TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2016-05-26, n. 201602675

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2016-05-26, n. 201602675
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201602675
Data del deposito : 26 maggio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05768/2011 REG.RIC.

N. 02675/2016 REG.PROV.COLL.

N. 05768/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5768 del 2011, proposto da B C, rappresentato e difeso dagli avv. M P, I C, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R. Campania ex articolo 25 del c.p.a.;

contro

Comune di Lacco Ameno, in persona del legale rappresentante pro - tempore e, ai sensi dell’art. 25 del d. lgs. 104/2010, domiciliato d’ufficio, in assenza di elezione di domicilio nel Comune di Napoli, presso la Segreteria del T.A.R. Campania in Napoli, piazza Municipio, 64;

per l'annullamento

dell'ordinanza di demolizione n.5/2011 del 30.6.2011.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Lacco Ameno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 aprile 2016 il dott. U M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il gravame in epigrafe il ricorrente impugna:

- l’ordinanza di demolizione emessa, ai sensi dell’articolo 27 del d.p.r. 380/2001, dal Comune di Lacco Ameno;

- il verbale del 6.10.2011, con il quale i VV.UU. del suddetto Ente hanno accertato l'inottemperanza all'ingiunzione di demolizione suddetta.

La suindicata misura ripristinatoria ha ad oggetto le seguenti opere siccome realizzate in assenza dei prescritti titoli abilitativi:

“ Prefabbricato della superficie di mq 16,00 costituito da struttura in tavolato di legno tipo pino siberiano con copertura a falde inclinate e manto finale in asfalto, di altezza da m 2,00 m 2,60;
il tutto poggiante su platea di base in calcestruzzo di pari supeficie;

- piccolo locale per servizio igienico della superficie di mq 4,00 ed altezza m 2,40, costituito da muratura in blocchetti prefabbricati di lapilcemento e copertura in tavolato di legno e soprastante guaina impermeabilizzante di asfalto;

- serra della superficie di mq 16,00 costituita da struttura in pali di legno verticali ed orizzontali, sormontati e cerchiati da telo plastico trasparente. L'altezza esterna è di m 2,70 ... ».

Avverso i suddetti atti il ricorrente ha articolato le seguenti censure:

1) violazione delle garanzie di partecipazione al procedimento ex articolo 7 della legge n. 241/1990;

2) in relazione alle strutture serricole sanzionate, il ricorrente avrebbe presentato, in data 25.5.2001, prot. n. 6573, un’istanza di regolarizzazione, ai sensi della legge regionale n. 13/2011. All'interno del fondo in questione verrebbe svolta, fin dal 2007, l'attività di vivaista dalla signora C V;

3) il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo perché irrogherebbe la gravissima misura della demolizione senza dare contezza né dell'interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione stessa, né del presunto contrasto delle opere eseguite con la normativa urbanistica vigente. Si tratterebbe, invero, di un intervento di edilizia minore, che non necessiterebbe di permesso di costruire;

4) il provvedimento sarebbe illegittimo in quanto avrebbe ad oggetto un locale wc di appena 4,00 mq realizzato numerosi anni or sono e, comunque, in epoca antecedente al 1967;

5) le misure sanzionatorie di cui all’articolo 27 del d.p.r. 380/2001 non sarebbero qui utilizzabili in quanto non risulterebbe apposto sull'area oggetto dell'intervento alcun vincolo di inedificabilità in senso assoluto. Difetterebbe, inoltre, una congrua motivazione;

6) inoltre, in violazione della richiamata disposizione, l'amministrazione comunale non avrebbe mai comunicato all'autorità preposta alla tutela del vincolo l'esistenza e le caratteristiche dell'abuso sanzionato;

7) in violazione dell’articolo 41 del d.P.R. n. 380/2001 la demolizione non sarebbe stata preceduta dalla valutazione tecnica della G.M.;

8) omessa acquisizione del parere della Commissione Edilizia Integrata per i Beni Ambientali istituita presso il Comune ex L. reg. n.10/82;

9) sarebbe altresì illegittimo il verbale redatto dai VVUU del Comune di Lacco Ameno:

- in via derivata;

- perché l’opzione dell’acquisizione del bene non sarebbe contemplata dal disposto di cui all’articolo 27 del d.p.r. 380/2001;

- l'Amministrazione avrebbe ritenuto "accertata" l'inottemperanza per il solo infruttuoso decorso del tempo, omettendo ogni indagine in ordine alla disponibilità giuridica e materiale del manufatto da parte del ricorrente;
mancherebbe qualsivoglia riferimento all'istanza di regolarizzazione presentata ai sensi della legge regionale n. 13/2010;

Resiste in giudizio il Comune di Lacco Ameno.

