TAR Firenze, sez. II, sentenza 2010-05-19, n. 201001521
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N. 01521/2010 REG.SEN.
N. 00116/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 116 del 2008, proposto da:
Magigas S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. A C, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo in Firenze, via Masaccio n. 172;
contro
l’Agenzia delle Dogane - Ufficio delle Dogane di Prato, l’Agenzia delle Dogane - Direzione Regionale della Toscana, l’Agenzia delle Dogane - Roma, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, il Ministero dell'Economia e delle Finanze e il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze, presso cui domiciliano per legge in Firenze, via degli Arazzieri, 4;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
del provvedimento del 18.12.2007, notificato lo stesso giorno, del Direttore dell’Ufficio delle Dogane di Prato – Agenzia delle Dogane, con il quale è stata revocata l’autorizzazione A/3006, rilasciata in data 17.04.2007 a favore della parte ricorrente, per la preparazione di carburanti complessi costituiti da una miscela di bioetanolo/benzina senza piombo , da destinare al circuito dell’extrarete, nonchè di ogni altro atto comunque connesso, ance se incognito, ivi compreso il parere dell’Agenzia delle Dogane del 26.11.2007.
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Vista la comparsa di costituzione dell’Agenzia delle Dogane - Ufficio delle Dogane di Prato, dell’Agenzia delle Dogane - Direzione Regionale della Toscana, dell’Agenzia delle Dogane – Roma del Ministero dell'Economia e delle Finanze e del Ministero dell'Ambiente e Tutela del Territorio e del Mare, con la relativa documentazione;
Visto il decreto cautelare presidenziale n. 111/2008 del 24 gennaio 2008;
Vista l’ordinanza cautelare di questa Sezione n.122 del 31 gennaio 2008;
Visto l’ulteriore motivo di ricorso;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 21 gennaio 2010 il Primo Referendario Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel relativo verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso a questo Tribunale, notificato il 17 gennaio 2008 e depositato il giorno successivo, la Magigas s.p.a. esponeva di essere un’azienda autorizzata all’esercizio di un “deposito fiscale” di oli minerali, ove provvedeva anche alla preparazione, mediante miscelazione, di carburanti complessi destinati all’”extra rete” di distribuzione, essenzialmente per competizioni sportive.
In particolare, la ricorrente evidenziava di avere concentrato la sua attività nella preparazione del bioetanolo, carburante già preso in considerazione a livello comunitario come alternativo alla benzina con la direttiva 2003/30/CE. Al fine di approfondire la sperimentazione, in prospettiva di giungere anche alla relativa commercializzazione, la medesima ricorrente chiedeva, prima in via sperimentale e poi definitiva, una specifica autorizzazione all’Agenzia delle Dogane di Prato in ragione del particolare regime fiscale dell’imposta gravante sull’alcole etilico, necessario alla produzione di bioetanolo, che consente l’acquisto di questo in sospensione di accisa, salva applicazione della stessa dopo la rivendita (in seguito a trasformazione) per il consumo e conseguentemente riversamento all’Erario.
In data 13 settembre 2006, in particolare, la società ricorrente richiedeva all’Agenzia delle Dogane l’autorizzazione a miscelare il bioetanolo con benzina senza piombo per ottenere una benzina sperimentale per effettuare prove del suo utilizzo su autovetture. L’Agenzia, quindi, rilasciava un nulla osta al trasferimento di mille litri di bioetanolo, i quali, al loro arrivo presso il deposito della Magigas spa, erano “denaturati” alla presenza di funzionari dell’Agenzia delle Dogane e avviati alla sperimentazione con risultati soddisfacenti, tanto che la stessa ricorrente, in data 17 gennaio 2007, chiedeva l’autorizzazione in via definitiva nonché altri nulla osta per l’acquisizione di ulteriore bioetanolo.
L’Agenzia delle Dogane accoglieva la domanda e autorizzava in via definitiva la Magigas spa alla preparazione di carburanti complessi, costituiti essenzialmente da bioetanolo miscelato con benzina senza piombo, entro il limite massimo di un milione di litri l’anno di biocarburante.
