TAR Trento, sez. I, ordinanza collegiale 2020-07-02, n. 202000111

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Trento, sez. I, ordinanza collegiale 2020-07-02, n. 202000111
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Trento
Numero : 202000111
Data del deposito : 2 luglio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/07/2020

N. 00155/2019 REG.RIC.

N. 00111/2020 REG.PROV.COLL.

N. 00155/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento

(Sezione Unica)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 155 del 2019, proposto da Fallimento Edilarcense s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati R D S e B M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;


contro

- il Comune di Arco, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato B Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
- la Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati G F, Nicolò Pedrazzoli e Sabrina Azzolini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto con l’avvocato Sabrina Azzolini in Trento, piazza Dante n. 15, presso gli uffici dell’Avvocatura della Provincia;

nei confronti

Smeraldo Invest s.r.l. in liquidazione ed E A, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

della delibera del Consiglio comunale del Comune di Arco n. 31 in data 7 agosto 2019, con cui è stata adottata la “Variante n. 15 al piano regolatore generale di Arco” , unitamente a tutti gli elaborati allegati (ivi comprese le norme tecniche di attuazione, la relazione illustrativa, le tavole cartografiche, il rapporto ambientale, la relazione afferente il dimensionamento residenziale per il decennio 2018-2028 ed il carico insediativo massimo), nella parte in cui danno atto dell’avvenuta decadenza del piano di lottizzazione n. 9 “San Giorgio” e, modificando la disciplina prevista dal vigente P.R.G., destinano le aree di proprietà del Fallimento Edilarcense s.r.l. a verde agricolo di interesse locale, ai sensi dell’art. 40 delle norme tecniche di attuazione della Variante stessa, e di tutti gli atti presupposti, conseguenti, e comunque connessi;

nonché, in via subordinata, per la rimessione alla Corte costituzionale delle questioni di legittimità costituzionale indicate nel ricorso;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Arco e della Provincia autonoma di Trento;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti l’art. 1 della legge costituzionale n. 1/1948 e l’art. 23 della legge n. 87/1953;

Visto il decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito nella legge 24 aprile 2020, n. 27, ed in particolare l’art. 84, come da ultimo modificato dall’articolo 4, comma 1 del decreto legge 30 aprile 2020, n. 28;

Visto il decreto del Presidente del T.R.G.A. di Trento n. 18 del 9 giugno 2020;

Relatore nell’udienza del giorno 18 giugno 2020, svoltasi con le modalità previste dall’art. 84, comma 6, del predetto decreto legge n. 18 del 2020, il dott. C P;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


1. La presente controversia ha ad oggetto la nuova destinazione urbanistica impressa alle aree sulle quali sorge un complesso industriale dismesso sito nel Comune di Arco (di seguito “complesso immobiliare” ) - già di proprietà della società immobiliare Edilarcense s.r.l. - costituito da due capannoni industriali, da depositi edilizi per lo stoccaggio di materiali edili e da un impianto di betonaggio dotato di una stazione di pompaggio del gasolio.

Le aree in questione sono incluse dal sin qui vigente Piano Regolatore Generale (di seguito “P.R.G.” ) del Comune di Arco - unitamente ad altre aree adiacenti, di proprietà della società Immobiliare Resedil s.r.l. e dei signori E A e G F - all’interno del perimetro di un piano di lottizzazione, denominato piano di lottizzazione n. 9 “San Giorgio” , la cui adozione è stata preceduta da un apposito piano guida (approvato con la delibera consiliare n. 68 in data 11 ottobre 2005), che ha individuato tre comparti edificatori (rispettivamente indicati con le lettere A, B e C), un ambito destinato a verde pubblico ed un ambito destinato alla nuova viabilità di accesso all’area.

A seguito della proposta formulata dai proprietari pro tempore, il Comune di Arco con la delibera consiliare n. 57 in data 28 luglio 2008, divenuta esecutiva in data 11 agosto 2008, ha approvato il piano di lottizzazione relativo ai comparti A e C (che comprendono una porzione del complesso immobiliare) e in data 23 ottobre 2008 è stata sottoscritta tra i proprietari interessati ed il Comune di Arco la convenzione annessa al piano di lottizzazione.

La società Edilarcense è stata dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Milano n. 845/2016 ed il Fallimento Edilarcense, previa autorizzazione del Giudice delegato, con istanza pervenuta al Comune di Arco il 18 aprile 2017 ha chiesto la sospensione dei termini di attuazione del suddetto piano di lottizzazione per motivi di forza maggiore, stante la pendenza della procedura fallimentare. Tuttavia il Comune con la nota prot. n. 14525 in data 11 maggio 2017 ha rigettato l’istanza ritenendo di non poter disporre della durata dei piani di lottizzazione in quanto fissata per legge.

Da ultimo, il Comune di Arco con la delibera consiliare n. 31 in data 7 agosto 2019 ha adottato la Variante n. 15 al P.R.G., con la quale - sul presupposto dell’intervenuta decadenza del suddetto piano di lottizzazione - ha modificato la destinazione urbanistica dell’area su cui insiste il complesso immobiliare, prevedendone l’inserimento tra le “aree agricole di interesse locale” , assoggettate alla disciplina dell’art. 40 delle norme tecniche di attuazione (di seguito “N.T.A.” ) della Variante stessa.

In data 2 settembre 2019, è stato pubblicato l’avviso di adozione della variante ed è stato disposto il deposito degli atti del procedimento presso gli uffici del Comune, ai fini della presentazione di osservazioni da parte degli interessati, e in data 24 ottobre 2019 il Fallimento Edilarcense ha presentato osservazioni per contestare la modifica della destinazione dell’area in questione, lamentando l’illogicità della destinazione a verde agricolo di un’area produttiva, dismessa e circondata da insediamenti residenziali.

2. Il Fallimento Edilarcense con il presente ricorso - premesso che la delibera n. 31 in data 7 agosto 2019 è immediatamente lesiva dei propri interessi, perché nelle more dell’approvazione della Variante n. 15, ai sensi dell’art. 47 della legge provinciale n. 15/2005 e dell’art. 12, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001, «scattano le misure di salvaguardia delle previsioni urbanistiche contenute nella variante al piano regolatore adottato» (cfr. la motivazione dell’impugnata delibera) - di tale delibera chiede l’annullamento deducendo i seguenti motivi.

I) Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, violazione dell’affidamento e travisamento dei presupposti di fatto e di diritto;
violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 3-bis, del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 98.

L’impugnata Variante è stata adottata, per quanto riguarda il complesso immobiliare in questione, sul falso presupposto dell’avvenuta decadenza del piano di lottizzazione n. 9 e della conseguente necessità di ripianificare il comparto. Difatti il decreto legge n. 69/2013 (recante “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia” ) - preso atto della “straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per la crescita economica e per la semplificazione del quadro amministrativo e normativo, nonché misure per l’efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile al fine di dare impulso al sistema produttivo del Paese attraverso il sostegno alle imprese, il rilancio delle infrastrutture, operando anche una riduzione degli oneri amministrativi per i cittadini e le imprese” (cfr. le premessa al decreto stesso) - ha prorogato l’efficacia delle convenzioni urbanistiche stipulate sino al 31 dicembre 2012, ossia nel periodo della crisi economica.

In particolare, secondo l’art. 30, comma 3-bis, del predetto decreto, “il termine di validità nonché i termini di inizio e fine lavori nell’ambito delle convenzioni di lottizzazione di cui all’articolo 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, ovvero degli accordi similari comunque nominati dalla legislazione regionale, stipulati sino al 31 dicembre 2012, sono prorogati di tre anni” . Inoltre tale disposizione è espressione della competenza esclusiva dello Stato, in quanto inserita in un testo normativo volto a stimolare la crescita economica attraverso il sostegno alle imprese, il rilancio delle infrastrutture e la riduzione degli oneri amministrativi. Significativo in tal senso è il duplice riferimento alla semplificazione amministrativa e alla riduzione degli oneri amministrativi per i cittadini e le imprese, che evoca la materia - di competenza legislativa esclusiva dello Stato - della “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” , di cui all’art. 117, lett. m), Cost.. Parimenti, l’ulteriore riferimento all’impulso al sistema produttivo del Paese, attraverso il sostegno alle imprese, s’inquadra nella materia della tutela della concorrenza - anch’essa rimessa alla competenza esclusiva dello Stato - di cui all’art. 117, lett. e), Cost. Viene poi in rilievo anche la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, di cui all’art. 117, lett. l), Cost., perché alle convenzioni urbanistiche che accedono ai piani attuativi di iniziativa privata si applicano, ove non sia diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, in quanto compatibili. Dunque - non potendo le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano legiferare in ambiti di esclusiva competenza dello Stato, neppure emanando norme riproduttive di quelle statali - il suddetto art. 30, comma 3-bis, è da ritenersi direttamente applicabile anche nel territorio della Regione autonoma Trentino - Alto Adige.

Pertanto - posto che la scadenza del piano di lottizzazione n. 9 (approvato con la delibera n. 57 del 2008, divenuta esecutiva in data 11 agosto 2008), inizialmente fissata all’11 agosto 2018 ai sensi dell’art. 121, comma 17, della legge provinciale n. 15/2015 (secondo il quale i piani attuativi vigenti alla data di entrata in vigore della legge stessa hanno validità di dieci anni a decorrere “dalla data della loro approvazione, se intervenuta dopo la data di entrata in vigore della Legge urbanistica provinciale 2008” ), deve intendersi prorogata fino all’11 agosto 2021 - il Comune di Arco nel definire la disciplina urbanistica dell’area per cui è causa avrebbe dovuto quantomeno esternare le ragioni di pubblico interesse che (in ipotesi) consentirebbero di superare le previsioni del predetto piano di lottizzazione, nonché l’affidamento ingenerato nel Fallimento Edilarcense dalla vigenza del piano stesso, e comunque riconoscere al riguardo un indennizzo, a norma dell’art. 21-quinquies della legge n. 241/1990.

