TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2020-10-12, n. 202010317
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 12/10/2020
N. 10317/2020 REG.PROV.COLL.
N. 08217/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8217 del 2014, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato M G, domiciliato presso la Segreteria del TAR Lazio in Roma, via Flaminia, 189;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del decreto emesso il 10 marzo 2014, notificato il 2 aprile 2014, con il quale il Ministro dell’Interno ha rigettato la domanda di concessione della cittadinanza italiana proposta ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), l. 91/92, identificata con il numero K 10/226878;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 settembre 2020 il cons. A M V e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso, spedito per la notifica il 3 giugno 2014 e depositato il successivo 20 giugno, il cittadino marocchino -OMISSIS-impugna il decreto con il quale gli è stata respinta la domanda di cittadinanza, lamentandone l’illegittimità per eccesso di potere per difetto di motivazione e del difetto di istruttoria per non essere stata valutata la complessiva personalità del ricorrente, né esplicitate le ragioni del giudizio sfavorevole in relazione alle vicende fattuali oggetto della vicenda penale.
Il 29 settembre 2014 il Ministero si è costituito con atto di rito.
Il 24 settembre 2020 il Ministero ha depositato documenti ed una relazione sui fatti di causa.
Il 28 settembre 2020 il ricorrente deposita l’ordinanza del 22 ottobre 2019 con cui il Tribunale di Sorveglianza di Brescia gli ha concesso la riabilitazione
Alla pubblica udienza del 29 settembre 2020 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Con il gravame in trattazione il ricorrente lamenta la mancata valutazione della complessiva personalità con riferimento al grado di inserimento in Italia e l’omessa esplicitazione delle ragioni sulla cui base l’Amministrazione ha dedotto dalla -OMISSIS-un giudizio sfavorevole.
Il Collegio rileva che, se da un lato, il ricorrente non contesta la condanna del Tribunale di Brescia con -OMISSIS-in data 23 dicembre 2009, pendente la domanda di cittadinanza presentata pochi giorni prima, dall’altra, nulla allega il ricorrente a smentita della sussistenza dei requisiti che avrebbero dovuto indurre l’Amministrazione a ritenere sussistente la coincidenza dell’interesse pubblico con l’interesse del ricorrente a concedere lo status richiesto.
Con il decreto penale di condanna al ricorrente è stata inflitta--OMISSIS-
Se è certamente vero che nella motivazione del provvedimento la condanna di cui si tratta, benché recente e relativa a condotte che sono fonte di allarme in quanto mettono a rischio la propria e l’altrui incolumità, è altresì vero che l’Amministrazione ha ritenuto di trarre da tale condotta un giudizio di non compiuta integrazione, tanto più che il ricorrente, nel compilare la domanda, ha dichiarato di non avere condanne.
E’ peraltro significativo, e l’Amministrazione lo ha valutato, che il ricorrente non abbia compreso la gravità della condotta tenuta, ed abbia, conseguentemente, omesso di dichiarare l’esistenza di una condanna definitiva, fornendo una falsa dichiarazione, passibile di sanzione penale e, nella migliore delle ipotesi, di inammissibilità della richiesta ai sensi del principio desumibile dall’art. 75 d.p.r. 445/2000.
Quanto osservato avvalora il giudizio di insufficiente adesione ai valori dell’ordinamento del Paese di cui chiede lo status civitatis.
Nessuna rilevanza ai fini del sindacato di legittimità del gravato decreto può derivare dall’ordinanza di riabilitazione intervenuta a distanza di 5 anni dall’emanazione del provvedimento, né tanto meno la positiva condotta tenuta nell’ultimo triennio in quanto si tratta di elementi verificatisi successivamente al periodo di osservazione che l’Amministrazione poteva valutare ai fini della concessione della cittadinanza, ovvero a distanza di anni dalla emanazione del gravato decreto.
Da parte sua il ricorrente, benché sia stato interpellato con il preavviso di diniego, ex art. 10 bis della legge 241/90, inviato con nota del 12 dicembre 2013, non ha fatto pervenire alcuna osservazione, né nel termine dato, né nei tre mesi successivi, prima dell’adozione del provvedimento impugnato.
Si aggiunga che nulla allega il ricorrente in ordine alla asserita sua compiuta integrazione nel tessuto socio-economico, omettendo persino di dichiarare se ha i requisiti di residenza stabile e decennale, un reddito adeguato al proprio mantenimento e a quello della sua famiglia.
Per quanto osservato, e in forza del principio dell’onere della prova, atteso che anche nel giudizio amministrativo, è onere della parte che agisce in giudizio fornire la prova in merito alla fondatezza della propria pretesa, ogni qual volta possa ritenersi che tale prova sia nella sua piena disponibilità ex art. 64, comma 1, c.p.a. (Cons. stato, Sez. III, 15 marzo 2013, n. 1540), non vi sono elementi che questo Collegio possa valutare ai fini del sindacato del giudizio formulato dall’amministrazione.
Nel caso di specie si tratta, prima ancora che della prova mediante documenti, della mera allegazione di circostanze di cui dovrebbe essere a conoscenza il ricorrente nel momento in cui contesta la completezza di un giudizio prognostico alla base di un provvedimento ampiamente discrezionale.
Delle suddette allegazioni non vi è traccia nel ricorso, con conseguente sua infondatezza e rigetto del gravame.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.