La società ricorrente, quindi, che aveva continuato con soddisfazione la preparazione di tale carburante al fine di adoperarlo in ambito sportivo nonché al fine di contribuire ad un importante progetto sperimentale europeo denominato “Best”, evidenziava di avere inopinatamente ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento di revoca dell’autorizzazione, prima, e il relativo provvedimento, dopo, in data 18 dicembre 2007, sulla base, sostanzialmente, dell’assenza di pronuncia in merito da parte del Ministero dell’Ambiente e sull’esistenza di limiti alla commercializzazione di benzine diverse da quelle indicate nell’Allegato I al d.lgs. n. 66/05.
La ricorrente, quindi, chiedeva l’annullamento, previa sospensione anche mediante decreto cautelare monocratico, di tale provvedimento, lamentando quanto segue.
“1. Violazione e/o falsa applicazione della Direttiva 2003/30/CE nonché dell’art. 1, commi 367 e ss. della L. n. 296 del 27.12.2006 e norme connesse” .
Premettendo che la direttiva in epigrafe incentivava la promozione dell’uso di tutti i biocarburanti (biodiesel e bioetanolo) nonchè di altri carburanti rinnovabili e che il bioetanolo era già in distribuzione nella rete in altri Paesi dell’Unione Europea, la ricorrente evidenziava che la norma italiana di recepimento faceva esclusivo riferimento al biodiesel nel consentirne la distribuzione e ciò, però, in violazione della normativa comunitaria di riferimento.
L’Agenzia delle Dogane, quindi, era tenuta a dare applicazione alla direttiva in questione, in base alla prevalenza del diritto comunitario su quello nazionale, disapplicando la norma interna e consentendo l’utilizzazione e commercializzazione anche del bioetanolo nella misura superiore al 5% con informativa agli utenti, come previsto dalla richiamata direttiva. In più, la successiva normativa nazionale, di cui alla l.n. 296/06, aveva anche recepito l’impulso, di cui alla medesima direttiva 2003/30/CE, a raggiungere l’obiettivo di un consumo almeno del 5,75% di biocarburanti entro il 31 dicembre 2010 e per ottenere tale risultato era necessario commercializzare anche benzine con contenuto di biocarburante ben superiore al 5%. La legge n. 296/06 aveva poi applicato una accisa ridotta al biotenolo, nell’ambito di un programma triennale a decorrere dal 1 gennaio 2008. La successiva legge n. 244/07, inoltre, per il 2009, fissava una quota minima di biocarburante da immettere sul mercato pari al 3% di tutto il carburante immesso in consumo nell’anno solare precedente e anche normativa regolamentare in argomento promuoveva lo sviluppo del consumo di carburanti da fonti rinnovabili.
La ricorrente concludeva rilevando che tutto il quadro normativo di riferimento imponeva l’utilizzo e commercializzazione del bioetanolo, da solo o miscelato, al fine di raggiungere le percentuali minime indicate che superavano il limite fissato dal d.lgs. n. 66/05, dovendosi altrimenti riconoscersi l’incostituzionalità dell’art. 8 del d.lgs. n. 128/05 che consentiva solo la commercializzazione del biodiesel e non del bioetanolo.
“2. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di presupposti” .
La ricorrente rilavava che il divieto di commercializzazione di benzine diverse da quelle di cui al richiamato Allegato I al d.lgs. n. 66/05, secondo il provvedimento impugnato, trovava fondamento nella l.n. 413/97, la quale, però, risultava abrogata proprio dal suddetto d.lgs. n. 66/05 e, comunque, si riferiva al solo divieto di commercializzare benzine con elevato contenuto cancerogeno al fine di giustificare un intervento del Ministero dell’Ambiente.
Nel caso di specie, inoltre, non potevano invocarsi nemmeno ulteriori divieti derivanti dalla stessa normativa comunitaria di cui al direttiva 2003/30/CE, come recepita, che riguardavano solo l’utilizzo di bioetanolo su vetture non adattate o la commercializzazione in distributori privi di etichettatura specifica.
