TAR Roma, sez. III, sentenza 2012-01-16, n. 201200422

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. III, sentenza 2012-01-16, n. 201200422
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201200422
Data del deposito : 16 gennaio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 10284/2008 REG.RIC.

N. 00422/2012 REG.PROV.COLL.

N. 10284/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10284 del 2008, proposto da:
V A, rappresentato e difeso dall'avv. R R, con domicilio eletto presso R R in Roma, via Carducci, 4;

contro

Universita' Cattolica del Sacro Cuore, rappresentato e difeso dall'avv. M D, con domicilio eletto presso M D in Roma, via Mordini, 14;
Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma, Regione Lazio;
Inpdap - Istit. Naz.le Previdenza Dipendenti Amm.Ne Pubblica, rappresentato e difeso dall'avv. F M, con domicilio eletto presso F M in Roma, via C. Beccaria, 29;

per l'annullamento

RISARCIMENTO DANNI A SEGUITO DELLA CESSAZIONE DALLE FUNZIONI ASSITENZIALI DI DIRIGENTE PRESSO IL POLICLINICO GEMELLI DALL'1/11/01 ALL'1/11/04


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Universita' Cattolica del Sacro Cuore e di Inpdap - Istit. Naz.le Previdenza Dipendenti Amm.Ne Pubblica;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 novembre 2011 il dott. Cecilia Altavista e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Il prof. Venuti, professore associato di immunologia clinica presso la Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica, con il ricorso n°12576 del 2001 aveva chiesto l’accertamento del proprio diritto al mantenimento delle funzioni assistenziali dopo il collocamento fuori ruolo dal 1-11-2001.

Con sentenza n° 3663 del 2003 è stato accolto il ricorso, con accertamento del diritto del ricorrente, pur senza mantenimento delle funzioni dirigenziali, al mantenimento di alcune funzioni di natura assistenziale, “che dovranno essere individuate in accordo con la struttura universitaria e in coerenza con la attività didattica esercitata”. Tale sentenza è stata confermata dal Consiglio di Stato con la decisione n° 3183 del 2004. Successivamente, il ricorrente agiva, altresì, per l’ottemperanza alla sentenza. Il ricorso per ottemperanza è stato respinto, con sentenza n° 918 del 2006, in quanto, nel frattempo, alla data del 1 novembre 2004 il professore ricorrente era stato collocato a riposo, e non era più possibile assegnargli funzioni assistenziali , “ salva l’eventuale azione risarcitoria per il danno”.

Con il presente ricorso è stata proposta domanda di risarcimento danni per il mancato svolgimento delle funzioni assistenziali nel periodo di fuori ruolo dal 1-11-2001 al 31-10-2004 e per la rideterminazione del trattamento pensionistico.

Si è costituita l’Università Cattolica contestando la fondatezza del ricorso.

Si è costituito altresì l’Inpdap eccependo il difetto di giurisdizione delle domande relative alla pensione ed il proprio difetto di legittimazione passiva quanto alla domanda di risarcimento danni.

All’udienza del 2-11-2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

In via preliminare deve essere esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione rispetto alle pretese del ricorrente alla eventuale rideterminazione del trattamento pensionistico sollevata dall’Inpdap.

Ad avviso del collegio tale eccezione non è fondata.

La giurisprudenza, infatti, ritiene sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo, quando le questioni riguardino il computo della base di calcolo della pensione.

La giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti in materia di pensioni deve ritenersi limitata solo a quanto concerne con immediatezza, anche nella misura, il sorgere, il modificarsi e l'estinguersi totale o parziale del diritto a pensione in senso stretto, restando esclusa da tale competenza ogni questione connessa con il rapporto di pubblico impiego, quale la determinazione della base pensionabile, sulla quale, invece, la giurisdizione è del giudice amministrativo.

Pertanto, spetta al g.a. in sede di giurisdizione esclusiva la cognizione della controversia avente ad oggetto l'inclusione nella base pensionabile di un dato compenso percepito con continuità nel corso del rapporto di pubblico impiego, ponendo la relativa domanda una questione immediatamente ricollegabile - ancora prima che alla misura del diritto a pensione - alla determinazione della base pensionabile (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 02 novembre 2010 , n. 33104).

Deve essere invece dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’Inpdap per quanto riguarda la domanda risarcitoria, non avendo l’Istituto previdenziale alcuna posizione rispetto al comportamento dell’Università che non ha dato esecuzione al giudicato delle sentenze.

Il ricorso è solo in parte fondato.

La domanda di risarcimento danni deve, infatti, essere in parte accolta.

Dalla sentenza di primo grado del Tar, impugnata dalla Università, ma non sospesa, quindi esecutiva, derivava l’obbligo per la Amministrazione universitaria di valutare quali funzioni assistenziali e con quali modalità, ad esempio di ore, o di attribuzione di uno specifico incarico, anche se non dirigenziale, attribuire al prof. Venuti.

