TAR Roma, sez. 3Q, sentenza 2020-02-26, n. 202002531

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 3Q, sentenza 2020-02-26, n. 202002531
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202002531
Data del deposito : 26 febbraio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/02/2020

N. 02531/2020 REG.PROV.COLL.

N. 02933/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2933 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati M N, M P, A P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Salute, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'esecuzione

del giudicato formatosi sulla sentenza -OMISSIS-;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Salute;

Visto l’art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2020 il dott. P M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


Con il ricorso in esame, notificato in data -OMISSIS-, agiscono per l’esecuzione della sentenza indicata in epigrafe.

Lamentando la mancata esecuzione di quanto statuito nella predetta sentenza, i ricorrenti chiedono che venga ordinato alla Amministrazione di provvedere;
chiedono, altresì, la nomina di un Commissario ad acta per l’ipotesi di perdurante inottemperanza da parte della Amministrazione intimata.

I ricorrenti chiedono infine che venga fissata una somma di denaro dovuta ex art. 114 comma 4 lett. e) dal Ministero della Salute per ogni giorno di ritardo (rispetto al termine assegnato).

Il Ministero della Salute si è costituito in giudizio con atto formale.

All’udienza camerale del 14 gennaio 2020, su richiesta delle parti, come da verbale, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Preliminarmente, il Collegio rileva che i ricorrenti hanno sufficientemente dimostrato la loro legittimazione attiva, producendo il certificato di morte del Sig. -OMISSIS-e gli atti dello stato civile attestanti il rapporto di parentela con il dante causa.

Il ricorso va accolto nei termini di seguito indicati.

Con sentenza -OMISSIS-, ha condannato il Ministero della Salute a corrispondere al Sig. -OMISSIS-(dante causa degli odierni ricorrenti) le somme dovute a titolo di rivalutazione anche sulla voce indennità integrativa speciale dell’indennizzo di cui alla l. n. 210/1992, maturate dal -OMISSIS-, nonché al pagamento delle spese del giudizio di appello, determinate in € 1.880,00, oltre al rimborso forfetario nella misura del 15%.

La sentenza, munita di formula esecutiva in data -OMISSIS-, è stata notificata all’Amministrazione in data -OMISSIS-;
risulta dunque decorso il termine di 120 giorni, di cui all’art. 14 del d.l. n. 669/1996 e s.m.i., convertito in legge dalla l. 28 febbraio 1997 n. 30.

Avverso la predetta sentenza non sono state proposte impugnazioni (come da certificazione della Corte d’Appello di Roma del -OMISSIS-, prodotta dai ricorrenti).

Ad oggi, il Ministero della Salute non ha fornito la prova (come era suo onere, secondo il criterio della vicinanza o riferibilità della prova) di aver provveduto al pagamento di quanto dovuto (art. 2697, 2° comma, c.c.).

Tanto premesso, va ordinato al Ministero della Salute (qualora non vi abbia ancora provveduto) di dare esecuzione a quanto disposto con la richiamata sentenza della Corte d’Appello di Roma n. -OMISSIS-, nel termine di trenta giorni dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, corrispondendo dunque ai ricorrenti (-OMISSIS-) le somme indicate nella predetta sentenza.

Non sono dovute, invece, le eventuali spese non funzionali all'introduzione del giudizio di ottemperanza, quali quelle di precetto (che riguardano il procedimento di esecuzione forzata disciplinato dagli artt. 474 ss. c.p.c.), o quelle relative a procedure esecutive risultate non satisfattive (ivi comprese quelle per l'eventuale notifica di uno o più atti di precetto), poiché l'uso di strumenti di esecuzione diversi dall'ottemperanza al giudicato è imputabile alla libera scelta del creditore (cfr., in questi termini, T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 11 aprile 2018 n. 2372;
T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 11.5.2010, n. 699;
T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 22.12.2009, n. 1348;
T.A.R. Campania, Napoli, n. 9145/2005;
T.A.R. Campania, Napoli, n. 12998/2003;
Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2490/2001).

Si nomina sin da ora, come richiesto dalla ricorrente, per il caso di perdurante inadempimento dopo il decorso di tale termine di trenta giorni, quale Commissario ad acta, il Segretario generale del Ministero della Salute o un funzionario da questi delegato, il quale dovrà provvedere agli adempimenti sostitutivi entro l’ulteriore termine di sessanta giorni dietro presentazione di specifica istanza degli interessati.

Tenuto conto che le funzioni commissariali sono affidate ad un dipendente pubblico già inserito nella struttura dell’Amministrazione debitrice non si darà luogo alla liquidazione di alcun compenso al predetto Commissario ad acta, il quale dovrà comunque produrre al termine dell’incarico documentata relazione attestante l'avvenuto espletamento dell'attività affidatagli.

Deve, invece, essere disattesa, la richiesta di condanna dell’Amministrazione ai sensi dell’art. 114, comma 4, lett. e), del c.p.a., atteso che, come già precisato da plurime sentenze del Giudice amministrativo (tra le molte, sentenze del T.A.R. Campania, Napoli, n. 5580/2013, n. 1013/2013 e n. 1010 del 22.2.2013), la previsione del meccanismo surrogatorio alla scadenza del termine dei trenta giorni concessi all’amministrazione, rende non necessaria la previsione di una condanna dell’amministrazione ai sensi della citata disposizione, essendo previsto un meccanismo di rapida eliminazione dell’inerzia.

E tanto ancorché l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza del 25 giugno 2014 n. 15, abbia riconosciuto la natura, sostanzialmente, di deterrente recata dalla disposizione in parola, a fronte di una Amministrazione sovente inadempiente, malgrado le numerose pronunce di condanna nella materia de qua.

Deve infatti essere osservato che l’art. 114 del c.p.a. – come modificato dall’art. 1, comma 781, lett. a) della legge 28 dicembre 2015 n. 208 - specifica chiaramente i presupposti per l’assegnazione della penalità di mora, richiedendo (ai fini della sua concessione) che non sia manifestamente iniquo attribuirla ed escludendo, tuttavia, tale iniquità quando la somma sia commisurata agli interessi legali. Occorre tuttavia anche osservare che la predetta disposizione normativa richiede pure che non sussistano “altre ragioni ostative” e prevede che “la penalità di mora di cui al primo periodo decorre dal giorno della comunicazione o notificazione dell'ordine di pagamento disposto nella sentenza di ottemperanza”. Poiché questo Tribunale - proprio a causa della circostanza che, in ricorsi come quello in esame, l’Amministrazione si rivela sovente inadempiente, né procede a gravare le sentenze di condanna di cui si chiede l’esecuzione - nomina di regola un dirigente all’interno della stessa Amministrazione, quale Commissario ad acta, per l’ottemperanza ai ridetti provvedimenti giurisdizionali, pare al Collegio che tale decisione inveri una delle ipotesi di ragioni ostative previste dalla norma, in quanto costituisce essa stessa un monito per l’Amministrazione ad astenersi dal perseverare nell’inottemperanza, conformemente a quella tecnica compulsoria che, secondo l’Adunanza Plenaria n. 15/2014, caratterizza la stessa penalità di mora.

Le spese del giudizio di ottemperanza, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

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