“3. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 e 3 del D. Lgs. n. 66/2005. Eccesso di potere per illogicità manifesta.” .
Il divieto di commercializzazione, di cui all’art. 3 d.lgs. n. 66/05, riguardava comunque la messa a disposizione sul mercato nazionale, presso i depositi fiscali, i depositi commerciali o gli impianti di distribuzione di combustibili e non la vendita diretta agli utenti finali, come accade nell’ipotesi in esame ove la ricorrente vende direttamente il biocarburante agli utenti per le gare automobilistiche e, anche, eventualmente ad alcune amministrazioni pubbliche interessate all’acquisto per veicoli da alimentare a bioetanolo.
“4. Eccesso di potere per illogicità manifesta e contraddittorietà. Violazione dei principi comunitari in materia di libertà di commercio”.
La revoca dell’autorizzazione impediva alla ricorrente di vendere comunque all’estero il biocarburante nonché di venderlo per prove sperimentali su motori fissi (motori da banco), attività questa ritenuta legittima dalla stessa Agenzia delle Dogane.
“5. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 e ss. della L. n. 241/1990”.
La comunicazione di avvio del procedimento del 6 settembre 2007 faceva riferimento all’assenza di un parere vincolante senza specificare quale fosse, impedendo così una efficace partecipazione procedimentale alla ricorrente.
“6. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21-quinques della L.n. 241/1990. Eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione.”
L’Agenzia delle Dogane non aveva considerato il danno che era recato alla ricorrente in conseguenza della revoca che andava a disporre e non era stato indicato il relativo indennizzo previsto dalla norma in rubrica.
“ 7. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21-nonies della L.n. 241/90. Eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione”.
Qualora il provvedimento impugnato fosse interpretato quale annullamento d’ufficio, non risultavano comunque considerati gli interessi del destinatario dell’atto al fine di compararli a quelli pubblici alla base dell’esercizio del potere di autotutela.
“ 8. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 21-quinques e 21-nonies della L.n. 241/1990 ed eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione dei principi generali in materia di attività amministrativa” .
Era onere dell’Agenzia delle Dogane illustrare comunque i sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero i mutamenti della situazione di fatto o la nuova valutazione dell’interesse pubblico originario o le ragioni diverse dal mero ripristino della legalità alla base del provvedimento impugnato.
Si palesava quindi un difetto di motivazione sotto tale profilo, anche perché analoga autorizzazione era stata rilasciata ad altra ditta operante nel settore e, semmai, la stessa Agenzia delle Dogane doveva adoperarsi per ottenere il parere del Ministero dell’Ambiente richiamato nel provvedimento in questione.
“9. Eccesso di potere per illogicità manifesta. Incompetenza.” .
Mentre l’autorizzazione era stata rilasciata con una lunga serie di prescrizioni, la relativa revoca era stata disposta non per violazione di queste ma per una tutela del bene ambientale non certo istituzionalmente affidata all’Agenzia delle Dogane.
Si costituivano in giudizio le Amministrazioni indicate in epigrafe, chiedendo la reiezione del ricorso.
Con il decreto cautelare presidenziale sopra indicato era accolta la domanda di sospensione del provvedimento impugnato e tale determinazione era confermata anche in sede collegiale, con l’ordinanza individuata in epigrafe.
Con atto notificato il 12 febbraio 2008, la società ricorrente lamentava un ulteriore motivo di ricorso, quale: “ 10. Eccesso di potere per travisamento dei fatti. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, comma 1, lett. a), dell’art. 3 e dell’Allegato I del D.Lgs. 21.3.2005 n. 66” .
Poiché la stessa Agenzia delle Dogane aveva qualificato come “benzina senza piombo” il carburante complesso prodotto dalla ricorrente, quest’ultima rilevava che nessuna norma prevedeva il rilascio di una specifica autorizzazione da parte del Ministero dell’Ambiente.
