TAR Roma, sez. 3T, sentenza 2010-07-20, n. 201027277

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 3T, sentenza 2010-07-20, n. 201027277
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201027277
Data del deposito : 20 luglio 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 11471/2007 REG.RIC.

N. 27277/2010 REG.SEN.

N. 11471/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 11471 del 2007, proposto da: Fallimento della società Sipi S.r.l., in persona del Curatore p.t., rappresentato e difeso dall'avv. L V M, presso il cui studio è domiciliato elettivamente in Roma, via Sesto Rufo, 23;

contro

il Ministero dello Sviluppo Economico - Direzione Generale Coordinamento Incentivi Imprese – in persona del Ministro p. t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliato per legge in Roma, v. dei Portoghesi, n. 12,
la Regione Basilicata, in persona del Presidente p. t., non costituitasi in giudizio,
la Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente p. t., non costituitasi in giudizio;

per l'annullamento

del decreto n. 8/B5/MSE/2007 notificato il 30 agosto 2007, unitamente alla nota prot.

1.097.655 del 26 marzo 2007 ed alla nota prot.

1.098.228 C.A. di Potenza del 27 novembre 2006, con il quale è stato revocato il contributo in conto impianti concesso in favore della soc. Sipi di cui al contratto d’area di Potenza sottoscritto il 19 luglio 1999, nonché di ogni altro atto presupposto, consequenziale e comunque connesso;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dello Sviluppo Economico;

Viste le memorie difensive;

Visto l’atto per motivi aggiunti depositato in data 19 dicembre 2008;

Vista l’ordinanza n. 1528/2009 del 23 novembre 2009;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 aprile 2010 il Cons. Donatella Scala, presente alle chiamate preliminari l’avv. dello Stato Vittorio Russo, e udito l’avv. Moscarini per la parte ricorrente;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Con il ricorso in epigrafe, notificato in data 14 novembre 2007, e depositato il successivo 13 dicembre, impugna il Fallimento della società Sipi s.r.l. il decreto ministeriale sopra indicato, con cui sono state revocate le agevolazioni concesse nell’ambito del contratto d’area di Potenza, sottoscritto in data 19 luglio 1999.

Con unico motivo la ricorrente ha dedotto, avverso l’impugnata determinazione, violazione di ogni norma e principio in materia di contributi in conto capitale per la realizzazione di interventi agevolati nel Mezzogiorno (tra gli altri: d.l. 22 ottobre 1992, n. 415, convertito in l. 19 dicembre 1992, n. 488;
d.lgs. n. 96 del 3 aprile 1993;
d.m. 20 ottobre 1995, n. 527;
d.m. 9 marzo 2000, n. 133;
circolari ministeriali esplicative del 20.11.1997, n. 234363 e del 14.7.2000, n. 900315 del Ministero dell’industria e del commercio e dell’artigianato;
comunicato del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica rivolto ad assicurare trasparenza e pubblicità alle modalità ed ai criteri relativi alle attività di assistenza tecnica e di istruttoria dei patti territoriali e contratti d’area, pubblicato in GURI del 29 luglio 1998, n. 175);
eccesso di potere per difetto di istruttoria, contraddittorietà, sviamento, perplessità, mancata valutazione di interessi rilevanti, illogicità manifesta.

Chiede, in conclusione, la parte ricorrente l’annullamento del provvedimento impugnato, nonché il risarcimento dei danni scaturiti dalla revoca dei contributi e, comunque, il pagamento dell’indennizzo di cui all’art. 21-quinquies, legge 241/1990 come modificata dalla legge 15/2005.

Con atto per motivi aggiunti, notificato il 21 novembre 2008, e depositato il successivo 19 dicembre, impugna la parte ricorrente la cartella di pagamento n. 097 2008 0160051185 di Equitalia Gerit s.p.a., agente della riscossione per la Provincia di Roma, notificata il 24 settembre 2008, relativa al ruolo n. 2008/9446, deducendo avverso tale atto, il vizio di illegittimità derivata dalla illegittimità dell’atto impugnato in via principale, e, quale vizio autonomo, la violazione e la falsa applicazione di ogni norma e principio in materia di iscrizione a ruolo di somme dovute da soggetti dichiarati falliti;
eccesso di potere per difetto di istruttoria, illogicità.

Con memoria depositata in data 3 ottobre 2009, la parte ricorrente ha ribadito i già esposti motivi di doglianza.

