TAR Salerno, sez. III, sentenza 2024-01-03, n. 202400066

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Salerno, sez. III, sentenza 2024-01-03, n. 202400066
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Salerno
Numero : 202400066
Data del deposito : 3 gennaio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/01/2024

N. 00066/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00253/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 253 del 2022, proposto da -OMISSIS- -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati M C e C A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Salerno, domiciliataria ex lege in Salerno, c.so Vittorio Emanuele, 58;

1. Accertare e dichiarare la responsabilità, ex art. 2087, 2043, 2050, 2051 c.c., del Ministero della Difesa in ordine alle infermità occorse al ricorrente in servizio;

2. Accertare e dichiarare il diritto del ricorrente al risarcimento dei danni subiti;

3. Condannare l'Amministrazione resistente al risarcimento dei danni;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2023 il dott. Michele Di Martino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il ricorrente, premesso di essere Maresciallo dell’Esercito Italiano dal 1995 e tutt’ora in servizio presso il -OMISSIS-, ha allegato e dedotto che ha svolto le seguenti missioni all’estero: - Da Ottobre 1996 a Febbraio 1997 in Bosnia Erzegovina;
- Da Aprile ad Agosto 1997 in Albania;
- Da Marzo a Luglio e da Settembre a Novembre 2000 in Kosovo;
- Da Marzo a Maggio 2001 in Kosovo;
- Da Marzo a Luglio 2002 in Kosovo;
- Da Marzo a Settembre 2004 in Albania;
- Da Aprile ad Ottobre 2005 in Kosovo;
- Da Marzo a Settembre 2007 in Kosovo;
- Da Ottobre 2008 a Maggio 2009 in Kosovo;
in particolare, durante la missione in Bosnia Erzegovina, denominata “Joint Endeavour”, sotto l’egida della NATO, aveva l’incarico di addetto ai mezzi di lancio e pernottava per 120 giorni circa nell’Ospedale civile di Sarajevo “Zedra”;
la citata struttura ospedaliera era destinata ad essere chiusa, perché contaminata dai residui delle bombe e di altro materiale esplodente utilizzato in occasione dei bombardamenti effettuati dalla Forza NATO nell’area balcanica;
svolgeva servizio di pattugliamento e di guardia presso la Base Zedra e presso lo schieramento di artiglieria in località Betania, dove contribuiva alla costruzione di garitte ed altane con sacchetti a terra;
nella missione in Albania, denominata “Alba” sotto l’egida della NATO, aveva l’incarico di conducente di automezzi ed alloggiava presso il Villaggio “Italia” a Durazzo;
durante la missione in Kosovo, denominata “Joint Guardian”, era addetto ai mezzi di lancio nell’enclave serbo di Gorazdevak, alle periferie di Pec, dove svolgeva servizio di pattugliamento a piedi e con mezzi arruotati e cingolati in tutto il suindicato villaggio serbo e nelle zone limitrofe precedentemente bombardate;
prestava, inoltre, servizio di guardia presso i check – point e contribuiva al montaggio delle postazioni mediante il riempimento dei sacchetti a terra ed al loro posizionamento per la costruzione;
ancora in Albania, nell’operazione denominata “NHQT”, svolgeva l’incarico di conducente di automezzi;
in Kosovo, nel 2005, nell’ambito della missione denominata “Joint Enterprice” alloggiava nel villaggio di Belo Poije, che non era stato asfaltato e, dunque, il passaggio dei veicoli militari alzava enormi quantità di polvere;
nel 2007, nella successiva missione in Kosovo, svolgeva la mansione di responsabile di e – message presso la struttura dell’Area 40, adiacente alla pista di atterraggio degli elicotteri nei pressi del Villaggio Italia di Belo Poije, dove le manovre di decollo e di atterraggio dei velivoli provocavano il rialzo di grandi quantità di terra dal suolo atteso che la zona non era asfaltata;
espletava attività fisica nelle citate zone senza alcun divieto o limitazione, anche nelle aree di riservetta munizioni;
svolgeva lo stesso servizio nella missione in Kosovo del 2008 e 2009;
