TAR Ancona, sez. I, sentenza 2018-12-17, n. 201800796
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Pubblicato il 17/12/2018
N. 00796/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00160/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 160 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato R M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Ancona, viale della Vittoria n.1;
contro
Ministero dell'Interno, U.T.G. - Prefettura di Ascoli Piceno, in persona dei legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliati ex lege presso la sede della stessa, in Ancona, piazza Cavour, 29;
Comune di -OMISSIS-, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
previa sospensione
- della comunicazione della Prefettura di Ascoli Piceno, prevista dall'art. 87 D.Lgs. 6/9/2011 n. 159, protocollo uscita n°-OMISSIS- del -OMISSIS-, notificata alla ricorrente in pari data, con la quale si comunica la sussistenza in capo alla -OMISSIS- delle cause interdittive ex art. 67 D.Lgs. 6/9/2011 n. 159;
- del conseguente provvedimento della Prefettura di Ascoli Piceno del -OMISSIS- con cui il dirigente dell'Area III, ha respinto l'istanza della -OMISSIS- volta ad ottenere l'iscrizione nell'elenco Prefettizio dei custodi autorizzati all'attività di depositeria giudiziaria ai sensi dell'art. 8 del D.P.R. n. 571/1982 notificata alla ricorrente in pari data;
- della conseguente ordinanza dirigenziale della Città di -OMISSIS- n. -OMISSIS- del -OMISSIS- avente ad oggetto il divieto di prosecuzione attività Scia – A.S.C.S. per il Commercio Elettronico prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, notificata alla ricorrente in data -OMISSIS-.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell’U.T.G. - Prefettura di Ascoli Piceno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 ottobre 2018 il dott. Tommaso Capitanio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La ditta ricorrente impugna i seguenti atti e provvedimenti:
- comunicazione della Prefettura di Ascoli Piceno ex art. 87 del D.Lgs. n. 159/2011, con la quale si comunica la sussistenza in capo ad -OMISSIS- (di seguito, -OMISSIS-) delle cause interdittive di cui al precedente art. 67;
- conseguente provvedimento della Prefettura di Ascoli Piceno del -OMISSIS-, con cui il dirigente dell'Area III ha respinto l'istanza di -OMISSIS- volta ad ottenere l'iscrizione nell'elenco prefettizio dei custodi autorizzati all'attività di depositeria giudiziaria ai sensi dell'art. 8 del DPR n. 571/1982;
- conseguente ordinanza dirigenziale del Comune di -OMISSIS- n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, avente ad oggetto il divieto di prosecuzione dell’attività di cui alla s.c.i.a. – A.S.C.S. per il commercio elettronico prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-;
- ogni altro atto presupposto, connesso e comunque consequenziale, che incida sfavorevolmente sulla posizione giuridica della stessa ricorrente.
2. In punto di fatto, -OMISSIS- espone quanto segue:
- in data -OMISSIS- essa ricorrente presentava alla Prefettura di Ascoli Piceno istanza per l'iscrizione nell'elenco prefettizio dei custodi autorizzati all'attività di depositeria giudiziaria ai sensi dell'art. 8 del DPR n. 571/1982;
- in data -OMISSIS- veniva notificata ad essa ricorrente la nota prefettizia che attesta la sussistenza in capo alla stessa delle cause interdittive ex art. 67 D.Lgs. n. 159/2011, mentre il successivo -OMISSIS- veniva notificato il provvedimento di rigetto dell’istanza di iscrizione al predetto elenco prefettizio;
- in data -OMISSIS- veniva invece notificata la nota del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, recante la comunicazione di avvio del procedimento di revoca dell'AEP relativa all’attività di autotrasporto su strada;
- in data -OMISSIS- veniva notificata l’ordinanza dirigenziale n. -OMISSIS- del Comune di -OMISSIS-, avente ad oggetto il divieto di prosecuzione di attività di commercio elettronico, di cui alla s.c.i.a. prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-;
- nessuna misura di prevenzione e/o condanna per i reati di cui all'articolo 51, comma 3- bis , c.p.p. è mai intervenuta nei confronti della -OMISSIS- e/o dei suoi soci e/o amministratori.
