TAR Firenze, sez. I, sentenza 2013-03-07, n. 201300375

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Firenze, sez. I, sentenza 2013-03-07, n. 201300375
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Firenze
Numero : 201300375
Data del deposito : 7 marzo 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00426/2010 REG.RIC.

N. 00375/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00426/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 426 del 2010, proposto da:
-OMISSIS-, tutti rappresentati e difesi dall'avv. M M, presso il cui studio sono elettivamente domiciliati in Firenze, via dei Rondinelli, 2;

contro

Ministero della Giustizia, Corpo di Polizia Penitenziaria, Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, Direzione della Casa Circondariale di Prato, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso la cui sede sono domiciliati in Firenze, via degli Arazzieri 4;

per l'annullamento

della nota -OMISSIS- del Provveditorato Regionale per la Toscana e dell'ordine di servizio n.-OMISSIS- del Dirigente della Casa Circondariale di Prato, e per la condanna delle Amministrazioni convenute alla corresponsione della somma che risulterà dovuta a titolo di indennità di servizio notturno;

nonché per l'accertamento dei ricorrenti ad ottenere il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale (biologico, morale, esistenziale) connesso alla situazione lavorativa nella quale operano, anche ai sensi dell'art.36 della Costituzione, e per la conseguente condanna delle Amministrazioni convenute alla corresponsione della somma che, per tutti i tioli che precedono, risulterà di giustizia e di equità anche ai sensi dell'art.1226 c.c., oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dì del fatto illecito.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia, del Corpo di Polizia Penitenziaria, del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria e della Direzione Casa Circondariale di Prato;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 gennaio 2013 il dott. P G e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso notificato il 12 e depositato il 19 marzo 2010, -OMISSIS- ed i litisconsorti in epigrafe, tutti appartenenti – con diverse qualifiche – al personale della Polizia penitenziaria in servizio presso la casa circondariale di Prato, esponevano di versare oramai da anni in condizioni lavorative abnormi, essendo costretti a svolgere, per garantire il normale funzionamento della struttura carceraria, un orario di servizio di gran lunga eccedente le trentasei ore settimanali previste. In particolare, i ricorrenti deducevano di dover prestare ciascuno una media di quattrocento ore annue di straordinario, corrispondenti a una settimana di lavoro aggiuntiva per ogni mese rispetto all’orario-base, e di venire spesso impiegati in turni di servizio giornaliero di durata superiore al massimo stabilito di nove ore consecutive, in taluni casi con pregiudizio altresì dell’effettivo godimento del diritto ai riposi ed alle ferie;
il carattere necessitato delle prestazioni di lavoro straordinario richieste al personale sarebbe stato imposto, del resto, dalla considerevole carenza dell’organico in servizio e dal contemporaneo sovraffollamento della struttura, fattori aventi dimensioni tali da rendere assai difficoltoso lo svolgimento dei doveri d’ufficio, con pochi agenti di volta in volta destinati al controllo di numerose decine di detenuti, alcuni dei quali sottoposti a prevedimenti di grande sorveglianza perché a rischio di gesti pericolosi per sé e per gli altri (nei turni di notte, ad un solo agente sarebbe stata affidata la sorveglianza di due sezioni, collocate su piani distinti dell’edificio, con circa centocinquanta detenuti). La descritta situazione di inadeguatezza delle risorse, proseguivano i ricorrenti, rendeva problematica la stessa gestione della quotidianità, determinando nel personale livelli di stress e disagio lavorativo non ulteriormente tollerabili;
con l’aggravante di trovarsi a lavorare in una struttura nella quale non avevano mai ricevuto attuazione le disposizioni di legge in materia di sicurezza sul lavoro, e con riflessi anche sulle dinamiche retributive, giacché la sistematica prestazione del lavoro straordinario nei turni di notte veniva retribuita con una paga oraria addirittura inferiore a quella percepita nel turno ordinario notturno, remunerato con la relativa indennità di servizio.