Con ordinanza n. 1528/2009 del 23 novembre 2009, la Sezione ha, in via preliminare, esaminato la questione della giurisdizione in ordine alla controversia avente ad oggetto la revoca del finanziamento già concesso ad una impresa partecipante ad una proposta di patto territoriale, quale quella in esame, dando atto che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con recentissimo orientamento (ord. 8 luglio 2008, n. 18630 e 23 marzo 2009, n. 6960) hanno affermato in tal caso la giurisdizione del giudice amministrativo, e, pure manifestando qualche perplessità, in adeguamento all’arresto del giudice della giurisdizione (ulteriormente confermato con ordinanza n. 21472 del 9 ottobre 2009) ha dichiarato la propria giurisdizione.

Peraltro, tenuto conto che il Ministero dello sviluppo economico non si era costituito in giudizio, la Sezione ha ritenuto necessario ai fini del decidere disporre incombenti istruttori in ordine alla vicenda contenziosa, con le modalità ivi indicate, rinviando ogni altra decisione in rito, nel merito e sulle spese ad altra pubblica udienza.

In data 27 gennaio 2010 si è, dunque, costituita l’Avvocatura Generale dello Stato in difesa del Ministero intimato, senza depositare memoria o documenti;
in pari data, peraltro, l’Amministrazione resistente ha effettuato il deposito di documentata relazione sui fatti di causa.

Alla pubblica udienza dell’11 febbraio 2010, cui era stata rinviata la trattazione della causa con la sopra richiamata ordinanza n. 1528/2009, la stessa è stata rinviata ad altro ruolo, su espressa istanza di parte ricorrente depositata in data 29 gennaio 2010, in ragione dell’intervenuto adempimento istruttorio in tempi tali da non consentire un adeguato diritto di difesa.

La parte ricorrente ha, quindi, depositato relazione conclusionale in data 10 aprile 2010.

Alla pubblica udienza del 22 aprile 2010 la causa è stata trattenuta a sentenza.

DIRITTO

Oggetto di impugnativa è il provvedimento adottato dal resistente Ministero dello sviluppo economico che ha revocato il contributo in conto impianti di cui al Contratto d’Area di Potenza del 19 luglio 1999, concesso nella somma di € 5.501.815,35 in favore della società Sipi s.r.l., e ha disposto, altresì, il recupero delle somme erogate a tale titolo.

La società ricorrente lamenta l’illegittimità del decreto dirigenziale, rilevando come siano state poste a fondamento dello stesso le rilevate gravi irregolarità concernenti l’acquisto ed il pagamento a saldo di beni facenti parte del programma agevolato, oltre a pagamenti effettuati in contanti oltre i limiti consentiti, che, invece, costituirebbero la diretta conseguenza dello stato di crisi causato dai ritardi con cui l’Amministrazione ha provveduto ad erogare i contributi ora revocati.

La tesi non ha pregio.

Il provvedimento impugnato reca, in effetti, oltre al richiamo alle contestate irregolarità contabili di cui sopra, anche puntuale richiamo agli estremi della sentenza del Tribunale di Civitavecchia n. 18/2006 del 22 luglio 2006 dichiarativa del fallimento della Soc. Sipi s.r.l..

Osserva il Collegio che è indubitabile che tale evento, evidenziando l’estremo stato di crisi economica del soggetto che esercita l’attività di impresa, esprime l’impossibilità per quest’ultimo di raggiungere gli scopi di rilievo primario che avevano costituito la ragione dell’ammissione alle agevolazioni finanziarie, quali la realizzazione di nuove iniziative imprenditoriali e la creazione di nuova occupazione nei settori dell’industria, agroindustria, servizi e turismo.

