza del Tar Campania – Napoli sez. IV n°2094/2017 depositata in data 18 aprile 2017 di cui al ricorso R.G.n°4009/1993, con la quale è stato confermato il decreto ministeriale di annullamento della licenza edilizia n°3 del 1992.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 settembre 2022 la dott.ssa Anna Pappalardo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La ricorrente espone che con pratica edilizia n. 98 del 1989 richiedeva al comune di Boscoreale licenza edilizia per la realizzazione di un fabbricato per civili abitazioni alla via G. De Falco composto da un piano seminterrato, un piano rialzato, un piano primo ed un piano secondo, sul fondo individuato con le particelle n°642-643-646 del foglio 12, e della complessiva superficie di mq.1500.

Sulla scorta di parere favorevole della competente commissione integrata, la P.A. emetteva decreto sindacale in data 07/01/1992 ai sensi dell’art. 7 della legge 1497/39 inviandolo contestualmente alla competente Soprintendenza BB.AA. per il controllo di legittimità;
in data 04/02/1992 il Comune rilasciava la concessione edilizia n°3 del 1992 .

L’amministrazione ministeriale provvedeva a richiedere un’integrazione documentale in data 19/05/92 prot.n°9899 ai fini del relativo esercizio del potere e, stante l’ inerzia del comune di Boscoreale, in data 29.09.1992 , l’interessata inviava alla Soprintendenza BB.AA. la documentazione mancante.

Peraltro l’amministrazione comunale, in precedenza, aveva provveduto a sospendere la C.E. n°3 del 1992 con ordinanza sindacale del 03/08/1992: provvedimento sospeso dal Tar Campania Napoli sez. III con l’ordinanza cautelare n°1232 del 15 settembre 1992.

Nonostante la suindicata circostanza, l’amministrazione ministeriale provvedeva, in data 21 gennaio 1993, a notificare il provvedimento di annullamento da parte del Ministero BB.AA., tempestivamente impugnato dinanzi a questo TAR, che concedeva la tutela cautelare richiesta con l’ordinanza n°549 del 1993 .

Dopo tale statuizione, ed a seguito del dissequestro, la ricorrente espone di avere completato i lavori di cui alla concessione edilizia n°3 del 1992, ultimando la costruzione.

Tuttavia il giudizio avverso il provvedimento ministeriale di annullamento rimaneva pendente e veniva dichiarato perento con decreto decisorio n. 10410 del 28.05.2010: perenzione tuttavia revocata, ad istanza di parte, per mancata comunicazione del decreto di perenzione, disponendosi la trattazione del ricorso nel merito.

In data 18/04/2017 veniva pubblicata la sentenza del Tar Campania n.2094 del 2017 la quale respingeva il ricorso, sentenza gravata in appello al Consiglio di Stato , che a sua volta, con pronuncia n. 2775 del 2018 respingeva l’appello.

Sulla scorta della accertata illegittimità del provvedimento ampliativo rilasciato dal Comune, con sentenza passata in giudicato , parte ricorrente spiega domanda risarcitoria connessa alla abusività dell’edificazione, affidata ai seguenti motivi:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. Danno emergente e lucro cessante. Sussistenza dei requisiti ai fini del risarcimento del danno ai sensi degli artt. 2697 c.c. e 115 cpc

L’emissione del decreto sindacale, preceduto dal parare favorevole della commissione edilizia, nonché la successiva licenza edilizia rilasciata dal comune di Boscoreale, avevano creato un legittimo affidamento in capo alla parte ricorrente, la quale confidava nella legittimità dell’azione amministrativa comunale.

Sussisterebbe la colpa grave dell’amministrazione comunale circa il rilascio del titolo edilizio in parola – che avrebbe violato l’art. 1 quinquies della legge n. 431/1985- nonché, il nesso di causalità tra il fatto illecito, ovvero il rilascio della licenza edilizia da parte della P.A. comunale, ed il danno subito da parte della ricorrente, consistente nei costi sostenuti sia per l’acquisto dei materiali sia per la manodopera, oltre che per il mancato utilizzo del fondo in questione per altre finalità.

IN VIA GRADATA

2) Richiesta di risarcimento del danno ex art. 2 comma 1 legge 117 del 1988 nei confronti dei magistrati della sezione Quarta del Tar Napoli, all’epoca dei fatti: invero , in seguito ad ordinanza cautelare n°549 del 23.06.1993 , la parte avrebbe ulteriormente confidato nella legittimità del titolo edilizio, e ciò fonderebbe la richiesta di condanna dello Stato Italiano al risarcimento dei danni .

Si è costituita in giudizio la Presidenza del consiglio dei Ministri, svolgendo difese in relazione alla domanda subordinata e segnatamente chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione. Ha altresì eccepito l’infondatezza della pretesa nel merito , atteso che l’art. 2 L. n. 117/1988, espressamente dispone che “non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove”.

Non si è costituita in giudizio l’amministrazione comunale di Boscoreale.

Alla pubblica udienza del 23 settembre 2022 il ricorso è stato trattenuto in decisione,

DIRITTO

Si verte nel presente giudizio in una peculiare ipotesi di richiesta di danni da annullamento di provvedimento amministrativo favorevole.