Tanto premesso in fatto, i ricorrenti in prima battuta rivendicavano il diritto al cumulo dell’indennità di servizio notturno con il compenso per lavoro straordinario, tenuto anche conto della abitualità in concreto assunta dallo straordinario medesimo. Per altro verso, ribadita l’abnormità dell’utilizzo del lavoro straordinario programmato quale normale – e, di fatto, indispensabile – strumento organizzativo della casa circondariale, e contestata all’amministrazione di appartenenza la violazione dell’art. 2087 cod. civ. e della normativa di cui al D.Lgs. n. 81/2008, lamentavano di aver patito, a causa delle condizioni lavorative e dei carichi di lavoro sopportati da anni, un danno non patrimoniale all’integrità psicofisica, con riflessi sulla vita di relazione e sulla sfera morale. Concludevano pertanto affinché fosse accertato e dichiarato il loro diritto al cumulo del compenso per lavoro straordinario con l’indennità di servizio notturno, con conseguente condanna dell’amministrazione al pagamento dei relativi importi a titolo di differenze maturate per il passato e non percepite;
nonché per l’accertamento – previo espletamento di consulenza tecnica medico-legale d’ufficio – del loro diritto al risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale patito per effetto delle condizioni lavorative loro imposte, con conseguente condanna dell’amministrazione al pagamento degli importi a tale titolo spettanti, da determinarsi in corso di causa.

Costituitisi in giudizio il Ministero della Giustizia, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, la Direzione della Casa circondariale di Prato e il Corpo di Polizia penitenziaria, con ordinanza del -OMISSIS- il collegio disponeva procedersi ad acquisire presso l’amministrazione i documenti attestanti le scoperture organiche del personale di Polizia penitenziaria in servizio e l’andamento della popolazione carceraria presso la Casa circondariale di Prato a decorrere dall’anno 2000, il numero di ore di lavoro straordinario prestate dai ricorrenti nello stesso periodo, i relativi ordini di servizio e gli atti di assenso prestati dai dipendenti, e il testo degli accordi decentrati intercorsi fra l’amministrazione e le organizzazioni sindacali dei lavoratori.

La causa veniva discussa e trattenuta per la decisione di merito nella pubblica udienza del 9 gennaio 2013, preceduta dal deposito di memoria difensiva dei ricorrenti.

DIRITTO

Come riferito in narrativa, i ricorrenti appartengono al personale della Polizia penitenziaria in servizio presso la casa circondariale di Prato e denunciano di essere costretti a prestare la propria attività lavorativa in condizioni intollerabili, determinate dalla concomitanza di una grave scopertura dell’organico e dal sovraffollamento della struttura carceraria, presso la quale sarebbero ospitati quasi settecento detenuti, contro una capienza di trecentocinquanta – cinquecento. Il concorso dei predetti fattori critici renderebbe assai difficoltosa la gestione delle attività correnti e gravemente onerosa l’attività lavorativa, costringendo il personale, solo per garantire il normale funzionamento del carcere, alla prestazione sistematica di turni programmati di lavoro straordinario per una media di quattrocento ore annue (fino ad una settimana lavorativa in più per ciascun mese), oltretutto – se svolti di notte – remunerati in misura inferiore al compenso percepito per il turno ordinario, stante l’intervenuta revoca, a far data dal marzo 2009, dell’ordine di servizio 2 novembre 2006, che aveva riconosciuto la cumulabilità del compenso per lavoro straordinario con l’indennità di servizio notturno. In tale situazione, aggravata dal mancato rispetto della normativa in tema di sicurezza dei luoghi di lavoro, i lavoratori si troverebbero esposti – avuto anche riguardo alla natura delle prestazioni rese e alla gravosità delle mansioni, di per sé usuranti – a elevatissimi livelli di stress psicofisico, con pregiudizio alla salute e, più in generale, alla vita di relazione non adeguatamente compensato dalle maggiorazioni stipendiali percepite per il lavoro straordinario, impropriamente utilizzato dall’amministrazione quale “normale” strumento di organizzazione e gestione del carcere.

