TAR Catania, sez. V, sentenza 2024-07-04, n. 202402419
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Testo completo
Pubblicato il 04/07/2024
N. 02419/2024 REG.PROV.COLL.
N. 01478/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1478 del 2023, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato G M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Assessorato regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana della Regione siciliana, Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di -OMISSIS-, in persona dell’Assessore pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria ex lege in Catania, via Vecchia Ognina, 149;
nei confronti
Comune di -OMISSIS-, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
- della nota della Soprintendenza prot. n. -OMISSIS-, pervenuta l’1 giugno 2023, con la quale l’Ente, esprimendosi sul “ Parere di competenza per opere in sanatoria, art. 32 L. 326/03 prot. n. 7232 del 9/12/2004, dichiarazione di grave danno, in area di interesse paesaggistico, per le opere edilizie realizzate abusivamente, sito in C/da -OMISSIS- ”, ha denegato il rilascio del parere ed ha ordinato “ la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, a proprie spese, da eseguirsi entro il termine di novanta giorni ”.
- ove occorra, e per la parte di interesse, della Circolare n. 2 prot. 62212 del 30/12/2022, del Dipartimento dei Beni Culturali della Regione Sicilia;
- di ogni altro atto o provvedimento presupposto, connesso e/o conseguenziale, con quello dianzi impugnato, ivi compreso, ove occorra, e limitatamente alla parte di interesse, il Piano Paesaggistico, Ambito 9 -OMISSIS-, adottato con Decreto Assessoriale n. 90 del 23 ottobre 2019.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana e della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2024 il dott. Salvatore Accolla e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La ricorrente esponeva di essere proprietaria di un appartamento per civile abitazione ricadente nell’abitato di -OMISSIS-, in relazione al quale aveva presentato, in data 9/12/2004, domanda di condono edilizio, riguardante un “ ampliamento … al piano 2° mediante tampognatura di porzione della terrazza a livello adibita a cucina nonché lievi modifiche alla distribuzione interna della stessa unità ed apertura di una finestra ”, seguita, in data 21/3/2006, dalla richiesta, alla Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di -OMISSIS-, di rilascio del parere di compatibilità paesaggistica ai sensi dell’art. 146 del d. lgs. n. 42/2004.
Con il provvedimento impugnato la Soprintendenza aveva, però, denegato il nulla osta, ordinando la rimessione in pristino dello stato dei luoghi.
Ad opinione di parte ricorrente tale provvedimento sarebbe stato illegittimo per i motivi di seguito indicati.
Una prima carenza del provvedimento di diniego sarebbe derivata dall’“ asettico ” richiamo all’art. 142, comma 1, lett a) del d. lgs. n. 42/2004, nonché alla circolare prot. 62212 del 30/12/2022 nella quale il Dipartimento dei Beni Culturali della Regione Sicilia, in virtù della sentenza n. 252/22 della Corte Costituzionale aveva affermato che sarebbero state inammissibili le domande di condono relative ad abusi commessi in zona soggetta a vincolo di inedificabilità relativa.
Sarebbe stata, invece, decisiva, a sostenere la fondatezza dell’istanza, l’ubicazione dell’opera, nel vigente strumento urbanistico del Comune, in zona “ B di completamento” . Le previsioni di protezione, non opererebbero, infatti, laddove le opere ricadano in zone classificate di completamento urbano che risultino – come nel caso –significativamente urbanizzate e antropizzate.
Nel caso di specie, inoltre, le opere edilizie realizzate sarebbero state, tutt’al più, qualificabili, ai fini paesaggistici, come opere di manutenzione straordinaria che avrebbero impiegato una minima volumetria rispetto quella del fabbricato in cui sarebbero ricadute.
Non vi sarebbe stato, pertanto, un regime nella sostanza preclusivo di qualsiasi nuova edificazione, trattandosi, nella fattispecie, di un “intervento minore” di ampliamento (mq. 12) della terrazza di un fabbricato già munito di autorizzazione paesaggistica.
Non avrebbe potuto ritenersi sufficiente il generico richiamo, in seno alla motivazione del provvedimento, all’esistenza del vincolo, essendo, al contrario, necessario un apprezzamento di compatibilità, da condurre sulla base di rilevazioni e di giudizi puntuali, e l’esplicitazione dei motivi del contrasto tra le opere da realizzarsi e le ragioni di tutela dell’area interessata dall’apposizione del vincolo.