L’Amministrazione aveva quindi applicato alla ricorrente una normativa inerente un prodotto diverso, quale la “benzina” come definita dalla norma richiamata in epigrafe (composto formato in termini di peso per oltre il 70% o più di oli di petrolio), che non corrispondeva a quello commercializzato dalla ricorrente, che è un composto contenente una percentuale superiore al 30% di bioetanolo.
In prossimità della pubblica udienza, le parti depositavano memorie a sostegno delle proprie tesi difensive.
Alla pubblica udienza del 21 gennaio 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio, confermando l’orientamento emerso in sede cautelare, rileva la fondatezza del ricorso.
Il provvedimento impugnato, infatti, denominato “provvedimento di revoca” ma, in realtà, disponente annullamento, per quanto sarà evidenziato in prosieguo, motivava la sua determinazione evidenziando che l’Ufficio Centrale Verifiche e Controlli Tributi Doganali e Accise – Laboratori chimici, in seguito a richiesta di parere di conformità, aveva ritenuto: “ …che la predetta autorizzazione non poteva essere rilasciata in quanto l’impiego del carburante in questione travalica le ‘prove sperimentali su motori fissi’ e comporta ripercussioni dal punto di vista ambientale, per cui tale impiego deve sottostare alle vigenti norme in materia, individuate nella fattispecie nella legge 4 novembre 1997 n. 413 e successive modificazioni e integrazioni” .
Inoltre, la stessa Agenzia delle Dogane aggiungeva che era riscontrata la mancanza di autorizzazioni specifiche rilasciate dal Ministero dell’Ambiente a favore della ricorrente, derogatorie del divieto espresso dall’art. 3 del d.lgs. n. 66/2005 che, nel rimandare all’Allegato I, pone quale limite massimo di aggiunta di alcole etilico nelle benzine una percentuale del 5%, “ Visto l’ulteriore D.Lgs. 30 maggio 2005 nr. 128…che pure dispone all’art. 7 sull’avvio di un programma ‘per la valutazione dell’effetto dell’uso dei biocarburanti in miscele superiori al 5% in veicoli non adattati, in particolare ai fini del rispetto delle normative in materia di emissioni” .
In sostanza, per quel che emerge dalla lettura del provvedimento - dato che la comunicazione di avvio del procedimento del 6 settembre 2007 si limitava, genericamente, a richiamare la “carenza di richiesta di parere vincolante” – l’Agenzia delle Dogane ha ritenuto che sarebbe stata necessario – prima del rilascio - l’intervento del Ministero dell’Ambiente e che alla fattispecie trovavano applicazione la l.n. 413/97 e il d.lgs. n. 66/2005.
Mentre nella suddetta comunicazione di avvio del procedimento l’Agenzia faceva riferimento alla carenza di parere vincolante, come detto, nel provvedimento impugnato specificava invece le norme ritenute applicabili al fine di protezione ambientale.
La motivazione in questione poteva comunque ritenersi integrata “per relationem” dalla lettura della nota del 26 novembre 2007, allegata al provvedimento medesimo, con la quale l’Ufficio Centrale sopra individuato si era espresso in merito ad esplicita richiesta.
Tale nota attestava, in sintesi, che “autorizzazioni similari” erano state negate per altre ditte del settore per produzioni di carburanti destinati al settore corse-competizioni sportive, che erano state rilasciate solo per un impiego per prove sperimentali su motori fissi, che la problematica relativa all’assimilazione tra benzine destinate all’autotrazione e benzine da corsa era stata precisata in una circolare del Ministero dell’Ambiente – pure allegata – in cui si richiamava la necessità che anche le seconde rispettino la vigente normativa prevista per le prime e che, comunque, visto che anche altre ditte avevano sollevato la questione “ …sarà cura dello scrivente Ufficio interessare il Ministero dell’Ambiente per la risoluzione della problematica coinvolgendo i competenti organismi comunitari… ”.