DIRITTO

Il ricorso è in parte fondato e, pertanto, va accolto nei limiti di quanto di seguito evidenziato.

Segnatamente, la domanda attorea va accolta nei limiti in cui risulta spiegata avverso l’ordine di demolizione riferito alla serra della superficie di mq 16,00 costituita da struttura in pali di legno verticali ed orizzontali, sormontati e cerchiati da telo plastico trasparente. L'altezza esterna è di m 2,70 ... ».

Tanto in ragione della documentata pendenza, fin dal 23.5.2011, di un’istanza di regolarizzazione, ai sensi della legge regionale n. 13/2011, che, sebbene preventiva rispetto all’avversato ordine di demolizione 5/2011, non risulta giammai delibata.

Appare, di contro, di tutta evidenza il rilievo pregiudiziale che assume, ai fini in questione, il pendente procedimento di regolarizzazione, la cui definizione costituisce un prius logico e cronologico rispetto all’attivazione di misure repressive.

Opinare diversamente significa, invero, vanificare, a priori, il già pendente procedimento di sanatoria, con conseguente inammissibile disapplicazione delle facoltà di regolarizzazione ammesse dalla richiamata disciplina di settore: le misure sanzionatorie saranno eventualmente azionabili solo nell’ipotesi di una reiezione della domanda di applicazione dei suddetti benefici di regolarizzazione.

Per il resto il ricorso va respinto ovvero dichiarato, in parte, inammissibile.

Vanno dichiarate inammissibili le censure articolate dal ricorrente avverso un verbale (del 6.10.2011) di mero accertamento elevato da agenti della locale Polizia e relativo all'inottemperanza all'ingiunzione di demolizione del 30.6.2011, n. 5.

Ed, invero, il verbale di verifica dello stato dei luoghi da parte della Polizia Municipale non può rivestire quella portata lesiva, avverso la quale si renda concreto ed attuale l'interesse ad ottenere tutela giurisdizionale. Ne consegue l'autonoma inoppugnabilità di un simile atto (id est il verbale), non essendo dal suo annullamento ritraibile alcuna utilità effettiva, stante la sua non lesività rispetto all'interesse al mantenimento della titolarità dell'immobile attinto dai contestati interventi edilizi abusivi (cfr. T.A.R. Napoli Campania sez. VIII, 30 settembre 2013 n. 4481).

Il Collegio dà atto che, nel corso dell’odierna udienza di discussione, il difensore del ricorrente è stato avvertito, ex art. 73, comma 3, c.p.a., della suddetta causa di inammissibilità.

Così perimetrato l’ambito cognitivo del presente giudizio, mette conto evidenziare che, nel procedimento delibativo che questo Tribunale è chiamato a svolgere, assume priorità logica l’esame delle censure che investono la legalità estrinseca dell’atto impugnato, vale a dire l’osservanza degli obblighi procedurali, nonchè la ricorrenza di quei requisiti di affidabilità formale, la cui esistenza condiziona, in via pregiudiziale, il corretto approccio – in sede di sindacato giurisdizionale - ai profili di contenuto delle determinazioni assunte dall’Amministrazione.

Nella suddetta prospettiva, prive di pregio si rivelano le doglianze con cui la parte ricorrente lamenta la violazione delle garanzie di partecipazione al procedimento, la cui cura è imposta all’Autorità procedente dall’art. 7 della legge 241/1990 ovvero, nei procedimenti ad istanza di parte, anche dall’art. 10 bis della medesima legge.

L’infondatezza delle censure in esame discende, invero, come già ripetutamente affermato dalla Sezione (cfr., tra le tante, sentenze n. 1847 del 30 marzo 2011 e n. 8776 del 25 maggio 2010) e dal giudice d’appello (cfr. Cons. Stato, sezione quarta, 4 febbraio 2013, n. 666 e 5 marzo 2010, n. 1277), dalla ineluttabilità della sanzione repressiva applicata dal Comune di Lacco Ameno, anche a cagione dell’assenza – come di seguito meglio evidenziato - di specifici e rilevanti profili di contestazione in ordine ai presupposti di fatto e di diritto che ne costituiscono il fondamento giustificativo, sicchè alcuna alternativa sul piano decisionale si poneva all’Amministrazione procedente.