Secondo quanto esposto in parte narrativa , la società ricorrente aveva dapprima ottenuto un provvedimento che la abilitava alla costruzione di un edificio residenziale, e dopo alcuni mesi è stata destinataria del provvedimento di annullamento del titolo, emesso dalla stessa amministrazione comunale in autotutela a seguito dell’esercizio dei poteri di annullamento della Soprintendenza.

Le peculiari vicende della fattispecie si ravvisano nella circostanza che la realizzazione della costruzione, iniziata a seguito del rilascio titolo edilizio favorevole, era stata poi proseguita dopo che la parte aveva ottenuto un provvedimento cautelare da parte di questo Tribunale, sicché la costruzione è giunta a completamento , fondandosi la parte sull’effetto provvisorio e interinale della sospensiva , senza che peraltro si premurasse di richiedere la decisione nel merito della controversia ovvero di sollecitare la definizione della stessa, tanto che il ricorso veniva dichiarato perento.

L’annullamento del provvedimento favorevole è stato oggetto di vaglio giurisdizionale nel merito diversi anni dopo, a seguito di revoca del decreto di estinzione del giudizio e di trattazione del merito avvenuta pertanto in tempi più recenti e successivi all’ultimazione della costruzione.

Tali vicende sono esposte unicamente per connotare la posizione soggettiva azionata dalla parte, e ai limitati fini della valutazione preliminare della sussistenza della giurisdizione di questo giudice amministrativo.

Al riguardo il Collegio è consapevole del contrasto sussistente nella giurisprudenza delle Supreme Corti, ed in particolare della posizione della Corte regolatrice della giurisdizione , la quale ritiene che la richiesta di danno da annullamento di provvedimento favorevole (annullamento non contestato o comunque divenuto definitivo per infruttuoso esperimento di ricorsi giurisdizionali) rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, coinvolgendo posizioni di diritto soggettivo. Per contro, l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha recentemente affermato in subiecta materia la giurisdizione del giudice amministrativo, ravvisando in capo al privato la consistenza di interesse legittimo della relativa posizione, siccome correlata comunque all’esercizio del potere.

Ritiene il Collegio di condividere la posizione della Suprema Corte di Cassazione, in considerazione della circostanza che l’esercizio del potere non sembra venire in rilievo neppure indirettamente in fattispecie di annullamento di provvedimento favorevole : lo stesso è da ritenersi un mero presupposto di fatto, dando luogo alla definitività della privazione di una posizione favorevole, evidentemente illegittimamente conseguita.

Ai fini di una migliore comprensione delle ragioni di contrasto, vanno ripercorse le posizioni susseguitesi nel tempo ed espresse dalle Supreme Corti.

In un primo tempo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, con le cd. ordinanze gemelle del 2011, n. 6594 e n. 6595 e n. 6596 , aveva individuato la posizione soggettiva lesa del privato in un diritto soggettivo, tuttavia identificandola nel diritto soggettivo all’integrità del patrimonio: la privazione del provvedimento favorevole veniva quindi a ledere una consistenza patrimoniale in qualche modo entrata nella sfera del privato.

In seguito la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire che siffatta posizione rimane di diritto soggettivo, anche a fronte dell’emanazione del provvedimento di annullamento in autotutela dell’atto favorevole;
ed ancor più a fronte dell’annullamento in sede giurisdizionale in caso di ricorso promosso da controinteressati: in tal caso nell’agire dell’amministrazione è ravvisabile un comportamento mero , non riconducibile neppure in via mediata all’esercizio del potere.

Più recentemente peraltro la Corte di Cassazione ha individuato la posizione del privato nella lesione dell’affidamento incolpevole, e pertanto in un diverso diritto soggettivo, ravvisato nella libertà di autodeterminazione negoziale. In proposito, per effetto dell’illegittimo esercizio del potere ampliativo, il privato, pur essendo stato solo provvisoriamente posto in una posizione favorevole, ha visto poi lesa la libertà di orientare le proprie scelte, laddove l’eliminazione del provvedimento favorevole gli ha cagionato un danno ingiusto. Si sottolinea che, ove non ci fosse stato l’illegittimo esercizio del potere ampliativo, la parte avrebbe sicuramente compiuto scelte differenti, dirigendole su investimenti stabili, o comunque non investendo affatto e quindi escludendo la possibilità di subire perdite.

In tale prospettiva, l’annullamento – in via di autotutela o giurisdizionale – del provvedimento favorevole priva i soggetti, che ne erano stati beneficiari, del diritto conseguito illegittimamente: il ripristino della legalità violata impedirebbe loro di accedere alla tutela demolitoria innanzi al G.a. e, dunque, anche alla tutela risarcitoria consequenziale e aggiuntiva alla prima.

A quel punto, l’avvenuto annullamento del provvedimento favorevole non rileverebbe quale esercizio di potere amministrativo (o giurisdizionale), e dunque non sarebbe idoneo a radicare la cognizione del GA: al contrario, esso rileverebbe solo quale “mero comportamento” assunto dall’Amministrazione che aveva rilasciato quel provvedimento illegittimo.