in seguito e per effetto delle suindicate missioni all’estero, nel 2013 contraeva le seguenti infermità: “1. -OMISSIS-”;
il Ministero resistente, inoltre, giudicava le patologie in questione dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative di missione, come da Decreto n. 168 del 2017, con il quale riconosceva lo status di Equiparato alle vittime del dovere, ex D.P.R. n. 243/2006;
l’Amministrazione resistente riscontrava, infatti, che egli ha operato senza le specifiche protezioni individuali in ambienti caratterizzati da elevatissimi fattori di rischio connessi al contatto con ambienti contaminati dall’utilizzo di munizionamento all’uranio impoverito;
il Ministero della Difesa, per l’effetto, concedeva la speciale elargizione sulla base di una -OMISSIS-;
appare evidente che, durante la partecipazione alle citate missioni all’estero, svolgeva, senza alcuna specifica misura protettiva, attività quali sorveglianza e pattugliamento di itinerari, esplorazione, check-point, scorte convogli, servizi di vigilanza e guardia. Attività svolte all’esterno, in aree precedentemente sottoposte ad intensi bombardamenti, anche con proiettili dotati di perforatori all’uranio impoverito ed altre nanoparticelle;
tali fattori morbigeni lo hanno esposto al rischio di inalazione e ingestione delle polveri prodotte dalle esplosioni ed incendi avvenuti durante le azioni e successivamente disperse dagli agenti atmosferici che hanno certamente causato la grave forma tumorale insorta;
prima delle missioni internazionali affrontate, era stato sottoposto a numerose e periodiche valutazioni cliniche, risultate tutte negative per patologie o alterazioni delle funzioni d’organo, né risulta che lo stesso, il quale praticava con continuità attività sportiva, fumasse o assumesse alcolici, per cui è indubbio che la patologia tumorale, peraltro, come evidenziato dalla relazione medica in atti, estremamente rara per quella fascia di età, debba essere ricondotta alle particolari condizioni ambientali ed operative di missione, come riconosciuto dallo stesso Comitato di Verifica nel citato Parere;
la gravissima patologia neoplastica ha comportato numerosi ricoveri ospedalieri;
le cause della malattia occorsa al ricorrente devono essere individuate nella contaminazione radiologica conseguente all’esposizione alle nanoparticelle dei metalli pesanti ed all'uranio impoverito avvenuta durante lo svolgimento delle predette missioni estere ed ai numerosi e massicci cicli di vaccinazioni a cui lo stesso è stato sottoposto in vista delle missioni fuori area a cui ha partecipato;
è stato sicuramente esposto ad inquinamento ambientale contenente sia polveri di metalli pesanti le cui dimensioni nanometriche indicano come possibile origine una combustione ad altissima temperatura;
l’introduzione nell’organismo delle polveri è avvenuto sia per via inalatoria, sia per ingestione di cibi contaminati;
le polveri sono passate nella circolazione sanguigna e poi filtrate da organi emuntori come fegato e reni;
queste polveri, in qualità di corpi estranei, non sono né biocompatibili, né biodegradabili e per la loro dimensione nanometrica possono esercitare un’azione deleteria nei riguardi delle cellule;
vi è di più;
il consulente medico – legale di parte, Dott.ssa -OMISSIS-, con la relazione del 08.01.2018, ha ribadito il collegamento del servizio con le infermità da cui è affetto il sig. -OMISSIS-, sulla base anche del Parere del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, ed ha aggiunto: “…tenuto conto sia della patologia neoplastica in sé che della compromissione funzionale derivante dall’asportazione chirurgica della tiroide, si ritiene che le infermità descritte comportino una invalidità permanente non inferiore al 40%”;
è notorio che nei territori in cui si è recato il sig. -OMISSIS- in missione si siano svolte operazioni belliche durante le quali sono stati impiegati armamenti convenzionali di tipo esplosivo ed incendiario e cioè bombe, mortai, razzi e mine contenenti uranio impoverito;
