TAR Palermo, sez. II, sentenza 2021-11-19, n. 202103141

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Palermo, sez. II, sentenza 2021-11-19, n. 202103141
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Palermo
Numero : 202103141
Data del deposito : 19 novembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/11/2021

N. 03141/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00257/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 257 del 2013, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato V C, con domicilio digitale come PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Villabate in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avv. G P, con domicilio digitale come PEC da Registri di Giustizia;

per la condanna

dell’amministrazione resistente al risarcimento danni subito a seguito dell’illegittima occupazione.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Villabate;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2021 il dott. C Commandatore e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con atto di riassunzione ai sensi dell’art. 11 c.p.a. notificato il 29 gennaio 2013 e depositato il successivo 11 febbraio, la ricorrente ha esposto:

- di essere proprietaria di un’area di circa-OMISSIS-sita in -OMISSIS- individuata in -OMISSIS-, parzialmente ricompresa per -OMISSIS-nel piano di esproprio per la realizzazione dell’area attrezzata a verde adiacente la -OMISSIS-;

- che con sentenza n-OMISSIS-il C.G.A.R.S, in riforma della sentenza di questo T.A.R.-OMISSIS-, ha annullato la delibera di Giunta Municipale avente valenza di dichiarazione di pubblica utilità e legittimante l’occupazione temporanea e d’urgenza;

- che in pendenza del giudizio il terreno è stato irreversibilmente trasformato.

Ciò premesso, prospettando la rinuncia abdicativa, la ricorrente ha chiesto il risarcimento del danno per perdita della proprietà nonché per l’abbattimento degli alberi insistenti sul fondo.

Si è costituito in giudizio il Comune intimato che con memoria depositata il 6 settembre 2021 ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di procura speciale alle liti e per difetto di legittimazione attiva e, nel merito, in subordine, l’intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno e la rinuncia implicita al risarcimento per accettazione dell’indennità di espropriazione, e, in ulteriore subordine, l’incongruità della determinazione del danno.

Con successiva memoria, la ricorrente ha replicato alle argomentazioni dell’amministrazione resistente depositando una procura alle liti datata 6 settembre 2021.

In vista dell’udienza le parti hanno depositato ulteriori memorie ex art. 73, comma 1, c.p.a.

All’udienza dell’8 ottobre 2021 la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

Preliminarmente deve rigettarsi l’eccezione di inammissibilità del ricorso giacché l’intervenuta produzione della procura speciale nel corso del giudizio, ai sensi dell’art. 182 c.p.c., ha sanato la nullità della precedente procura depositata (Cass. n. 16252/2020).

Anche l’eccezione sollevata dalla resistente di difetto di prova sulla titolarità del diritto di proprietà del fondo oggetto di causa non può trovare accoglimento tenuto conto che la stessa amministrazione ha individuato la ricorrente come proprietaria nel momento in cui le ha offerto l’indennità di espropriazione.

Ciò posto, il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

La domanda volta, invece, a ottenere il risarcimento del danno per la perdita della proprietà del terreno per cui è causa non è fondata.

Su tale punto, è stato in modo condivisibile rilevato che « Indipendentemente dall’esistenza di alcuni precedenti giurisprudenziali contrari a tale ricostruzione (cfr., da ultimo, T.A.R. Piemonte n. 368/2018, con una diffusa disamina della questione), non possono sottacersi le indiscutibili difficoltà ricostruttive che determina l’istituto, con riguardo ad aspetti a esso correlati, ma non secondari, quali la sorte dei diritti reali parziali o delle garanzie reali sui beni rinunziati, e le difficoltà di trascrizione non tanto della rinunzia (ove effettuata attraverso un atto unilaterale scritto), quanto della successiva acquisizione al patrimonio dello Stato, ritenuto un acquisto a titolo originario.

L’accettazione generalizzata dell’istituto rischia, inoltre, di portare a conseguenze inique, tutte le volte in cui riguardi un terreno divenuto oneroso per il proprietario (necessità di disinquinamento o di prevenzione del rischio frane), con concrete possibilità di fare gravare sulla collettività oneri conseguenti a comportamenti indebiti di privati.

Peraltro non può non rilevarsi che le varie disposizioni del codice civile in considerazione delle quali viene generalmente tratta l’esistenza dell’istituto (art. 1350 c.c., art. 2643 c.c.) in realtà sono poco indicative, e ben potrebbero essere lette con riferimento alle specifiche ipotesi in cui la rinunzia a un diritto immobiliare è espressamente prevista e disciplinata, e non costituire indice dell’esistenza generalizzata dell’istituto;
l’art. 827 c.c. poi sembra una norma di chiusura – di applicazione assolutamente eccezionale - di un ordinamento che non tollera la possibilità di beni immobili privi di proprietario.

In ogni caso, quand’anche si volesse aderire alla ricostruzione, di gran lunga prevalente in dottrina e giurisprudenza, secondo la quale nel nostro ordinamento esiste la possibilità generalizzata di rinunziare, con atto unilaterale, al diritto di proprietà su immobili, l’utilizzo che ne viene fatto dalla richiamata giurisprudenza della Corte di Cassazione e dal Consiglio di Stato, con riguardo all’ipotesi di un terreno occupato e irreversibilmente trasformato da un’amministrazione, è intrinsecamente contraddittoria e in sostanziale contrasto con le stesse coordinate giuridiche sulle quali dovrebbe trovare fondamento.

Prima ancora di evidenziare le aporie sistematiche che tale ricostruzione determina, emerge con forza la sua principale incongruenza logica, prima ancora che giuridica: la rinunzia abdicativa di un diritto determina la sua incondizionata perdita (con un iato logico, se non temporale, rispetto al suo riacquisto da parte di altro soggetto), e non certo la sua conversione nell’equivalente monetario del suo valore;
e poi non si vede veramente attraverso quale meccanismo tale equivalente monetario possa trasformarsi in obbligo risarcitorio in capo all’amministrazione che utilizza il terreno, seppur illecitamente.

A tale, ad avviso del Collegio, insuperabile ostacolo si aggiungono ulteriori incongruenze della ricostruzione giurisprudenziale che si critica.

Uno dei perni sui quali si fonda la possibilità di rinunziare a un diritto di proprietà su un immobile è costituito dalla previsione contenuta all’art. 827 c.c., in forza della quale si evita che il bene abbandonato sia privo di proprietario, rientrando ex lege nel patrimonio dello Stato. Ma se così è, di tale rinunzia non se ne avvantaggia, neppure indirettamente, l’ente che occupa il terreno, sul quale ha realizzato un’opera pubblica - tranne il caso in cui coincida con lo Stato;
tale ente però si trova, in conseguenza dell’unilaterale atto di rinunzia del privato, irragionevolmente gravato di un obbligo risarcitorio, pur continuando a essere nella condizione di un indebito occupante di un terreno altrui.

È poi pacifico che, quand’anche ammessa, la rinunzia a una proprietà immobiliare deve essere fatta ad substantiam con atto scritto.

Su tale indiscutibile presupposto, come è possibile ricavare tale rilevante volontà - di porre in essere un negozio di rinunzia abdicativa a una proprietà immobiliare - attraverso una procura alla lite per un giudizio incoato per una richiesta risarcitoria, sul presupposto della già avvenuta perdita di una proprietà immobiliare, come nel caso oggetto del presente giudizio?

È evidente che, indipendentemente dagli ulteriori problemi, quanto meno nella presente vicenda, manca una valida esternazione della volontà di rinunziare a un diritto immobiliare, nelle necessarie forme di legge.

Un’ultima considerazione sul punto.

L’attuale normativa, così come pacificamente interpretata dalla giurisprudenza che l’ha esaminata, consente al privato, indebitamente spogliato del suo bene, il completo ristoro dei suoi diritti.

Attraverso il corretto esperimento dei rimedi giudiziali previsti dall’ordinamento, potrà ottenere la restituzione del suo bene o, in alternativa, un’indennità superiore al suo valore, prevista dall’art. 42 bis del D.P.R. n. 327/2001, e il risarcimento per il periodo di occupazione indebita.

A fronte di tale assetto della materia, che ha peraltro superato il vaglio di costituzionalità, non è chiaro il motivo per cui vengono ricercate fragili e contraddittorie ricostruzioni dogmatiche, alternative a quella chiaramente indicata in sede legislativa.

Con riguardo alla domanda risarcitoria proposta in ricorso, il collegio ritiene, pertanto, che non è intervenuta alcuna occupazione acquisitiva (istituto, invero, inesistente nel nostro ordinamento), parte ricorrente non ha espresso alcuna valida rinunzia abdicativa al suo diritto di proprietà immobiliare e che, anche diversamente opinando, tale ipotetica rinunzia abdicativa non potrebbe fare sorgere alcun obbligo risarcitorio in capo al Comune di […] » (cfr. T.A.R. Sicilia, n. 2580/208 argomentazioni confermate dalle successive sentenze n. 2580/2018, n. 279/2018, n. 280/2019, n. 341/2019, n. 630/2019 e conf. Cons. Stato, Ad. Plen., 20 gennaio 2020, n. 2).

Peraltro la ricorrente in seno alla memoria depositata il 7 settembre 2021 sembra smentire lo stesso assunto posto a fondamento della propria domanda, ossia l’irreversibile trasformazione del fondo.

Anche la domanda risarcitoria in ordine al danno emergente derivante dal danneggiamento dell’impianto di irrigazione e dall’eliminazione degli alberi insistenti sul fondo poiché è assolutamente carente qualsiasi allegazione o elemento di prova finalizzato a comprovare l’ an e il quantum debeatur . Né a tal fine può rilevare la richiesta di nomina di CTU che si caratterizza per il carattere esplorativo non potendo, tale strumento, sopperire alla carenze di allegazione e probatorie (T.A.R. Ancona, n. 641/2021).

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