TAR Bari, sez. III, sentenza 2021-05-21, n. 202100876

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bari, sez. III, sentenza 2021-05-21, n. 202100876
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bari
Numero : 202100876
Data del deposito : 21 maggio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/05/2021

N. 00876/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00044/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 44 del 2017, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato G I, con domicilio eletto presso lo studio Giuseppe Martucci Zecca in Bari, via Calefati, n. 377 ( Center Express di -OMISSIS-);

contro

Ministero dell'Interno, U.T.G. - Prefettura di Foggia e Questura di Foggia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Bari, via Melo, n. 97;

per l'annullamento

dei seguenti provvedimenti: 1) il divieto di detenzione armi emesso dalla Prefettura di Foggia il 26-9-2016, notificato il 24-10-2016, recante prot.-OMISSIS-;
2) la revoca del porto d’armi emessa dalla Questura di Foggia il 13-10-2016 e notificata il 21-10-2016;
3) gli atti presupposti e presupponenti, conseguenziali e connessi, comunque riportati dagli stessi atti espressamente impugnati;
nonché per la condanna dell’Amministrazione intimata al risarcimento del danno, conseguente all’indebita compressione della libertà del ricorrente, danno che andrà equitativamente valutato dal Tribunale e che si indica nella somma di € 10.000, o quell’altra ritenuta di giustizia;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di U.T.G. - Prefettura di Foggia e di Questura di Foggia e di Ministero dell'Interno e di Questura Foggia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il dott. Orazio Ciliberti nell'udienza del giorno 19 maggio 2021, tenutasi nella modalità telematica di cui all’art. 23 D.L. n. 137/2020;

Ritenuto e considerato, in fatto e diritto, quanto segue.

FATTO e DIRITTO

I - Il ricorrente, a seguito di un litigio con il padre (e della conseguente denuncia-querela per minacce), era destinatario del decreto di revoca del porto d’armi per uso caccia, notificatogli il 21.10.2016;
nell’occasione, gli veniva pure imposto il divieto di detenere armi.

I provvedimenti in argomento menzionano, in motivazione, una nota del Comando Provinciale Carabinieri di Foggia che fa riferimento all’episodio del litigio familiare.

Il ricorrente deduce di non aver mai minacciato nessuno e che la denuncia-querela del genitore era del tutto calunniosa, sporta a fini emulatori, basata su fatti mai accaduti. Non a caso, il P.M. ha chiesto e ottenuto l’archiviazione del procedimento dal competente Giudice di pace, poiché - come emerge dalla documentazione probatoria processuale - il ricorrente non poteva trovarsi nel luogo e nell’ora di cui ai fatti della denuncia-querela.

Peraltro, al momento della notifica dei due provvedimenti, il ricorrente non aveva più le armi, per averle cedute sin dal 3.8.2016.

Il ricorrente, dunque, insorge, con il ricorso notificato il 20.12.2016 e depositato il 18.1.2017, per impugnare gli atti indicati in epigrafe. Chiede, altresì, la condanna dell’Amministrazione intimata al risarcimento del danno, conseguente all’indebita compressione della sua libertà, danno da valutarsi in via equitativa e che viene indicato nella somma di € 10.000, o in quell’altra ritenuta di giustizia.

Deduce i seguenti motivi di diritto: 1) violazione di legge in relazione all’art. 39 TULPS, eccesso di potere quanto alla carenza di istruttoria, falsità del presupposto, carenza del requisito della pericolosità, violazione del principio di proporzionalità, carenza di motivazione;
2) violazione di legge in relazione all’art. 39 TULPS, carenza del presupposto del possesso delle armi;
3) violazione dell’art. 7 legge n. 214/1990;
4) violazione di legge in relazione all’art. 39 TULPS, carenza dei requisiti dell’urgenza;
5) violazione di legge in relazione all’art., 11 TULPS;
6) eccesso di potere, inosservanza di circolari.

Con successive memorie, il ricorrente ribadisce e precisa le proprie deduzioni e conclusioni.

Si costituisce l’Amministrazione intimata per resistere nel giudizio. In data 24.9.2020, deposita documentazione, ivi compresa una relazione prefettizia datata 9.1.2017.