La circostanza che l’organico del personale assegnato alla casa circondariale di Prato soffra di una consistente scopertura non è contestata dalla difesa erariale, la quale riversa in atti la relazione a firma del direttore della struttura in data 13 aprile 2010, ove si dà conto di carenze attestate a circa il 38% della forza necessaria. Dette carenze, unite a una presenza effettiva di 649 detenuti su di una capienza di 476, integrerebbero, ad avviso dell’amministrazione, le condizioni di rilievo sotto il profilo dell’ordine e della sicurezza all’uopo richieste sia dalla contrattazione nazionale, sia da quella locale, ai fini di legittimare la programmazione dei turni di servizio in misura superiore alle sei ore e il notevole ricorso alle prestazioni di lavoro straordinario. D’altro canto, la grave carenza di organico rispetto alle previsioni di cui al D.M. 8 febbraio 2001, e la conseguente necessità di uno stabile ricorso al lavoro straordinario, costituisce la dichiarata ragione per la quale, con l’ordine di servizio n. 21 del 2 novembre 2006, poi revocato, la direzione del carcere aveva inteso riconoscere il pagamento dell’indennità di servizio notturno a tutto il personale impiegato nel turno 0.00 – 6.00, ivi compreso il personale chiamato ad effettuare quel turno in un regime di straordinario “di fatto reso obbligatorio per coprire una carenza di organico determinata da scelte dell’amministrazione penitenziaria”.

L’istruttoria disposta dal tribunale ha confermato che, nell’intero periodo dal 2000 al 2012, la dotazione della forza di Polizia penitenziaria operante presso il carcere di Prato presenta una scopertura crescente rispetto all’organico previsto (dal 20% circa del 2000 al 37% circa del 2012: si vedano le tabelle allegate alla documentazione trasmessa dalla direzione della Casa circondariale e pervenuta il 10 novembre 2012). Nel medesimo periodo, la popolazione carceraria ha fatto registrare un andamento altalenante, ma tendenzialmente crescente dal 2000 al 2005 (da 509 a 562 detenuti), per poi diminuire drasticamente nel 2006 (chiaro effetto dell’indulto concesso con la legge n. 241/2006), e tornare a salire fino a raggiungere nel 2012 il totale di 720 detenuti, dato che eccede largamente la capienza indicata dalla stessa amministrazione in 476 detenuti (ancora una volta, il riferimento è alle tabelle acquisite in via istruttoria dal tribunale).

Gli elementi raccolti confermano, dunque, la prospettazione in fatto dei ricorrenti, che trova altresì riscontro quanto all’elevato numero di ore di lavoro straordinario da loro annualmente prestato nell’ambito di un’organizzazione dei turni di servizio che, a causa delle carenze organiche sopra evidenziate, non può prescindere dallo straordinario programmato per fare fronte anche alla sola gestione corrente della struttura.

Non per questo, in diritto, le pretese fatte valere possono trovare accoglimento.

La disciplina di rango primario del rapporto di impiego del personale della Polizia penitenziaria è dettata dall’ordinamento del Corpo, di cui alla legge n. 395/1990, che, nel mentre rimette alla definizione in sede convenzionale fra l’amministrazione e i rappresentanti delle organizzazioni sindacali nazionali maggiormente rappresentative la materia dell'orario di lavoro (art. 19 co. 4), pone la regola secondo cui gli appartenenti al Corpo, quando le esigenze lo richiedono, sono tenuti a prestare servizio anche in eccedenza all'orario, fatto salvo il diritto al corrispondente compenso per lavoro straordinario (art. 11). Tale ultima previsione deve essere letta, peraltro, in combinato disposto con quella contenuta nell’art. 5 co. 3 del D.L. n. 356/1987, convertito in legge n. 436/1987, in forza del quale “i limiti massimi individuali e di spesa per prestazioni di lavoro straordinario e le eventuali variazioni, comprese le maggiori prestazioni risultanti dalla differenza tra l'orario d'obbligo settimanale e quello dei turni di lavoro giornalieri, sono stabiliti, unitamente ai contingenti del personale, con decreto del Ministro di grazia e giustizia, di concerto con il Ministro del tesoro”: detti limiti massimi sono fissati e via via reiterati, nel periodo compreso fra il 2000 e il 2012, in 450 ore annue per undici mesi, elevabili sino ad un massimo insuperabile di 660 ore annue in occasione di eccezionali esigenze che impegnino con continuità il personale (da ultimo, si veda il decreto interministeriale del 17 settembre 2012, che conferma i medesimi limiti approvati negli anni precedenti).