L’unica tutela invocabile sarebbe così quella risarcitoria fondata sulla lesione dell’affidamento, relativa a un danno «che oggettivamente prescinde da valutazioni sull’esercizio del potere pubblico», fondandosi su doveri di comportamento e buona fede richiesti dall’ordinamento anche all’Amministrazione. Questa tutela, però – stante la mancanza di connessione tra il danno e il potere pubblico, e la consistenza di diritto soggettivo della situazione (affidamento) fatta valere – non sarebbe riconducibile alla giurisdizione del G.a., con conseguente riserva della relativa cognizione al Giudice ordinario.

Si tratta di una ricostruzione oggetto di critiche da parte della giurisprudenza amministrativa , culminate in tre pronunce della Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, che nel novembre 2021 con le pronunce nn. 19, 20 e 21 , ha ravvisato la consistenza di interesse legittimo nella posizione del privato, comunque raggiunto da un provvedimento amministrativo che è causa della lesione, in quanto emesso in violazione dell’interesse a conseguire un ampliamento stabile della propria sfera giuridica, con conseguente radicamento della giurisdizione del GA.

La Plenaria, in particolare nella pronuncia n. 20 del 2021, ha affermato in proposito che l’affidamento non è una posizione giuridica autonomamente rilevante, ma è un quid pluris, che assume la natura del rapporto principale sul quale s’innesta. Nel caso di provvedimento ampliativo illegittimo poi annullato, in altre parole, il danno al beneficiario non è causato dal “comportamento complessivo” dell’Amministrazione, bensì dall’illegittimo esercizio del potere.

I conseguenti danni sarebbero riconducibili in via quantomeno mediata all’esercizio del potere, derivando dall’illegittimo ampliamento della sfera giuridica;
la causa della lesione risale comunque in via indiretta all’illegittimo esercizio del potere ampliativo.

In tal caso il Consiglio di Stato ha ravvisato nell’affidamento mal riposto la lesione comunque di una posizione di interesse legittimo, ed ha fatto richiamo alla categoria civilistica dell’apparenza del diritto.

Così ragionando, si è ritenuto che ciò che viene in rilievo è la fiducia del privato beneficiario nella legittimità del provvedimento e dunque nella stabilità dei suoi effetti favorevoli: viene protetta la delusione della fiducia (mal)riposta nell’esercizio del potere favorevole in cui il privato abbia senza colpa confidato.

Ne deriva che la giurisdizione è devoluta al G.a. perché la “fiducia” su cui riposava la relazione giuridica tra Amministrazione e privato, asseritamente lesa, si riferisce «non già ad un comportamento privato o materiale – a un “mero comportamento” – ma al potere pubblico, nell’esercizio del quale l’Amministrazione è tenuta ad osservare le regole speciali che connotano il suo agire autoritativo e al quale si contrappongono situazioni soggettive del privato aventi la consistenza di interesse legittimo.

La Plenaria ha chiarito che sussiste la giurisdizione amministrativa ogni qualvolta il privato lamenti la lesione del suo affidamento derivante – in via immediata o mediata – dall’esercizio di potere pubblico: perché il legittimo affidamento non è una situazione a sé stante, non è un diritto scorporabile dal rapporto amministrativo sottostante. Analizzando la natura e consistenza dell’affidamento, la pronuncia ha affermato che lo stesso è un principio applicabile a tutti i rapporti e la sua tutela – risarcitoria – è uno strumento ulteriore che si aggiunge all’armamentario del Giudice amministrativo.

Ma, trattandosi di un principio generale più che di una situazione soggettiva autonoma, si è ritenuto che trova applicazione anche nei rapporti pubblicistici di diritto amministrativo: rilevando non come diritto soggettivo ex se, bensì come «principio generale dell’azione amministrativa che fa sorgere nel destinatario del provvedimento favorevole l’aspettativa al mantenimento nel tempo del rapporto giuridico sorto a seguito di tale atto.

Ritiene il Collegio che le argomentazioni della Adunanza plenaria siano in parte da condividere, ed in parte da ripensare per effetto della necessità di ricondurre l’affidamento oltre la nozione di principio , nell’ambito di una posizione soggettiva, autonomamente tutelabile.

Nella ricostruzione dell’affidamento l’Adunanza plenaria ha osservato:

” Nella dicotomia diritti soggettivi-interessi legittimi si colloca anche l'affidamento.

Esso non è infatti una posizione giudica soggettiva autonoma distinta dalle due, sole considerate dalla Costituzione, ma ad esse può alternativamente riferirsi. Più precisamente, l'affidamento è un istituto che trae origine nei rapporti di diritto civile e che risponde all'esigenza di riconoscere tutela alla fiducia ragionevolmente riposta sull'esistenza di una situazione apparentemente corrispondente a quella reale, da altri creata. Dell'affidamento sono applicazioni concrete, tra le altre, la "regola possesso vale titolo" ex art. 1153 c.c., l'acquisto dall'erede apparente di cui all'art. 534 c.c., il pagamento al creditore apparente ex art. 1189 c.c. e l'acquisto di diritto di diritti dal titolare apparente ex artt. 1415 e 1416 c.c., il cui denominatore comune consiste nell'attribuire effetti all'atto compiuto dalla parte che in buona fede abbia pagato o contrattato con chi ha invece ricevuto il pagamento o alienato senza averne titolo.