A sua volta il Ministero dell’Ambiente, nella nota allegata – in effetti da non potersi definire “circolare” perché non indirizzata dall’organo di vertice ai propri Uffici – si limitava ad affermare, genericamente, che mentre la c.d. “benzina avio” non era riconducibile alle tipologie di benzine considerate dall’art. 1 della legge n. 413/97 al fine di individuare valori limite, per la “benzine corse” e la “benzina prove” “… pur comprendendo le problematiche derivanti dalla rigida applicazione della legge, non si ravvede allo stato dei fatti alcuna base giuridica per la loro esclusione dal campo di applicazione della legge 413/97. Al fine di individuare uno strumento giuridico idoneo a risolvere il problema sollevato, questo Servizio provvederà a avviare consultazioni con i Ministeri dell’Industria e della Sanità ”.
Riassumendo, quindi, la complessa motivazione, desumibile dalla lettura correlata di ben tre distinte note provenienti da soggetti diversi, il Collegio rileva che le stesse Amministrazioni coinvolte non avevano chiaro lo specifico profilo in esame e la normativa di riferimento applicabile.
Nel provvedimento dell’Agenzia delle Dogane con cui è stata disposta la revoca, infatti, abbandonando l’unica indicazione fornita all’interessata in sede di comunicazione di avvio del procedimento, che faceva riferimento ad una non meglio specificata “carenza di richiesta di parere vincolante”, si richiamava quanto concluso dall’Ufficio Centrale, il quale aveva osservato che l’impiego del carburante oggetto di autorizzazione – si ricorda, un carburante complesso costituito, essenzialmente, da una miscela di benzina verde senza piombo con bioetanolo (in percentuale variabile tra il 10 e l’85% in volume sul totale della miscela) – se destinato a competizioni sportive doveva rispettare la vigente normativa per i carburanti destinati all’autotrazione, secondo quanto indicato a sua volta dal Ministero dell’Ambiente.
Non era più richiamata la necessità di un preventivo parere dell’Autorità preposta alla tutela ambientale ma si concludeva direttamente per l’applicabilità dei limiti previsti dalla normativa vigente. Tale normativa, però, non essendo indicata nel parere dell’Ufficio Centrale, era ritenuta individuabile, dall’Agenzia delle Dogane, nella legge n. 413/97, nell’art. 3 del d.lgs. n. 66/05 e nell’art. 7 d.lgs. n. 128/05.
Tali due ultimi richiami, però, non comparivano nella nota del Ministero dell’Ambiente del 24 giugno 1998, richiamata dall’Ufficio Centrale, dato che in essa era soltanto operato il richiamo all’art. 1 della l.n. 413/97, richiamo però orientato unicamente a rappresentare una problematica di applicazione dello stesso alla c.d. “benzina corse” o “da banco”, laddove, pur dichiarando di non individuare una disciplina giuridica tesa ad escludere l’applicabilità dei valori limite ivi contenuti, ammetteva che “… Al fine di individuare uno strumento giuridico idoneo a risolvere il problema sollevato, questo Servizio provvederà a avviare consultazioni con i Ministeri dell’Industria e della Sanità” .
Dalla lettura combinata di tali provvedimenti, quindi, il Collegio non rileva – come invece attestato perentoriamente nel provvedimento impugnato – che l’Ufficio Centrale aveva ritenuto che la predetta autorizzazione non poteva essere rilasciata in quanto l’impiego del carburante in questione travalicava le “prove sperimentali su motori fissi” e comportava ripercussioni dal punto di vista ambientale per cui tale impiego doveva sottostare alle vigenti norme di cui alla l.n. 413/97, in quanto tale conclusione non appariva con tale definitività nei due atti ai quali lo stesso provvedimento faceva riferimento “per relationem”.
Infatti, il medesimo Ufficio Centrale concludeva: “… poiché la problematica è stata sollevata da altre ditte operanti nel settore, sarà cura dello scrivente Ufficio interessare il Ministero dell’Ambiente per la risoluzione della problematica coinvolgendo i competenti organismi comunitari” – con ciò dando luogo ad una evidente contraddittorietà e illogicità nel successivo capoverso ove attestava invece che, lungi dall’attendere gli esiti di tali approfondimenti istruttori, l’autorizzazione in questione era revocabile – mentre il Ministero dell’Ambiente a sua volta aveva già a suo tempo, nella nota del giugno 1998 presa a riferimento dall’Ufficio Centrale, ritenuto che la “problematica” in questione, al fine di individuare uno strumento giuridico idoneo, necessitava di consultazioni con i Ministeri dell’Industria e della Sanità.