Dirimente in senso ostativo alle pretese attoree appaiono, pertanto, le previsioni di cui all’art. 21 octies della legge 241/1990, secondo cui “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Palesemente infondate si rivelano, poi, le ulteriori censure con cui parte ricorrente lamenta l’inadeguatezza dell’istruttoria condotta dal Comune intimato e l’insufficienza del corredo motivazionale dell’atto impugnato.

Sul punto, è sufficiente osservare che alcun dubbio residua sulla completezza delle risultanze istruttorie acquisite dal Comune attraverso i propri organi, di cui vi è indiretta conferma nella stessa mancanza di una contestazione, in fatto, sulla consistenza degli abusi accertati.

Nella suddetta prospettiva, mette anzitutto conto evidenziare che i descritti manufatti (il prefabbricato ed il piccolo locale igienico) riflettono, di per se stessi, la rilevanza edilizia dei contestati abusi, fatta palese dalla chiara attitudine dei suddetti interventi a dar vita a nuove costruzioni con conseguente, significativa alterazione dell’originario stato dei luoghi, di talchè s’imponeva il previo rilascio, oltre che dell’autorizzazione paesistica, anche del permesso di costruire.

Ed, invero, non può essere, anzitutto, revocato in dubbio il fatto che l'intervento ricada in zona protetta in considerazione - giusta quanto si evince dal preambolo dell’atto impugnato – della sua realizzazione in un'area assoggettata a vincolo paesistico generico, giusto D.M. 09.09.1952 (pubblicato nella G.U. n.224 del 26.09.1952).

In ragione di quanto detto, stante l'alterazione dell'aspetto esteriore dei luoghi, l’intervento in questione, per il solo fatto di insistere in zona vincolata, risultava soggetto alla previa acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica, titolo autonomo non conseguibile in sanatoria ex combinato disposto fra art. 146 e successivo art. 167, commi 4 e 5 del medesimo decreto, che esclude sanatorie per interventi non qualificabili come manutentivi o che abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi (Tar Campania, questa sesta sezione, sentenza n. 1973 del 14 aprile 2010).

Sotto diverso profilo, la consistenza delle nuove opere realizzate, comportanti la realizzazione di nuovi volumi e la trasformazione dell'esistente con alterazione dello stato dei luoghi, riflette con assoluta evidenza la sussistenza del contestato abuso che imponeva il previo rilascio (oltre che dell’autorizzazione paesistica anche) del permesso di costruire.

Né assumono qui rilievo le generiche argomentazioni attoree circa l’epoca di risalente realizzazione di parte delle opere in contestazione (segnatamente piccolo locale per servizio igienico).

Com’è noto, l’epoca di realizzazione di un’opera non può assurgere, di per sé, a fattore scriminante, salvo che il ricorrente riesca adeguatamente a provare la sua preesistenza al 1967 (e la sua ubicazione al di fuori del perimetro del centro urbano) e alla data di imposizione del vincolo.

Ed, infatti, l'obbligo di richiedere la licenza edilizia (ora permesso di costruire) per realizzare nuove edificazioni è stato introdotto dall'art. 31, legge urbanistica n. 1150 del 1942 esclusivamente per gli immobili situati nei centri urbani. Solo a seguito dell'approvazione della c.d. legge ponte n. 765 del 1967, tale obbligo di munirsi del titolo abilitativo ad edificare è stato esteso all'intero territorio comunale (T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 15/09/2010, n. 17416;
T.A.R. Umbria, sez. I, 14/07/1981, n. 250).

Sul punto, ed in disparte le dichiarazioni rese dal ricorrente, nessun elemento di prova consente di verificare, in termini di certezza ovvero di elevata verosimiglianza, una qualificata risalenza delle opere in argomento.

La rilevata lacuna nell’impianto assertivo della domanda attorea non può che refluire a danno della tesi di parte ricorrente.

Sul punto non può, infatti, essere sottaciuto che il principio cd. dispositivo con metodo acquisitivo – operante nel processo amministrativo - trova ragione di essere in riferimento solo ad atti e documenti formati ovvero custoditi dall’Amministrazione, per i quali, non essendovi un immediato e generalizzato accesso da parte del privato, più difficile potrebbe risultare l’assolvimento dell’onus probandi nei rigorosi termini di cui all’art. 2697 c.c.

Il ricorrente, in tali ipotesi, è tenuto solo ad allegare un principio di prova, spostandosi, per il resto, a carico dell'Amministrazione l'onere di fornire la prova contraria alle deduzioni esposte in domanda e di dimostrare la legittimità dell'atto impugnato.