Definitivamente stabilita dalla contrattazione collettiva in trentasei ore la durata dell’orario di lavoro, l’art. 24 co. 5 del D.P.R. n. 164/2002 ha quindi devoluto alla stipula di accordi nazionali quadro una serie di materie di contrattazione, ivi compresa la determinazione dei criteri generali per la programmazione di turni di lavoro straordinario diretti a consentire ai responsabili degli uffici di fronteggiare, per periodi predeterminati, particolari esigenze di servizio. In ossequio a tale previsione, per il personale della Polizia penitenziaria è intervenuto l’Accordo Nazionale Quadro d’Amministrazione del 24 marzo 2004, ancora efficace ai sensi del suo art. 1 co. 3, il cui art. 10 stabilisce che le prestazioni di lavoro straordinario, in presenza del preventivo consenso scritto del lavoratore, possono essere richieste con provvedimento motivato per assicurare il continuo, regolare svolgimento delle attività istituzionali, pur dovendo mantenere carattere residuale nell’organizzazione del lavoro. La medesima norma prevede altresì che, in presenza di particolari e inderogabili esigenze del servizio attinenti in via preminente alla sicurezza, la prestazioni di lavoro straordinario possono venire richieste “anche senza il consenso del dipendente”, in tale evenienza il relativo provvedimento dovendo essere “dettagliatamente motivato, anche in relazione al monte ore di lavoro straordinario previsto presso la struttura”.

Correlativamente, l’art. 3 del Protocollo di intesa locale stipulato il 2 dicembre 2005 fra la direzione della casa circondariale di Prato e le organizzazioni sindacali – recependo, a norma dell’art. 3 dell’Accordo Quadro, il Protocollo di intesa regionale – individua il consenso del lavoratore come base della prestazione del lavoro straordinario. Di contro, esso non contiene espliciti riferimenti alla necessaria residualità dello straordinario nell’organizzazione del lavoro, e questo in linea di diretta continuità con il sopra citato art. 11 della legge n. 395/1990 che, lo si ripete, subordina unicamente alle “esigenze” l’obbligo di prestare servizio anche in eccedenza al normale orario lavorativo, fermi restando i limiti massimi parimenti fissati dal legislatore mediante rinvio alla normativa tecnica da adottarsi in sede interministeriale;
e, a ben vedere, il silenzio sulla residualità è coerente con l’inciso con cui lo stesso art. 3 autorizza la richiesta dello straordinario a prescindere dal consenso del dipendente laddove ricorrano “situazioni di natura contingente e di rilievo sotto il profilo dell’ordine e della sicurezza”, disposizione rimasta invariata all’esito della verifica intervenuta l’8 luglio 2008 e dalla quale si evince, a contrario che al di fuori delle contingenze il consenso del dipendente è di per sé sufficiente a legittimare la richiesta di prestazioni straordinarie da parte dell’amministrazione.

Che la contrattazione decentrata possa derogare anche in senso peggiorativo a quella di livello nazionale costituisce, del resto, principio di carattere generale, e non vi è dubbio che l’accordo locale – nel dettare una disciplina di maggior dettaglio rispetto a quella dell’accordo quadro – abbia tenuto in conto le specifiche criticità in cui la casa circondariale di Prato versa sul piano della dotazione di personale: le “oggettive carenze organiche” dell’istituto sono infatti espressamente indicate dall’art. 2 del Protocollo come la causa dell’impossibilità di strutturare tutti i turni di servizio sui quattro quadranti che rappresentano, comunque, l’obiettivo finale dichiarato dall’amministrazione e delle organizzazioni sindacali stipulanti;
così come, a titolo esemplificativo, nell’ambito della disciplina dei turni di notte (art. 4), l’amministrazione si impegna “con ogni sforzo” a garantire al personale che il turno notturno sia di sei ore, “sebbene le carenze organiche siano divenute veramente insostenibili”.

