TAR Roma, sez. 2T, sentenza 2018-07-17, n. 201808008

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2T, sentenza 2018-07-17, n. 201808008
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201808008
Data del deposito : 17 luglio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/07/2018

N. 08008/2018 REG.PROV.COLL.

N. 02054/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2054 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Soc Eridania Sadam S.p.A, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati G M R, A M, M S, I V, con domicilio eletto presso lo studio G M R in Roma, Foro Traiano 1/A;

contro

Agea - Agenzia per Le Erogazioni in Agricoltura, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali non costituito in giudizio;

per l'annullamento

(con il ricorso introduttivo)

della nota AGEA del 26 novembre 2014, prot. n. AGEA.UMU.2014.2342, con la quale è stato comunicato alla ricorrente che, ad esito della Decisione in data 18.11.2014, in corso di pubblicazione, con la quale l’U.E. ha escluso dal finanziamento destinato all’Italia un importo pari ad euro 90.498.735,16, l’Agenzia deve attivare il procedimento di recupero delle somme già pagate che non sono dovute agli zuccherifici che non hanno smantellato i silos pur in assenza di riforma dei procedimenti di approvazione dei progetti di ristrutturazione e di istruttoria delle connesse rendicontazioni, e che la quota del predetto importo da restituire riconducibile alla ricorrente è pari ad euro 14.843.650,28.

e di ogni altro atto presupposto, collegato, connesso e/o consequenziale,

(con primo atto di motivi aggiunti)

- della nota AGEA - Organismo Pagatore Ufficio Monocratico del 2/2/2015, prot. n. DAPU.2015.27 con la quale è stato comunicato alla ricorrente che, in relazione alla nota del 26/11/2014, prot. n. AGEA.UMU.2014.2341, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea L.16 del 23 gennaio 2015 la decisione dell’Unione Europea di escludere dal finanziamento U.E. destinato all’Italia un importo pari ad euro 90.498.735,16 (questione silos-fondo per la ristrutturazione per il settore dello zucchero);

(con secondo atto di motivi aggiunti)

- della scheda Informativa Credito, emessa da Agea in data 9.12.2014, n. 327535 nella quale risulta indicato un presunto debito a carico della società ricorrente per un importo pari ad pari ad euro 14.843.650,28, quale aiuto assegnato per la ristrutturazione dell’industria dello zucchero ai sensi dei Regolamenti 2006/320/CE e 2006/968/CE;

- degli eventuali atti, non conosciuti, con i quali la stessa Agea ha disposto la trascrizione di siffatto presunto debito nella suddetta scheda;

- di ogni ulteriore atto presupposto, connesso e/o consequenziale, ivi comprese le note Agea del 26.11.2014, n. DAPU.2014/00317;
3.11.2014, prot. AGEA.UMU.2014.2202;
3.11.2014, prot. AGEA.DPMU.2014.4710;
10.10.2014, prot. n. AGEA.UMU.2014.2077 e 25.7.2014, prot. n. AGEA.DAPU.2014.193 nonché della nota del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali 1.10.2014, prot. n. 5566 e di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Agea - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 maggio 2018 il dott. S G C e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

L’impresa ricorrente è beneficiaria di sostegni per lo smantellamento di impianti di produzione di zucchero, ai sensi dei Regolamenti CE n. 320/2006 e 968/2006 che prevedono la concessione di contributi economici alle imprese saccarifere, a fronte della presentazione di progetti di ristrutturazione che comportino la rinuncia alle “quote di produzione” e lo smantellamento di impianti industriali, al fine di contribuire al contenimento dell’offerta produttiva nell’UE, considerata in eccedenza.

Precisa la difesa della ricorrente che la disciplina europea consentiva di escludere dallo smantellamento determinate tipologie di impianti, in particolare quelle rivolte allo stoccaggio ed al confezionamento del prodotto.

La imprese procedevano secondo le indicazioni regolamentari presentando domanda al MIPAAF completa di piano di ristrutturazione ai sensi dell’art. 4, par. 2 e 3 del Reg. CE n. 320/2006;
rinunciavano a specifiche quote di produzione relative agli stabilimenti meglio indicati in ricorso (precisamente, quanto all’Eridiana, si trattava dello stabilimento di Russi – Ravenna per un quantitativo di produzione pari a 285.988 tonnellate);
nel piano di ristrutturazione prevedevano espressamente il mantenimento dei sili presso alcune parti degli stabilimenti (Eridiana Russi) nelle quali si svolgeva attività di confezionamento (packaging), ritenuta compatibile con il mantenimento delle relative installazioni.