Ne consegue – ad opinione del Collegio – la fondatezza delle censure proposte dalla società ricorrente tese a lamentare carenza di istruttoria e di motivazione, di cui essenzialmente al quinto, settimo e ottavo motivo di ricorso.
In primo luogo, infatti, risulta fondato il quinto motivo, teso a lamentare la violazione dell’art. 7 l.n. 241/90.
Come già sopra anticipato, la comunicazione di avvio del procedimento di “revoca” si limitava a richiamare genericamente una non meglio specificata assenza di parere vincolante, senza indicare quale fosse tale “parere” e quale Autorità avrebbe dovuto esprimerlo.
Si rammenta, in argomento, che la comunicazione di avvio del procedimento è istituto di carattere generale che si applica a tutti procedimenti amministrativi al fine di consentire al destinatario del provvedimento di partecipare attivamente ed efficacemente alla relativa fase istruttoria, prendendo visione degli atti e presentando eventuali memorie e documenti;come tale, non integra un obbligo di natura meramente formale, in quanto è preordinato non solo ad un ruolo difensivo ma anche alla formazione di una più completa, meditata e razionale volontà dell’Amministrazione (per tutte: TAR Campania, Na, Sez. III, 8.1.09, n. 16).
Nel caso di specie, invece, come rilevato dalla ricorrente, le effettive ragioni a fondamento della revoca non sono state correttamente rappresentate al momento di comunicazione dell’avvio del relativo procedimento, dato che il generico riferimento ad un parere mancante non corrispondeva a quanto poi effettivamente posto alla base del provvedimento finale, che invece richiamava la diretta applicazione di specifiche norme di legge, secondo un’interpretazione peculiare di altri organi della medesima amministrazione nonché di amministrazioni terze, il cui contenuto non era stato in alcun modo anticipato all’interessata. Sotto tale profilo, quindi, appare condivisibile la doglianza della ricorrente secondo cui la specifica comunicazione di avvio era stata del tutto inadeguata ad assolvere allo scopo voluto dalla norma indicata perché non era stata consentita un’effettiva partecipazione al procedimento, il cui carattere ampiamente discrezionale, come si evince dall’articolata motivazione a suo fondamento, esclude di poter ricorrere anche alla successiva applicazione dell’art. 21 octies l.n. 241/90.
Sul punto le difese dell’amministrazione resistente si limitano ad affermare che l’art. 7 cit. non pone “l’obbligo di evidenziare i motivi dell’inizio del procedimento in generale o di revoca in particolare”, ma, in merito, si ribadisce che non è il motivo dell’inizio del procedimento a dover essere comunicato ma il fondamento logico giuridico che porta l’amministrazione ad esaminare l’opportunità di concludere il procedimento in senso, ovviamente, negativo per il destinatario.
Fondato è anche il settimo motivo di ricorso sotto il profilo del difetto assoluto di motivazione in relazione alla mancata considerazione degli interessi del destinatario.
Nel caso di specie l’esercizio del potere di autotutela che si rifletteva sul contenuto stesso dell’attività imprenditoriale svolta dalla ricorrente meritava quantomeno un accenno in ordine al sacrificio dell’interesse privato in relazione a quello pubblico, atteso che in tutti i provvedimenti presi a riferimento per fondare la motivazione del provvedimento impugnato risulta presente esclusivamente uno vago riferimento alla tutela ambientale – tra l’altro neanche di competenza dell’amministrazione delle Dogane – senza alcuna considerazione dello specifico interesse economico della ricorrente che risultava fortemente inciso dalla disposta “revoca”.
Il Collegio, poi, osserva che, come anticipato in precedenza, il provvedimento impugnato, pur formalmente definito come “revoca”, in realtà consisteva in un annullamento d’ufficio, in quanto esso ha considerato presupposti di illegittimità (ritenuta) già esistenti al momento della sua adozione.