in tale contesto si è verificata la propagazione nell’aria di fumi e polveri che, oltre a contaminare temporaneamente il corpo atmosferico, si sono poi depositate al suolo andando ad inquinare anche terreni e corpi idrici, passando poi successivamente nelle matrici ambientali trofiche, vegetali ed animali;
i fumi e le polveri, di varia granulometria, contenevano evidentemente agenti inquinanti sia di tipo strettamente chimico, quali composti, ad esempio diossine, o metalli pesanti, sia di tipo radioattivo come l’uranio impoverito. Molti di questi agenti inquinanti hanno proprietà genotossiche o cancerogene, sono cioè in grado di causare l’evento di danno biologico iniziale su una persona esposta che porta successivamente all’insorgenza di una patologia tumorale, oppure, a danno biologico avvenuto, possono promuovere e facilitare l’insorgenza della patologia stessa;
di particolare importanza, ai fini dell’inquinamento dell’ecosistema, è la formazione di polveri fini ed ultrafini, il cui trasporto e deposito può avvenire anche a grandi distanze dal punto di rilascio e che possono poi ritrovarsi non solo nelle matrici ambientali solide o liquide, terreno, acque, falde acquifere, vegetali, animali, ma anche nella matrice ambientale atmosferica, a seguito del fenomeno della c.d. risospensione;
la natura, la composizione e le dimensioni delle polveri fini ed ultrafini e delle nanoparticelle che da esse vengono trasportate permette di identificare con sufficiente plausibilità la loro origine artificiale e la loro origine militare, attribuendole perciò alle operazioni belliche sopra descritte piuttosto che alla natura del luogo o ad altri processi, naturali o artificiali non causati dagli eventi bellici;
è questo, dunque, l’ambiente nel quale ha operato durante il suo servizio;
. vi è una sufficiente evidenza scientifica, testimoniata da ampia letteratura in merito, che conferma che l’esposizione a uranio, metalli pesanti, polveri fini e nanoparticelle di origine bellica comporti, nel corso degli anni, l’aumento della probabilità di insorgenza di tumori negli esposti e malformazioni genetiche nella loro progenie;
nel teatro balcanico, penetratori ad uranio impoverito, di circa 100 millimetri di lunghezza e 330 grammi di massa, sono stati impiegati come componente inerte dei proiettili calibro 30 millimetri utilizzati dagli aerei A-10 nel 1994-1995 in Bosnia-Erzegovina e nel 1999 in Kosovo;
in Bosnia-Erzegovina, l’impiego di proiettili ad uranio depleto risulta essere avvenuto su 12 siti, per un totale che assommerebbe a circa 10.000 colpi sparati, corrispondenti a circa 3.000 chilogrammi di uranio depleto;
in Kosovo, l’impiego di proiettili ad uranio impoverito risulta aver riguardato 85 siti per un totale di circa 31.000 colpi sparati, corrispondenti ad una massa totale di uranio depleto di circa 10.200 chilogrammi;
in Bosnia-Erzegovina, nel periodo 1994-1995, dalle stime sarebbero state utilizzate circa tre tonnellate di uranio impoverito, mentre nel 1999, in Kosovo e in Serbia e Montenegro ne sarebbero state utilizzate dieci;
sulla base delle mappe fornite dalla NATO, la zona nella quale, per quanto attiene al Kosovo, vi era stata maggiore presenza di proiettili ad uranio impoverito è risultata essere quella di dislocamento del contingente italiano;
le Commissioni parlamentari hanno rilevato, inoltre, che non sono state fornite le misure di sicurezza idonee ad evitare che i militari fossero esposti a fattori morbigeni la cui presenza era nota nei suindicati teatri di guerra;
pertanto, con p.e.c. del 01.06.2021, chiedeva il risarcimento di tutti i danni subiti ex artt. 2087, 2043, 2050, 2051 e 2059 c.c., conseguenti alla condotta tenuta dal Ministero della Difesa considerato, che non ha adottato, in forza dell’art. 2087 c.c., le misure di sicurezza, di prevenzione e di protezione che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro.