Sorto in questo ambito, l'affidamento ha ad oggi assunto il ruolo di principio regolatore di ogni rapporto giuridico, anche quelli di diritto amministrativo.”

Osserva il Collegio che la identificazione tra affidamento ed apparenza del diritto non sembra condivisibile, atteso che gli istituti civilistici sopra richiamati rispondono a logiche differenti e vedono alla loro base rapporti che non sembrano sovrapponibili , bilaterali nel caso dell’affidamento, e per lo più trilateri nel caso dell’apparentia juris.

Apparenza implica invero- nelle situazioni civilistiche richiamate dalla Plenaria- la necessità di tutela di un terzo che è al di fuori del meccanismo attraverso il quale è stata posta in essere la situazione apparente, la cui buona fede è necessario tutelare dando all’esterno prevalenza alla situazione apparente.

Le diverse fattispecie di situazioni “apparenti” contenute nell’impianto codicistico hanno un

substrato comune in una nozione di apparenza cd. “pura”, vale a dire nel fatto che una situazione giuridica in realtà inesistente, per circostanze obiettive ed univoche, si manifesta come effettiva ad un determinato soggetto, indipendentemente dal fatto che egli abbia o meno posto in essere un comportamento colposo.

Nella rappresentanza apparente, ad esempio, che il diritto non sia di titolarità del rappresentante, bensì del dominus è un presupposto indiscusso a monte della fattispecie, ed il problema è quello della riferibilità all’effettivo titolare degli effetti conseguenti agli atti di disposizione compiuti dal rappresentante apparente.

La tutela dei terzi in buona fede si attua, in concreto, facendo ricorso all’apparenza , espressione del principio di autoresponsabilità dell’agire giuridico, secondo il quale chi immette o dà causa all'immissione di dichiarazioni nel traffico giuridico è assoggettato alle conseguenze di esse secondo il loro obiettivo significato.

Di qui la giurisprudenza è giunta a negare rilevanza all'apparenza “pura” al di fuori delle ipotesi

espressamente tipizzate, orientandosi verso una nozione di apparenza cd. colposa, caratterizzata, oltre che dalla situazione oggettiva apparente e dall'errore scusabile del terzo, anche da un comportamento colposo del titolare della situazione giuridica reale al quale debba imputarsi la creazione di quella apparente, per avere posto in essere – pur se non preordinatamente – un comportamento oggettivamente idoneo ad ingenerare nella collettività il convincimento incolpevole, che egli abbia effettivamente conferito il potere .

La fondamentale distinzione tra “apparenza” “pura” e “colposa” è stata operata dalla sentenza Cass. 17.3.1975, n. 1020, ove la Corte di Cassazione, dopo avere precisato che “la cosiddetta apparenza

di diritto non costituisce una fattispecie giuridica autonoma, un istituto generale caratterizzato da connotazioni definite e precise, ma rappresenta un concetto operativo nell'ambito dei singoli atti e negozi giuridici secondo il grado di tolleranza dei medesimi in ordine alla prevalenza di uno schema apparente su quello reale in vista del riconoscimento di effetti pratici contrastanti o diversi da quelli derivabili dalla situazione reale” enuncia espressamente quali siano i punti fondamentali della distinzione tra apparenza “pura” ed apparenza “colposa”.

Nella rappresentanza apparente, ma anche nell’acquisto dall’erede apparente, nell’acquisto dal simulato acquirente, nel pagamento al creditore apparente, vengono in gioco rapporto trilateri, ove occorre tutelare un terzo che può essere leso dall’aver confidato in una situazione non corrispondente alla realtà, avendo acquistato diritti dal rappresentante apparente, dall’erede apparente, dal simulato acquirente.

La tutela del terzo comporta che chi ha creato la situazione apparente subisce per un principio di autoresponsabilità le conseguenze della propria condotta, dandosi rilievo nei suoi confronti non a quanto risulta dal sottostante rapporto intersoggettivo bilaterale tra i soggetti del rapporto fondamentale, ma alla proiezione verso l’esterno di quanto appare, in considerazione della natura trilatera del rapporto.

In ogni caso il terzo non confida in un comportamento, ma è pregiudicato perché si attiene a ciò che appare, e non può essere onerato di prefigurare che dietro ogni agire negoziale possa esservi sottostante una difformità dal dato reale.

L’affidamento invece non parte da una situazione apparente, si instaura non su ciò che appare, bensì su ciò che il soggetto leso “crede”, e si manifesta nell’ambito di relazioni bilaterali.

Nel caso dell’apparenza il soggetto ha considerato vera una situazione giuridica, seppure difforme da quella reale, mentre nel caso dell’affidamento il soggetto ha creduto in una situazione di fatto, ingenerata da un contegno fattuale ulteriore: il tipico esempio di lesione dell’affidamento viene individuato nella matrice della responsabilità precontrattuale e quindi nella violazione dei doveri di buona fede e correttezza. L’affidamento è una situazione relazionale, di stampo bilaterale, in quanto deriva da una relazione con un soggetto qualificato, dal quale ci si attende il mantenimento della fiducia o di un certo standard di correttezza e diligenza.

