TAR Roma, sez. 1Q, sentenza 2023-09-06, n. 202313621

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1Q, sentenza 2023-09-06, n. 202313621
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202313621
Data del deposito : 6 settembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/09/2023

N. 13621/2023 REG.PROV.COLL.

N. 12701/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 12701 del 2022, proposto da
C s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A L e C B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Anac – Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento, previa sospensione cautelare,

della delibera ANAC n. 346 del 20 luglio 2022 (fasc. 1069/2022) avente a oggetto “ Ipotesi di inconferibilità dell'incarico di Presidente del CdA della società C s.r.l. ”.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Anac – Autorità Nazionale Anticorruzione;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2023 il dott. A G L e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Cn delibera

ANAC

20 luglio 2022, n. 346, l’Autorità nazionale anticorruzione ha accertato « l’inconferiblità, ai sensi dell’art. 7, comma 2, lett. d), d.lgs. n. 39/2013 dell’incarico di Presidente del CdA della società C s.r.l. [società in house a totale partecipazione pubblica, partecipata da 54 Cmuni della Provincia di Macerata che si occupa, per detti comuni, della gestione del circolo integrato dei rifiuti] in favore del dott. Giuseppe P [Sindaco del Cmune di Tolentino]», rimettendo all’ente conferente, con il supporto del RPCT, « l’accertamento del rispetto delle disposizioni di cui all’art. 20, d.lgs. n. 39/2013 [nonché] l’eventuale applicazione del comma 5 del medesimo articolo »;
e invitando il RPCT della società « in relazione all’art. 18, commi 1 e 2, d.lgs. n. 39/2013 [alla] valutazione dell’elemento soggettivo in capo all’organo conferente, tenendo conto delle peculiarità del caso di specie ».

A sostegno della propria decisione, l’Autorità ha rilevato – tra l’altro – che l’incarico di Presidente del CdA di C s.r.l. fosse riconducibile tra gli incarichi di amministratore di enti pubblici e di enti privati in controllo pubblico, definiti dall’art. 1, comma 2, lett. l), d.lgs. n. 39/2013 come « gli incarichi di Presidente con deleghe gestionali dirette, amministratore delegato e assimilabili, di altro organo di indirizzo dell’attività dell’ente, comunque denominato, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico », evidenziando a sostegno di tale assunto:

- che l’art. 22 dello Statuto della società – alla lettera e) – attribuiva al Presidente un potere di firma della « corrispondenza e [de] i documenti relativi all’attività della Società, ad eccezione di quella di competenza del Direttore generale »;
che nell’esercizio di tale potere il dott. P aveva firmato non solo atti relativi alle convocazioni della Società ma anche atti rivolti ad altri soggetti (Istituto bancari, Regione, Cmuni), ovvero « atti caratterizzati da una rilevanza esterna, ossia diretti a rappresentare la volontà verso l’esterno», ivi compresi bandi pubblici di concorso »;
e che, pertanto, il potere di firma attribuito al Presidente (che aveva altresì « sottoscritto dietro delibera del CdA n. 48 atti tra contratti e convenzioni aziendali ») si era estrinsecato « nella sottoscrizione anche di atti idonei a impegnare la società verso l’esterno »;

- che, tenuto conto dei principi espressi da Cnsiglio di Stato, V, 11 gennaio 2018, n. 126, la sussumibilità dell’incarico del dott. P in quelli di amministratore di enti pubblici o di enti privati in controllo pubblico altresì dimostrata dai poteri attribuiti nel suo complesso al Cnsiglio di amministrazione della società, il quale – alla luce delle disposizioni di cui agli artt. 18, 21 e 23 dello Statuto – appare dotato, nonostante la presenza del direttore generale, di rilevanti competenze gestionali.

2. Cn l’atto introduttivo del giudizio, C s.r.l. ha impugnato la decisione adottata dall’Autorità e ne ha chiesto l’annullamento – previa sospensione cautelare – sulla base di due motivi di ricorso.

2.1. Cn il primo motivo, ha lamentato l’illegittimità del provvedimento adottato da ANAC per « violazione e falsa applicazione degli articoli 1 e 7, d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39 per insussistenza di poteri gestionali diretti in capo al Presidente [ed] eccesso di potere per travisamento dei fatti e dei presupposti », osservando – in sintesi – che « l’assetto di governance della Società, così come statutariamente concepita, esclude la sussistenza di deleghe gestionali dirette in capo al Presidente del Cnsiglio di amministrazione »;
che la governance di C s.r.l. ricalcava il modello di governo che caratterizzava la struttura [di Cnsorzio ex art. 31, d.lgs. n. 267/2000] che detto ente aveva in precedenza (con attribuzione di poteri gestori al Direttore generale e di funzione di indirizzo politico all’organo amministrativo);
e che « in difetto di deleghe gestionali dirette in capo al Presidente del Cnsiglio d’amministrazione e comunque di una prerogativa gestoria statutariamente riconosciuta, non sussiste alcuna causa di inconferibilità [ex art. 7, comma 2, lett. d), d.lgs. 39/2013]».

2.2. Cn il secondo motivo di ricorso, ha contestato l’atto gravato per « violazione e falsa applicazione dell’art. 3, l. n. 241/1990 e s.m.i. con riguardo al difetto di istruttoria e conseguente lacuna argomentativa a sostegno della decisione di inconferibilità in relazione alla intervenuta deduzione endoprocedimentale degli elementi sopra rappresentati ed ancora con esito di travisamento dei fatti insiti nei predetti elementi istruttori ed ulteriore violazione per falsa interpretazione ed applicazione degli artt. 1 e 7, d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39 per insussistenza di poteri gestionali diretti in capo al Presidente », evidenziando – in sostanza – che la decisione assunta dall’Autorità era fondata su elementi non idonei a qualificare la figura del Presidente del CdA come amministratore della stessa ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. l), d.lgs. n. 39/2013, in quanto:

- il potere di firma esercitato dal Presidente non era un potere di firma libera (che, invece, ai sensi dell’art. 23 dello Statuto era attribuito al solo Direttore Generale) ma esclusivamente un potere di firma connesso alla rappresentanza genericamente e normalmente attribuita al soggetto di vertice di una società;

- era irrilevante l’ampiezza dei poteri gestori di cui era titolare – in quanto organo collegiale – il Cnsiglio di amministrazione, tenuto conto che l’art. 1, comma 2, lett. l), d.lgs. n. 39/2013 prevedeva che la figura di Presidente avesse rilievo, ai sensi della normativa in oggetto, solo in presenza di « deleghe gestionali dirette »;

- in ogni caso, nel caso di specie, l’attività gestoria era espressamente demandata al Direttore generale e che – a salvaguardia dell’autonomia di quest’ultimo – lo Statuto riservava alla sola assemblea dei soci il potere di revocarlo (previa contestazione da parte del Cnsiglio di amministrazione delle inadempienze poste in essere dal DG).

3. Cn memoria del 12 novembre 2022, la ricorrente ha insistito per l’accoglimento della domanda cautelare, anche ai sensi dell’art. 55, comma 10, c.p.a.

4. Cn memoria depositata in pari data, l’amministrazione ha svolto le proprie difese e ha insistito per il rigetto del ricorso, evidenziando, tra l’altro, che:

- lo statuto della ricorrente « non esclude che il Presidente possa esercitare poteri gestionali »;

- nel caso di specie – all’esito di una puntuale istruttoria – era stato appurato che « il CdA, nonostante la presenza di un D.G., appar [iva] dotato di rilevanti competenze gestionali e, dunque, anche il relativo incarico di Presidente [era] stato ritenuto riconducibile tra quelli di “amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico”, anche in considerazione del potere di firma ».

5. Alla camera di consiglio del 15 novembre 2022, parte ricorrente ha dichiarato « di rinunciare alla misura cautelare nella prospettiva di una sollecita fissazione dell’udienza di merito ».

6. Cn memoria del 6 maggio 2023, la ricorrente ha insistito per l’accoglimento del gravame, evidenziando, tra l’altro, che la decisione impugnata « omett [e] di considerare e motivare circa le peculiarità del sistema di amministrazione e controllo della società di capitali in esame » e finisce per « assume [re] quale proprio fondamento argomentativo [la tesi] erronea, secondo cui la carica di Presidente del Cnsiglio di amministrazione della società di capitali (una società a responsabilità limitata) non possa che implicare la prerogativa gestoria, richiesta dalla legge per configurare la fattispecie normativa di inconferibilità ».

7. Cn repliche del 12 maggio 2023, C s.r.l. ha insistito negli argomenti già spiegati nei precedenti atti di causa.

8. All’udienza pubblica del 23 maggio 2023, la causa è stata discussa e trattenuta in decisione.

9. I due motivi di ricorso – con cui è stato sostenuto che la figura di Presidente del Cnsiglio di amministrazione di C s.r.l. non sarebbe in concreto sussumibile nella fattispecie di « amministratore di ente di diritto pubblico o di ente di diritto privato in controllo pubblico » di cui agli artt. 1, comma 2, lett. l) e 7, comma 2, d.lgs. n. 39/2013 – non sono fondati per le ragioni di seguito illustrate.

10. È noto che l’art. 7, comma 2, lett. d), d.lgs. n. 39/2013 prevede che « a coloro che nei due anni precedenti siano stati componenti della giunta o del consiglio della provincia, del comune o della forma associativa tra comuni che conferisce l'incarico, ovvero a coloro che nell'anno precedente abbiano fatto parte della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, nella stessa regione dell'amministrazione locale che conferisce l'incarico … non possono essere conferiti … gli incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione ».

11. La disposizione, com’è noto, è stata introdotta dal legislatore delegato – sulla base di quanto previsto dagli artt. 1, commi 49 e 50, l. n. 190/2012 – nell’ambito di una normativa volta a « tutelare l’imparzialità (reale e percepita) dell’azione amministrativa (artt. 54, 97 e 98 Cst.), con l’introduzione di limiti all’accesso ad alcuni incarichi pubblici di tipo gestionale e/o amministrativo connotati da imparzialità a soggetti che si trovano in situazioni tali da ingenerare ragionevoli dubbi sulla loro personale imparzialità (ovvero impedire l’esercizio della funzione amministrativa a soggetti che appaiono “politicamente schierati”) [nonché a] promuovere e garantire il principio meritocratico nella selezione dei vertici amministrativi (e quindi il buon andamento della p.a.), ostacolando la possibilità che le nomine a detti incarichi siano determinate dalle esigenze dei partiti di (ri)collocazione del proprio “personale politico” (e non invece dalla volontà di nominare soggetti in possesso delle competenze necessarie per lo svolgimento di tali incarichi) » (cfr. Tar Lazio, I- quater , ord. 26 gennaio 2023, n. 1415), ovvero – in altri termini – al fine di evitare che « l'affidamento di determinati incarichi a soggetti provenienti da precedenti esperienze in organi di indirizzo politico pregiudichi la selezione meritocratica per gli stessi e comprometta l'imparzialità (reale e percepita) della p.a. » (cfr. Tar Lazio, I- quater , 12 ottobre 2022, n. 12999).

12. Quanto appena notato sulla ratio della normativa che viene in rilievo nel presente giudizio costituisce un riferimento necessario per delineare quali siano gli « incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico » che non possono essere conferiti ai soggetti che hanno svolto entro il cd. “periodo di raffreddamento” (o che stanno ancora svolgendo al momento della nomina, v. Cnsiglio di Stato, V, 11 gennaio 2018, n. 126) gli incarichi di provenienza individuati dall’art. 7, comma 2, d.lgs. n. 39/2013.

A tal proposito, deve innanzitutto notarsi che lo stesso d.lgs. n. 39/2013 – all’art. 1, comma 2, lett. l) – enuclea espressamente una definizione degli « incarichi di amministratore di enti pubblici e di enti privati in controllo pubblico », specificando che tali debbono intendersi « gli incarichi di Presidente con deleghe gestionali dirette, amministratore delegato e assimilabili, di altro organo di indirizzo delle attività dell'ente, comunque denominato, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico ».

Tale definizione, per un verso, individua – a titolo d’esempio – alcune ipotesi tipiche di “incarico di destinazione” protette dall’istituto dell’inconferibilità, cioè « gli incarichi di Presidente con deleghe gestionali dirette, amministratore delegato e assimilabili » e, per altro verso, contiene una clausola che consente di caratterizzare l’art. 1, comma 2, lett. l), d.lgs. n. 39/2013 come una fattispecie aperta, che (tenendo conto della pluralità dei modelli di governance che possono essere statutariamente previsti negli enti di diritto privato in controllo pubblico) include tra gli incarichi protetti dalla disposizione ogni « altro organo di indirizzo delle attività dell'ente, comunque denominato ».

Tale ultima definizione di “chiusura” (cfr. Tar Lazio, I, 25 ottobre 2019, nn. 12314, 12315 e 12316), naturalmente, va letta in maniera coordinata con la prima parte della disposizione (che, come si è detto, individua tra le ipotesi tipiche quelle di « Presidente con deleghe gestionali dirette, amministratore delegato e assimilabili », ponendo come elemento distintivo dell’incarico di amministratore ex artt. 1, comma 2, lett. l), e 7, comma 2, d.lgs. n. 39/2013, l’esercizio di poteri amministrativo-gestionali), ovvero alla luce della ratio della normativa, che, come si è detto, è volta a stabilire « regole per l’accesso a incarichi pubblici di tipo gestionale e/o amministrativo connotati da imparzialità » (cfr. ancora ord. Tar Lazio, I- quater , n. 1415/2023).

Sicché, in ragione di quanto sopra notato, deve concludersi che – a prescindere dalla denominazione dell’incarico presso l’ente di “destinazione” – siano inconferibili ai sensi dell’art. 7, comma 2, d.lgs. n. 39/2013 quegli incarichi « amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico » che importino – in concreto, alla luce della concreta ed effettiva organizzazione dello specifico ente privato in controllo pubblico – l’assunzione di funzioni amministrativo-gestionali (sia individualmente, sia, come si chiarirà infra , anche nell’ambito di un organo collegiale), ovvero funzioni che, per definizione, nel sistema delle amministrazioni pubbliche, sono distinte dalla funzione di indirizzo politico e devono essere esercitate in maniera imparziale.

13. In maniera coerente con quanto sopra rilevato, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che possa rientrare nel novero degli incarichi di amministratore ex art. 1, comma 2, lett. l), d.lgs. n. 39/2013, l’incarico di Presidente del CdA di un ente di diritto privato in controllo pubblico – anche in assenza dell’attribuzione di “deleghe dirette” – ove dalle disposizioni dello Statuto dell’ente emerga che l’organo collegiale sia « l’organo preposto alla gestione ordinaria e straordinaria dell’ente », ovvero quando lo stesso risulti l’organo titolare dei poteri di gestione dell’ente medesimo, affermando che « il potere gestionale di cui [all’art. 1, comma 2, lett. l), d.lgs. n. 39/2013] si rinviene anche nell’esercizio collettivo dello stesso potere » e che poteri attribuiti dallo Statuto al Cnsiglio di amministrazione « devono pertanto riconoscersi come spettanti pro quota a ciascun componente dell’organo » (cfr. Cnsiglio di Stato, V, 28 febbraio 2020, n. 1452 e 11 gennaio 2018, n. 126, nonché Tar Lazio, I, 25 ottobre 2019, nn. 12314, 12315 e 12316).

Ciò, appunto, in quanto l’istituto dell’inconferibilità è finalizzato a tutelare l’esercizio imparziale di un determinato tipo di attività/funzione (nonché la sua percezione come tale da parte degli amministrati), a nulla rilevando che la stessa sia esercitata individualmente o nell’ambito di un organo collegiale.

14. Ciò chiarito è evidente l’infondatezza delle censure prospettate dalla ricorrente.

14.1. In primo luogo, è infondata la censura – prospettata trasversalmente nei due motivi di gravame – secondo cui l’Autorità resistente non avrebbe considerato che l’art. 1, comma 2, lett. l), d.lgs. n. 39/2013 impedirebbe che l’incarico di Presidente del CdA di un ente di diritto privato in controllo pubblico sia considerato un incarico di amministratore rilevante ai sensi dell’art. 7, comma 2, d.lgs. n. 39/2013 in assenza di deleghe gestionali dirette.

Cme già notato supra sub 13, infatti, per consolidata giurisprudenza, l’indicazione contenuta nell’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 39/2013 secondo cui rientra nella nozione di amministratore il ruolo di « Presidente con deleghe gestionali dirette » ha solamente carattere esemplificativo e non implica l’impossibilità di configurare l’incarico di amministratore ex art. 7, comma 2, d.lgs. n. 39/2013 in capo al Presidente del CdA di un ente di diritto privato in controllo pubblico ogni qualvolta risulti – da un’analisi in concreto dei poteri esercitati da tale organo – che il predetto organo collegiale eserciti rilevanti poteri di gestione dell’ente medesimo.

14.2. Parimenti infondata, poi, è la censura con cui parte ricorrente ha lamentato che l’Autorità avrebbe errato nel ritenere – in concreto – che l’incarico di Presidente del CdA di C s.r.l. implichi l’esercizio di poteri di gestione.

A tal proposito, a sostegno della correttezza della valutazione dell’Autorità resistente appare dirimente il fatto – puntualmente ricostruito nell’atto gravato – che lo Statuto della ricorrente, nonostante preveda la figura del Direttore generale, mantenga in capo al Cnsiglio di amministrazione della società rilevanti poteri gestionali, che non v’è dubbio debbano essere esercitati in maniera imparziale (e che quindi debbano essere “protetti” dall’istituto dell’inconferibilità), tra cui spiccano, in particolare, il potere di « deliberare le assunzioni, anche a tempo determinato » e quello di « deliberare in ordine alla stipula di contratti, convenzioni e accordi di ogni tipo che vincolino la Società verso terzi » (art. 21, Statuto della società, doc. 5, allegato alla memoria difensiva della p.a.).

A ciò deve aggiungersi, che – così come notato nella decisione di ANAC – l’esercizio di tali poteri in capo al CdA della società ha come conseguenza che il potere di firma attribuito al Presidente del CdA della società si estenda persino ai bandi di concorso (ovvero ad atti con riferimento ai quali, per definizione, non deve sussistere ombra alcuna di parzialità o interferenza di logiche politiche).

15. Per tutte le ragioni sopra illustrate, il ricorso è infondato e va respinto.

16. Le spese processuali – tenuto conto delle specifiche peculiarità del caso e del tenore letterale non univoco della disposizione di cui all’art. 1, comma 2, lett. l), d.lgs. n. 39/2013 – possono essere compensate tra le parti.

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