Ed invero, alla dichiarazione di fallimento segue l’espulsione dal mercato dell’imprenditore in stato di insolvenza che non può più attendere agli ordinari compiti gestori e di iniziativa, con la conseguenza che il richiamo a detta evenienza giustifica “ex se” la misura di revoca del contributo adottata che, invece, richiede che il beneficiario sia “in bonis” e possa, quindi, su un piano di effettività garantire l’incremento della base imprenditoriale e dei livelli di occupazione in aree depresse del paese che hanno costituito la ragione d’essere dell’assunzione dell’onere economico a carico dello Stato. (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, 7 luglio 2008, n. 3351)

Il trasferimento di risorse in favore delle realtà economiche in aree depresse di cui all’art. 2, comma 203, legge 662/1996 configura, infatti, non già un contributo a fondo perduto, ma un vero e proprio contributo di scopo, regolato sulla base di accordi coinvolgenti una molteplicità di soggetti pubblici e privati, tra cui il contratto di area che è ivi definito: “f) «Contratto di area», come tale intendendosi lo strumento operativo, concordato tra amministrazioni, anche locali, rappresentanze dei lavoratori e dei datori di lavoro, nonché eventuali altri soggetti interessati, per la realizzazione delle azioni finalizzate ad accelerare lo sviluppo e la creazione di una nuova occupazione in territori circoscritti, nell'ambito delle aree di crisi indicate dal Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministero del bilancio e della programmazione economica e sentito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, che si pronunciano entro quindici giorni dalla richiesta, e delle aree di sviluppo industriale e dei nuclei di industrializzazione situati nei territori di cui all'obiettivo 1 del Regolamento CEE n. 2052/88, nonché delle aree industrializzate realizzate a norma dell'art. 32 della L. 14 maggio 1981, n. 219 , che presentino requisiti di più rapida attivazione di investimenti di disponibilità di aree attrezzate e di risorse private o derivanti da interventi normativi. Anche nell'ambito dei contratti d'area dovranno essere garantiti ai lavoratori i trattamenti retributivi previsti dall'articolo 6, comma 9, lettera c), del D.L. 9 ottobre 1989, n. 338 , convertito, con modificazioni, dalla L. 7 dicembre 1989, n. 389.”

E’ evidente che se l’utilizzo del finanziamento accordato non si è tradotto in infrastrutture idonee ad ampliare la base produttiva ed i livelli occupazionali la revoca si configura quale atto dovuto in presenza di un complesso aziendale inidoneo a perseguire gli scopi di sviluppo sociale ed industriale che, in base al quadro normativo di riferimento, avevano costituito i motivi per la sua erogazione.

Pertanto, la circostanza che sia stato dichiarato il fallimento della società beneficiaria delle agevolazioni finanziarie è presupposto idoneo, di per sé, a supportare l’esercizio del potere pubblicistico di autotutela da parte dell’ente finanziatore ai fini del recupero del credito sulla massa dei beni del fallito, essendo irrilevante che in proposito, il regolamento concernente la disciplina per l'erogazione delle agevolazioni relative ai contratti d'area e ai patti territoriali, di cui al d.m. 31 luglio 2000, n. 320, abbia ricompreso in modo esplicito la dichiarazione dello stato di insolvenza del beneficiario tra le cause di revoca delle agevolazioni.

Come in precedenza esposto lo stato di crisi e di incapacità dell’impresa ad operare “in bonis” determina contestualmente il venir meno dei requisiti e condizioni per il prosieguo dell’attività di impresa per gli scopi (incremento della base produttiva e dei livelli di occupazione) che qualificano gli interventi di sostegno economico previsti dalla legge n. 662/1996. La cessione a terzi dei beni in esito alla procedura fallimentare dà luogo allo smembramento del complesso aziendale e, anche in caso di cessione dell’azienda nella sua interezza, al mutamento della compagine sociale, non più espressione di quella imprenditoria vincolata alla realizzazione dell’originario progetto produttivo e, quindi, sottratta ad ogni controllo pubblico sulla finalizzazione del contributo.

Peraltro, sullo specifico punto, occorre evidenziare che il citato d.m. 320 del 2000, prevede all’art. 12, comma 3, lett. b), la revoca delle agevolazioni “qualora vengano distolte dall'uso previsto le immobilizzazioni materiali o immateriali, la cui realizzazione o acquisizione è stata oggetto dell'agevolazione, prima di cinque anni dalla data di entrata in funzione dell'impianto;
la revoca delle agevolazioni è totale se la distrazione dall'uso previsto delle immobilizzazioni agevolate prima dei cinque anni dalla data di entrata in funzione dell'impianto costituisca una variazione sostanziale del programma agevolato non autorizzata, determinando, di conseguenza, il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati dell'iniziativa;
altrimenti la revoca è parziale ed è effettuata in misura proporzionale alle spese ammesse alle agevolazioni afferenti, direttamente o indirettamente l'immobilizzazione distratta ed al periodo di mancato utilizzo dell'immobilizzazione medesima con riferimento al prescritto quinquennio”.