II) Illegittimità costituzionale degli articoli 54 e 121, comma 17, della legge provinciale n. 15/2015, per violazione dell’art. 117 Cost., dell’art. 4 dello Statuto speciale per il Trentino Alto Adige, dell’art. 2 del decreto legislativo n. 266/1992, dei principi di legalità, buon andamento e uguaglianza.

In via subordinata - qualora il Tribunale non accogliesse il primo motivo, ritenendo che la disciplina posta dall’art. 30, comma 3-bis, sia riconducibile alla materia dell’urbanistica, rimessa alla potestà legislativa primaria delle Province autonome di Trento e Bolzano, ai sensi del combinato disposto degli articoli 8, comma 1, n. 5 e 16 dello Statuto di autonomia approvato con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 e successive modifiche - diverrebbe rilevante nel presente giudizio la questione di legittimità costituzionale della legislazione provinciale sul termine di efficacia dei piani di lottizzazione in ragione del mancato recepimento della disciplina posta dal medesimo art. 30, comma 3-bis, e la questione andrebbe rimessa alla Consulta in quanto non manifestamente infondata per le seguenti ragioni.

L’art. 8, n. 5, del d.P.R. n. 670/1972 attribuisce infatti alla potestà legislativa primaria delle Province di Trento e Bolzano la materia denominata “urbanistica e piani regolatori” . Tuttavia lo stesso articolo dispone che le Province autonome devono esercitare la propria potestà legislativa “entro i limiti indicati dall’art. 4”, ossia “in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali ... nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica” . Dunque nelle materie oggetto della potestà legislativa primaria delle Province autonome le leggi dello Stato non trovano applicazione diretta, ma le Province autonome devono comunque adeguarsi se ricorrono i presupposti di cui all’art. 4 dello Statuto, altrimenti la legislazione provinciale non adeguata diviene illegittima. In particolare l’art. 2, del decreto legislativo n. 266/1992 (recante “Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino - Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e regionali e provinciali, nonché la podestà statale di indirizzo e coordinamento” ) dispone che “la legislazione regionale e provinciale deve essere adeguata ai principi e norme costituenti limiti indicati dagli articoli 4 e 5 dello statuto speciale entro i sei mesi successivi alla pubblicazione dell’atto medesimo nella Gazzetta Ufficiale o nel più ampio termine da esso stabilito”.

Ciò posto - mirando il decreto legge n. 69/2013 a perseguire “interessi nazionali” , perché reca “misure urgenti per il rilancio dell’economia” , e contenendo “norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica” , perché introduce misure volte a contrastare la crisi economica - la Provincia di Trento, pur ritenendo il suddetto art. 30, comma 3-bis non direttamente applicabile - avrebbe comunque dovuto recepirne i contenuti modificando la legge provinciale n. 1/2008 (allora vigente), che all’art. 52, comma 2, fissava in dieci anni dalla data di approvazione la validità dei piani urbanistici attuativi, senza prevedere alcun meccanismo di proroga volto a rilanciare l’economia e sostenere le imprese colpite dalla crisi. Invece la Provincia di Trento non solo non ha adeguato la normativa provinciale, ma ha addirittura approvato una nuova legge in materia di governo del territorio - la legge provinciale n. 15/2015 - che, agli articoli 54 e 121, comma 7, continua a fissare in dieci anni la validità dei piani attuativi senza ammettere proroghe.

Quindi gli articoli 54 e 121, comma 17, della legge provinciale n. 15/2015 contrastano non solo con il decreto legge n. 69/2013, ma anche e soprattutto con l’art. 117 Cost., l’art. 4 dello Statuto speciale per la Regione Trentino - Alto Adige, l’art. 2 del decreto legislativo n. 266/1992 ed i principi di legalità e buon andamento dell’amministrazione, di cui all’art. 97 Cost.. Inoltre - sempre nel caso in cui non fosse accolto il primo motivo - le disposizioni dell’art. 30, comma 3-bis, risulterebbero applicabili su tutto il territorio nazionale, con sola eccezione, irragionevole e immotivata, della Regione autonoma Trentino - Alto Adige e, in particolare, della Provincia autonoma di Trento;
quindi, gli articoli 54 e 121, comma 17, della legge provinciale n. 15/2015 si porrebbero in contrasto anche con i principi di uguaglianza e parità di trattamento sanciti dall’art. 3 Cost..

In definitiva, per il caso di mancato accoglimento del primo motivo, viene chiesto al Tribunale di sottoporre alla Corte costituzionale le seguenti questioni di legittimità costituzionale (rilevanti nel presente giudizio perché l’applicazione diretta dell’art. 30, comma 3-bis, o quantomeno il recepimento della disciplina ivi contenuta nella legislazione provinciale, comporterebbero la perdurante efficacia del piano di lottizzazione n. 9 e, quindi, il venir meno del presupposto in base al quale il Comune ha ripianificato l’area per cui è causa): A) se gli articoli 54, comma 1, e 121, comma 17, della legge provinciale n. 15/2015 siano costituzionalmente illegittimi - per contrasto con l’art. 117 Cost., l’art. 2 del decreto legislativo n. 266/1992 e l’art. 4, del d.P.R. n. 670/1972, nonché per contrasto con i principi di legalità e buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost. - nella parte in cui non sono stati adeguati ai principi sottesi al raggiungimento degli interessi nazionali e all’attuazione della riforma economica e sociale, previsti dall’art. 30, comma 3-bis, del decreto legge n. 69/2013;
B) se gli articoli 54, comma 1, e 121, comma 17, della legge provinciale n. 15/2015 siano costituzionalmente illegittimi - per contrasto con il principio di eguaglianza e parità di trattamento di cui all’art. 3 Cost. - nella parte in cui, a differenza di quanto si verifica sul resto del territorio nazionale, non prevedono la proroga dei termini di efficacia e di validità dei piani urbanistici attuativi, quale misura di tutela della concorrenza e delle imprese al fine di contrastare la crisi economica.

III) Eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, illogicità e ingiustizia manifesta.

Sotto altro profilo, la scelta di destinare l’area per cui è causa a verde agricolo è illegittima perché manifestamente illogica. Difatti il complesso immobiliare sorge su un’area dismessa, già urbanizzata, che ha subito un intenso sfruttamento edificatorio, con conseguente consumo di suolo, come dimostra il fatto che le tavole della Variante includono il complesso stesso tra le aree urbanizzate. Dunque, considerate le caratteristiche dell’area, non è immaginabile un intervento di recupero che consenta di ripristinare il valore agronomico del suolo, riconvertendolo ad un uso agricolo.

Inoltre la destinazione a verde agricolo è del tutto inadeguata a creare la leva finanziaria necessaria per consentire il recupero e la riqualificazione di un’area produttiva dismessa, interventi che richiedono ingenti risorse e complesse opere di demolizione e ricostruzione. Dunque la Variante “condanna” il complesso Immobiliare a rimanere in uno stato di degrado, in spregio agli interessi pubblici connessi all’ordinato e al corretto governo del territorio e, oltretutto, in aperto contrasto con i principi che lo stesso Comune di Arco dichiara di voler perseguire con la Variante n. 15, ossia «migliorare l’assetto insediativo» , «riqualificare/rigenerare gli ambiti urbani degradati o dismessi» e «contenere il consumo di suolo» .

In particolare il Comune - invece di confermare la destinazione urbanistica dell’area e prevedere la riqualificazione del complesso immobiliare, preservando, nel contempo, dall’edificazione aree non ancora urbanizzate - da un lato, ha previsto una nuova destinazione urbanistica del tutto improbabile e incoerente con il contesto territoriale di riferimento, contraddistinto dalla significativa presenza di insediamenti residenziali, sia a nord che a sud;
dall’altro ha previsto una nuova area a destinazione residenziale proprio in adiacenza al complesso immobiliare, come rappresentato nella planimetria allegata alle osservazioni procedimentali presentate dal Fallimento Edilarcense.

3. Il Comune di Arco si è costituito in giudizio e con memoria depositata in data 8 dicembre 2019 ha preliminarmente eccepito che - ferma restando la portata lesiva dell’impugnata delibera - il ricorso è sorretto da un interesse attuale e concreto solo limitatamente ai primi due motivi, mirati a far affermare la perdurante vigenza del piano di lottizzazione n. 9, mentre per effetto dell’accoglimento del solo terzo motivo, stante la scadenza del piano di lottizzazione, l’area in questione diverrebbe una “zona bianca” , ai sensi e per gli effetti dell’art. 54, comma 3, della legge provinciale n. 15/2015.

Nel merito il Comune ha replicato alle suesposte censure osservando, da un lato, che le convenzioni urbanistiche - e, in particolare, le convenzioni di lottizzazione alle quali si riferisce all’art. 30, comma 3 -bis, del decreto legge n. 69/2013 - attengono alla materia dell’urbanistica, rimessa alla competenza legislativa della Provincia di Trento dall’art. 8, n. 5, del d.P.R. n. 670/1972, perché sono strumenti di “governo del territorio” utilizzati per realizzare l’interesse all’acquisizione di opere e dotazioni pubbliche, come confermato dalla giurisprudenza secondo la quale le convenzioni di lottizzazione rientrano tra gli accordi sostitutivi di cui all’art. 11 della legge n. 241/1990;
dall’altro, che non giova a controparte invocare materie che l’art. 117, comma 2, Cost. riconduce alla competenza esclusiva del legislatore statale. Difatti la proroga triennale delle convenzioni stipulate sino al 31 dicembre 2012 non attiene alla competenza funzionale trasversale dello Stato in materia di: A) “tutela della concorrenza” , dovendosi far coincidere la nozione di concorrenza con quella operante a livello comunitario, che comprende la disciplina antitrust e le misure destinate a promuovere un mercato aperto e in libera concorrenza, come dimostra l’accostamento della “tutela concorrenza” alle altre materie di cui all’art. 117, comma 2, lett. e), quali la “moneta” e la “tutela del risparmio e mercati finanziari” , stante l’intendimento del legislatore del 2001 «di unificare in capo allo Stato strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell’intero Paese» (Corte Costituzionale, sentenza 13 gennaio 2004, n. 14);
B) “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” , perché l’art. 30, comma 3-bis, non è una norma di semplificazione del procedimento e, seppure lo fosse, comunque non rientra nel perimetro dell’art. 29, commi 2-bis e 2-ter, della legge n. 241/1990;
C) “ordinamento civile” , perché tale materia è costituita «dall’insieme delle regole fondamentali che disciplinano i rapporti privati» (Corte Costituzionale, sentenza 28 luglio 2004, n. 282), mentre le convenzioni di lottizzazione sono accordi di diritto pubblico, ai quali si applicano solo i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, in quanto compatibili e sempreché non sia diversamente previsto.