L’affidamento è una declinazione della clausola generale della ‘buona fede’, che esprime il dovere di qualunque individuo di comportarsi lealmente nell’ambito di un rapporto giuridico, in modo tale da tutelare la posizione del soggetto con cui si entra in contatto .

La tutela dell’affidamento non è sempre stata pacifica in relazione al settore amministrativo, discutendosi in passato circa la configurabilità o meno in capo alla Pubblica Amministrazione di un dovere, soprattutto in sede di esercizio del potere di autotutela, di salvaguardare le situazioni soggettive vantaggiose per il privato, conseguenti ad atti e comportamenti della PA, tali da ingenerare, appunto, un ragionevole affidamento nel destinatario.

Secondo la visione tradizionale, il privato non vantava alcun legittimo affidamento nei confronti della Pubblica Amministrazione, e questo perché andava sempre preferita la tutela dell’interesse pubblico sotteso all’attività amministrativa, che non poteva essere sacrificato, anche se ciò andasse a discapito di situazioni giuridiche oramai consolidate per il privato.

Questa tesi è stata successivamente abbandonata a seguito dell’orientamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ,che ha enunciato il dovere della Pubblica Amministrazione di tenere conto del legittimo affidamento del privato come limite all’esercizio del potere di autotutela bilanciando l’interesse pubblico alla rimozione di un provvedimento viziato con quello privato al mantenimento della posizione acquisita. Il primo è sacrificabile in favore della tutela dell’affidamento del privato solo in presenza di un ‘fattore temporale’ e dell’elemento soggettivo della ‘buona fede’. Pertanto, dinanzi ad un provvedimento amministrativo illegittimo, ove la illegittimità in nessun caso dipendeva dal dolo o dalla colpa del destinatario , e dal quale era sorta una situazione di vantaggio per il privato venutasi progressivamente a consolidare nel corso del tempo, si poneva la necessità di tutelare il privato che avesse fatto affidamento nella stabilità e certezza del rapporto giuridico instauratosi per effetto del provvedimento amministrativo.

In definitiva, l’estendersi del principio di buona fede all’azione della pubblica amministrazione, porta a riconoscere la lesione dell’affidamento nei rapporti con la p.a. , anche in quelli non paritetici ma autoritativi: ad esempio nel mancato rispetto dei termini procedimentali, mancata conclusione del procedimento dovuto, o nei casi di eccesso di potere per contraddittorietà (espressione del divieto di venire contra factum proprium e dell’esigenza di razionalità e coerenza nei rapporti relazionali, ovvero nel procedimento amministrativo inteso quale luogo di cd. contatto sociale qualificato).

In proposito l’Adunanza plenaria numero 5 del 2018 ha distinto la figura rilevando come l’amministrazione è tenuta a rispettare, oltre alle norme di diritto pubblico, (la cui violazione implica l’invalidità del provvedimento ed eventuale responsabilità da provvedimento illegittimo) anche le norme generali di diritto civile che impongono di agire con lealtà e correttezza e la cui violazione può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto: questa incide non sull’interesse legittimo , ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali ovvero sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illecite frutto dell’altrui scorrettezza.

Ciò consente di riconoscere a carico della p.a. doveri di comportamento ulteriori rispetto a quelli tipizzati nelle regole che riguardano lo svolgimento del procedimento amministrativo , e consistenti nel dovere che l’amministrazione si comporti in modo da non arrecare pregiudizi inutili, eccessivi o non previsti al privato. Ne deriva che una responsabilità da comportamento scorretto può sussistere nonostante la legittimità del provvedimento amministrativo ( come ad es. nell’ipotesi del danno da ritardo).

Pertanto la responsabilità da scorrettezza non deriva dalla lesione dell’interesse legittimo perché prescinde dall’illegittimità dell’atto :non si rimprovera all’amministrazione l’illegittimo esercizio del potere , ma la lesione dell’affidamento creato.

Tale ricostruzione consente di distinguere tra apparenza ed affidamento, nel senso che nella prima il rapporto è trilatero, a tutela di un terzo a cui appare una situazione difforme da quella reale, e mantiene fermo l’atto che al più è inefficace tra le parti, ma produce effetti per il terzo;
mentre nel secondo il rapporto è bilaterale, in sede pubblicistica, tra amministrazione e privato, e si produce per effetto del decorso del tempo e della buona fede tradita, attraverso l’annullamento di un atto favorevole.

Una situazione di apparenza non è richiesta, dal momento che l’affidamento si ingenera per effetto di un comportamento dell’amministrazione, che abbia deluso la fiducia della parte privata: non si tratta di un rapporto trilatero e ciò che viene posta in essere dall’amministrazione non è una apparenza, ma una incoerenza: si viola il divieto di venire contra factum proprium.

Ne sono dimostrazione proprio le vicende che hanno dato origine ai casi giurisprudenziali più rilevanti :

a)le Sezioni Unite della Corte di Cassazione e le tre ordinanze del 2011, relative al risarcimento del danno da provvedimento amministrativo favorevole.