Non sarebbe stato convincente neppure il richiamo alla circolare n. 2 del 30/12/2022 dell’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell’identità Siciliana, essendo precisato, proprio in detta Circolare, che “ nelle aree sottoposte a vincolo, sono sanabili … gli interventi edilizi di minore importanza ”.
Precisava, in proposito, che, come un volume irrilevante ai fini urbanistici potrebbe creare un ingombro intollerabile per il paesaggio, reciprocamente, un volume utile ai fini urbanistici potrebbe non avere alcun impatto sul paesaggio. Si sarebbe, dunque, potuto ben dire che le modifiche minori (quali avrebbero dovuto classificarsi, nel caso di specie, la chiusura di mq. 12 di una terrazza o l’apertura di una finestra) avrebbero la sostanza di interventi di manutenzione straordinaria ai fini paesaggistici e, dunque, non avrebbero potuto rappresentare un ostacolo al rilascio dell’autorizzazione paesistica.
In un secondo motivo di ricorso veniva messo in rilievo che, nella fattispecie, non sarebbe esistito un vincolo di inedificabilità assoluta, dal momento che né il d. lgs. 42/04 né la c.d. “legge Galasso” (l. n. 431/1985) avrebbero posto un assoluto divieto all’edificazione nella fascia dei 300 mt. dalla costa, e l’attuale strumento paesaggistico (Ambito 9 della Provincia di -OMISSIS-) non avrebbe previsto il divieto di realizzare manufatti a 300 mt. dalla battigia in termini generalizzati ma solo in corrispondenza della foce del Torrente Fiumedinisi per 150 metri dalle sponde.
Lamentava, inoltre, che l’Amministrazione non si sarebbe curata del fatto che l’autorizzazione, in base alla normativa applicabile, al momento dell’emanazione del provvedimento impugnato, doveva, in realtà, ritenersi essere stata già rilasciate per silenzio assenso.
Infatti, l’art. 23 della l.r. siciliana 10/8/1985 n. 37 avrebbe posto a carico delle Amministrazioni preposte alla tutela del vincolo l’assunzione delle loro determinazioni entro 180 giorni dalla richiesta. L’art. 17 comma 6 della l.r. siciliana 16/4/2003, n. 4 avrebbe poi precisato che “ gli enti di tutela di cui ai commi 8 e 10 dell’articolo 23 della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37 devono rilasciare il proprio parere entro il termine perentorio di centottanta giorni dalla data di ricezione della richiesta ed entro il termine perentorio di novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge per le richieste già presentate agli enti prima di tale data; decorsi tali termini il parere deve intendersi favorevolmente reso… ”. Infine, si sarebbe dovuto, altresì, tener conto dell’art. 17 bis , comma 3, della legge n. 241/90, laddove, sempre in materia di autorizzazioni ambientali, sarebbe stato previsto analogo istituto.
In un terzo motivo di ricorso evidenziava, inoltre, che, ove il provvedimento fosse intervenuto nel termine di 180 giorni – come previsto dal richiamato art. 23 della L. 37/85 – avrebbe potuto fruire del più favorevole regime previsto nella versione originaria dell’art. 167 del d.l. 42/2004, nel testo anteriore al d. lgs. 157/2006, che avrebbe consentito, previo parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, di regolarizzare “ ex post ” ogni opera eseguita in difformità, dietro pagamento di una sanzione pecuniaria equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato ed il profitto conseguito mediante la trasgressione.
Avrebbe, dunque, dovuto farsi applicazione del principio della irretroattività della disciplina più severa.
Aggiungeva, poi, che la disposta demolizione del manufatto sarebbe stata eccessiva anche in considerazione del legittimo affidamento creato dalla risalenza temporale dell’opera ad oltre vent’anni prima, soprattutto in assenza di una stringente motivazione sulla prevalenza dell’interesse pubblico, ovvero sull’indimostrato “grave pregiudizio” al paesaggio o all’ambiente.
In un quarto motivo di ricorso affermava che il provvedimento sarebbe stato illegittimo perché non preceduto dal preavviso di diniego di cui al combinato disposto dell’art. 10 bis della l. 241/90 e all’art. 146 comma 8 del d.l. 42/2004, come introdotto dall’art. 4, comma 16, lett. e), numero 5, del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106.
D’altra parte, a suo parere, anche alla luce dei profili sopra evidenziati, non si sarebbe potuto dire che la P.A. regionale fosse vincolata all’adozione dell’impugnato provvedimento o che il contenuto del diniego non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
In un ultimo motivo di ricorso lamentava, infine, la mancata