Riguardo alle questioni di legittimità costituzionale prospettate da controparte il Comune ha replicato che il decreto legge n. 69/2013 non qualifica l’art. 30, comma 3-bis come una norma fondamentale di riforma economico sociale della Repubblica, fermo restando che neppure tale auto-qualificazione sarebbe sufficiente in quanto «la natura di riforma economico-sociale di una normativa non può essere determinata dalla sola apodittica affermazione del legislatore e ... essa deve invece ricercarsi nell’oggetto della normativa, nella sua motivazione politico-sociale, nel suo scopo, nel suo contenuto, nella modificazione che essa apporta nei rapporti sociali» (Corte costituzionale, sentenza 28 luglio 1993, n. 355). Inoltre non tutte le disposizioni contenute in una legge di riforma economico-sociale possono dirsi vincolanti, ma solo quelle che assurgano a principi generali di riforma (Corte Costituzionale, sentenza 7 novembre 1995, n. 482). Dunque, essendo l’art. 30, comma 3-bis, una norma eccezionale, non suscettibile di interpretazione estensiva o analogica (T.A.R. Lombardia Milano, Sez. II, 22 luglio 2015, n. 1764), viene meno in radice la possibilità di qualificarla come una norma di riforma economico-sociale.

Quanto al terzo motivo, la Variante n. 15 ha introdotto la disposizione dell’art. 67.6, comma 2, delle N.T.A. (rubricata “Interventi di riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica” ) che consentirà la conversione in volumi residenziali di quelli dismessi ubicati su aree come quella per cui è causa, secondo indici e quantità edificatorie di riqualificazione indicati nelle tabelle allegate alla norma tecnica. Quindi la nuova destinazione impressa all’area in questione - divenuta “zona bianca” , ai sensi dell’art. 54, comma 3 della legge n. 15/2015, dopo la scadenza del piano rimasto inattuato - non impedisce il recupero e la riqualificazione dei volumi dismessi. Né corrisponde al vero che la Variante avrebbe previsto una nuova zona residenziale in adiacenza alle aree interessate dal piano attuativo scaduto. L’area alla quale si riferisce controparte si colloca infatti a nord est del complesso immobiliare e la sua destinazione era stata già prevista dalla Variante per opere pubbliche n. 13, approvata con la delibera della Giunta provinciale n. 307 in data 22 febbraio 2013.

4. Questo Tribunale con l’ordinanza n. 58 in data 12 dicembre 2019 ha giudicato le esigenze cautelari prospettate dalla parte ricorrente - «peraltro non supportate dall’allegazione di documenti che provino l’esistenza di trattative in atto per la vendita del terreno oggetto dell’impugnata variante» (cfr. la motivazione dell’ordinanza) - tutelabili ai sensi dell’art. 55, comma 10, cod. proc. amm., con la sollecita definizione del giudizio nel merito.

5. Anche la Provincia autonoma di Trento si è costituita in giudizio per resistere al ricorso e con memoria depositata in data 2 marzo 2020, in replica alle suesposte censure, ha negato innanzi tutto l’applicabilità dell’art. 30, comma 3-bis, osservando che la disciplina delle convenzioni di lottizzazione attiene alla materia dell’urbanistica, rimessa alla competenza del legislatore provinciale dall’art. 8, n. 5, del d.P.R. n. 670/1972. Dunque il legislatore statale con il decreto legge n. 69/2013 è intervenuto per prorogare l’efficacia dei piani attuativi riconducibili alla propria competenza legislativa e «non certo l’efficacia dei piani attuativi disciplinati compiutamente dalle autonomie speciali».

Né osta a tale interpretazione, secondo la Provincia, il fatto che nel caso delle convenzioni di lottizzazione il potere amministrativo sia esercitato in forma consensuale, perché questa circostanza non è idonea a traslare le convenzioni di lottizzazione - espressione del potere amministrativo di attuazione della pianificazione urbanistica - dalla materia “urbanistica e piani regolatori” alla materia “ordinamento civile” , di cui all’art. 117, comma 2, lett. l), Cost., come dimostra la giurisprudenza che riconduce le convenzioni di lottizzazione agli accordi sostitutivi di cui all’art. 11 della legge n. 241/1990. Né tantomeno giova a controparte invocare la competenza del legislatore statale nelle materie di cui all’art. 117, comma 2, lett. e) e lett. m), Cost.;
difatti la “tutela concorrenza” e la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” sono materie attribuite alla competenza esclusiva dello Stato dalla legge costituzionale n. 3/2001 - la quale dispone altresì, all’art. 10, che “Sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite” - e, come affermato al riguardo dalla Corte costituzionale (sentenza 12 aprile 2005, n. 145), «le disposizioni della legge costituzionale n. 3 del 2001, modificativa del Titolo V della Costituzione, si applicano alle Province autonome, ai sensi dell’art. 10 della stessa legge costituzionale, solo “per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite”. Sicché, deve necessariamente escludersi che le disposizioni della suddetta legge costituzionale possano comportare limitazioni alla sfera di competenza legislativa già attribuita alla Provincia ricorrente per effetto dello statuto di autonomia. Fermo restando, ricorrendone i presupposti, l’obbligo di adeguamento, imposto dall’art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 266 del 1992, ai principi e alle norme costituenti limiti indicati dagli artt. 4 e 5 dello stesso statuto».

Riguardo al secondo motivo, incentrato sul mancato adeguamento della legislazione provinciale alla disposizione dell’art. 30, comma 3-bis, secondo la Provincia, posto che tale articolo estende la proroga triennale agli “accordi similari comunque nominati dalla legislazione regionale” , deve allora ritenersi che la proroga riguardi soltanto le convenzioni urbanistiche disciplinate dalle regioni a statuto ordinario nell’esercizio della potestà legislativa concorrente in materia di “governo del territorio” di cui all’art. 117, comma 3, Cost.. Del resto, se il legislatore statale avesse inteso estendere la proroga alle Province autonome di Trento e Bolzano, avrebbe palesato tale intendimento, come avvenuto nel comma 1 del medesimo art. 30. Inoltre, posto che anche questo Tribunale (T.R.G.A. Trentino - Alto Adige, Trento, 6 marzo 2019, n. 44) ha qualificato l’art. 30, comma 3-bis, come una norma eccezionale, non suscettibile di interpretazioni estensive o analogiche, la norma stessa non si configura come una “norma fondamentale di riforma economico sociale”.

Fermo restando quanto precede, secondo Provincia, è lo stesso art. 30, comma 3-bis, che pone dubbi legittimità costituzionale in quanto la proroga ivi prevista non appare ragionevole e proporzionata agli obiettivi perseguiti. Difatti, secondo la Corte costituzionale (sentenza 27 luglio 2004, n. 272) il criterio della proporzionalità e dell’adeguatezza è «essenziale per definire l’ambito di operatività della competenza legislativa statale attinente alla tutela della concorrenza e conseguentemente la legittimità dei relativi interventi statali» e tale criterio nel caso in esame non è rispettato perché la proroga triennale riguarda indistintamente tutte le convenzioni urbanistiche sottoscritte fino al 31 dicembre 2012, non essendo prevista «una valutazione periodica della perdurante utilità di questa disposizione eccezionale» ;
invece «il carattere eccezionale della misura e la finalità contingente perseguita (il rilancio dell’economia in una fase di stagnazione) avrebbero ragionevolmente richiesto un’efficacia contenuta entro un periodo temporale circoscritto, dunque limitata alle convenzioni di prossima scadenza rispetto all’adozione di questa misura eccezionale di rilancio dell’economia, ovvero un periodico accertamento della perdurante necessità del mantenimento di questa norma eccezionale nell’arco dei 13 anni nei quali avrebbe esplicato i propri effetti» . In altri termini, se il legislatore statale avesse contenuto l’intervallo temporale di applicazione della proroga, calcolandolo sulla prevedibile durata dell’acme della crisi economica, allora la norma avrebbe potuto risultare ragionevole;
invece la proroga fino al 2025 delle convenzioni stipulate fino al 31 dicembre 2012 preclude alle Amministrazioni comunali la possibilità di valutare l’attualità delle norme dei piani di lottizzazione, stante l’obbligo di indennizzare il pregiudizio derivante al privato dall’eventuale recesso dell’Amministrazione dalla convenzione per sopravvenuti motivi di interesse pubblico.

Infine, sempre secondo la Provincia, il fatto che la proroga in questione garantisca un’utilità ai proprietari interessati non è sufficiente per dimostrare che si tratta di una misura di semplificazione, perché nella legge n. 241/1990 la semplificazione amministrativa è disciplinata nel capo IV, ove sono previsti istituti come la conferenza di servizi, volti a garantire uno svolgimento del procedimento improntato ad efficienza ed efficacia;
invece la proroga determina una generalizzata sospensione dell’esercizio del potere di attuazione della pianificazione urbanistica comunale, nel caso in cui sia stata stipulata una convenzione di lottizzazione.

6. La parte ricorrente con memoria depositata in data 2 marzo 2020, oltre ad illustrare il pregiudizio derivante dall’impugnata delibera, ha replicato alle difese svolte dalla Provincia ribadendo, in particolare, che l’art. 30, comma 3-bis si configura come una “norma fondamentale di riforma economico sociale” .

7. La Provincia autonoma di Trento con memoria di replica depositata in data 12 marzo 2020 ha insistito per la reiezione del ricorso osservando, in particolare, che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 18 febbraio 2020, n. 5, ha definitivamente chiarito che gli accordi di cui all’art. 11 della legge n. 241/1990 costituiscono un istituto del diritto pubblico e, quindi, le convenzioni urbanistiche alle quali si riferisce l’art. 30, comma 3-bis, esulano dalla materia “ordinamento civile”, di cui all’art. 117, comma 2, lett. l), Cost..

8. La parte ricorrente con la memoria di replica depositata in data 13 marzo 2020 ha insistito per l’accoglimento del ricorso ribadendo che la proroga dei termini di efficacia delle convenzioni di lottizzazione «deve necessariamente operare in modo indifferenziato su tutto il territorio nazionale, senza lasciare alcun margine di valutazione discrezionale agli Enti locali» , ivi compresa la Provincia autonoma di Trento. Dunque la Provincia, pur ritenendo non direttamente applicabile la disposizione dell’art. 30, comma 3-bis, avrebbe comunque dovuto adottare una legge provinciale di recepimento nel termine di sei mesi previsto dall’art. 2 del decreto legislativo n. 266/1992.

9. La parte ricorrente ed il Comune di Arco hanno presentato note di udienza, rispettivamente in data 12 e 15 giugno 2020, insistendo per l’accoglimento delle rispettive tesi.

10. All’udienza del 18 giugno 2020 il ricorso, ai sensi dell’art. 84, comma 5, del decreto legge n. 18/2020, convertito dalla legge n. 27/2020, è passato in decisione, senza discussione orale, sulla base degli atti depositati.

11. Tanto premesso in fatto, il Collegio osserva innanzi tutto che - stante la graduazione dei motivi operata dalla parte ricorrente - questo Tribunale con la sentenza non definitiva 30 giugno 2020, n. 98, ha esaminato con priorità il primo motivo di ricorso, con cui viene dedotto che l’impugnata delibera n. 31 del 2019, di adozione preliminare della Variante n. 15, è illegittima, nella parte in cui è stata impressa la destinazione “aree agricole di interesse locale” alle aree per cui è causa, perché muove dall’erroneo presupposto che il piano di lottizzazione n. 9 “San Giorgio” sia decaduto in data in data 11 agosto 2018 (in quanto rimasto inattuato nonostante il decorso del termine decennale di cui agli articoli 54, comma 1, e 121, comma 17, della legge provinciale n. 15/2015), mentre nella fattispecie troverebbe applicazione diretta la disposizione dell’art. 30, comma 3-bis, del decreto legge n. 69/2013, convertito dalla legge n. 98/2013 - secondo la quale “il termine di validità nonché i termini di inizio e fine lavori nell’ambito delle convenzioni di lottizzazione di cui all’articolo 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, ovvero degli accordi similari comunque nominati dalla legislazione regionale, stipulati sino al 31 dicembre 2012, sono prorogati di tre anni” - e, quindi, la scadenza del predetto piano di lottizzazione sarebbe prorogata ex lege fino all’11 agosto 2021.

12. Tuttavia con la predetta sentenza tale motivo è stato rigettato per le ragioni di seguito indicate:

«3. Preliminarmente giova rammentare che, a seguito della riforma costituzionale del 2001, la Corte costituzionale - tra le materie attribuite alla competenza esclusiva del legislatore statale dall’art. 117, comma 2, Cost. - ne ha individuate alcune a carattere trasversale, ossia che non indicano oggetti ben precisi, bensì finalità che devono essere perseguite dal legislatore e, quindi, vanno a sovrapporsi ad una pluralità di altri interessi, incidendo su ambiti di competenza legislativa concorrente o residuale delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano.

In particolare, per quanto interessa in questa sede, più volte la Corte costituzionale (ex multis, sentenza 21 dicembre 2016, n. 287) ha ribadito che materie di competenza statale come quella di cui all’art. 117, comma 2, lett. e), “tutela della concorrenza”, e quella di cui all’art. 117, comma 2, lett. l), “ordinamento civile”, per la loro natura trasversale assumono carattere prevalente e «possono influire su altre materie attribuite alla competenza legislativa concorrente o residuale delle regioni fino a incidere sulla totalità degli ambiti materiali entro i quali si applicano».

Ad analoghe conclusioni la Consulta (ex multis, sentenza 24 luglio 2012, n. 207) è pervenuta con riferimento alla materia di cui all’art. 117, comma 2, lett. m), “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, precisando al riguardo che si tratta «non tanto di una “materia” in senso stretto, quanto di una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle» e che, in questa prospettiva, «anche l’attività amministrativa (quindi, anche i procedimenti amministrativi in genere) ... può assurgere alla qualifica di “prestazione” della quale lo Stato è competente a fissare un “livello essenziale” a fronte di una specifica pretesa di individui, imprese, operatori economici ed, in generale, di soggetti privati».

Ebbene tra queste competenze trasversali del Legislatore statale, secondo la parte ricorrente, nel presente giudizio rileverebbe innanzi tutto quella in materia di “ordinamento civile” perché le convenzioni di lottizzazione sono qualificate dalla giurisprudenza come accordi sostitutivi di provvedimenti, per i quali l’art. 11, comma 2, della legge n. 241/1990 prevede espressamene che “si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili” e, quindi, la proroga triennale delle convenzioni di lottizzazione stipulate sino al 31 dicembre 2012 sarebbe senz’altro riconducibile alla potestà legislativa statale.

Parimenti rileverebbe, sempre secondo la parte ricorrente, la competenza trasversale in materia di “tutela della concorrenza”, perché nelle premesse al decreto legge n. 69/2013 è invocata la “necessità ed urgenza di emanare disposizioni ... al fine di dare impulso al sistema produttivo del Paese attraverso il sostegno alle imprese” e, quindi, la proroga triennale delle convenzioni di lottizzazione - quale misura di sostegno alle imprese - sarebbe espressione anche della potestà legislativa statale in materia di “tutela della concorrenza”.

Infine la ricorrente invoca la competenza trasversale relativa alla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, perché nelle premesse al decreto legge n. 69/2013 è richiamata la “necessità ed urgenza di emanare disposizioni ... per la crescita economica e per la semplificazione del quadro amministrativo e normativo, ... operando anche una riduzione degli oneri amministrativi per i cittadini e le imprese” e, quindi, la proroga triennale delle convenzioni di lottizzazione - quale misura volta sia alla semplificazione amministrativa, sia alla riduzione degli oneri amministrativi per i cittadini e le imprese - assurgerebbe al rango di “prestazione” della quale lo Stato è competente a fissare un “livello essenziale” a fronte di una specifica pretesa dei cittadini e delle imprese.

4. Giova poi rammentare che la complessità dei fenomeni sociali oggetto di interventi legislativi rende spesso non agevole la riconduzione di una norma di legge ad un’unica materia, perché si determina un intreccio tra le diverse materie ed i diversi livelli di competenza che la stessa Corte costituzionale ha definito «inestricabile» (sentenza 14 gennaio 2016, n. 1).

A fronte di tale situazione la Consulta (sentenza 28 gennaio 2005, n. 50) ha precisato che, in caso di interferenze tra norme rientranti in materie di competenza statale ed altre di competenza concorrente o residuale delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano, «può parlarsi di concorrenza di competenze e non di competenza ripartita o concorrente», e che per la composizione delle interferenze tra i vari livelli «la Costituzione non prevede espressamente un criterio ed è quindi necessaria l’adozione di principi diversi».

Tra questi principi rileva innanzi tutto il “principio di prevalenza” (sentenza 23 dicembre 2003, n. 370), che può applicarsi qualora appaia evidente l’appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad altre. A tale principio si affiancano il “principio di leale collaborazione” (sentenza 14 gennaio 2016 n. 1, cit.), che impone al legislatore statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano, a salvaguardia delle loro competenze, ed il “principio della c.d. attrazione in sussidiarietà” (sentenza 1° ottobre 2003, n. 303), che si fonda su un’interpretazione dinamica dell’attribuzione di funzioni amministrative di cui all’art. 118, comma 1, Cost. (secondo il quale le funzioni amministrative, generalmente attribuite ai comuni, possono essere allocate ad un livello diverso di governo per assicurarne l’esercizio unitario, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza) e comporta che l’attrazione allo Stato di funzioni amministrative implichi la parallela attrazione della funzione legislativa.

5. Infine giova evidenziare che - mentre la Corte costituzionale (sentenza 13 novembre 2009, n. 295), riguardo alla materia di cui all’art. 117, comma 2, lett. l), ha precisato che il legislatore costituente «ha codificato il c.d. limite del diritto privato consolidatosi nella giurisprudenza costituzionale anteriore alla riforma del 2001», ribadendo che «l’ordinamento del diritto privato si pone quale limite alla legislazione regionale, in quanto fondato sull’esigenza, sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire nel territorio nazionale l’uniformità della disciplina dettata per i rapporti fra privati. Esso, quindi, identifica un’area riservata alla competenza esclusiva della legislazione statale e comprendente i rapporti tradizionalmente oggetto di codificazione» (sentenza n. 352 del 2001)» - diverse considerazioni valgono per la materia di cui all’art. 117, comma 2, lett. e), “tutela della concorrenza”, e quella di cui all’art. 117, comma 2, lett. m), “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Difatti - come correttamente osservato dalla Provincia nelle sue difese - queste due materie sono state attribuite alla competenza esclusiva dello Stato dalla legge costituzionale n. 3/2001, la quale dispone altresì, all’art. 10, che “Sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite”. Ciò significa che per le predette materie di cui all’art. 117, comma 2, lett. e) e lett. m), vale quanto affermato dalla Corte Costituzionale nelle sentenze n. 145/2005 e n. 401/2007.

In particolare con la prima pronuncia (sentenza 12 aprile 2005, n. 145) è stata ritenuta infondata la tesi del Governo - secondo la quale la diretta applicabilità di una legge statale nel territorio della Provincia di Trento sarebbe derivata dalla competenza esclusiva dello Stato nella materia di cui all’art. 117, comma 2, lett. m) - osservando che «le disposizioni della legge costituzionale n. 3 del 2001, modificativa del Titolo V della Costituzione, si applicano alle Province autonome, ai sensi dell’art. 10 della stessa legge costituzionale, solo “per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite”. Sicché, deve necessariamente escludersi che le disposizioni della suddetta legge costituzionale possano comportare limitazioni alla sfera di competenza legislativa già attribuita alla Provincia ricorrente per effetto dello statuto di autonomia. Fermo restando, ricorrendone i presupposti, l’obbligo di adeguamento, imposto dall’art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 266 del 1992, ai principi e alle norme costituenti limiti indicati dagli artt. 4 e 5 dello stesso statuto».

Parimenti la Consulta con la seconda pronuncia (sentenza 23 novembre 2007, n. 401) - nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, del codice dei contratti pubblici approvato con il decreto legislativo n. 163/2006 (il quale individuava le materie nelle quali «le Regioni, nel rispetto dell’articolo 117, comma secondo, della Costituzione, non possono prevedere una disciplina diversa da quella del presente Codice»), questione sollevata in via principale dalla Provincia di Trento invocando la propria potestà legislativa primaria su materie interessate dal predetto articolo (come i “lavori pubblici di interesse provinciale”, di cui all’art. 8, n. 17, del d.P.R. n. 670/1972) - ha osservato quanto segue: «L’art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 163 del 2006 contiene ... una clausola di salvaguardia secondo la quale “Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle relative norme di attuazione”. A tale fine, pertanto, opera il meccanismo prefigurato dall’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, secondo il quale l’emanazione di nuove norme statali non determina una diretta abrogazione di leggi provinciali preesistenti, ma solo un obbligo di adeguamento entro i sei mesi successivi alla pubblicazione dell’atto legislativo statale nella Gazzetta Ufficiale o nel più ampio termine da esso stabilito. Il mancato adempimento di siffatto obbligo può essere fatto valere dal Governo con ricorso contro le leggi provinciali non adeguate (vedi, tra le altre, la sentenza numero 302 del 2003). Il legislatore statale ha, pertanto, espressamente previsto una clausola che, per il suo contenuto puntuale in ordine al relativo ambito applicativo (vedi le sentenze numeri 384, 287 e 263 del 2005), è idonea ad escludere, come afferma la stessa difesa dello Stato, il vizio di costituzionalità della disposizione. Del resto, il medesimo art. 4, comma 3, fa espressamente riferimento alle sole “regioni” e non anche alle Province autonome». Dunque, secondo la Consulta, correttamente il legislatore statale - invece di invocare la materia della “tutela della concorrenza” per affermare la propria competenza a legiferare direttamente nella materia dei contratti pubblici nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano - aveva riservato a tali enti una disciplina diversa (quella di cui all’art. 4, comma 5, del decreto legislativo n. 163/2006) da quella prevista per le Regioni a statuto ordinario, sì da non incorrere nella violazione dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3/2001.

In definitiva il Collegio ritiene che soltanto invocando la potestà legislativa statale in materia di “ordinamento civile” la parte ricorrente potrebbe astrattamente postulare la diretta applicabilità della disposizione dell’art. 30, comma 3-bis, del decreto legge n. 69/2013. Invece la violazione dell’art. 117, comma 2, lett. e) e lett. m), potrebbe astrattamente supportare soltanto la censura (dedotta con il secondo motivo) incentrata sul mancato adeguamento della legislazione provinciale alla disposizione dell’art. 30, comma 3-bis, del decreto legge n. 69/2013 secondo l’apposito meccanismo delineato dall’art. 2 del decreto legislativo n. 266/1992.

6. Tanto premesso, nel caso in esame non giova alla parte ricorrente neppure invocare la potestà del legislatore statale in materia di “ordinamento civile” perché, da un lato, le convenzioni di lottizzazione rientrano senz’altro nella materia denominata “urbanistica e piani regolatori”, che l’art. 8, n. 5, del d.P.R. n. 670/1972 attribuisce alla potestà legislativa primaria delle Province autonome di Trento e Bolzano;
dall’altro, in applicazione del richiamato “principio di prevalenza” deve ritenersi che il nucleo essenziale della disciplina delle convenzioni di lottizzazione - e, in particolare, la disciplina del termine di efficacia delle convenzioni stesse - non sia riconducibile alla potestà del legislatore statale in materia di “ordinamento civile”.

È noto che un’autorevole dottrina sin dall’entrata in vigore della legge n. 765/1967 - che, nel modificare l’art. 28 della legge n. 1150/1942, aveva subordinato la lottizzazione dei terreni a scopo edilizio all’esistenza dello strumento urbanistico generale ed imposto un contenuto minimo alla convenzione di lottizzazione, costituito dall’obbligo del lottizzante di realizzare gran parte delle opere di urbanizzazione e di cedere gratuitamente all’amministrazione le opere e la relativa area di sedime - ha definito le lottizzazioni “centauresse” per spiegare la difficoltà di inquadrare un fenomeno caratterizzato dalla compresenza di due elementi difficilmente conciliabili tra loro, come autorità e consenso.

Attualmente nella Provincia di Trento la disciplina delle lottizzazioni si rinviene, prevalentemente, negli articoli 49 e ss. della legge n. 15/2015, che regolano la più ampia materia degli strumenti urbanistici di attuazione della pianificazione generale. In particolare l’art. 50 della legge n. 15/2015 include (al comma 1) i piani di lottizzazione tra gli “strumenti attuativi” del P.R.G. (previsti e disciplinati dall’art. 49) e precisa (al comma 5) che i piani di lottizzazione sono piani di iniziativa privata o, nei casi previsti dall’art. 52, di iniziativa pubblica, e sono obbligatori nei casi previsti da ciascun P.R.G. e nei casi indicati dallo stesso art. 50. Gli articoli 51-53 si occupano a loro volta del procedimento di formazione dei piani attuativi, mentre l’art. 54 disciplina gli effetti dei piani attuativi.

Inoltre, per quanto d’interesse in questa sede, l’art. 49 della legge n. 15/2015 - dopo aver affermato (al comma 1), in termini generali, che gli strumenti urbanistici attuativi (ivi compresi i piani di lottizzazione) “specificano e sviluppano le previsioni degli strumenti urbanistici di carattere generale” - ne stabilisce (al comma 6) il contenuto minimo, precisando che sono costituiti da una pluralità di elaborati progettuali, ivi compreso uno “schema di convenzione, da stipulare fra gli interessati e il comune”.

Lo stesso art. 49 disciplina (sempre al comma 6) il contenuto obbligatorio della convenzione tra il Comune ed i proprietari interessati, prevedendo che deve specificare: “l’individuazione e l’assunzione degli oneri di urbanizzazione primaria e, se necessario, secondaria, a carico del proprietario”;
“la misura del contributo di costruzione da corrispondere, ridotto in relazione all’entità delle opere di urbanizzazione primaria e, eventualmente, secondaria realizzate direttamente a cura dei proprietari”, misura calcolata in via provvisoria dagli interessati, salvo successivo conguaglio sulla base delle determinazioni del comune;
“le cessione gratuita al comune delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria e l’eventuale cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione secondaria previste e determinate in proporzione all’entità e alle caratteristiche degli insediamenti del piano attuativo”;
“l’eventuale cessione gratuita di aree per interventi di riqualificazione ambientale”;
“i termini, non superiori a dieci anni dalla data di approvazione dei piani attuativi d’iniziativa privata o mista pubblico-privata, per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione, l’ordine temporale ed eventualmente di priorità per la realizzazione di queste opere o degli interventi previsti dal piano attuativo”;
“le garanzie finanziarie per l’adempimento degli obblighi derivanti dalla convenzione, di importo pari al costo delle opere di urbanizzazione, come quantificato nel computo metrico-estimativo allegato al piano”;
“le clausole penali applicabili”;
“la quantificazione dell’indennizzo dovuto nel caso di espropriazione di aree necessarie per opere di urbanizzazione secondaria, se determinabile in sede di piano attuativo, quando tali opere non sono comprese nella cessione gratuita ai sensi del numero 3) e sono assoggettate dal PRG a vincolo preordinato all’espropriazione, nei limiti indicati nell’articolo 48”.

Quanto agli effetti dei piani attuativi (ivi compresi i piani di lottizzazione) l’art. 54 dispone (al comma 1) che “hanno efficacia decennale, a decorrere dalla data di efficacia della delibera che li approva” e (al comma 1-bis) che il Comune, entro tale termine decennale, “può prorogare l’efficacia dei piani attuativi d’iniziativa privata o d’iniziativa mista pubblico-privata non ancora scaduti per un periodo di tempo non superiore a tre anni in caso di particolare complessità delle opere di urbanizzazione previste nei piani medesimi, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 48 con riguardo alla durata dei vincoli preordinati all’espropriazione”. Inoltre, con particolare riferimento ai piani attuativi d’iniziativa privata, l’art. 54, comma 2, dispone che “la completa realizzazione delle opere di urbanizzazione previste dai piani e l’assolvimento da parte del soggetto privato degli obblighi a suo carico derivanti dalla convenzione entro il termine previsto dal comma 1 consentono di realizzare, in tutto o in parte anche dopo la scadenza di quest’ultimo termine, gli interventi edilizi previsti nel piano stesso, se essi sono conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, in vigore o adottati, del regolamento edilizio comunale e della normativa urbanistica ed edilizia vigenti al momento del rilascio o della presentazione del titolo abilitativo edilizio;
inoltre consentono di apportare eventuali varianti ordinarie e in corso d’opera ai medesimi interventi”.

Infine gli ultimi due commi dell’art. 54 si occupano della sorte delle aree incluse nei piani di lottizzazione dopo la scadenza del predetto termine decennale. In particolare, secondo il comma 3, al di fuori dei casi previsti dal comma 2, tali aree divengono “zone bianche” (ossia sono prive di disciplina) e “sono utilizzabili nei limiti di una densità edilizia fondiaria di 0,01 metri cubi per ogni metro quadrato di lotto accorpato”, fermo restando che, entro dodici mesi dalla scadenza del predetto termine decennale il comune deve definire la nuova disciplina delle aree in questione “mediante l’approvazione di una variante al PRG o mediante l’approvazione di un piano attuativo con effetto di adozione di variante al PRG” oppure, se le opere previste dal commi 2 sono state realizzate in parte, “mediante la predisposizione di un nuovo piano attuativo per il necessario assetto della parte rimasta inattuata”.

Rileva infine in questa sede la norma transitoria dell’art. 121, comma 17, della legge provinciale n. 15/2015, secondo il quale “L’efficacia decennale dei piani, prevista dall’articolo 54, comma 1, vigenti alla data di entrata in vigore di questa legge decorre dalla data della loro approvazione, se intervenuta dopo la data di entrata in vigore della legge urbanistica provinciale 2008”.

7. Poste tali premesse, il Collegio ritiene che le “convenzioni di lottizzazione”, alle quali si riferisce l’art. 30, comma 3-bis, rientrino nella materia dell’urbanistica - di competenza del legislatore provinciale ai sensi dell’art. 8, n. 5, del d.P.R. n. 670/1972 - innanzi tutto perché il legislatore nazionale intendeva senz’altro ampliare l’efficacia temporale dei piani di lottizzazione e non solo delle convenzioni che, ai sensi dell’art. 49, comma 6, della legge n. 15/2015, sono parte integrante dei piani di lottizzazione;
del resto di ciò si trae conferma dal fatto che l’art. 54 della legge n. 15/2015 si occupa della durata e degli effetti dei piani attuativi, e non delle convenzioni che sono parte di tali piani.

Inoltre, la riconduzione dei piani di lottizzazione alla materia dell’urbanistica è confermata sia dall’art. 49, comma 1, della legge n. 15/2015, in forza del quale gli strumenti urbanistici attuativi assolvono, prevalentemente, alla funzione di specificare e sviluppare le previsioni degli strumenti urbanistici generali (e, quindi, sono strumenti attraverso i quali l’amministrazione esercita il c.d. potere conformativo, che implica scelte politiche sull’uso del territorio), sia dal fatto che gli articoli 49 e ss. disciplinano prevalentemente proprio la c.d. funzione urbanistica di regolazione (ossia l’esercizio del potere conformativo).

8. Deve poi rilevarsi che - pur essendo innegabile (alla luce dell’art. 49, comma 6, della legge n. 15/2015, ove è prevista la convenzione che deve essere stipulata tra il Comune ed i proprietari interessati dal piano attuativo) il ruolo che la c.d. urbanistica consensuale ha assunto nell’ambito della dinamica dell’esercizio del potere finalizzato all’adozione del piano di lottizzazione - la prevalente natura pubblicistica del piano stesso è tuttavia confermata dalla riconduzione delle c.d. convenzioni urbanistiche agli accordi sostitutivi di provvedimenti di cui all’art. 11 della legge n. 241/1990 e dal fatto che, secondo la unanime giurisprudenza della Corte costituzionale, delle Sezioni unite della Corte di cassazione e dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, tali accordi non possono essere qualificati come strumenti di matrice civilistica.

In particolare la Corte costituzionale (sentenza 15 luglio 2016, n. 179) ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale (sollevata in relazione agli art. 103, comma 1, e 113, comma 1, Cost.) dell’art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, e lett. f), cod. proc. amm., nella parte in cui include tra le materie di giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo le controversie proposte dall’Amministrazione nei confronti di soggetti privati, osservando che «in sede di regolazione della giurisdizione, la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato il collegamento funzionale delle convenzioni urbanistiche al procedimento di rilascio dei titoli abilitativi edilizi, dei quali esse condizionano l’adozione e integrano il contenuto (si veda ex plurimis, Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanza 14 gennaio 2014, n. 584 e Consiglio di Stato, sezione quarta, 12 novembre 2009, n. 7057). In quanto inserite nell’ambito del procedimento amministrativo, le convenzioni e gli atti d’obbligo stipulati tra pubblica amministrazione e privati costituiscono pur sempre espressione di un potere discrezionale della stessa pubblica amministrazione. Tali moduli convenzionali di esercizio del potere amministrativo non hanno, quindi, specifica autonomia. In coerenza con i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale, il fondamento di tali ipotesi di giurisdizione esclusiva viene legittimamente individuato nell’esercizio, ancorché in via indiretta o mediata, del potere pubblico».

Inoltre l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sentenza 18 febbraio 2020, n. 5) - premesso che, come affermato nell’art. 1 della legge n. 241/1990, «l’attività della pubblica amministrazione risulta costantemente funzionalizzata alla cura, tutela, perseguimento dell’interesse pubblico, sia che a tali fini vengano esercitati poteri pubblicistici ad essa conferiti - e dei quali l’interesse pubblico costituisce, al tempo stesso, la causa dell’attribuzione e la giustificazione dell’esercizio in concreto - sia che vengano utilizzati strumenti propri del diritto privato, in un contesto generale già delineato attraverso l’esercizio di potestà pubbliche» - ha ribadito che proprio la «generale immanenza dell’interesse pubblico» è l’elemento che non consente di ridurre gli accordi sostitutivi di cui all’art. 11 della legge n. 241/1990 a meri «strumenti di matrice civilistica», perché «nei casi invece di contratto ad oggetto pubblico l’amministrazione mantiene comunque la sua tradizionale posizione di supremazia;
tali contratti non sono disciplinati dalle regole proprie del diritto privato, ma meramente dai “principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti”, sempre “in quanto compatibili” e salvo che “non diversamente previsto”».

In definitiva - a differenza di quanto affermato dalla parte ricorrente - la circostanza che ai piani di lottizzazione si applichino, ai sensi dell’art. 11, comma 2, della legge n. 241/1990, “ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili” (si pensi, ad esempio, alla disciplina dei rapporti obbligatori che trovano la propria fonte nella convenzione che costituisce parte integrante del piano di lottizzazione), non è sufficiente per ritenere che, stante la competenza del legislatore statale in materia di “ordinamento civile”, la disposizione dell’art. 30, comma 3-bis, del decreto legge n. 69/2013 sia direttamente applicabile nel territorio della Provincia di Trento.

Resta allora solo da evidenziare che ampliare di un triennio l’efficacia temporale di un piano di lottizzazione significa - come evidenziato dalla Provincia di Trento nelle sue difese - ampliare il periodo durante il quale il Comune non può unilateralmente modificare la destinazione urbanistica delle aree incluse nel piano senza ledere l’affidamento dei privati interessati. Dunque, posto che il legislatore statale con la disposizione dell’art. 30, comma 3-bis, ha compresso il potere dei Comuni di disciplinare l’assetto del proprio territorio, anche per tale ragione deve ritenersi che tale disposizione non investa direttamente profili di natura civilistica, bensì di natura prettamente pubblicistica.

9. Come già indicato, alla parte ricorrente non giova neppure invocare la competenza funzionale trasversale del legislatore statale in materia di “tutela della concorrenza” e di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” per dimostrare la diretta applicabilità dell’art. 30, comma 3-bis. Difatti in relazione a queste materie l’art. 10 della legge n. 3/2001 esclude che il legislatore statale possa adottare leggi direttamente applicabili nel territorio delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano.

Dunque il primo motivo deve essere respinto, a prescindere dalla possibilità di ricondurre o meno la proroga triennale disposta con l’art. 30, comma 3-bis, del decreto legge n. 69/2013 alle predette materie di cui all’art. 117, comma 2, lett. e) e lett. m).».

13. Diverse considerazioni valgono per il secondo motivo di ricorso, con il quale il Fallimento Edilarcense lamenta il mancato adeguamento - nel termine di sei mesi fissato dall’art. 2 del decreto legislativo n. 266/1992 - della legislazione della Provincia autonoma di Trento (e, in particolare, degli articoli 54, comma 1, e 121, comma 17, della legge provinciale n. 15/2015) alla disciplina posta dal comma 3-bis dell’art. 30, del decreto legge n. 69/2013 (inserito dalla legge di conversione n. 98/2013), osservando che le Province autonome di Trento e Bolzano devono esercitare la propria potestà legislativa “entro i limiti indicati dall’art. 4” del d.P.R. n. 670/1972, ossia “ in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali ... nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica” .

In particolare secondo la parte ricorrente - posto che il decreto legge n. 69/2013 persegue “interessi nazionali” perché reca “misure urgenti per il rilancio dell’economia” , come la proroga triennale del “termine di validità” ( rectius , termine di efficacia) delle convenzioni di lottizzazione stipulate sino al 31 dicembre 2012, e l’art. 30, comma 3-bis, recante tale proroga, rientra tra le “ norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica” perché introduce una misura volta a contrastare una notoria situazione di crisi economica - gli articoli 54, comma 1, e 121, comma 17, della legge provinciale n. 15/2015, non prevedendo la predetta proroga triennale, sono costituzionalmente illegittimi, per violazione degli articoli 4 e 5 del d.P.R. n. 670/1972 e dell’art. 3 Cost., perché tale proroga, allo stato, si applica su tutto il territorio nazionale, con sola eccezione, irragionevole e immotivata, del territorio della Regione autonoma Trentino-Alto Adige e - per quanto rileva in questa sede - del territorio della Provincia autonoma di Trento.

14. Giova allora rammentare che il meccanismo di adeguamento della legislazione della Provincia autonoma di Trento a quella statale - previsto dalla norma di attuazione di cui all’art. 2 del decreto legislativo n. 266/1992 è stato illustrato dalla Corte Costituzionale in una recente pronuncia (sentenza 18 aprile 2019, n. 93), ove è stato ribadito che «deve ritenersi “normale e fisiologica” un’attività di recezione non automatica della legislazione statale condizionante quella provinciale» . In particolare, secondo la Consulta, «in caso di adozione da parte dello Stato di principi e norme costituenti limiti, ai sensi degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale, alla potestà legislativa regionale e provinciale, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome hanno sei mesi di tempo (o il più ampio termine espressamente stabilito) per adeguarsi;
pendente tale termine semestrale, restano applicabili le disposizioni regionali o provinciali preesistenti»
. Trattasi, quindi, di un sistema che «comporta, non già l’immediata applicabilità delle ricordate norme statali nel territorio della Regione e delle Province, ma l’insorgere in capo a queste ultime, all’entrata in vigore di quelle disposizioni statali, di un obbligo di adeguamento della propria legislazione ai nuovi principi introdotti nell’ordinamento nazionale» . Di conseguenza, secondo la Corte, le disposizioni regionali o provinciali non adeguate «possono essere impugnate dal Governo dinanzi a questa Corte, nei novanta giorni successivi alla decorrenza del termine. La loro mancata impugnazione, peraltro, non impedisce la proponibilità di questioni di legittimità costituzionale in via incidentale, poiché, per quanto la norma di attuazione statutaria intenda ulteriormente valorizzare l’autonomia speciale della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e delle Province autonome, essa non attribuisce alcuna forza peculiare alla legge regionale o provinciale non impugnata in via principale» . In definitiva, trattasi di un «sistema peculiare, che determina la “incostituzionalità sopravvenuta” ... delle norme regionali o provinciali che non siano state adeguate alla normativa statale una volta decorso il termine (il cui spirare, peraltro, ovviamente non impedisce alla Regione e alle Province di esercitare la funzione legislativa, adeguandosi alla normativa statale)» , fermo restando che tale sistema «opera se, e soltanto se, la legislazione regionale o provinciale vigente al momento dell’entrata in vigore della normativa statale, che ne costituisce il limite, si trovi effettivamente in contrasto con quest’ultima. È al ricorrere di questa circostanza che insorge in capo al legislatore regionale o provinciale l’obbligo di adeguare la propria normativa a quella sopravvenuta statale».

15. Tanto premesso, al fine di verificare la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata nel ricorso, assume rilievo decisivo stabile se l’adozione, da parte del legislatore statale, di una misura emergenziale come la proroga triennale del termine di efficacia delle convenzioni di lottizzazione stipulate sino al 31 dicembre 2012 abbia determinato o meno, in capo al legislatore provinciale, l’obbligo di adeguare la propria legislazione a quella sopravvenuta statale.

Ebbene, due distinte circostanze inducono, da un lato, a ritenere non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 54, comma 1, e 121, comma 17, della legge provinciale n. 15/2015 prospettata dal ricorrente invocando come parametro della legittimità costituzionale il principio di uguaglianza, sancito dall’art. 3 Cost. e richiamato dagli articoli 4 e 5 dello Statuto di autonomia speciale della Regione autonoma Trentino Alto Adige/ Südtirol;
dall’altro, a ritenere prive di fondamento le difese svolte dalla Provincia di Trento invocando l’interpretazione letterale dell’art. 30, comma 3-bis, che indurrebbe ad escluderne l’applicabilità nel territorio provinciale, e prospettando un’ulteriore questione di legittimità costituzionale dell’art. 30, comma 3-bis, del decreto legge n. 69/2013 incentrata sull’asserita violazione del principio di proporzionalità da parte del legislatore statale.

16. Innanzi tutto nel vigente testo della Carta costituzionale la fissazione di norme in materia di attività amministrativa non figura tra le materie espressamente rimesse alla competenza esclusiva o concorrente dello Stato e, quindi, la materia potrebbe (in ipotesi) ricadere tra quelle di competenza residuale delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano. Tuttavia ai fini dell’affermazione della competenza del legislatore statale in tale materia rilevano - almeno con riferimento ad alcuni aspetti della materia stessa - sia le competenze a carattere trasversale di cui all’art. 117, comma 2, lett. l), “giurisdizione e norme processuali;
ordinamento civile e penale;
giustizia amministrativa”
, sia l’ulteriore competenza a carattere trasversale di cui all’art. 117, comma 2, lett. m), “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” .

Del resto di ciò si trae conferma dall’art. 29 della legge n. 241/1990 che, nel disciplinare l’ambito di applicazione della legge stessa, dapprima enuclea (al comma 1) un ristretto gruppo di norme che “si applicano a tutte le amministrazioni pubbliche” , ivi comprese le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano;
poi indica (ai commi 2, 2-bis, 2-ter e 2-quater) i limiti della potestà normativa delle Regioni a statuto ordinario e degli Enti locali, specificando (ai commi 2-bis e 2-ter) le disposizioni della legge stessa che attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117, comma 2, lett. m) e consentendo alle Regioni e agli enti locali - «coerentemente con la necessaria lettura finalistica della formula dei livelli essenziali delle prestazioni» (Corte costituzionale, sentenza 27 dicembre 2018, n. 246) - di “prevedere livelli ulteriori di tutela” , ma vietando loro di “stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter” ;
infine dispone che le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano “adeguano la propria legislazione alle disposizioni del presente articolo, secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione” .

Inoltre la stessa Corte costituzionale (sentenza 24 luglio 2012, n. 207) ha chiarito che «anche l’attività amministrativa (quindi, anche i procedimenti amministrativi in genere) ... può assurgere alla qualifica di “prestazione” della quale lo Stato è competente a fissare un “livello essenziale” a fronte di una specifica pretesa di individui, imprese, operatori economici ed, in generale, di soggetti privati».

Poste tali premesse, e considerato che le cc.dd. convenzioni urbanistiche rientrano (come già evidenziato da questo Tribunale nella sentenza non definitiva n. 98/2020) nel più ampio genus degli accordi sostitutivi di cui all’art. 11 della legge n. 241/1990, in questa sede assume un particolare rilievo la circostanza che all’art. 29 della legge n. 241/1990 le disposizioni del predetto art. 11 tra quelle di cui al comma 1 (ossia tra quelle che “si applicano a tutte le amministrazioni pubbliche” , ivi comprese le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano), al pari di quelle inserite nel capo IV-bis della legge n. 241/1990, recante la disciplina dell’efficacia e dell’invalidità del provvedimento amministrativo. Questa collocazione delle disposizioni dell’art. 11 della legge n. 241/1990 sta infatti ad indicare - a giudizio del Collegio - che le disposizioni stesse (e, in particolare, quella del comma 1 del medesimo art. 11, ove si afferma che gli accordi sono conclusi “in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse” , quella del successivo comma 2, ove si afferma che gli accordi “debbono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto” , e quella del comma 4, ove si afferma che l’amministrazione per sopravvenuti motivi di pubblico interesse può recedere unilateralmente dall’accordo, “salvo l’obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato” ) non si limitano a fissare livelli essenziali delle prestazioni, ma richiedono piuttosto un’uniforme ed omogenea applicazione su tutto il territorio nazionale, perché attengono all’efficacia e all’invalidità del dell’accordo amministrativo, al pari di quelle inserite nel capo IV-bis della legge n. 241/1990.

In altri termini, attenendo la materia degli accordi di cui all’art. 11 alle garanzie del cittadino di fronte al potere pubblico, la materia stessa deve essere disciplinata in modo uniforme sul territorio nazionale, e ciò non può non valere anche per la proroga triennale delle convenzioni di lottizzazione stipulate fino al 31 dicembre 2012, disposta dall’art. 30, comma 3-bis, del decreto legge n. 69/2013. Difatti il legislatore nazionale con tale disposizione ha fissato - seppure con una norma ad efficacia temporanea e con riferimento ad una specifica categoria di accordi sostitutivi, quelli che attengono alla formazione dei piani di lottizzazione - una regula iuris che attiene anch’essa all’efficacia di tali accordi e richiede, quindi, un’uniforme ed omogenea applicazione su tutto il territorio nazionale.

Del resto la stessa Provincia di Trento nelle sue difese ha posto in rilievo che la proroga delle convenzioni stipulate fino al 31 dicembre 2012 nei fatti costituisce un limite al c.d. potere conformativo dell’Amministrazione.

17. La seconda circostanza è costituita dal fatto che - come evidenziato nella relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione del decreto legge n. 69/2013 (AC n. 1248) - la cornice di riferimento dell’intervento del legislatore nazionale è costituita dalle raccomandazioni rivolte all’Italia nel quadro del semestre europeo 2013.

In particolare nella Raccomandazione del Consiglio sul programma nazionale di riforma 2013 dell’Italia e che formula un parere sul programma di stabilità dell’Italia 2012-2017 (COM(2013)362 final, 29 maggio 2013) si evidenzia, tra l’altro che «Nonostante l’azione intrapresa permangono debolezze nell’efficienza della pubblica amministrazione in termini di norme e procedure, qualità della governance e capacità amministrativa, con conseguenti ripercussioni sull’attuazione delle riforme e sul contesto in cui operano le imprese» (considerando n. 11) e conseguentemente si raccomanda all’Italia, per quanto interessa in questa sede, da un lato, di «potenziare l’efficienza della pubblica amministrazione e migliorare il coordinamento fra i livelli amministrativi» e, dall’altro, di «semplificare il quadro amministrativo e normativo per i cittadini e le imprese» (raccomandazione n. 2).