Si è costituito il Ministero della Difesa per resistere al ricorso.

All’udienza pubblica del 18.12.2023, la causa è stata assegnata a sentenza.

La domanda va accolta, nei limiti di seguito precisati.

La controversia si inserisce nel complesso contenzioso conseguito al fenomeno tristemente noto come “Sindrome dei Balcani”, così denominata dal territorio dell’ex Jugoslavia, di ritorno dal quale molti militari hanno sviluppato malattie croniche e spesso terminali, probabilmente a causa dell’esposizione alle radiazioni ionizzanti dell’uranio impoverito, utilizzato come punta dei proiettili anticarro. Essa è stata a lungo al centro del dibattito nazionale, tanto da confluire in iniziative legislative e determinare la costituzione di numerose Commissioni parlamentari d’inchiesta (Consiglio di Stato, n. 07718/2023).

La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha “accompagnato” questo percorso di approfondimento, fino ad arrivare, in singole fattispecie, a riconoscere come «la mancanza di una legge scientifica universalmente valida che stabilisca un nesso diretto fra l’operatività nei contesti caratterizzati dalla presenza di uranio impoverito e l’insorgenza di specifiche patologie tumorali non impedisce il riconoscimento del rapporto causale, posto che la correlazione eziologica, ai fini amministrativi e giudiziari, può basarsi anche su una dimostrazione in termini probabilistico-statistici>» (v. Cons. Stato, sez. I consultiva, parere n. 210 del 16 febbraio 2021;
sez. IV, 26 febbraio 2021, n. 1661;
sez. II, 1 luglio 2021, n. 5013).

In altri casi, ha invece preteso una prova più rigorosa dell’efficienza causale dell’esposizione rispetto al manifestarsi di forme morbose la cui eziopatogenesi, come posto in luce dalla letteratura scientifica, può trovare fondamento in una molteplicità fattoriale, anche di carattere endogeno-costituzionale (v. Cons. Stato, sez. II, 7 ottobre 2021, n. 6679 e 24 dicembre 2021, 8577).

La complessa questione del rapporto e della differenza intercorrente tra rimedi indennitari e diritto al risarcimento del danno ex art. 2087 c.c., eventualmente spettante al militare che rivendichi la causa di servizio, costituisce un ulteriore risvolto della problematica in esame, ed ha interessato la giurisprudenza soprattutto sotto il profilo della individuazione del diverso livello di intensità dell’onere probatorio degli elementi costitutivi del diritto e del divieto di cumulo tra le somme riconducibili a tali (distinti) titoli causali (c.d. meccanismo della compensatio lucri cum damno).

Da ultimo, sulla materia sono intervenute cinque pronunce pressoché coeve dei massimi organi della giustizia civile e amministrativa (quattro sentenze delle Sezioni unite della Corte di cassazione del 22 maggio 2018, nn. 12564, 12565,12566 e 12567 e la pronuncia n. 1 del 23 febbraio 2108 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato), che, nel ribadire la necessità di scomputo dal risarcimento del danno dei benefici integranti prestazioni di privato e pubblico, hanno declinato i principi posti alla base dei rispettivi crediti e, conseguentemente, gli elementi costitutivi dell’obbligazione.

L’equo indennizzo, in particolare, istituito con l’art. 68, comma 8, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 quale attribuzione della sicurezza sociale prevista a favore degli impiegati di ruolo dello Stato nei termini poi dettagliati dal regolamento di esecuzione, il d.P.R. 3 maggio 1957, n. 686, è stato ben definito in un ancora illuminante passaggio pure riferibile all’Adunanza plenaria (Cons. Stato, A.P., 8 ottobre 2009, n. 5, ripreso da Cons. Stato, ord. 6 giugno 2017, n. 2719). Esso si identifica in «uno speciale riconoscimento economico che viene attribuito quando il lavoratore è esposto per ragioni professionali a subire menomazioni ed infermità fisiche e che ha natura sia previdenziale che retributiva.

Sono presenti, nella valutazione dell’autorità amministrativa che procede al riconoscimento dell’equo indennizzo, sia elementi di equità che di discrezionalità amministrativa che comportano anche la non coincidenza tra entità del danno subìto ed indennizzo riconosciuto. Il legislatore ha, in definitiva, preso in considerazione l’interesse pubblico collegato allo svolgimento di determinate attività lavorative particolarmente pericolose per la salute, o anche solo le condizioni disagevoli per l’espletamento delle mansioni dei dipendenti pubblici, ed ha predisposto un regime di ristoro del lavoratore pubblico dipendente che in occasione dello svolgimento di dette attività subisca una rilevante lesione della sua integrità fisica».

L’Adunanza plenaria del 2018 a sua volta ha concluso enunciando il principio di diritto secondo il quale la presenza di un’unica condotta responsabile, che fa sorgere due obbligazioni da atto illecito in capo al medesimo soggetto derivanti da titoli diversi aventi la medesima finalità compensativa del pregiudizio subito dallo stesso bene giuridico protetto, determina la costituzione di un rapporto obbligatorio sostanzialmente unitario che giustifica, in applicazione della regola della causalità giuridica e in coerenza con la funzione compensativa e non punitiva della responsabilità, il divieto del cumulo con conseguente necessità di detrarre dalla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno contrattuale quella corrisposta a titolo indennitario.