Si ricorda sinteticamente, infatti, che l’art. 21 octies, comma 1, l.n. 241/90, come modificato dall’art. 14 l.n. 15/05, indica che è annullabile il provvedimento adottato in violazione di legge e che l’art. 21 nonies, comma 1, l.cit. specifica che “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico”.
Nel caso di specie, dato che la motivazione alla base del provvedimento impugnato è legata, come visto, alla ritenuta violazione “ab origine” di legge, nello specifico della l.n. 413/97 nonché del d.lgs. 66/05, risulta che l’amministrazione abbia dato luogo ad un annullamento d’ufficio e non ad una revoca, a sua volta considerata dall’art. 21 quinquies l.cit., che afferma che questa può disporsi “Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario”, che però nel caso di specie non si rinvengono.
Parimenti fondato è anche l’ottavo motivo di ricorso, ove la società ricorrente lamenta specificamente la carenza di motivazione e di istruttoria.
Richiamando, infatti, la complessa motivazione che ha dato luogo al provvedimento impugnato, il Collegio rileva che la ritenuta applicazione al caso di specie della normativa ivi richiamata non appariva affatto certa, considerato che già nel 1998 il Ministero dell’Ambiente, autorità che aveva emanato la nota (definita erroneamente “circolare”) richiamata dall’Ufficio Centrale per sostenere la necessità di una “revoca”dell’autorizzazione già rilasciata, si era espresso in termini dubitativi, definendo l’applicabilità dell’art. 1 l.n. 413/97 come “problematica” e ritenendo necessario un ulteriore approfondimento al fine di individuare uno strumento giuridico idoneo a risolverla, avviando consultazioni con i Ministeri dell’Industria e della Sanità. Lungi dall’affermare in maniera perentoria l’applicabilità della normativa anche ai carburanti considerati nel caso di specie, quindi, la stessa autorità preposta alla tutela del bene ambientale riteneva necessario, nel 1998, un ulteriore approfondimento.
Di tale approfondimento l’Ufficio Centrale non si è minimamente occupato, ponendo a fondamento della sua determinazione solo il richiamo alle conclusioni del Ministero dell’Ambiente di nove anni prima e che non davano alcuna definitività alle relative conclusioni.
Di conseguenza, anche il provvedimento impugnato che perentoriamente afferma che “la problematica” in considerazione avrebbe trovato soluzione nella “circolare”del Ministero dell’Ambiente che allegava, in realtà si fondava su conclusioni nient’affatto accertate e ancora da sottoporre ad ulteriore approfondimento, tenuto conto, ulteriormente, che lo stesso Ufficio Centrale, la cui determinazione pure è stata direttamente posta a fondamento della decisione finale, contraddittoriamente da un lato affermava che sarebbe stata sua cura interessare il medesimo Ministero dell’Ambiente per la risoluzione della problematica coinvolgendo i competenti organismi comunitari, riconoscendo quindi anche l’influenza della normativa CE in argomento, e dall’altro concludeva nel senso che l’autorizzazione in questione doveva essere “revocata”.
In sostanza il provvedimento impugnato si palesa carente di istruttoria e di motivazione, in quanto a fronte di una perentoria conclusione in ordine all’applicabilità dei valori limite indicati dalla normativa richiama una fase istruttoria in cui tale perentorietà non evinceva affatto ma, anzi, si richiedevano ulteriori approfondimenti il cui contenuto non è stato comunque in alcun modo preso in considerazione.
L’Amministrazione, quindi, avrebbe dovuto esaminare più approfonditamente la normativa presa in considerazione, considerare la peculiarità del caso di specie in cui la distribuzione del carburante preparato dalla società ricorrente comunque non avveniva in rete ed era limitata non solo a progetti sportivi ma anche a progetti sperimentali di altro tipo, come da quest’ultima attestato con la documentazione depositata in giudizio, attivarsi con il Ministero dell’Ambiente per verificare se gli ulteriori approfondimenti della problematica con gli altri Ministeri competenti erano stati effettuati ed a quali conclusioni si era pervenuti e solo dopo, eventualmente, avviare il procedimento di annullamento dell’autorizzazione già rilasciata, previa specifica comunicazione dei motivi a sostegno di tale iniziativa nel relativo avviso di avvio del procedimento.