3. L’interdittiva prefettizia viene censurata per i seguenti motivi:
a) violazione di legge e travisamento della natura della comunicazione antimafia, violazione e falsa applicazione della disciplina prevista dall'art. 67 del D.Lgs. n. 159/2011. Illegittima estensione ad -OMISSIS- degli effetti derivanti da altra interdittiva. Erroneità della motivazione. Eccesso di potere.
Con questo primo gruppo di censure parte ricorrente evidenzia che:
- la sussistenza, nei confronti di -OMISSIS-, delle cause interdittive di cui all'art. 67 del D.Lgs. n. 159/2011 è stata desunta dalla condanna subita per il reato di cui all'art. 260 del D.Lgs. n. 152/2006 dal sig. -OMISSIS-, il quale, come risulta dalla sentenza penale, era l'amministratore di fatto della -OMISSIS- (di seguito, -OMISSIS-), mentre il figlio sig. -OMISSIS-, ufficialmente amministratore unico di tale società, era soltanto un prestanome;dal fatto che l’odierna ricorrente opera nel medesimo sito ove aveva sede la -OMISSIS-;dalla circostanza che sono rimaste sostanzialmente immutati la compagine sociale e il personale della -OMISSIS- (la proprietà, in origine tutta del sig. -OMISSIS-, risultava essere stata trasferita per il 98% alla sig.ra -OMISSIS-;il sig. -OMISSIS- sarebbe socio unico della ditta, mentre la sig.ra -OMISSIS- ricopre la carica di amministratore unico;il sig. -OMISSIS- continua a lavorare presso la ditta e ne cura in prima persona la gestione);
- al fine di verificare se l’operato della Prefettura di Ascoli Piceno è legittimo, ad avviso della società ricorrente occorre stabilire quale sia la ratio della normativa applicata nella specie. La comunicazione antimafia interdittiva prevista dall'art. 87 del D. Lgs. n. 159/2011, specie dopo i correttivi alla disciplina apportati dal D.Lgs. n. 153/2014, ha assunto un ruolo residuale in quanto laddove il Prefetto, in seguito alla consultazione della banca dati nazionale, accerti la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa nei confronti della società, anche in materia di autorizzazioni e licenze, dovrà adottare l'informativa antimafia anziché la comunicazione e “ …L'informazione antimafia adottata ai sensi del comma 1 tiene luogo della comunicazione antimafia richiesta… ”. Ne consegue che la comunicazione antimafia costituisce un minus rispetto all’informazione antimafia (attestando quest’ultima anche l’eventuale sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa) e va richiesta in relazione a fattispecie di rilievo minore rispetto a quelle per cui è prevista l’informazione;
- -OMISSIS- è soggetto giuridico del tutto distinto dalla -OMISSIS-, e, con riguardo alla compagine societaria, si deve rilevare che, a differenza di quanto sostenuto dalla Prefettura, il sig. -OMISSIS- non è affatto socio unico della ditta ricorrente (in quanto lo stesso detiene soltanto il 2% del capitale sociale mentre il restante 98% risulta in capo alla sig.ra -OMISSIS-, che non figurava nella compagine sociale di -OMISSIS-);