Le ordinanze n. 6594 e n. 6595 hanno riguardato due casi analoghi in cui la PA, dopo avere rassicurato a più riprese il privato della edificabilità di una certa area, rilasciava il permesso di costruire, facendo sorgere nel destinatario la convinzione della legittimità di quel provvedimento ampliativo;
tuttavia, la PA annullava poi in autotutela il permesso, essendosi avveduta della non edificabilità dell’area. L’ordinanza n. 6596 concerneva il caso in cui la PA, dopo avere emesso un provvedimento di aggiudicazione definitiva della gara, annullava d’ufficio l’aggiudicazione perché illegittima.

Le Sezioni Unite hanno rilevato che il privato subiva la lesione del suo affidamento perché la PA aveva ritirato in autotutela un provvedimento amministrativo illegittimo, nonostante avesse precedentemente assunto una condotta tale da far intendere che quel provvedimento fosse legittimo.

La lesione dell’affidamento è generata non soltanto dal provvedimento ampliativo illegittimo, bensì da una serie di condotte assunte dall’Amministrazione, che con più rassicurazioni aveva fatto sì che si radicasse nel privato la convinzione di aver ottenuto un provvedimento legittimo, produttivo di una situazione giuridica favorevole in via definitiva.

La tutela dell’affidamento veniva così fatta dipendere non più soltanto dall’adozione di un atto della PA, ma anche dalla condotta fuorviante della stessa, ed individuata in una lesione del patrimonio che in un primo momento si era incrementato con l’ingresso di un bene della vita, e poi si era ridotto con la fuoriuscita di quel bene per effetto della rimozione del provvedimento ampliativo.

Nel 2020 le Sezioni Unite legano il diritto al risarcimento alla lesione del diritto di matrice costituzionale alla autodeterminazione, vale a dire di compiere liberamente le proprie scelte senza essere indotto in errore da altrui comportamenti contraddittori.

b) la sentenza n. 8236/2020:

La Cassazione afferma che, poiché il provvedimento amministrativo era illegittimo, il bene non era mai entrato nel patrimonio del destinatario, escludendo il danno alla integrità del patrimonio, mentre la produzione di un danno evento è identificata nella lesione dell’autonomo diritto soggettivo dell’affidamento del privato, atteso che la PA aveva assunto una serie di comportamenti misti al provvedimento che avevano leso l’autodeterminazione del soggetto.

In tutte le fattispecie , sovrapponibili a quelle esaminate dalle Adunanze plenarie del 2021, la fattispecie generatrice del danno non è il provvedimento ( quello originario ovvero quello di autotutela), ma il comportamento ulteriore dell’amministrazione che ha indotto il privato a credere nella definitività della attribuzione favorevole.

Alla luce di tali considerazioni, non sembra cogliere nel segno la individuazione dell’affidamento come istituto giuridico espressione di un principio più che di una situazione soggettiva, che «contribuisce a fondare la costituzione di particolari rapporti giuridici e situazioni soggettive» e che nei rapporti con l'amministrazione si traduce nell'«aspettativa del privato alla legittimità del provvedimento amministrativo rilasciato», eventuale fonte di responsabilità .

L’affidamento non sarebbe un diritto soggettivo, né una situazione giuridica autonoma: secondo la tesi condivisa autorevolmente dalla Adunanza plenaria, ma solo un elemento dipendente dal contenuto delle situazioni giuridiche alle quali accede, assumendo per l’effetto contenuto e qualificazione diversa a seconda di esse.

Pertanto, quando i termini del rapporto giuridico sono il potere autoritativo da una parte e l’interesse legittimo dall’altra, è a questa situazione giuridica soggettiva che l’affidamento inerisce e che contribuisce ad arricchire;
«la lesione dell’affidamento provocato dall’esercizio scorretto del potere determina sempre la lesione della situazione giuridica sostanziale tipica che si instaura fra il cittadino e la p.a. quando la seconda esercita le proprie potestà pubblicistiche, vale a dire l’interesse legittimo;
senza che possa distinguersi fra il caso in cui l’esercizio scorretto del potere abbia determinato il rigetto di un’istanza e quello diverso in cui ne sia conseguito l’accoglimento», con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo.”

Si afferma che, in caso di illegittimo esercizio del potere da parte dell’Amministrazione, l’interesse legittimo del privato sarebbe leso non solo nell’ipotesi del diniego di provvedimento favorevole, ma anche in caso di illegittimo rilascio del provvedimento richiesto. Si avrebbe cioè lesione dell’interesse legittimo in tutti i casi di non corretto esercizio del potere pubblico, a nulla rilevando l’eventuale attribuzione o meno al privato del bene della vita richiesto, atteso che «l’interesse legittimo vantato dal cittadino (…) è sempre il medesimo, e cioè è la pretesa ad un provvedimento (non solo) favorevole (ma anche) frutto dell’attività legittima dell’amministrazione.

Tale ricostruzione sembra riempire l’interesse legittimo di contenuti ulteriori, come pretesa alla legittimità dell’azione amministrativa , alla base di una ricostruzione dell’interesse legittimo ormai superata in favore della diversa concezione dell’interesse legittimo come posizione sostanziale, volto all’ ottenimento di un determinato bene della vita: l’oggetto della situazione di interesse pretensivo non si può identificare nella pretesa a che si provveda legittimamente , ma nella richiesta che si provveda dando positiva soddisfazione a quell’interesse.