Poiché tale corretta procedura non risulta osservata, il Collegio rileva la fondatezza dei motivi ora esaminati.
Tale conclusione comporterebbe di per sé l’accoglimento del ricorso ma, per mero tuziorismo, il Collegio ritiene di esaminare sinteticamente anche gli altri motivi di ricorso.
Il primo motivo appare infondato, in quanto la normativa comunitaria richiamata, di cui alla direttiva 2003/30/CE, pone norme di valore programmatico la cui attuazione è riservata, in concreto e nei limiti ivi previsti, anche al fine di tutela dell’ambiente, alla normativa di recepimento degli stati membri la quale, nel caso della normativa italiana, pur sostenendo la promozione dell’utilizzazione di biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili, limita l’uso al fine di raggiungere obiettivi di tutela ambientale ugualmente considerati dalla direttiva 2003/30/CE, nei limiti della sua potestà legislativa.
Il secondo motivo pure appare infondato in quanto il riferimento alla legge n. 413/97, contenendo l’indicazione “e successive modificazioni ed integrazioni”, può intendersi aggiornato al d.lgs. n. 66/05, comunque esplicitamente richiamato nel provvedimento impugnato.
Fondato, invece, appare il terzo motivo di ricorso, in quanto, in effetti, con la revoca dell’autorizzazione già concessa, basata sulla ritenuta diretta applicazione della normativa in materia di “commercializzazione” dei carburanti in questione, non risulta considerato che ne conseguiva anche l’impossibilità di fornire il prodotto ad autobus ed autovetture partecipanti al progetto internazionale “Best” per la diffusione dell’uso di biocarburanti nell’ambito dell’utilizzo in favore di pubbliche amministrazioni..
Fondato è anche il quarto motivo, in quanto la revoca dell’autorizzazione in questione, indipendentemente dall’applicazione della normativa sulla distribuzione in rete, impedisce, senza specifica motivazione, anche la commercializzazione del prodotto all’estero e la vendita dello stesso per prove da banco, ammesse in deroga dallo stesso Ministero dell’Ambiente nella nota più volta richiamata.
Il sesto motivo si palesa invece infondato in quanto il provvedimento impugnato consiste in un annullamento e non in revoca, con la conseguente esclusione della necessità di prevedere un indennizzo.
Il nono motivo è infondato in quanto, sotto il profilo dell’incompetenza come lamentata, l’Amministrazione resistente ha operato nell’ambito delle potestà di vigilanza riconosciute in materia dagli artt. 7 e 8 del d.lgs. n. 66/05, tenuto conto che la stessa ha dato luogo ad un provvedimento in autotutela, di secondo grado, di competenza della medesima Autorità che ha rilasciato il provvedimento che ne è oggetto.
Il decimo motivo (aggiunto) di ricorso, tempestivo ed ammissibile perché proposto nel termine di sessanta giorni dalla notificazione del provvedimento impugnato, è pure infondato in quanto nel riferimento alla “benzina senza piombo” di cui alla normativa richiamata nel provvedimento impugnato deve logicamente intendersi ogni carburante che non rientra nella definizione di “benzina” di cui all’art. 2, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 66/05 e non viceversa, come sostenuto dalla ricorrente. Ciò non toglie, comunque, che l’Amministrazione avrebbe dovuto approfondire in motivazione anche tale profilo per rendere più comprensibile l’”iter” logico-giuridico seguito per dare luogo all’annullamento.
Alla luce di quanto dedotto, quindi, il ricorso deve essere accolto nei sensi di cui in motivazione, ferma restando la potestà dell’Amministrazione di riesaminare la fattispecie anche alla luce della normativa sopravvenuta..
Le spese seguono la soccombenza dell’Agenzia delle Dogane e sono liquidate come da dispositivo mentre possono compensarsi per giusti motivi con le altre Amministrazioni costituite.