Poiché dal 2003, data della prima pronuncia alla fine del 2004, l’Università non ha mai provveduto ad alcuna valutazione in tal senso, si deve ritenere responsabile del danno causato al professore per il mancato esercizio delle funzioni assistenziali.

Non può essere, infatti, accolta la tesi della difesa resistente, secondo cui non sussisterebbe l’elemento psicologico della colpa dell’Amministrazione. Infatti davanti alla pronuncia di primo grado esecutiva, comunque, sussiste una responsabilità dell’Amministrazione rispetto all’ inadempimento del dettato giurisdizionale, anche se questo lasciava discrezionalità all’Amministrazione.

In tali ipotesi l’elemento soggettivo della colpa deve, dunque, ritenersi in re ipsa.

Sussiste il diritto al risarcimento del danno da tardiva assunzione nel caso in cui il riconoscimento del diritto all'assunzione sia la conseguenza del consolidamento degli effetti del giudicato amministrativo: in questo caso, infatti, la mancata esecuzione di una sentenza del g.a. da parte dell'amministrazione comporta che la colpa della stessa p.a. si configuri come oggettiva ed "in re ipsa" (Consiglio Stato , sez. V, 30 giugno 2011 , n. 3934).

Non può essere, invece, accolta la ricostruzione ricorrente in relazione alla quantificazione del danno che deve essere commisurata al pagamento della cd. indennità de M che spettava al ricorrente mentre era in servizio.

In materia di quantificazione per equivalente del danno in ipotesi di omessa o ritardata assunzione, questo non si identifica in astratto nella mancata erogazione della retribuzione e della contribuzione (elementi che comporterebbero una vera e propria "restitutio in integrum" e che possono rilevare soltanto sotto il profilo della responsabilità contrattuale), occorrendo invece caso per caso individuare l'entità dei pregiudizi di tipo patrimoniale e non patrimoniale che trovino causa nella condotta illecita del datore di lavoro (Consiglio Stato , sez. V, 30 giugno 2011 , n. 3934).

Nel caso di specie, le sentenze sia di primo grado che del Consiglio di Stato si riferiscono, infatti, alla valutazione delle possibili funzioni assistenziali da attribuire. Ne deriva che la misura, le modalità e, quindi, il compenso per tali funzioni, avrebbero dovuto essere stabilite dalla Università ( e dalla Azienda) , secondo criteri di ragionevolezza e di bilanciamento di interessi tra la tutela dell’interesse del prof. Venuti alla svolgimento di tale attività e la compatibilità con la organizzazione dell’amministrazione .

Quindi, in nessun caso il danno può essere immediatamente quantificato all’indennità percepita mensilmente, potendo l’Amministrazione anche attribuire funzioni assistenziali non corrispondenti ad un orario a tempo pieno o limitate ad esempio in relazione allo svolgimento di uno specifico incarico, anche di collaborazione.

Le funzioni assistenziali oggetto delle pronunce giurisdizionali, non riguardavano la corrispondenza con il normale servizio del professore di materie cliniche, ma il periodo di servizio fuori ruolo, che non è caratterizzato dallo svolgimento della normale prestazione lavorativa.

Ai sensi dell’art 2 della legge n° 239 del 7-8-1990, che ha esteso l’istituto del fuori ruolo anche ai professori associati, le competenti autorità accademiche determinano i compiti didattici e scientifici dei professori associati fuori ruolo in relazione al loro impegno a tempo pieno o a tempo definito.

L’impegno del professore fuori ruolo è quindi determinato dalla Università.

Il danno che si può considerare in questa sede è rappresentato, quindi, dal non avere la Amministrazione dato alcuna possibilità al ricorrente di svolgere tale attività.

La giurisprudenza ha, infatti chiarito che è illegittimo non attribuire alcuna attività assistenziale o non attribuire alcuna remunerazione per tale attività svolta nel periodo di fuori ruolo, non individuando ulteriori vincoli per l’Amministrazione (cfr. TAR Lazio Roma, sez. III, 12 febbraio 2004 , n. 1325, per cui è illegittimo il provvedimento con cui, in attuazione del protocollo d'intesa tra Università e Regione per la disciplina dell' attività sanitaria assistenziale - in particolare, nella parte concernente l' attività assistenziale residuale da affidare al docente al raggiungimento dei limiti massimi di età previsti dall'art. 15 nonies d.lg. 21 dicembre 1999 n. 517 -, si stabilisce che nessuna remunerazione è dovuta all'interessato;
tale disposto contrasta con l'art. 36 cost. giacché, esonerandosi dall'obbligo di una giusta remunerazione aggiuntiva , per cui l'amministrazione realizzerebbe un illecito arricchimento).

Pertanto ritiene il Collegio che tale danno debba essere qualificato come perdita di chances e come tale possa essere quantificato solo in via equitativa.