All’udienza del 19 maggio 2021, tenutasi nella modalità telematica di cui all’art. 23 D.L. n. 137/2020, la causa è introitata per la decisione.

II – Il ricorso è ammissibile e fondato, nei sensi di cui alla motivazione.

III – Vi è interesse a ottenere la decisione del ricorso, poiché il ricorrente è destinatario di un divieto di detenzione armi e, anche se ha ceduto tutte le armi in suo possesso, è allo stato limitato nella possibilità di detenerne altre. Sussiste, inoltre, l’interesse del ricorrente a mantenere la licenza di porto di fucile per uso caccia, ove mai egli volesse riprendere l’attività venatoria.

IV - Nella richiesta di archiviazione del P.M. della denuncia-querela si legge che: “ Dalla lettura della querela sporta da -OMISSIS-nei confronti del figlio -OMISSIS-non emerge alcuna condotta posta in essere da quest’ultimo e che possa essere ricondotta alla fattispecie di reato contestata. Il fatto, pertanto, è da ritenersi insussistente ”. E il decreto di archiviazione del Giudice di pace riprende tale motivazione, affermando che il fatto denunciato non sussiste, poiché non si è mai verificato.

Pertanto, gli impugnati provvedimenti sono privi del loro fondamento fattuale, anche perché, prima e dopo il 2017 (epoca del momentaneo dissidio tra il ricorrente e il di lui genitore) non si sono verificati altri fatti che possano astrattamente far pensare a un’attitudine del ricorrente alla minaccia o alla violenza, ovvero all’uso improprio delle armi.

V - Nella specie, la discrezionalità amministrativa, molto estesa nella materia delle armi, avrebbe dovuto imporre un accertamento più puntuale e approfondito sulla situazione di fatto.

Il provvedimento di revoca del porto d’armi, alla luce delle deduzioni e informazioni del ricorrente, è affetto da carenza di istruttoria e di motivazione sul presupposto fattuale.

L’unica circostanza di fatto su cui si basa è la presenza di una generica denuncia penale. Tuttavia, non solo la denuncia si è dimostrata infondata, ma è stato acclarato che il fatto oggetto di denuncia non è mai accaduto.

Caduto il presupposto di essere stato il ricorrente deferito all’A.G., è destituito di fondamento ogni richiamo alla pericolosità sociale del medesimo.

Il trascorrere del tempo senza che sia successo niente, l’inesistenza degli originari fatti posti a base della denuncia, l’indole presumibilmente pacifica del ricorrente (desumibile dal fatto che non ha mai ricevuto altre denunce di minacce) devono indurre a ritenere che non sussistevano i requisiti per l’emanazione dei provvedimenti impugnati e che, anche all’attualità, le valutazioni di pericolosità del soggetto sono inattendibili.

VI – Solo per inciso, va rimarcato che l’Amministrazione, all’esito di provvedimenti cautelativi come quelli impugnati, emessi sulla semplice base di denunce, per conservarne il fondamento di validità, dovrebbe, comunque, tenere conto dell’esito giudiziario delle denunce stesse, nonché dell’evolvere della situazione in generale.

L’Amministrazione resistente, invece, in presenza di un’archiviazione giudiziaria, non ha risposto all’istanza di autotutela del ricorrente datata 1.12.2016, né alla sua contestuale richiesta di accesso agli atti.

Quando una denuncia-querela si rivela assolutamente infondata perché il fatto denunciato non è mai avvenuto, non può neppure dirsi sussistente il requisito della pendenza di azioni giudiziarie.

Come ha preso atto della presenza di una denuncia, l’Amministrazione avrebbe dovuto prendere atto dell’esito giudiziario e dell’insussistenza di ogni elemento fattuale posto a base della denuncia, ai fini della revoca dell’atto (cfr.: T.a.r. Puglia Bari III,-OMISSIS-/2005 e giurisprudenza ivi richiamata).

VII – La domanda risarcitoria è inammissibile per assenza di specifici motivi e, comunque, infondata, poiché non si è data prova alcuna del danno conseguente ai provvedimenti impugnati.

VIII – In conclusione, il ricorso deve essere accolto nei sensi di cui alla motivazione. Le spese del giudizio possono essere compensate tra le parti.

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