Dunque è alla luce di questi riferimenti che vanno lette le premesse al decreto legge n. 69/2013, ove viene dato atto della “straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per la crescita economica e per la semplificazione del quadro amministrativo e normativo, nonché misure per l’efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile al fine di dare impulso al sistema produttivo del Paese attraverso il sostegno alle imprese, il rilancio delle infrastrutture, operando anche una riduzione degli oneri amministrativi per i cittadini e le imprese” , e in tale contesto va evidentemente ad inserirsi anche la proroga triennale delle convenzioni di lottizzazione stipulate fino al 31 dicembre 2012 (sebbene la disposizione dell’art. 30, comma 3-bis, sia stata inserita dalla legge n. 98/2013 in sede di conversione del decreto legge n. 69/2013).

18. Poste tali premesse, pur potendosi convenire con le amministrazioni resistenti quando affermano che la disposizione dell’art. 30, comma 3-bis, non può essere inclusa tra le “norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica” , tuttavia ciò non vale ad escludere che tale disposizione - proprio in ragione della cornice in cui si inserisce - postuli un’uniforme ed omogenea applicazione su tutto il territorio nazionale.

In particolare la Corte costituzionale da tempo chiarito (sentenza 7 novembre 1995, n. 482) che, anche nel contesto di un’incisiva riforma, «la qualifica di fondamentale da attribuire alle norme della nuova disciplina può derivare dal costituire esse un elemento coessenziale alla riforma economico-sociale, in quanto la caratterizzano o formano la base dei suo sviluppo normativo» , e che non tutte le disposizioni di una legge costituiscono “norme fondamentali di riforma economico-sociale” , ma «solo i nuclei essenziali del contenuto normativo che quelle disposizioni esprimono, per i principi enunciati o da esse desumibili» . Dunque non pare possibile includere tra le “norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica” una norma eccezionale come quella dell’art. 30, comma 3-bis.

Anche questo Tribunale in altra occasione (T.R.G.A. Trentino - Alto Adige, Trento, 6 marzo 2019, n. 44) ha già evidenziato che la disposizione del comma 3-bis è ispirata alla finalità «di disporre il differimento una tantum dei termini per la realizzazione degli interventi, in considerazione delle difficoltà in cui possono essere incorsi gli operatori a causa della crisi economica. Dunque valgono anche per il comma 3-bis le considerazioni svolte dalla giurisprudenza (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 22 luglio 2015, n. 1764) in merito alla portata eccezionale della disposizione del comma 3 ed alla conseguente necessità di un’interpretazione restrittiva dell’ambito applicativo della proroga. Del resto la previsione di precisi termini di validità delle convenzioni urbanistiche e di termini per l’avvio e il completamento dei lavori risponde a rilevanti esigenze di interesse pubblico, ossia alla necessità per la collettività di poter contare sulla realizzazione delle opere entro un tempo ragionevole e definito;
quindi la previsione di un differimento ex lege di tali termini presenta un carattere eccezionale. Inoltre la proroga di cui al comma 3-bis non lascia alcun margine di valutazione discrezionale ai Comuni. L’interpretazione restrittiva è, quindi, imposta anche da ragioni di rilievo costituzionale, ossia dall’esigenza di contenere entro quanto strettamente necessario, alla stregua della valutazione compiuta dal legislatore nazionale, la compressione dell’autonomia costituzionalmente garantita ai comuni nella disciplina dell’assetto del proprio territorio. Infine, anche l’automatismo insito nella disposizione del comma 3-bis, che è destinata a produrre effetti al solo ricorrere delle condizioni ivi previste, impone un’interpretazione strettamente aderente alla lettera della disposizione stessa. Quest’ultima deve essere, infatti, automaticamente applicata in tutti i casi e solo nei casi che integrino la fattispecie tipizzata dal legislatore, senza che possano ammettersi operazioni ermeneutiche volte ad estenderne la portata oltre i casi direttamente contemplati».

Tuttavia affermare che l’art. 30, comma 3-bis, reca una norma eccezionale non significa negare che tale norma sia volta a perseguire rilevanti “interessi nazionali” e, soprattutto, non significa escludere che la norma stessa postuli un’uniforme ed omogenea applicazione su tutto il territorio nazionale. Difatti, posto che la cornice di riferimento del decreto legge n. 69/2013 riguarda il sistema Paese nel suo complesso, escludere dall’applicazione della proroga triennale le convenzioni di lottizzazione stipulate fino al 31 dicembre 2012 nel territorio della Provincia di Trento significherebbe legittimare un’irragionevole e ingiustificata disparità di trattamento, in contrasto con il principio di uguaglianza, sancito dall’art. 3 Cost. e richiamato dagli articoli 4 e 5 del d.P.R. n. 670/1972.

19. Come accennato, le considerazioni che precedono, oltre a dimostrare la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 54, comma 1, e 121, comma 17, della legge provinciale n. 15/2015 prospettata in ragione della violazione del principio di uguaglianza, valgono a dimostrare altresì la manifesta infondatezza della tesi (sostenuta dalla Provincia di Trento invocando l’interpretazione letterale dell’art. 30, comma 3-bis) secondo la quale la proroga triennale non riguarderebbe affatto il territorio della Provincia di Trento in quanto troverebbe applicazione solo nel territorio delle Regioni a statuto ordinario.

La circostanza che la disposizione dell’art. 30, comma 3-bis estenda la proroga triennale agli “accordi similari comunque nominati dalla legislazione regionale” , senza menzionare la Provincia autonoma di Trento (né quella di Bolzano), non è sufficiente per ritenere che la proroga riguardi solo le Regioni a statuto ordinario in quanto l’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione stessa impone di ritenere che il legislatore nazionale abbia preso in considerazione l’intero territorio nazionale, sì da non incorrere in una palese violazione del principio di uguaglianza.

20. Per le stesse ragioni non appaiono condivisibili le ulteriori difese svolte in giudizio dalla Provincia di Trento, tese a dimostrare l’illegittimità costituzionale dell’art. 30, comma 3-bis, in ragione dell’asserita violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, ingenerata dalla generalizzata proroga triennale delle convenzioni di lottizzazione stipulate fino al 31 dicembre 2012, ossia non limitata alle convenzioni di prossima scadenza rispetto all’adozione della misura, ovvero non subordinata ad un periodico accertamento della perdurante necessità della misura.

Premesso che tali considerazioni vanno ad impingere nel merito della scelta operata dal legislatore statale, vi è motivo di ritenere che le opzioni legislative prospettate dalla parte ricorrente si prestino a determinate irragionevoli ed ingiustificate disparità di trattamento e, quindi, che la generalizzata proroga triennale delle convenzioni di lottizzazione stipulate fino al 31 dicembre 2012 risponda alla prevalenza del principio di uguaglianza sull’esigenza di non limitare eccessivamente il potere conformativo dell’Amministrazione.

21. Per le ragioni innanzi indicate il Collegio ritiene non manifestamente infondata la seguente questione di legittimità costituzionale: «se gli articoli 54, comma 1, e 121, comma 7, della legge provinciale n. 15/2015, nella parte in cui non prevedono, a differenza di quanto si verifica sul resto del territorio nazionale, la proroga triennale dei termini di validità ed efficacia delle convenzioni di lottizzazione stipulate fino al 31 dicembre 2012, siano costituzionalmente illegittimi – per contrasto con il principio di uguaglianza e parità di trattamento di cui all’art. 3 Cost., espressamente richiamato dagli articoli 4 e 5 dello Statuto della Regione Trentino - Alto Adige come limite all’esercizio della potestà normativa primaria della Provincia autonoma di Trento nella materia dell’urbanistica – in ragione del mancato adeguamento (ai sensi dell’art. 2, del decreto legislativo n. 266/1992) degli stessi articoli 54, comma 1, e 121, comma 7, della legge provinciale n. 15/2015 a quanto previsto dall’art. 30, comma 3-bis, del decreto legge n. 69/2013, convertito dalla legge n. 98/2013, nonostante il decorso del termine di sei mesi successivi alla pubblicazione della legge di conversione n. 98/2013 nella Gazzetta Ufficiale» .

22. Tale questione risulta altresì rilevante nel presente giudizio in quanto il Comune di Arco ha correttamente escluso che nella fattispecie possa trovare applicazione l’art. 54, comma 1-bis, della legge n. 15/2015, mentre la declaratoria di incostituzionalità degli articoli 54, comma 1, e 121, comma 7, della legge provinciale n. 15/2015 determinerebbe il venir meno del presupposto in base al quale è stata adottata l’impugnata delibera del Consiglio comunale del Comune di Arco n. 31 in data 7 agosto 2019 e, quindi, il venir meno delle misure di salvaguardia connesse all’adozione della Variante urbanistica per cui è causa.

In particolare nella fattispecie non è applicabile il comma 1-bis dell’art. 54 della legge provinciale n. 15/2015 - comma inserito dall’art. 22, comma 7, lett. a) della legge provinciale 23 dicembre 2019, n. 12 - il quale (come già evidenziato nella sentenza non definitiva n. 98/2020) prevede che: “Il comune, entro il termine previsto dal comma 1, può prorogare l’efficacia dei piani attuativi d’iniziativa privata o d’iniziativa mista pubblico-privata non ancora scaduti per un periodo di tempo non superiore a tre anni in caso di particolare complessità delle opere di urbanizzazione previste nei piani medesimi, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 48 con riguardo alla durata dei vincoli preordinati all’espropriazione” . Tale disciplina, sopravvenuta in corso di causa, si riferisce infatti ai “piani attuativi ... non ancora scaduti” , mentre nella fattispecie in esame il piano attuativo risulta ad oggi scaduto proprio per effetto della sua mancata ricomprensione nel regime di proroga contemplato dall’art. 30, comma 3-bis. Pertanto, la questione di legittimità costituzionale assume essenzialmente rilievo per il lasso di tempo intercorrente tra la data di entrata in vigore della legge statale n. 98/2013 e la data di entrata in vigore della legge provinciale n. 12/2019.

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