Ritiene dunque il Collegio di fissare i criteri per operare tale liquidazione in via equitativa in base ai quali, ai sensi, dell’art 34 del codice del processo amministrativo, le parti giungano ad un accordo.

Il criterio in base al quale procedere ad una liquidazione equitativa, considerato che l’indennità De M può essere solo un riferimento in base al quale valutare la perdita di chances, può essere commisurato alla indennità De M ridotta ad un quarto e maggiorata del 10% per perdita della base pensionistica.

Trattandosi di risarcimento del danno è, infatti, evidente che su tale somma non spetti alcuna rideterminazione del trattamento pensionistico, che può essere solo valutato come ulteriore danno, anche questo liquidato in via equitativa come perdita di chances, in quanto non sussiste la prova che le somme percepite per l’attività assistenziale effettivamente prestata sarebbero state somme computabili nella pensione.

L’Università deve essere pertanto condannata a formulare una offerta ex art 34 comma 4, prendendo come parametro l’indennità per la attività assistenziale ridotta di un quarto, calcolata per i tre anni di fuori ruolo.

Su tali somme spettano la rivalutazione, in quanto trattandosi di risarcimento danni, la somma deve essere calcolata alla data della liquidazione, e gli interessi cd. compensativi, da liquidarsi in misura legale, fino alla data della accordo;
ciò in funzione remunerativa e compensativa della mancata tempestiva disponibilità della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno. Su tutte le somme dovute decorrono, altresì, gli interessi legali dalla data della liquidazione fino all’effettivo soddisfo.

Sostiene la difesa ricorrente che in maniera illegittima la perdita delle funzioni assistenziali avrebbe comportato la cessazione dell’attività libero professionale intra muraria, e a tal fine allega le ricevute delle somme corrisposte nel corso di tale attività.

Tali somme non possono essere oggetto di risarcimento. In primo luogo, il periodo di fuori ruolo non necessariamente avrebbe comportato lo svolgimento di attività intra muraria.

Infatti, l’attività professionale intra muraria costituisce una compensazione ai limiti posti dal legislatore per i medici in servizio a tempo pieno, per l’esercizio della attività libero professionale.

Il professore ricorrente non aveva invece alcun limite per lo svolgimento di attività libero professionale esterna prima preclusa.

Ne deriva che sotto tale profilo non si può ritenere effettivamente verificato alcun danno.

Il ricorrente chiede altresì il risarcimento per il danno non patrimoniale subito in seguito alla mancata reintegrazione nelle funzioni assistenziali.

Tale domanda deve essere respinta. Non vi è, infatti, alcuna prova che lo stato depressivo di cui alla consulenza di parte depositata in atti sia derivata dalla mancata reintegrazione in qualche funzione assistenziale. Infatti, il consulente di parte riporta la depressione medio grave a cause lavorative, ma tenendo conto del passaggio dal servizio attivo al servizio fuori ruolo, dell’avvicinarsi comunque dell’età del collocamento a riposo, con connessa cessazione completa dell’attività lavorativa, sussistono altre circostanze che possono avere provocato tale stato.

Non può dunque trovarsi un nesso di causalità immediata e diretta tra lo stato diagnosticato dal consulente ed il mancato reintegro delle funzioni assistenziali.

Neppure risulta in alcun modo provato un danno da mobbing considerando che questo è rappresentato da una particolare connotazione della condotta della Amministrazione;
questa non risulta integrata nel caso di specie. L’Amministrazione, infatti, si è limitata a non dare (colposamente) esecuzione alle sentenze del giudice amministrativo.

La giurisprudenza è , infatti, costante nel ritenere che, ai fini risarcitori del danno da "mobbing" nel pubblico impiego, sia necessaria la prova dell'elemento soggettivo, cioè nell'intento persecutorio;
la prova del danno all'integrità subito;
che sia dimostrato il nesso causale tra il comportamento del datore di lavoro e lo stato di prostrazione (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 08 febbraio 2011 , n. 1230)

La condotta di mobbing dell'Amministrazione pubblica datrice di lavoro, consistente in comportamenti materiali o provvedimentali contraddistinti da finalità di persecuzione e di discriminazione, indipendentemente dalla violazione di specifici obblighi contrattuali nei confronti di un suo dipendente, deve da quest'ultimo essere provata e, a tal fine, valenza decisiva è assunta dall'accertamento dell'elemento soggettivo, e cioè dalla prova del disegno persecutorio (Consiglio Stato , sez. IV, 07 aprile 2010 , n. 1991).

Il ricorso è quindi fondato nei limiti indicati.

L’Università deve essere, pertanto, condannata a formulare una offerta ai sensi dell’art. 34 d. lgs. n. 104 del 2010 secondo i parametri indicati.

Le ulteriori domande devono essere rigettate.

L’Università deve essere altresì condannata al pagamento delle spese processuali pari a euro 2000.

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