Si svolgeva, in seno al procedimento ministeriale, una specifica istruttoria volta ad accertare la natura dell’impianto da preservare dallo smantellamento totale, che si concludeva con esito favorevole al mantenimento dell’impianto.

Il MIPAAF comunicava quindi l’ammissibilità dell’intervento ai sensi dell’art. 9 del Regolamento CE 968/2006 e la concessione dell’aiuto alla ristrutturazione nell’importo previsto per l’ipotesi di smantellamento completo (art. 10 regolamento CE 968/2006;
note del 3 agosto e del 29 settembre 2006).

Nel 2010 la Commissione sollevava un’obiezione circa la possibilità che i siti potessero essere mantenuti, in quanto li riteneva “sempre qualificabili” alla stregua di impianti di produzione.

Le Autorità Italiane, pur contestando tale decisione, adottavano un invito alle imprese (22 marzo 2011) sollecitandole a completare le attività per la dismissione dei sili ancora operativi;
e sospendevano lo svincolo della fidejussione richiesta alle imprese interessate (a garanzia della realizzazione delle misure previste dal piano) che chiedevano altresì di prorogare per sei mesi.

Le imprese interessate venivano anche informate della nota della Commissione Europea del 9 dicembre 2010 di contestazione allo Stato Italiano del mantenimento dei sili perché in contrasto con i regolamenti richiamati.

Le stesse agivano in giudizio, impugnando tali atti e provvedimenti.

Con sentenza del 1 dicembre 2011, n. 9467 di questo TAR, veniva accolto il ricorso di Eridania limitatamente alla parte intesa ad ottenere lo svincolo parziale della cauzione (precisamente nei limiti della differenza tra l’importo degli aiuti per lo smantellamento totale degli impianti e l’importo degli aiuti relativi allo smantellamento solo parziale), rigettando i motivi rivolti a sostenere la natura strumentale e non produttiva dei sili.

Appellata la sentenza di primo grado, il Consiglio di Stato sollevava questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE ex art. 267 TFUE che si pronunciava con sentenza del 14 novembre 2012, cause riunite da C-187/12 a C.189/12, Eridania, stabilendo che spettasse al giudice nazionale lo svolgimento di una analisi “caso per caso” finalizzata a verificare l’effettiva funzione dei siti e conseguente possibilità di mantenerli a fronte del riconoscimento dell’aiuto allo smantellamento completo.

Riassunto il giudizio, il Consiglio di Stato concludeva per la natura produttiva per i tre sili presenti nello stabilimento di Russi (Eridania) confermando che fossero quindi da demolirsi (sentenza nr. 3184 del 23 giugno 2014).

La sentenza veniva impugnata sia in Cassazione ex art. 111 Cost., che di fronte allo stesso Consiglio di Stato mediante una azione revocatoria per errore manifesto.

Nelle more, il procedimento conduceva alla decisione di esecuzione della Commissione 16/1/2015, n. 103, con la quale veniva esclusa dal finanziamento a carico del FEAGA una parte dei contributi riconosciuti allo Stato italiano (e, da quest'ultimo, alla Società ricorrente) per la dismissione degli zuccherifici.

Siffatta decisione veniva impugnata dallo Stato italiano innanzi al Tribunale di Primo Grado U.E. (causa T-135/15, estratto pubblicato in G.U.U.E. 11/5/2015).

Ancor prima dell'adozione e pubblicazione della decisione della Commissione, con nota 26/11/2014, prot. n AGEA.UMU.2014.2341, assunta a seguito dell’asserita adozione in data 18 novembre 2014, di una decisione di correzione finanziaria con la quale l’Unione Europea aveva escluso dal finanziamento UE destinato all’Italia la quota corrispondente agli importi degli aiuti di cui si discute, Agea avviava il procedimento di recupero del contributo, intimando alla Società ricorrente di restituire le somme percepite per lo smantellamento totale degli impianti.

Più precisamente, nella suddetta nota 26/11/2014 Agea chiedeva alla Società ricorrente di " provvedere, entro gg. 30 dalla notifica, a cura di questa Agenzia, della predetta Decisione, a restituire il complessivo importo di € 24.642.251,75 ", precisando altresì che resta ferma " la facoltà di Agea di procedere a recupero mediante compensazione su futuri pagamenti ", oltre che di " recupero coattivo ".