Viceversa, in tutti i casi – com’è quello di specie - nei quali sono nella piena disponibilità della parte gli elementi atti a sostenere la fondatezza della domanda giudiziale si riespande l’onere processuale di fornire validi supporti dimostrativi a sostegno delle proprie allegazioni.

Il suddetto principio – già introdotto in via pretoria – trova oggi formale consacrazione nell’art. 64 (comma 1°) del D.Lgs. 2-7-2010 n. 104, secondo cui “Spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni”.

Né il fattore tempo in sé può aggravare l’onere di motivazione: l'ordine di demolizione è atto vincolato;
non vi è, dunque, un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il mero decorso del tempo non sana, e l'interessato non può dolersi del fatto che l'amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi (Cons. Stato, VI, 11 maggio 2011, n. 2781;
C.d.S., VI, 5 aprile 2012, n. 2038).

A fronte delle descritte emergenze istruttorie, la realizzazione delle opere in contestazione, e sopra passate in rassegna, siccome non supportata dai prescritti titoli abilitativi, di per se stessa, fondava la reazione repressiva dell’organo di vigilanza.

Ed invero, la disciplina di settore (id est art. 27 del d.p.r. 380/2001) sanziona con la demolizione la realizzazione senza titolo di nuove opere in zone vincolate e siffatta misura resta applicabile sia che venga accertato l'inizio che l'avvenuta esecuzione di interventi abusivi e non vede – contrariamente a quanto dedotto - la sua efficacia limitata alle sole zone di inedificabilità assoluta (Tar Campania, questa sesta sezione, sentenze n. 2076 del 21 aprile 2010 e n. 1775 del 7 aprile 2010 e sezione terza, 11 marzo 2009, n. 1376) non trovando la diversa ed alternativa interpretazione alcun riscontro nella norma ed essendo contraria alla stessa "ratio legis".

Segnatamente, la diversa opzione ermeneutica, che muove dalla previsione di un vincolo di inedificabilità assoluta, comporta un ingiustificato restringimento dei poteri di vigilanza attribuiti al Comune ponendosi in chiara distonia con la finalità perseguita dal legislatore di attribuire, laddove si tratti di aree meritevoli di una particolare e rafforzata tutela, all'Amministrazione il potere-dovere di ripristinare senza indugio la legalità violata, non operando distinzioni in relazione alla natura assoluta o relativa del vincolo. (cfr. T.A.R. Napoli Campania sez. II, 23 giugno 2010 n. 15729;
T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 12 aprile 2005, n. 3780).

D'altro canto, tale interpretazione è confermata anche dal fatto che il comma 2, parte prima, dell'art. 27 cit. si limita a menzionare senza distinzione di sorta il presupposto del "vincolo di inedificabilità", mentre solo nell'ultima parte contiene un espresso riferimento al "vincolo di inedificabilità assoluta" a proposito dei poteri del Soprintendente di procedere alla demolizione.

Ancora irrilevante è la censura relativa all’omessa previa comunicazione alla Autorità preposta alla tutela del vincolo, in quanto, ai sensi dell’art. 27 d.p.r. 380/2001, l’intervento del Sovrintendente è previsto come facoltativo posto che, per le aree assoggettate a vincolo ai sensi del r.d. 3267/1923, il Comune oltre che provvedere direttamente alla demolizione, può dare comunicazione alle amministrazioni competenti che possono , di propria iniziativa, anch’esse intervenire ai fini della demolizione. Dell’omessa comunicazione dell’ordine di ripristino alla Sovrintendenza il ricorrente non può quindi dolersi trattandosi di omissione che non esplica alcun effetto lesivo nei suoi confronti prevedendosi semmai, un intervento aggiuntivo ai fini della esecuzione della demolizione cui il ricorrente di oppone.

Ribadita la mancanza dei prescritti titoli abilitativi, sopra individuati nell’autorizzazione paesaggistica e nel permesso di costruire, deve soggiungersi che ad analoghe conclusioni si perverrebbe anche se, in via di mera ipotesi, si ritenesse che le opere in argomento potessero essere assentite in virtù della presentazione di una mera D.I.A.

Ed, invero, quand’anche si ritenessero tali le opere qui sanzionate, va detto che l’applicazione della sanzione demolitoria ai sensi dell’art. 27 D.P.R. 380/2001 sarebbe, comunque, doverosa, essendo, peraltro, incontestato che gli interventi edilizi sanzionati non risultano supportati neppure da una D.I.A., così come del tutto sprovvisti della autorizzazione paesistica. Si osserva, in proposito, in aderenza ad un indirizzo giurisprudenziale più volte affermato da questa Sezione, che l’articolo 27 cit. non distingue tra opere per cui è necessario il permesso di costruire e quelle per cui sarebbe necessaria la semplice D.I.A. in quanto impone di adottare un provvedimento di demolizione per tutte le opere che siano, comunque, costruite senza titolo in aree sottoposte a vincolo paesistico (cfr. Tar Campania, Sez. VI, n. 05516 del 04/12/2013;
5519 del 4.12.2013;
Tar Campania, IV Sezione 05 giugno 2013 n. 2898).

In considerazione di quanto fin qui espresso – e cioè a cagione della ineluttabilità della sanzione comminata - non può poi esser concesso ingresso ai profili di doglianza che lamentano la mancanza di ulteriori approfondimenti istruttori, anche in ragione dell’omessa acquisizione del parere della commissione edilizia integrata;
d’altro canto, in sede di emanazione di ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive su area vincolata non è necessario acquisire il parere della Commissione Edilizia Integrata, dal momento che l'ordine di ripristino discende direttamente dall'applicazione della disciplina edilizia vigente (art. 27 t.u. edilizia) e non costituisce affatto irrogazione di sanzioni discendenti dalla violazione di disposizioni a tutela del paesaggio (Tar Campania, Napoli, questa sezione sesta, sentenza 26 giugno 2009, n. 3530;
676 del 10 febbraio 2009, 27 marzo 2007, n. 2885).

Il ricorrente lamenta ancora l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione per carenza della valutazione tecnica ed economica di cui all’art. 41 co. 1 D.P.R. 380/2001, nel testo vigente a seguito della Sentenza n. 196/2004 della Corte Costituzionale («in tutti i casi in cui la demolizione deve avvenire a cura del comune, essa è disposta dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale su valutazione tecnico-economica approvata dalla giunta comunale»). La doglianza, come prospettata, è priva di pregio. Tale valutazione riguardava esclusivamente la fase esecutiva delle demolizione e, dunque, non poteva inficiare, di per sé, la legittimità del provvedimento demolitorio, dovendosi, anzi, ritenere che in questa fase siffatta valutazione non fosse neppure necessaria (cfr. TAR Campania, Sez VI n. 16446/2010 del 29/06/2010. Consiglio Stato, sez. V, 21 novembre 2007, n. 5966;
Consiglio Stato sez. V 26 gennaio 2001 n. 268;
T.A.R. Napoli Sez. Unica Sent. n. 1147 - 22 febbraio 2003).

In considerazione delle divisate emerge processuali si rivela immune dalle censure attoree l’ordito motivazionale in cui impinge il provvedimento impugnato, manifestamente idoneo ad evidenziare la consistenza degli abusi in contestazione. Nel modello legale di riferimento non vi è, infatti, spazio per apprezzamenti discrezionali, atteso che l’esercizio del potere repressivo mediante applicazione della misura ripristinatoria costituisce atto dovuto, per il quale è "in re ipsa" l’interesse pubblico alla sua rimozione ( cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 26 agosto 2010 , n. 17240);
Che, ancora, l'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi è ‘in re ipsa’ anche perché la straordinaria importanza della tutela reale dei beni paesaggistici ed ambientali elide, in radice, qualsivoglia doglianza circa la pretesa non proporzionalità della sanzione ablativa, fermo comunque che, in presenza dell'operata qualificazione delle opere realizzate, bisognevoli dei prescritti titoli abilitativi e non essendo rilasciabile a posteriori l'autorizzazione paesaggistica, alcuno spazio vi è per far luogo alla sola sanzione pecuniaria (Tar Campania Napoli, sempre questa sesta sezione, 14 aprile 2010, n. 1975).

D’altro canto, è ius receptum in giurisprudenza il principio secondo cui, una volta accertata l'esecuzione di opere in assenza di concessione ovvero in difformità totale dal titolo abilitativo, non costituisce onere del Comune verificare la sanabilità delle opere in sede di vigilanza sull'attività edilizia (T.A.R. Campania, Sez. IV, 24 settembre 2002, n. 5556;
T.A.R. Lazio, sez. II ter, 21 giugno 1999, n. 1540): l’atto può ritenersi sufficientemente motivato per effetto della stessa descrizione dell’abuso accertato, presupposto giustificativo necessario e sufficiente a fondare la spedizione della misura sanzionatoria.

In ragione della reciproca soccombenza le spese di giudizio vanno compensate, ad eccezione del contributo unificato che resta definitivamente a carico della parte ricorrente.

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