Se il provvedimento favorevole viene emesso a seguito di un agire illegittimo della Pubblica Amministrazione, l’interesse del privato è ugualmente soddisfatto, ancorché attraverso un modo di provvedere non legittimo;
in tal modo nessun danno si configura in capo al privato, perché non c’è alcuna lesione della situazione giuridica della quale è titolare. Ciò, coerentemente con il criterio di riparto sancito dall’art. 103 Cost., che non ancora la natura delle situazioni soggettive, e dunque il funzionamento del criterio di riparto, al carattere satisfattivo o meno dell’azione amministrativa ( cfr. Cass. Sez. Un., 4 settembre 2015, ord. n. 17586). Il danno si produce poi per effetto della diversa fattispecie complessa, in caso di annullamento ( pur legittimo) dell’atto ampliativo, ma operato con modalità scorrette in termini civilistici.

Pertanto sembra doversi rimeditare la affermazione circa la natura della necessaria intrinseca stabilità della posizione favorevole accordata al privato, come oggetto della pretesa: se a seguito di rilascio di provvedimento favorevole (illegittimo ma satisfattivo dell’interesse pretensivo), lo stesso venga successivamente meno, l’unica lesione cagionata al privato scaturisce dalla fattispecie complessa costituita dall’emanazione dell’atto favorevole illegittimo, dall’incolpevole affidamento del beneficiario ingenerato dal comportamento contraddittorio della PA e dal successivo legittimo annullamento dell’atto stesso. Tale diversa fattispecie causativa del danno, però, non incide sull’interesse legittimo del destinatario al rilascio del provvedimento ampliativo , ma su una sua diversa ed autonoma situazione soggettiva, consistente nell’affidamento riposto nella legittimità e nella stabilità del provvedimento favorevole ottenuto.

E’ pertanto condivisibile l’osservazione secondo cui il danno subito dal privato non discende dalla violazione delle norme di diritto pubblico che conformano il corretto esercizio del potere amministrativo, ma dalla violazione delle regole civilistiche di correttezza e buona fede, le quali «non diversamente da quanto accade nei rapporti tra privati, anche per la P.A. non sono regole di validità ma regole di responsabilità , per il comportamento complessivamente tenuto- come già ritenuto dalla Adunanza plenaria n. 5/2018.

Il danno non consiste dunque nella lesione della situazione soggettiva di partenza, ovvero dell’interesse pretensivo fatto valere con la istanza di rilascio del provvedimento ampliativo, ma dalla fattispecie complessa ricostruita dalle Sezioni Unite della Cassazione, che unitariamente valutata deve essere inquadrata nella nozione di comportamento non provvedimentale.

Il problema sorge ed è accentuato dalla circostanza che anche sulla nozione di comportamento riconducibile al potere non vi è unicità di vedute tra CdS e Cassazione.

Invero il Consiglio di Stato adotta una nozione di comportamento provvedimentale ravvisata dovunque vi sia stato in precedenza un atto di esercizio del potere, anche consolidato;
mentre le Sezioni Unite hanno cercato di fornire un criterio discretivo più generale, basato sulla distinzione tra comportamenti riconducibili al potere e comportamenti solo occasionalmente collegati ad esso. Secondo La Suprema Corte, ogni norma attributiva del potere pubblico non si limita a prevedere il risultato da ottenere, ma fornisce, in attuazione del principio di legalità sostanziale, puntuali indicazioni in ordine alle specifiche forme e modalità di esercizio del potere;
pertanto, mentre alcuni comportamenti sono oggettivamente necessari per il conseguimento dell’obiettivo, altri costituiscono espressione di una scelta della P.A. Trattandosi di condotte non oggettivamente indispensabili, solo occasionate dal potere e non necessariamente ad esso riconducibili, in tale secondo caso sarà il giudice ordinario a risolvere la controversia.( cfr. in termini Cass. civ. sez. un., 03 febbraio 2016, n. 2052).

La riconducibilità deve dipendere e dev’essere identificata dal modo di essere del potere e dunque, dalla norma di previsione del potere, che l’amministrazione esercita. Fermo restando, naturalmente che spetta alla giurisdizione del giudice amministrativo la questione se il potere invocato esista in concreto in base alla norma e se esista la norma in base alla quale lo si assume esercitato.

Poiché tanto non è in questione nella ipotesi di annullamento di provvedimento favorevole ( o per acquiescenza della parte o per giudicato) , il criterio discretivo va pertanto condotto verificando se la norma di attribuzione del potere che si assume esercitato preveda o meno il comportamento di cui trattasi . Nella specie, la previsione del comportamento in esame, anzi della fattispecie complessa provvedimento-affidamento incolpevole- annullamento dell’atto favorevole appare, invece, solo occasionata in relazione al potere esercitato, per cui la giurisdizione del giudice amministrativo, pur esclusiva, non sussiste.