In tale sede, è stato rilevato come sul piano strutturale, la nozione di ‘indennità’ è normalmente collegata ad una condotta che integra gli estremi di un atto lecito dannoso, in quanto tale autorizzato dal sistema;
essa è tuttavia compatibile anche con una condotta che integri gli estremi di un atto illecito, in quanto tale vietato dal sistema. Si può trattare, in questi casi, di un illecito che non è conseguenza della violazione di un dovere di prestazione o protezione di matrice contrattuale ovvero della violazione di un dovere generale del neminem laedere di matrice extracontrattuale, ma di un dovere contemplato da una specifica disposizione di legge. Il sistema delle fonti delle obbligazioni consente di costruire dunque modelli di responsabilità che si fondano su requisiti oggettivi e soggettivi diversi.

Ciò giustifica, rileva il Collegio, la diversa entità dell’onere della prova gravante sul dipendente che avanzi richiesta di equo indennizzo rispetto a chi presenti istanza risarcitoria: nel primo caso, infatti, non occorre dimostrare l’esistenza di un nesso eziologico (per quanto di interesse, fra esposizione a uranio impoverito o ad altri metalli pesanti e neoplasia), mentre siffatto accertamento è sempre necessario ove l’interessato svolga una domanda risarcitoria, ossia assuma la commissione, da parte dell’Amministrazione, di un illecito civile, consistente nella colpevole esposizione del dipendente ad una comprovata fonte di rischio in assenza di adeguate forme di protezione, con conseguente contrazione di infermità.

Tanto premesso, va ancora precisato che la responsabilità del datore di lavoro, posta dal ricorrente a fondamento della domanda giudiziale, ha natura contrattuale e rinviene la propria fonte nel contratto di lavoro che, ai sensi dell’art. 1374 cod. civ., è integrato dall’articolo 2087 cod. civ., ove sono previsti doveri di prestazione finalizzati ad assicurare la tutela della salute del lavoratore (v. ancora Cons. Stato, Ad. plen., n. 1 del 2018, cit.).

In ragione della formulazione “aperta” dell’articolo 2087 cod. civ. la giurisprudenza ha assegnato ad esso «una funzione di chiusura del sistema di prevenzione, operante cioè anche in assenza di specifiche regole antinfortunistiche», con la conseguenza che l’obbligo di sicurezza deve essere definito facendo riferimento alle misure disponibili tecnologicamente più avanzate, «imponendo il continuo adattamento e aggiornamento delle misure di prevenzione ai nuovi ritrovati dell’esperienza e della tecnica, in modo che siano prevenuti non solo i rischi conosciuti ma anche quelli ancora ipotetici e non del tutto noti, mentre non sono opponibili in senso contrario considerazioni di carattere puramente economico» (così ancora Cons. Stato, n. 6952 del 2018).

Sul piano strutturale, la qualificazione dell’illecito come ascrivibile alla responsabilità da inadempimento del datore di lavoro implica, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., che il lavoratore deve provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’inadempimento del datore di lavoro e i danni conseguenza;
il datore di lavoro deve provare l’assenza di colpa e pertanto di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo (v. ancora Cons. Stato, Ad. plen. n. 1 del 2018;
Cass. civ., sez. lav., 15 giugno 2017, n. 14865). In altre parole, sul lavoratore che lamenti di avere subito un danno alla salute a causa dell’attività lavorativa svolta incombe l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro: solo se il lavoratore ha fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie a impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile all’inosservanza di tali obblighi.

Con riferimento agli obblighi di prestazione che ricadono sull’Amministrazione militare in relazione all’invio di militari all’estero, la giurisprudenza, dai cui principi non è ragione di discostarsi, ha già avuto modo di affermare come al dovere del militare di esporsi al “pericolo bellico” si contrapponga lo speculare dovere dell’Amministrazione di proteggere il cittadino-soldato da altre forme prevedibili e prevenibili di insidie non strettamente correlate al coinvolgimento in un conflitto, apprestando i necessari presidi sanitari di prevenzione e cura e dotandolo di equipaggiamento adeguato o, quanto meno, non del tutto incongruo rispetto al contesto (Cons. Stato, sez. IV, 30 novembre 2020, n. 7560 e n. 7564).