Ciò posto, come già accennato l’istruttoria espletata attesta il carattere di sostanziale stabilità delle esigenze in forza delle quali la direzione della casa circondariale si è trovata nella necessità di fare ricorso alla copertura dei turni mediante il ricorso programmato al lavoro straordinario: si tratta di quella situazione endemica di grave sottodimensionamento dell’organico e contestuale sovraffollamento della struttura carceraria denunciata dai ricorrenti e, di fatto, riconosciuta dalle stesse amministrazioni resistenti, le quali si limitano ad allegare come il problema non riguardi il solo carcere di Prato, ma abbia diffusione generale nel sistema penitenziario italiano (per gli ultimi anni la circostanza è in effetti conclamata, visto il D.P.C.M. 13 gennaio 2010 che, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 5 della legge n. 225/1992, ha dichiarato lo stato di emergenza conseguente all'eccessivo affollamento degli istituti penitenziari presenti sul territorio nazionale, prorogato successivamente fino al 31 dicembre 2012, in virtù del quale la stessa Corte Europea dei diritti dell’Uomo, nella recentissima sentenza 8 gennaio 2013, in causa T e altri c. Italia, ha potuto affermare “il carattere strutturale e sistemico del sovraffollamento carcerario in Italia”. Quanto alla carenza di personale, il riconoscimento deriva dagli stessi decreti interministeriali di determinazione delle ore massime di lavoro straordinario;
per tutti si veda il citato decreto 17 settembre 2012, che, appunto, invoca la necessità di organizzare la copertura dei turni giornalieri di servizio su tre quadranti e mediante ricorso allo straordinario proprio in ragione dell’attuale carenza degli organici in cui versa gran parte degli istituti penitenziari).

Al contempo, dalla documentazione acquisita presso la direzione del carcere di Prato emerge però come nessuno dei ricorrenti, nel periodo dal 2000 al 2012, abbia mai prestato ore di lavoro straordinario in eccedenza rispetto ai limiti di legge, e come, in media, il contingente di ore di lavoro straordinario utilizzate si collochi ampiamente al di sotto dei massimi previsti. Se pertanto, da un lato, può ritenersi legittima e lecita la richiesta dell’amministrazione, alla quale sotto questo profilo non possono imputarsi comportamenti contrari alla legge, dall’altro ne risulta smentita la tesi dei ricorrenti, secondo cui i diritti azionati presenterebbero il crisma della indisponibilità, giacché, entro i limiti di legge, il dipendente può liberamente disporre delle proprie energie lavorative;
con la conseguenza che il consenso prestato dai ricorrenti medesimi svuota la prefigurata fattispecie di danno risarcibile, operando sul piano della ascrivibilità causale dell’evento dannoso alla condotta del danneggiato, ovvero dell’esistenza di una causa di giustificazione. La medesima conclusione vale, peraltro, anche nei confronti dei dipendenti i quali, pur non avendo preventivamente prestato il consenso ad effettuare lo straordinario, non abbiano opposto rifiuto alla richiesta (nessuno dei ricorrenti allega di aver prestato lo straordinario in obbedienza a ordini superiori), poiché anche il consenso successivo, implicito nella prestazione lavorativa eseguita, rende l’eventuale pregiudizio imputabile alla condotta del danneggiato, e comunque scrimina il fatto.

Ai fini dell’accoglibilità della domanda risarcitoria nessun rilievo assume poi l’inosservanza, da parte dell’amministrazione penitenziaria, delle prescrizioni in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, con riferimento alla predisposizione del prescritto documento di valutazione dei rischi e della sorveglianza sanitaria. In disparte la genericità delle allegazioni svolte al riguardo, nessuno dei ricorrenti deduce di trovarsi in condizioni psicofisiche incompatibili anche solo in parte con le mansioni svolte e di essere, pertanto, vittima di un pregiudizio che avrebbe potuto essere prevenuto mediante l’apprestamento delle misure all’uopo previste dalla legge. Questo non significa, per inciso, che lo spirito di servizio sino ad oggi dimostrato dal personale di Polizia penitenziaria in servizio presso il carcere di Prato comporti abdicazione ai diritti irrinunciabili connessi alla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e che l’amministrazione datrice di lavoro sia esonerata dai corrispondenti obblighi, la cui violazione, secondo una regola generale suscettibile di adattamento al caso di specie, in ipotesi di particolare gravità potrebbe giustificare il rifiuto della prestazione da parte dei lavoratori.