Il Collegio è consapevole della problematica che l’uso di un criterio di riparto siffatto è in grado di dar vita a due costruzioni del sistema tra loro divergenti, dovute rispettivamente alla Cassazione e al Consiglio di Stato, a seconda che il danno lamentato sia o meno riconducibile all’esercizio di un potere, rischio aggravato dalla individuazione delle ipotesi di comportamenti riconducibili mediatamente al potere medesimo, che impedisce di distinguere nettamente responsabilità da provvedimento e responsabilità da comportamento.

Tuttavia non sembra potersi trascurare la circostanza che nelle ipotesi di danno da annullamento di provvedimento favorevole si tratta non di questione di affidamento legittimo , ma di affidamento procedimentale, il che comporta una propensione per la responsabilità da comportamento non collegato all’esercizio del potere .

L’ «affidamento legittimo» tutelato ex art. 21nonies L. 241/1990 è connesso con l’esercizio del potere discrezionale da parte della P.A., chiamata al rispetto di una serie di regole che disciplinano in maniera diretta e puntuale l’attività amministrativa discrezionale, la cui violazione inficia la legittimità dell’atto amministrativo e determina in capo all’ente pubblico una responsabilità da provvedimento, da cui scaturiscono sia la tutela demolitoria che quella risarcitoria, entrambe da esperire davanti al giudice amministrativo. Nell’affidamento legittimo la nascita e la delusione dello stesso sono connessi ad atti di esercizio del potere da parte della P.A. in violazione delle regole alle quali è sottoposta, che sono ulteriori e diverse da quelle che si applicano ordinariamente nei rapporti tra privati.

Diversamente, per l’affidamento «procedimentale» la Cassazione sottolinea, con argomenti che il Collegio ritiene di condividere, che si tratta di una situazione autonomamente tutelata, priva di collegamento col potere pubblico, che si sostanzia «nella fiducia, nella delusione della fiducia e nel danno subito a causa della condotta dettata dalla fiducia mal riposta», e che richiede l’ulteriore prova del nesso causale tra la condotta dettata dalla fiducia ed il danno.

La situazione giuridica favorevole o non è mai stata attuata, ovvero lo è stata per effetto di un atto poi annullato, e ciò comporta la lesione del diritto di autodeterminazione del privato. Di qui la rilevanza dell’annullamento come mero fatto, per cui non si può parlare di apparenza se non in senso improprio, avendo il soggetto creduto nella stabilità di un atto che in seguito è stato legittimamente caducato.

L’esercizio del potere è posto nel nulla, e quel che residua è solo una fiducia tradita, per effetto di un comportamento lesivo dei principi di buona fede e correttezza, naturalmente nelle ipotesi in cui il privato stesso sia a sua volta in buona fede e non abbia reso dichiarazioni false al fine di ottenere il provvedimento ampliativo.

Pertanto in tali situazioni si ritiene preferibile l’opzione ermeneutica della Corte di Cassazione, che ritiene come la controversia, avente ad oggetto la domanda di risarcimento dei danni subiti dal privato per la lesione dell’affidamento ingenerato dal provvedimento favorevole ( come ad es. nella aggiudicazione di un appalto pubblico ovvero nel rilascio di un permesso di costruire ) successivamente annullato dal giudice amministrativo, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, atteso che la deduzione non inerisce all’accertamento dell’illegittimità del provvedimento ampliativo , ma alla colpa della P.A., consistita nell’avere indotto il suddetto privato a sostenere spese nel ragionevole convincimento della prosecuzione del rapporto fino alla scadenza del termine previsto dal contratto stipulato a seguito della gara ( in termini di recente Cassazione Civile, Sezioni Unite, Ordinanza 18-1-2022, n. 1391).

A fondamento della pretesa non è dedotto un esercizio illegittimo del potere, ma una colpa consistita nell’aver orientato il privato verso una determinata condotta, successivamente interrotta;
cossichè si verte in materia di lesione di un diritto soggettivo, del quale deve necessariamente conoscere il giudice ordinario (sempre Cass., Sez. Un., n. 6596/2011 , Cass., Sez. Un., n. 22435/2018 cit.;
Cass., Sez. Un., 25 maggio 2017 n. 12799).

Va infine escluso che la giurisdizione appartenga al GA in virtù dell’art. 133 lett. a) CPA che prevede la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di silenzio, atteso che nella fattispecie in esame non veniva in rilievo l’ inerzia del Comune ;
e va altresì escluso che la giurisdizione spetti al GA in virtù dell’art. 133 lett. f) CPA che assegna alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di urbanistica ed edilizia, atteso che la norma presuppone sempre l’adozione di un provvedimento, mentre nel caso di specie il fatto generatore del danno è una fattispecie puramente comportamentale.

Per completezza argomentativa va rilevato come sulla domanda subordinata egualmente sussiste un palese difetto di giurisdizione, trattandosi di fattispecie afferente la pretesa responsabilità per l’esercizio delle funzioni giudiziarie.

Le spese di lite vanno integralmente compensate tra le parti, in considerazione del contrasto giurisprudenziale esistente sulla questione di giurisdizione di cui alla domanda principale, ad eccezione del contributo unificato, che rimane definitivamente a carico di parte ricorrente.

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