- il fatto che la compagine societaria della ricorrente sia composta anche da parenti del precedente socio unico -OMISSIS- e del -OMISSIS- (peraltro parenti non conviventi) non può essere posto a base di una considerazione come quella contenuta nella comunicazione interdittiva secondo cui “ …dalla ricostruzione storica societaria emerge con assoluta evidenza che la -OMISSIS- rappresenta sostanzialmente la prosecuzione della -OMISSIS-….. ”. Tale considerazione risulta essere apodittica, in quanto sfornita di riscontri concreti, basata su mere presunzioni, e risulta in evidente contrasto con il dato normativo. Del pari priva tanto di (indispensabili) riscontri giurisdizionali che di altri specifici elementi addotti nella motivazione del provvedimento risulta la considerazione secondo cui il sig. -OMISSIS- continua a lavorare e a gestire di fatto la ditta -OMISSIS-. Il predetto sig. -OMISSIS- è infatti regolarmente assunto presso la società ricorrente come operaio unicamente in ragione della sua esperienza. Per cui, in assenza di un accertamento giudiziario sul punto (come era invece accaduto in occasione del giudizio penale conclusosi con la condanna del sig. -OMISSIS-), l’opinione della Prefettura appare arbitraria e immotivata;
- l’art. 67, comma 4, del D.Lgs. n. 159/2011 prevede del resto che l’estensione degli effetti dei divieti e delle decadenze di cui ai commi 1 e 2 a persone diverse da quella colpita da misure di prevenzione o da condanne di cui al comma 8 può essere disposta solo dal giudice penale;
- il provvedimento prefettizio impugnato ha pertanto erroneamente esteso alla -OMISSIS- gli effetti della condanna penale nei confronti del sig. -OMISSIS-, in assenza di una delle tassative ipotesi previste dall’art. 67 ed in assenza di qualsivoglia provvedimento giudiziale che accertasse la sussistenza dei presupposti per l'estensione dei divieti e delle decadenze in capo alla ditta ricorrente;
- poiché nella specie viene in rilievo una comunicazione interdittiva antimafia e non un’informativa antimafia, si deve altresì evidenziare che alcun indizio di infiltrazione mafiosa ha mai interessato nemmeno i soggetti originariamente destinatari della prima comunicazione interdittiva. Né si può avallare la tesi secondo cui, allorquando una società viene colpita da un provvedimento interdittivo, gli effetti di tale provvedimento si estendono automaticamente anche ad altre società, perché in tal modo si innescherebbe un processo a catena di distruzione del patrimonio aziendale di un numero indefinito di società, oltreché di danneggiamento dell'immagine e della reputazione di un numero indefinito di cittadini, basato esclusivamente su presunzioni. Questo è tanto più vero nel caso della ricorrente, nei confronti della quale non è rinvenibile alcun collegamento con la criminalità organizzata;
- e anche laddove si volesse ritenere possibile adottare informative antimafia “a cascata”, va ricordato che la giurisprudenza amministrativa ha individuato ben precisi limiti al potere dell’amministrazione, ed in particolare la dimostrazione della sussistenza di un concreto pericolo di permeabilità mafiosa, non essendo sufficiente un qualsiasi collegamento fra l’impresa colpita da interdittiva e l’impresa a cui si vogliono estendere gli effetti di tale interdittiva;
- nella specie, il sig. -OMISSIS- è un semplice operaio della -OMISSIS- la cui assunzione è legata unicamente alla sua esperienza nel settore, per cui lo stesso non ha alcun potere di determinare scelte e/o indirizzi della ditta, mentre nessuno dei titolari di cariche sensibili in seno ad -OMISSIS- ha mai riportato condanne o è stato destinatario di altri provvedimenti che possano giustificare l'applicazione di provvedimenti interdittivi;
b) in ogni caso, illogicità della valutazione posta alla base della comunicazione interdittiva in relazione alla rilevanza dei fatti accertati. Violazione e falsa applicazione degli artt. 67 D.Lgs. n. 159/2011 e 166 cod. pen. Carenza di motivazione. Eccesso di potere.