Va, pertanto, ribadito che il trasferimento di risorse economiche per lo sviluppo delle attività economiche ed occupazionali in particolari aree depresse non costituisce una contribuzione a fondo perduto, ma trae presupposto nell’effettiva idoneità del progetto produttivo a realizzare gli scopi economici e sociali previsti dalla legge n. 662/1996, sia al momento di ammissione al beneficio che nel periodo minimo di cinque anni, sopra indicato.

A fronte del dissesto dell’impresa che ha portato alla dichiarazione di fallimento sussiste, dunque, l’interesse di rilievo pubblico al recupero delle risorse economiche indebitamente utilizzate, che riceverà graduazione all’interno della procedura concorsuale di liquidazione e ripartizione dell’attivo.

Quanto, infine, alla tempistica di erogazione delle quote di contributo che avrebbero, quantomeno, concorso allo stato di dissesto della ricorrente, non può non rilevarsi come l’esame dei documenti versati in atti evidenzi la coerenza delle modalità procedimentali al riguardo osservate con la normativa di dettaglio, di cui al più volte richiamato d.m. 320 del 200, che, all’art. 10, comma 7, prevede, in tema di modalità e termini per le erogazioni : “Per gli interventi infrastrutturali, l'importo del finanziamento previsto è reso disponibile dall'Istituto convenzionato con le seguenti modalità:

a) a titolo di anticipazione, per un importo pari al 10% dell'importo;

b) in più quote successive fino al 90% dell'importo, da erogare in relazione all'effettiva realizzazione della corrispondente parte degli investimenti;

c) a saldo, per l'importo residuo.”

Nel caso che ne occupa, il primo rateo è stato liquidato in data 3 dicembre 1999, nell’immediatezza, dunque, del rilascio di idonea polizza fideiussoria del 7 settembre 1999;
le successive due quote, fino alla concorrenza del 90% dell’intero ammontare del contributo concesso, per un importo totale di € 4.963.084,55, sono state liquidate nel 2003 e 2004, sulla base degli avanzamenti lavori accertati.

Non è, pertanto, imputabile all’Amministrazione lo stato di dissesto economico in cui la società si è trovata, nonostante avesse ricevuto la quasi totalità del contributo, per un importo invero consistente, in conformità alla normativa di settore.

Le superiori considerazioni evidenziano l’infondatezza del ricorso che, pertanto, deve essere respinto in uno con l’accessoria istanza risarcitoria.

Quanto, infine, alla pure introdotta istanza di liquidazione di indennizzo, ritiene il Collegio che l'art. 21 quinquies della L.7 agosto 1990 n. 241, inserito dall'art. 14 della L.11 febbraio 2005 n. 15, dispone che l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere all'indennizzo dei destinatari del provvedimento amministrativo revocato solo qualora la revoca sia determinata da "sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario". L’invocata disposizione normativa non è pertanto applicabile nel caso di specie, in cui il soggetto destinatario del provvedimento si obbligava a perseguire delle specifiche finalità a fronte della corresponsione di un contributo in conto capitale, mentre la revoca dello stesso è stata determinata per fatto imputabile al beneficiario (rappresentato, nella specie, dalle rilevate irregolarità commesse nell’ambito del programma agevolato e nello stato di fallimento), il che esclude, di per sé, la possibilità di ottenere alcun indennizzo.

Devono essere, ora, esaminati i motivi aggiunti con cui è impugnata la cartella di pagamento n. 097 2008 0160051185 di Equitalia Gerit s.p.a., agente della riscossione per la Provincia di Roma, relativa la ruolo n. 2008/9446, esecutivo il 23 aprile 2008, atti relativi alla restituzione del finanziamento erogato alla società ricorrente, quale conseguenza del decreto di revoca oggetto del ricorso introduttivo.

Viene, dunque, contestata la legittimità del provvedimento con cui il resistente Dicastero, sulla base di un provvedimento di revoca del contributo già concesso alla parte ricorrente, reclama la restituzione integrale delle somme già erogate, riproponendo sia i medesimi vizi, in via derivata, dedotti avverso l’atto presupposto, che vizi autonomi dell’atto coattivo.