Acclarata l’infondatezza della pretesa risarcitoria, resta da esaminare la domanda volta ad ottenere il riconoscimento del diritto dei ricorrenti al cumulo dell’indennità di servizio notturno con il compenso per lavoro straordinario.

Neppure tale domanda può essere accolta.

L’art. 4 della legge n. 734/1973, istitutivo delle indennità per servizio notturno in favore degli impiegati civili dello Stato, al comma terzo sancisce il divieto di cumulo di dette indennità con i compensi per lavoro straordinario, divieto ribadito dall’art. 6 del regolamento attuativo approvato con il D.P.R. n. 146/1975, senza che in contrario valgano le disposizioni regolamentari invocate dai ricorrenti, le quali disciplinano l’ammontare dell’indennità in questione, ma non le condizioni per la sua erogazione. In passato, la direzione del carcere di Prato, previo parere favorevole del provveditorato regionale, ha peraltro ritenuto che in via eccezionale il cumulo qui richiesto potesse essere consentito, onde ovviare alla sperequazione fra i dipendenti che si fossero trovati a effettuare il turno di notte all’interno dell’orario settimanale ordinario e quelli chiamati a svolgerlo, invece, in regime di lavoro straordinario reso obbligatorio dalle carenze organiche dell’istituto (si veda l’ordine di servizio n. 21 del 2 novembre 2006, in atti). L’iniziativa, benché animata da intenzioni commendevoli, si scontra tuttavia con il chiaro dettato della legge, né è possibile ricorrere all’analogia fra il lavoro ordinario e lo straordinario programmato, giacché quest’ultimo, sebbene prestato in modo sostanzialmente sistematico e, perciò, particolarmente gravoso, conserva pur sempre la sua natura, a partire dal fatto che esso presuppone il consenso del lavoratore (la cui mancanza può essere unicamente supplita dall’ordine gerarchico). Si consideri inoltre che il medesimo risultato perequativo può essere raggiunto mediante l’adeguata organizzazione e programmazione dei turni di servizio, in modo tale che, per quanto possibile, il lavoro notturno venga prestato da ciascun dipendente all’interno dell’orario settimanale ordinario, ovvero che il numero di turni di notte da svolgere in regime di lavoro ordinario e di lavoro straordinario sia distribuito uniformemente fra tutti i lavoratori interessati.

Ne discende la piena legittimità dell’ordine di servizio n. 7 del 30 marzo 2009, che, nel disporre la revoca del cumulo fra indennità di servizio notturno e compenso per straordinario, si è limitato a fare piana applicazione della normativa di rango primario e secondario vigente in materia. Né sono condivisibili le perplessità dei ricorrenti circa la conformità a Costituzione di tale interpretazione normativa, essendo pacifico che la garanzia apprestata dall'art. 36 Cost. si riferisce al trattamento economico globale del lavoratore subordinato e non ai singoli elementi retributivi, di talché i criteri della proporzionalità e della sufficienza posti dalla citata norma costituzionale a tutela del lavoratore medesimo non trovano applicazione in caso di erogazione di un compenso per lavoro straordinario inferiore a quello erogato per l'orario ordinario (fra le altre, cfr. Cass. civ., sez. lav., 19 gennaio 2009, n. 1173. Nell’impiego pubblico non privatizzato, com’è noto, il principio di proporzionalità della retribuzione va oltretutto coordinato con quelli di pari rango stabiliti dall’art. 97 Cost.: per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 settembre 2007, n. 4702).

In forza di tutto quanto precede, il ricorso deve essere respinto. La natura della controversia e l’accertata gravosità delle condizioni lavorative dei ricorrenti giustificano l’integrale compensazione delle spese processuali.

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