Al riguardo, la ditta ricorrente evidenzia che:
- fermo restando quanto detto con il primo motivo di ricorso, il provvedimento prefettizio si appalesa comunque illegittimo, in quanto per la sua adozione era necessaria una pronuncia dell'autorità giudiziaria;
- in ogni caso, poiché il provvedimento si basa unicamente sulla condanna riportata dal sig. -OMISSIS- per il reato previsto e punito dall'art. 260 del D.Lgs. n. 152 /2006 e sul fatto che l’interessato continua a lavorare per la ditta ricorrente, va richiamata la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui, in presenza di c.d. reati spia, il Prefetto deve dare conto delle circostanze da cui ritiene di desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa, non essendo invece legittimo istituire un automatismo tra la condanna penale e l’adozione dell’informativa ad effetto interdittivo;
- ed infatti, in tutti i casi in cui il Consiglio di Stato ha ritenuto legittimi i provvedimenti interdittivi adottati in ragione dell’esistenza di condanne per “reati spia”, tali provvedimenti traevano origine dal concreto accertamento di risultanze ulteriori rispetto alla condanna penale (al riguardo vengono citate le sentenze del Consiglio di Stato n. 5470/2017 e n. 1315/2017). Questo perché l'interdittiva prefettizia mira all'obiettivo di mantenere un atteggiamento intransigente contro i rischi di infiltrazione mafiosa e, seppure non richieda la dimostrazione della intervenuta infiltrazione, presuppone comunque la sussistenza di un quadro indiziario dal quale sia deducibile il tentativo di ingerenza;
- nel caso della ricorrente non esiste alcun quadro indiziario che possa far pensare ad un tentativo di ingerenza di organizzazioni criminali, il che del resto è comprovato dal fatto che il provvedimento impugnato nulla dice sul punto;
- nel merito della condanna subita dal sig. -OMISSIS- nel -OMISSIS-, la stessa è stata adottata a seguito di patteggiamento e l’interessato ha potuto beneficiare della sospensione condizionale della pena, a seguito di favorevole giudizio prognostico circa possibili future recidive. Inoltre il giudice penale, oltre a non aver fatto riferimento a fenomeni associativi, ha altresì concluso nel senso che “ Risulta risolta ogni questione in ordine al ripristino dello stato dell'ambiente e non emerge alcun attuale danno o pericolo ambientale, così che non è richiesta l'adozione delle statuizioni di cui all'ultimo capoverso dell'art. 260 D.Lgs. 152 del 2006 ”. In presenza di un simile scenario era onere della Prefettura valutare sia le concrete modalità di commissione del reato, sia il contesto imprenditoriale in cui lo stesso è maturato e la portata del danno ambientale eventualmente arrecato;
- va inoltre considerato che, ai sensi dell'art. 166 cod. pen., la condanna a pena condizionalmente sospesa non può costituire in alcun caso, di per sé sola, motivo per l'applicazione di misure di prevenzione né di impedimento all'accesso a posti di lavoro pubblici o privati (tranne i casi specificamente previsti dalla legge), né per il diniego di concessioni, di licenze o di autorizzazioni necessarie per svolgere attività lavorativa (TAR Friuli, n. 134/2017), e questo perché l’art. 67, comma 8, del D.Lgs. n. 159/2011 non deroga espressamente all'art. 166, comma 2, cod. pen.;
c) violazione di legge. Decorrenza del termine quinquennale dalla condanna previsto dall'art. 67, comma 4, D.Lgs. n. 159/2011, perdita di efficacia dei divieti di cui all'art. 67, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 159/2011.
L’impugnato provvedimento prefettizio sarebbe comunque illegittimo anche per violazione del limite temporale di cinque anni di cui all’art. 67, comma 4, visto che la condanna subita dal sig. -OMISSIS- risale al -OMISSIS-;
d) violazione e falsa applicazione di legge. Illegittimità derivata. Omessa comunicazione di avvio del procedimento. Eccesso di potere.
Quanto al provvedimento del dirigente dell'Area III della Prefettura di Ascoli Piceno del -OMISSIS- (con cui è stata respinta l'istanza di iscrizione nell'elenco prefettizio dei custodi autorizzati all'attività di depositeria giudiziaria) e all’ordinanza del Comune di -OMISSIS- n. -OMISSIS- (recante il divieto di prosecuzione attività di cui alla s.c.i.a. del -OMISSIS-), gli stessi sono illegittimi sia in via derivata, traendo essi origine dall’interdittiva prefettizia, sia ex se , essendo stata omessa la comunicazione di avvio del procedimento.