Sotto il primo dei profili dedotti, rileva il Collegio che è contestata l’attività conseguente alla revoca del contributo, fondandosi, in sostanza, il diritto della parte ricorrente di trattenere le somme erogate a titolo di agevolazione industriale quale precipitato consequenziale, in via derivata, della illegittimità dell’atto presupposto.

Pertanto, l’accertata legittimità del decreto di revoca refluisce inevitabilmente sulla legittimità degli atti alla stessa determinazione conseguenti, relativi all’esecuzione dell’ordine di restituzione contenuto nel decreto del 5 marzo 2007.

Con autonomo profilo di illegittimità, la parte ricorrente lamenta che la richiesta di restituzione non è stata limitata alla cifra corrispondente al contributo erogato, ma è comprensiva anche di sanzioni ed interessi, in spregio della normativa relativa ai soggetti falliti.

Osserva, al riguardo, il Collegio che l’art. 55 della legge fallimentare disciplina gli effetti del fallimento sui debiti pecuniari, stabilendo la sospensione del corso degli interessi convenzionali o legali, con effetto dalla data di dichiarazione del fallimento, e fino alla chiusura del fallimento;
da tale sospensione sono esclusi solo i crediti garantiti da ipoteca, da pegno o privilegio, salvo quanto è disposto dal terzo comma dell'articolo 54, stessa legge, che prevede: “L'estensione del diritto di prelazione agli interessi è regolata dagli articoli 2749, 2788 e 2855, commi secondo e terzo, del codice civile, intendendosi equiparata la dichiarazione di fallimento all'atto di pignoramento. Per i crediti assistiti da privilegio generale, il decorso degli interessi cessa alla data del deposito del progetto di riparto nel quale il credito è soddisfatto anche se parzialmente.”.

Il principio della sospensione degli interessi di cui alla norma in esame trova giustificazione nello stato di insolvenza e nella correlativa esigenza di assicurare la "par condicio creditorum", ma si arresta al cospetto di quei crediti che la legge ha qualificato quali crediti privilegiati.

Con riferimento al caso di specie, viene in rilievo il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 123, con cui sono stati individuati i princìpi che regolano i procedimenti amministrativi concernenti gli interventi di sostegno pubblico per lo sviluppo delle attività produttive, ivi compresi gli incentivi, i contributi, le agevolazioni, le sovvenzioni e i benefìci di qualsiasi genere, concessi da amministrazioni pubbliche, anche attraverso soggetti terzi. (cfr. art. 1)

Per quanto di interesse, l’art. 9, del d.lgs. 123 del 1998, nel disciplinare la revoca dei benefici e le sanzioni, al comma 5 così dispone: “ Per le restituzioni di cui al comma 4 i crediti nascenti dai finanziamenti erogati ai sensi del presente decreto legislativo sono preferiti a ogni altro titolo di prelazione da qualsiasi causa derivante, ad eccezione del privilegio per spese di giustizia e di quelli previsti dall'articolo 2751-bis del codice civile e fatti salvi i diritti preesistenti dei terzi. Al recupero dei crediti si provvede con l'iscrizione al ruolo, ai sensi dell'articolo 67, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 1988, n. 43 , delle somme oggetto di restituzione, nonché delle somme a titolo di rivalutazione e interessi e delle relative sanzioni. ”.

Atteso che il credito dello Stato riveniente dalla disposta revoca per fatto imputabile al beneficiario è assistito da privilegio speciale, ad esso non si applica il principio della cristallizzazione degli interessi legali a far data dalla dichiarazione di fallimento, e, pertanto, maturano dopo la dichiarazione di fallimento, gli interessi in misura legale, sia pure solo in via chirografaria, in ragione della limitazione posta dal sopra riportato art. 54, 3° comma, legge fallimentare, che richiama, per l'estensione del diritto di prelazione anche agli interessi, solo gli artt. 2788 e 2855 c.c. sui crediti pignoratizi ed ipotecari e non anche l'art. 2749 c.c. in tema di crediti privilegiati. (cfr., ex multis, Cass Civ., Sez. I, n. 7772 del 14-07-1993;
n. 3960 del 04-04-1995;
n. 670 del 22-01-1997;
n. 2997 del 29-03-1999)

In conclusione, alla stregua delle superiori considerazioni, il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti devono essere respinti.

L’assenza di attività difensiva da parte della Avvocatura erariale è giusta causa per disporre l’integrale compensazione delle spese del giudizio tra le parti.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi