TAR Roma, sez. 3T, sentenza 2013-12-19, n. 201310993

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 3T, sentenza 2013-12-19, n. 201310993
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201310993
Data del deposito : 19 dicembre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00647/2003 REG.RIC.

N. 10993/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00647/2003 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 647 del 2003, proposto da: Soc. Rti Reti Televisive Italiane S.p.a., in persona del legale rappresentante p. t., rappresentata e difesa dagli avv. ti A B, L M e G R, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. L M in Roma, via Panama, 58;

contro

l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in persona del Presidente p. t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

-della delibera n. 239/02/CSP, recante la diffida alla soc. R.T.I. Spa (emittente "Canale 5") per la violazione dell'art. 8, co. 7, l. n. 223/90;

-della nota in data 9 dicembre 2002, recante la comunicazione della proroga del termine di ultimazione del procedimento sanzionatorio;

e, con atto per motivi aggiunti,

della delibera n. 26/03/CSP del 12 febbraio 2003;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 aprile 2011 il Cons. D S e uditi, altresì, l’avv. Medugno per la parte ricorrente e l’avv. dello Stato Volpe per la parte resistente;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Con il ricorso in epigrafe la società R.T.I. Reti Televisive Italiane impugna la delibera del 20 novembre 2002 recante la diffida a cessare dal rilevato comportamento di irradiamento di messaggi pubblicitari eccedenti i limiti percentuali previsti in relazione ad ogni ora di programmazione e il provvedimento n. 40061/02 con cui l’Agcom ha comunicato, in applicazione dell’art. 4, comma 2, della propria delibera n. 425/01/CONS, la proroga del termine di conclusione del procedimento sanzionatorio di 60 giorni al fine dello svolgimento di ulteriori approfondimenti istruttori.

Deduce, al riguardo, con il primo motivo, la violazione dell’art. 8, comma 7, l. n. 223/1990, eccesso di potere per errore nei presupposti, travisamento della ratio legis, insufficienza e contraddittorietà della motivazione.

Il provvedimento é basato sull’indimostrato presupposto che, ai fini della determinazione delle percentuali relative agli affollamenti pubblicitari, sia corretta l’inclusione anche dei c.d. frames neri intercorrenti tra uno spot e l’altro, né dal provvedimento impugnato emergono le ragioni per cui l’Autorità ha ritenuto di disattendere la tesi manifestata in sede di controdeduzioni, secondo cui, invece, il calcolo dovrebbe essere correlato alla sola trasmissione di pubblicità in quanto tale, in aderenza a quanto dispone, in proposito, testualmente l’art. 8, comma 7, legge n. 223/1990.

Con il secondo motivo, deduce, ancora, la violazione, sotto distinto profilo, dell’art. 8, comma 7, l. n. 223/1990 e dell’art. 1, lett. c.) dell’Allegato A alla delibera dell’Agcom n. 538/01/CSP d3el 26/07/2001;
eccesso di potere per errore nei presupposti, travisamento della ratio legis, insufficienza e contraddittorietà della motivazione.

La tesi dell’Amministrazione, secondo cui i frames neri sono da computare ai fini del calcolo dell’affollamento pubblicitario contrasta non solo con il dato normativo ma anche con la vigente disciplina generale in tema di pubblicità, come desumibile dal Regolamento emanato dalla stessa Autorità in materia di pubblicità televisiva e autopromozione, in cui è escluso che l’autopromozione (ossia lo spot trasmesso all’inizio ed al termine dell’interruzione pubblicitaria e che informa l’utente sui programmi trasmessi dalla rete televisiva) possa ricadere nel conteggio dei limiti di affollamento pubblicitario.

Infine, con il terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 2, della delibera 425/01/CONS del 7 novembre 2001, eccesso di potere per carenza di istruttoria, difetto di motivazione, illogicità manifesta, sviamento di potere.

Il provvedimento, pure impugnato, recante la proroga del termine di ultimazione del procedimento sanzionatorio, è illegittimo in quanto adottato in assenza dei presupposti che in astratto ne avrebbero giustificato il ricorso;
la ricorrente, in proposito, evidenzia che l’Autorità, ha disposto la proroga dei termini del procedimento in un momento in cui aveva già concluso la fase di accertamento della violazione, tanto da avere già adottato l’atto di diffida.

Si è costituita in giudizio l’Avvocatura Generale dello Stato in difesa dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, chiedendo il rigetto del ricorso perché infondato.

Con atto per motivi aggiunti la società ricorrente ha impugnato, poi, la delibera n. 26/03/CSP del 12 febbraio 2003, con cui è stato ordinato il pagamento della sanzione amministrativa ammontante ad euro 15.492,00, per la violazione dell’art. 8, comma 7, della legge n. 223/1990.

Ha dedotto, al riguardo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 31, legge n. 223/1990;
eccesso di potere per errore nei presupposti, travisamento delle risultanze istruttorie.

I riscontri effettuati ai fini della irrogazione della sanzione dal competente Dipartimento vigilanza e controllo sono stati effettuati anteriormente al termine assegnato con la diffida per cessare il comportamento rilevato come illegittimo.

Ha dedotto, ancora, la violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 9 bis, legge n. 223/1990 e dei principi comunitari vigenti in materia;
eccesso di potere per errore nei presupposti;
difetto di istruttoria;
violazione del principio del contraddittorio.

L’Autorità ha erroneamente ritenuto applicabile nel caso di specie il limite orario del 18%, fissato dall’art. 8, comma 7, legge n. 223/1990, per avere considerato nelle percentuali di trasmissione di messaggi pubblicitari mandati in onda anche gli spazi temporali destinati alle televendite e telepromozioni, che, invece, non possono essere considerati spot e beneficiano, pertanto, del tempo aggiuntivo di pubblicità giornaliera (5%), di cui all’art. 8, comma 9 bis, legge in esame.

Con un terzo motivo deduce, inoltre, la violazione e falsa applicazione dell’art. 11, legge n. 689/1981;
dell’art. 31, legge n. 223/1990;
dell’art. 7 del regolamento in materia di procedure sanzionatorie dell’Autorità, adottato con la delibera n. 425/01/CONS;
eccesso di potere per contraddittorietà ed illogicità manifeste.

La stereotipata motivazione utilizzata al fine di determinare l’entità della sanzione è basata su accertamenti che non avrebbero potuto essere apprezzati a tali fini, giusta quanto sopra evidenziato, e, in ogni caso, contiene elementi di giudizio presi in considerazione ai fini della valutazione della gravità dell’infrazione, con conseguente duplicazione della valenza negativa attribuibile al medesimo elemento di giudizio.

Con un quarto motivo aggiunto, ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 31, legge n. 223/1990;
dell’art. 16, legge n. 689/1981;
dell’art. 4 del regolamento in materia di procedure sanzionatorie dell’Autorità, adottato con la delibera n. 425/01/CONS.

Anche ai procedimenti sanzionatori innanzi all’Autorità deve ritenersi applicabile la regola sancita dall’art. 16, legge n. 689/1981 in base a cui è ammesso il pagamento in misura ridotta, mentre alla ricorrente tale facoltà è stata negata.

Infine, la ricorrente deduce l’illegittimità dell’atto finale del procedimento sanzionatorio in via derivata per tutti i vizi inficianti gli atti impugnati con l’atto introduttivo.

Conclude, pertanto, chiedendo l’annullamento di tutti gli atti impugnati.

In vista della discussione della causa nel merito le parti hanno depositato memorie e repliche.

Alla pubblica udienza del 7 aprile 2011 la causa è passata in decisione.

DIRITTO

La società RTI contesta, con il ricorso in esame, la delibera adottata dall’Autorità per le Garanzie nelle Telecomunicazioni (d’ora in poi Agcom) all’esito di un procedimento sanzionatorio avviato su segnalazione del proprio Dipartimento di Vigilanza e Controllo che aveva rilevato che l’esercente l’emittente televisiva a carattere nazionale “Canale 5” irradiava in alcune fasce orarie messaggi pubblicitari eccedenti il limite percentuale orario del 18%.

Con il primo motivo viene contestata, in sostanza, la modalità utilizzata dall’Agcom per calcolare l’affollamento pubblicitario, ritenendo illegittima l’inclusione a tali fini anche dei c.d. frames neri.

Il motivo non ha pregio.

Rileva, a tali fini, l’art. 8, comma 7, legge n. 223/1990, nel testo vigente al momento dei fatti in controversia, il quale prevedeva che: “La trasmissione di messaggi pubblicitari televisivi da parte dei concessionari privati per la radiodiffusione televisiva in ambito nazionale non può eccedere il 15 per cento dell'orario giornaliero di programmazione ed il 18 per cento di ogni ora;
una eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2 per cento nel corso di un'ora, deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva. Un identico limite è fissato per i concessionari privati autorizzati, ai sensi dell'articolo 21, a trasmettere in contemporanea su almeno dodici bacini di utenza, con riferimento al tempo di programmazione in contemporanea.”