Successivamente, la stessa Agea con nota 2/2/2015, prot. n. DAPU.2015.27., comunicava che " la decisione dell'Unione Europea di escludere dal finanziamento UE destinato all'Italia la cifra di € 90.498.735,16 (questione silos – fondo per la ristrutturazione per il settore dello zucchero) è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea L 16 del 23 gennaio 2015 ".

Le suddette note di Agea sono impugnate dalla Società ricorrente con il ricorso introduttivo del presente giudizio (nota 26 novembre 2014, prot. UMU.2014.2342 notificata il 27 novembre 2014) e con i successivi motivi aggiunti notificati l’11 marzo 2015 e depositati in pari data.

Con il ricorso, viene lamentata:

I) violazione artt. 3, 7, 10, 21 quinquies e 21 nonies della l. 241/90;
violazione art. 2, l. 81/2006;
violazione del principio del contrarius actus , difetto di istruttoria e di motivazione.

Con il primo motivo di ricorso introduttivo la ricorrente si duole che, essendo stati concessi gli aiuti alla ristrutturazione con puntuali atti e provvedimenti dell’autorità italiana e segnatamente dal MIPAAF nel 2006, medesimo procedimento avrebbe dovuto essere svolto dall’autorità concedente e non dall’AGEA;
sarebbe mancata una previa valutazione del provvedimento concessorio e della posizione della beneficiaria degli aiuti, anche sulla base del tempo trascorso e degli altri presupposti previsti dalle norme citate in ordine all’esercizio dell’autotutela;
benefici a suo tempo conseguiti sulla base di atti e provvedimenti esecutivi dell’Amministrazione nazionale;
sarebbe anche mancato il coinvolgimento della parte interessata nel procedimento con tutte le necessarie e conseguenti garanzie di partecipazione.

II) violazione artt. 3, 7, 10, 21 septies e 21 nonies l. 241/90, violazione art. 31 Regolamento CE n. 1290/2005, violazione del principio del legittimo affidamento, difetto di istruttoria e di motivazione.

Con il secondo motivo di ricorso introduttivo, viene censurato il provvedimento impugnato perché privo degli elementi essenziali attinenti la motivazione;
premesso, nella nota AGEA, che il ricorrente deve pagare l’importo di euro 14.843.650,28 entro il termine di 30 giorni dalla notifica dell’asserita decisione della Commissione europea di correzione finanziaria (la cui notifica dovrà avvenire a cura della stessa AGEA), rileva la ricorrente che non sono esplicitate le modalità di calcolo del predetto importo;
la prescrizione di recupero si fonda su un provvedimento che rimane del tutto ignoto;
non risulta quindi una decisione della Commissione ai sensi dell’art. 288 TFUE completa della necessaria motivazione;
risulterebbe violato l’art. 31, par. 4 del regolamento (CE) n. 1290/2005, il quale prescrive un termine decadenziale decorso il quale la Commissione non può più apportare correzioni finanziarie, termine che risulta ampiamente trascorso;
sarebbe violato il legittimo affidamento maturato dalla beneficiaria in ordine alla stabilità dell’assegnazione dei finanziamenti di che trattasi proprio in relazione all’operatività del suddetto termine;
rileva la plausibilità che la decisione di cui trattasi presenti profili di distonia anche rispetto ai criteri stabiliti dalla sentenza della Corte di Giustizia UE nelle cause riunite da C-187/12 a C-189/12.

III) violazione dell’art. 26 del regolamento (CE) n. 968/2006, violazione del principio del legittimo affidamento. Eccesso di potere e difetto di motivazione.

Con il terzo motivo del ricorso introduttivo, viene censurata la nota impugnata in quanto erroneamente muoverebbe dal presupposto della doverosità dell’ottemperanza agli obblighi derivanti dalla “predetta decisione” (ovvero quella della Commissione che è solamente annunciata nella nota impugnata e che resta non conosciuta dalla destinataria).

Infatti, secondo la ricorrente, le decisioni di correzione finanziaria producono ed esauriscono i propri effetti nell’ambito del rapporto tra la UE e lo Stato membro di volta in volta interessato;
come tali, esse non producono effetti nei diversi rapporti tra l’amministrazione statale ed i singoli, con la conseguenza che lo Stato non sarebbe obbligato al recupero “automatico” delle somme che ne hanno formato oggetto. Ciò troverebbe conferma nelle disposizioni del Regolamento (CE) n. 968/2006, il quale, pur prevedendo una ipotesi di recupero dei benefici a carico delle imprese che non abbiano correttamente eseguito gli impegni assunti nei piani presentati ed approvati (circostanza che, comunque, secondo la ricorrente, non sussisterebbe), non configura in alcun modo un automatismo, tanto che all’art. 3 consente allo Stato di accordare un termine (di due mesi) per consentire all’impresa saccarifera interessata di conformarsi agli impegni assunti ed approvati in sede di piano, così ovviamente escludendo iniziative di recupero;
in ogni caso, non sarebbe configurabile un inadempimento di alcun genere, avendo l’impresa eseguito un programma regolarmente presentato all’autorità nazionale e da questa approvato sulla base di un contesto normativo e di fatto che al momento dell’approvazione era univoco e coerente con l’interpretazione dell’art. 4, par. 1, lett. c) del regolamento (CE) n. 968/2006;
gli obblighi previsti da quel piano erano stati tutti pienamente attuati;
quindi Eridiana avrebbe maturato un legittimo affidamento sulla stabilità dei finanziamenti ottenuti anche sotto i profili sin qui considerati ed anche sulla base del fatto ce la presenza del silos di Russi e la connessa attività di finanziamento erano positivamente apprezzati, oltre che nel precitato piano di ristrutturazione, anche nel piano nazionale per la razionalizzazione e la riconversione della produzione bieticolo-saccarifera, entrambi confermati dall’accordo di riconversione dello stabilimento di Russi, siglato l’8 novembre 2007, approvato dal Comitato Interministeriale di cui all’art. 2, co.1 della l. n. 81/2006, nella seduta del 19 marzo 2008 e successivamente riconfermato e dichiarato di interesse nazionale dal medesimo Comitato Interministeriale nella seduta del 9 settembre 2009 (i progetti di riconversione sono dichiarati di interesse strategico e costituiscono priorità nazionale ai sensi dell’art. 29 del DL 5/2012, come da ultimo modificato dall’art. 30-ter del DL n. 91/2014).

Con il primo atto di motivi aggiunti, rivolto avverso la nota AGEA del 2 febbraio 2015, n. DAPU.2015.26, notificata in pari data a mezzo PEC, con la quale veniva reso noto che la decisione dell’UE di escludere dal finanziamento destinato all’Italia l’importo di euro 90.498.735,16 è stata pubblicata sulla GUUE n. 16 del 23 febbraio 2015 AGEA, lamenta (I) l’illegittimità derivata rispetto alla nota AGEA del 26.11.2014, (II) l’illegittimità derivata rispetto alla decisione di esecuzione della Commissione n. (UE) 2015/103, pubblicata in GUUE L16 del 23 gennaio 2015, pag. 33 (“decisione di esecuzione”) che, a sua volta, è illegittima;
la decisione di esecuzione presuppone una “presunta interpretazione erronea della produzione di zucchero”, riferibile agli anni 2007, 2008 e 2009;
la decisione di esecuzione sarebbe a sua volta illegittima per 1) violazione dell’art. 31, par. 4, del Regolamento (CE) 1290/2005;
violazione del limite temporale relativo alle spese eseguite più di 24 mesi prima della comunicazione scritta da parte della Commissione allo Stato membro interessato, dei risultati delle verifiche);
non sarebbero quindi discutibili le spese eseguite prima del 10 dicembre 2008, ovvero le spese sostenute ventiquattro mesi prima dell’invio della comunicazione formale ex art. 11 del Regolamento (CE) n 1290/2005;
gli importi di cui si richiede la restituzione – i.e. gli importi relativi allo stabilimento di Russi, unico sito di Eridania in cui sono stati mantenuti i silos – sono relativi alla rinuncia alla quota della campagna 2006/2007 e, coerentemente con l’art. 10, par. 4, del regolamento (CE) n. 320/2006, sono stati pagati in due rate, entrambe antecedenti il termine di 24 mesi che viene a cadere il 10 dicembre 2008, ovvero il 4 luglio 2007 (il 40% dell’importo) ed il 22 febbraio 2008 (per il restante 60%). Peraltro, sarebbe questa la posizione assunta dallo Stato Italiano nel corso dell’istruttoria svolta dalla Commissione e, coerentemente, dovrebbe essere stata ribadita nel quadro dell’impugnativa avverso la decisione di esecuzione;
(2) violazione dell’art. 11 del Regolamento (CE), n. 885/2006, nonché della sentenza della Corte di Giustizia 14 novembre 2013, cause riunite da C-187/12 e C-189/12 “ Sfir e a. ”;
sarebbe mancato uno specifico ed ulteriore contraddittorio con le Autorità Italiane che sarebbe stato necessario dopo la diversa lettura delle norme operata dalla Corte di Giustizia con le sentenze sopra indicate, con possibilità dello Stato Italiano di interloquire in ordine all’accertamento caso per caso dell’effettiva destinazione dei silos degli impianti in discussione;
in particolare, l’analisi “caso per caso” andrebbe svolta tenendo conto della situazione “post ristrutturazione” e non certo limitarsi alla situazione esistente “ante ristrutturazione”;
del resto Eridiana rinunciava alle quote di produzione come previsto sin dalla campagna 2006/2007;
lo scopo della possibilità di mantenere parte degli impianti era quella di “premiare” le imprese che, sebbene decidano di cessare la produzione di zucchero, continuino ad investire creando occupazione (considerando nr. 4 del regolamento (CE) n. 968/2006);
deporrebbe per la tesi della ricorrente il c.d. “effetto utile” del regime europeo della ristrutturazione dell’industria saccarifera, articolato secondo precisi adempimenti che parte ricorrente enuclea, sostenendo che sarebbe da escludere che sia sempre necessario che i silos al servizio del confezionamento siano solo quelli da sempre adibiti a tale scopo;
una tale lettura avrebbe lo stesso effetto di impedire lo smantellamento di impianti obiettivamente necessari all’attività di confezionamento per il solo fatto che, prima della chiusura dello stabilimento di produzione dello zucchero, l’impianto riceveva sia zucchero prodotto altrove che zucchero prodotto in situ , perché così si otterrebbe la conseguenza, esclusa dalle decisioni della Corte, che i silos andrebbero sempre abbattuti ;
(3) violazione del principio del legittimo affidamento;
il regime dei silos nel quadro dello smantellamento completo era già stato esaminato dalla Commissione nel quadro di un audit precedente, nr. EX/2008/008/IT;
nella comunicazione ex art. 11 del regolamento (CE) n. 885/2006 dell’8 aprile 2009, la Commissione riscontrava la presenza di alcuni silos di stoccaggio e macchine confezionatrici e, dopo i chiarimenti del Governo, nessun rilievo veniva sollevato dalla Commissione;
anche nel febbraio del 2010 la Commissione confermava la legittimità del mantenimento dei silos a fronte del riconoscimento dell’aiuto allo smantellamento completo (riunione bilaterale del 3 febbraio 2010);
(4) violazione delle linee guida della Commissione definite nel documento n. VI/5330/97, difetto di motivazione;
a norma di tali principi, in presenza di difficoltà di interpretazione dei testi comunitari, si potrà applicare l’aliquota più bassa o non applicare alcuna rettifica;
III) violazione ed elusione della sentenza del TAR Lazio n. 9467/2011 e della sentenza del Consiglio di Stato, nr. 3184/2014, violazione dell’art. 24 della Costituzione, violazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale, inefficacia, eccesso di potere, contraddittorietà;
dal quadro delle sentenze indicate non deriverebbe affatto l’esclusivo obbligo di procedere al recupero delle somme erogate, in quanto le stesse decisioni avrebbero fatto salvo lo smantellamento completo dei silos in alternativa alla restituzione delle somme e pertanto gli atti impugnati violerebbero la facoltà della parte interessata di optare per la integrale esecuzione “in natura”.

Si è costituita l’AGEA che resiste al ricorso del quale chiede il rigetto.

Con ordinanza n. 1706/2015 del 17 aprile 2015, veniva accolta la domanda cautelare, sulla scorta della pendenza del ricorso dello Stato italiano dinanzi al Tribunale dell’UE per l’impugnazione della decisione della Commissione Europea del 16 gennaio 2015 numero 2015/103, a seguito della quale è stato adottato l’atto impugnato ed anche per consentire la valutazione della sussistenza della giurisdizione del g.a. sulla domanda.

Con il secondo atto di motivi aggiunti, notificato l’8 giugno 2015 e depositato il 18 giugno 2015, la parte ricorrente impugna la “scheda informativa credito” emessa da AGEA in data 9 dicembre 2014, n. 327535 di cui dichiara di avere avuto conoscenza in occasione dell’accesso agli atti presso AGEA in data “10 aprile 2014” (rectius, 10 aprile 2015, come si evince meglio dal testo dell’atto) dietro istanza del 23 febbraio 2015, nella quale risulta indicato il presunto debito oggetto degli atti già impugnati e quindi pari ad euro 14.843.650,28, atto conseguenziale alla già impugnata nota

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