Con specifico riferimento alle missioni all’estero (cosiddette “missioni di pace”), ha talvolta addirittura affermato che «l’Amministrazione della difesa versa pertanto in una condizione di responsabilità lato sensu di posizione, cui fa eccezione il solo rischio oggettivamente imprevedibile - giuridicamente qualificabile alla stessa stregua del caso fortuito - ma in cui viceversa rientra il rischio da esposizione ad elementi che, benché non ancora scientificamente acclarati come sicuro fattore eziopatogenetico, ciononostante lo possano essere, secondo un giudizio di non implausibilità logico-razionale: la diligentia cui è tenuta l’Amministrazione si situa in tali casi ad un livello massimo (Cons. Stato, n. 7560 e n. 7564 del 2020, cit.).

Insomma, allorché vengano inviati militari in missione all’estero l’Amministrazione della difesa è tenuta: ad informarsi preventivamente della concreta ed effettiva situazione (militare, politica, sociale, sanitaria, ambientale) del contesto operativo;
ad accertarsi della piena idoneità psico-fisica dei militari, adottando tutte le opportune profilassi;
a fornire al personale tutti gli strumenti di protezione individuale ragionevolmente utili al fine di prevenire i possibili rischi, ivi inclusi quelli connotati da una bassa probabilità statistica (v. anche, Cons. Stato, sez. IV, 30 novembre 2020, n. 7557);
il che marca la differenza ontologica rispetto al dipendente civile dello Stato e giustifica, da un lato, la sottoposizione ad un rigido vincolo gerarchico, dall'altro, l'acquisizione di uno speciale status positivamente normato, non potendo tuttavia affermarsi che sul militare gravi ogni tipo di rischio comunque conseguente alla sua presenza fisica nel teatro di operazioni» (Cons. Stato, sez. II, 20 gennaio 2023, n. 715).

Ebbene, facendo applicazione delle delineate coordinate ermeneutiche, la domanda è da ritenersi fondata anche nella parte in cui rivendica la responsabilità dell’Amministrazione secondo il criterio del “più probabile del non”, non avendo la stessa fornito alcuna indicazione rispetto alla correttezza del proprio operato, una volta riconosciuto il rapporto obbligatorio e l’ambiente malsano nel quale esso si è sviluppato per anni.

Peraltro, rileva il Collegio che pur senza attingere il rigore di talune affermazioni di principio, certo è che nel caso di specie, a fronte delle affermazioni del ricorrente, l’Amministrazione non ha contrapposto alcuna difesa, non foss’altro per argomentare sul tipo di istruzioni impartite ai propri militari, avuto riguardo peraltro ai plurimi teatri internazionali dove l’interessato è stato chiamato nel tempo ad operare.

Ancora, deve essere tenuto in considerazione che la stessa Amministrazione Militare ha riconosciuto la patologia neoplastica manifestatasi a carico del Sig. -OMISSIS- sia come dipendente da causa di servizio, sia "...riconducibile alle particolari condizioni ambientali ed operative di missione, con conseguente equiparazione dello stesso alle vittime del dovere”.

Queste circostanze danno contezza dell’evidente riconoscimento di un nesso tra le gravissime infermità contratte dal ricorrente ed il servizio prestate dallo stesso in territori contaminati dall’uranio impoverito unitamente alla mancata adozione di misure di sicurezza e di protezione idonee ad evitare l’esposizione alle nanoparticelle.

Si aggiunga poi, che, ulteriore elemento fondante del nesso causale è desumibile dalla circostanza che il Ministero della Difesa, anche con decreto n. 68/2017, ha concesso al ricorrente l'elargizione sia l'assegno vitalizio speciale previsti per i militari "equiparati alle vittime del dovere", ove viene espressamente riconosciuta la dipendenza della malattia contratta dal medesimo da causa di servizio "in quanto riconducibile alle particolari condizioni ambientali operative cui è stato esposto" nel periodo della sua missione.

La stessa Amministrazione resistente ha riscontrato, infatti, che egli ha operato senza le specifiche protezioni individuali in ambienti caratterizzati da elevatissimi fattori di rischio connessi al contatto con ambienti contaminati dall’utilizzo di munizionamento all’uranio impoverito;
il Ministero della Difesa, per l’effetto, ha concesso finanche la speciale elargizione sulla base di una in-OMISSIS-.

In sintesi, dunque, è accertato che l’Amministrazione abbia inviato in missione il militare in zone caratterizzate dall’utilizzo di armamenti all’uranio impoverito e dalla presenza di ordigni bellici pesanti, zone nelle quali il militare ha operato, per quanto consta in atti, senza alcun specifico mezzo di protezione e senza che siano state effettivamente adottate le necessarie misure di prevenzione.

È cioè ragionevole dedurre - come già affermato in relazione a fattispecie analoghe riferite al medesimo contesto - che vi fosse da parte dell’Amministrazione la conoscenza, ancorché generica, dei possibili impatti negativi sulla salute dei militari della presenza in quelle zone di guerra e che tuttavia non fossero state in concreto assunte tutte le misure precauzionali possibili per la tutela della salute dal rischio espositivo per i militari mandati in missione, non essendo a tal fine sufficiente la loro enunciazione in direttive o istruzioni, di cui peraltro si apprende in relazione a casi analoghi, ma nulla è emerso nel procedimento.

Né pertanto risulta ancor più assicurato il rispetto, anche mediante una adeguata vigilanza, delle (ipotetiche) disposizioni di cautela imposte.

Ai fini della quantificazione del danno subito, tuttavia, il Collegio non ritiene di potersi attenere alle affermazioni unilaterali del consulente di parte, che peraltro individuano un’alta percentuale di danno permanente in un soggetto di fatto riconosciuto, seppure parzialmente, idoneo al servizio.

A tale scopo, risulta necessario nominare un verificatore, ai sensi dell’articolo 66 cod. proc. amm., che il Collegio ritiene di individuare nella persona del Direttore generale dell’INAIL, con facoltà di delega a un dirigente o a un funzionario dell’Ente in possesso di specifica competenza.

Il verificatore, entro 90 giorni decorrenti dalla comunicazione della presente sentenza, provvederà, assicurando il contraddittorio tra le parti, ad accertare il danno sofferto dal militare di carattere biologico (stante il mancato raggiungimento della prova in ordine al danno morale), con la valutazione in termini di punteggio o di percentuale dell’incidenza sulla integrità psico-fisica dello stesso dall’insorgenza della patologia, nonché a quantificarlo in termini monetari facendo applicazione delle attuali tabelle predisposte dal Tribunale di Milano.

A tale scopo, acquisita tutta la documentazione agli atti del fascicolo, nonché quella che le parti vorranno fornirgli, sottoporrà il ricorrente a visita medica specialistica, in data da concordare con lo stesso (direttamente o per il tramite del suo difensore) con un congruo preavviso.

Le parti potranno designare un proprio consulente tecnico, che potrà presenziare alla visita, nonché formulare osservazioni entro dieci giorni dalla ricezione della bozza di relazione, che il verificatore avrà cura di trasmettere loro.

Il verificatore applicherà nella liquidazione del danno il principio della compensatio lucri cum damno, ovverosia la sottrazione dal risarcimento del danno del quantum già ottenuto in via indennitaria, secondo le indicazioni fornite in merito dal Ministero della Difesa e come sopra espressamente indicate.

All’esito delle operazioni, il verificatore redigerà apposita dettagliata e motivata relazione da depositarsi entro il termine di centoventi giorni dalla comunicazione ovvero, se anteriore, dalla notificazione della presente sentenza, dando conto in apposito capitoletto delle eventuali osservazioni dei consulenti delle parti.

Il Collegio ritiene altresì opportuno, ai sensi dell’art. 66, comma 3, c.p.a., prevedere un anticipo sul compenso spettante al verificatore, quantificato in euro 2.000/00 (duemila/00), ponendolo provvisoriamente a carico sia del ricorrente, che dell’Amministrazione resistente, in quote uguali (euro 1.000/00 cadauno), ferma restando la liquidazione dell’importo complessivo, in esito alla definizione della causa, con la sentenza o con separato provvedimento monocratico, previa presentazione, unitamente alla relazione, di apposita nota da parte del verificatore medesimo.

Demanda all’esito della verificazione come sopra disposta la definizione di tale residuo aspetto della controversia.

Alla definizione integrale del giudizio è altresì riservata ogni decisione sulle spese di lite, ivi compresa la questione dell’addebito del contributo unificato.

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