Rileva il Collegio che già il dato testuale non depone per la tesi propugnata dalla ricorrente, in quanto il legislatore, al fine di indicare il precetto, sotto forma di divieto, si riferisce alla trasmissione di “messaggi pubblicitari” tout court.

Emerge da ciò che la ratio della norma, al contrario di quanto sostiene parte ricorrente, é quella di assicurare la continuità della fruizione della programmazione televisiva attraverso la compressione del tempo da dedicare agli spazi pubblicitari, a garanzia e protezione degli interessi della categoria dei consumatori, costituita nel caso di specie dai telespettatori, alla cui tutela sono indirizzate le norme di rango primario e secondario in tema di pubblicità televisiva.

La quantificazione del tempo massimo in cui è consentita la trasmissione di messaggi pubblicitari è mirata, pertanto, a calcolare il tempo occupato globalmente dalla pubblicità, quale irradiazione temporale idonea ad interrompere la trasmissione della programmazione televisiva e, dunque, ammessa solo se limitata temporalmente.

Non trova conforto, pertanto, la tesi della ricorrente che ritiene necessaria la depurazione dal tempo di interruzione dei c.d. spazi neri, ossia delle frazioni di tempo in cui vi è assoluta assenza di trasmissione, in quanto questi sono necessari tecnicamente per mantenere la separazione tra uno spot e l’altro e contribuiscono alla interruzione nella fruizione del programma in cui sono inseriti i messaggi pubblicitari, concorrendo strumentalmente a collegare in un unicum l’interruzione in sé per sé considerata.

Del resto tale interpretazione, oltre che legata alla lettera della norma, è anche logica, in quanto la legge in esame collega il calcolo della percentuale massima di trasmissione pubblicitaria alla percentuale di programmazione totale in un determinato arco temporale, per cui, anche sotto tale profilo, è evidente che nel computo totale gli spazi neri tra un messaggio e l’altro non possono che concorrere a determinare la percentuale di pubblicità ammissibile e non i tempi di programmazione.

Tale interpretazione, del resto, è conforme ai principi di matrice comunitaria, in primis, oltre che di rango costituzionale, in quanto coniuga in modo efficace l’interesse del telespettatore alla fruizione di un programma non eccessivamente frazionato da elementi allo stesso estranei, quali i messaggi pubblicitari, con quello della tutela dei prodotti televisivi, il cui contenuto viene ben definito dalla separazione tra uno spot e l’altro.

Con il secondo motivo contesta la società ricorrente la violazione dl Regolamento in materia di pubblicità radiotelevisiva e televendite, di cui alla delibera Agcom n. 538/01, che, in tema di esclusione dai limiti di affollamento, stabilisce che l’autopromozione, pure destinata ad interrompere la fruizione del programma, non concorre ai fini del conteggio dei limiti di affollamento pubblicitario;
da quanto sopra, rileva la ricorrente la contraddizione della interpretazione operata dall’Agcom che invece calcola i tempuscoli neri di assoluta carenza di trasmissione quando si tratta di messaggi pubblicitari;
evidenzia, ancora la ricorrente il contrasto di tale interpretazione con le diverse pronunce ufficiali del Garante per la radiodiffusione e per l’editoria in cui si era affermato che gli spazi neri dovessero essere esclusi dal calcolo del tempo di affollamento pubblicitario.

Anche queste argomentazioni non possono essere condivise.

L’art. 5 della delibera n. 538/01 sopra richiamato dispone: “Fermi restando i limiti di affollamento previsti dalla normativa vigente, le autopromozioni e le attività di informazione e di comunicazione istituzionale di cui alla legge 7 giugno 2000, n. 150, compresi i messaggi di utilità sociale e di pubblico interesse, non sono computati nei limiti di affollamento”.

In disparte il rilievo che la norma chiarisce l’eccezione alla regola, mantenendo, pertanto, fermi i limiti di cui sopra si è detto, è evidente la profonda differenza insita nella trasmissione dell’autopromozione, ossia l’annuncio dell’emittente relativo ai propri programmi ed ai prodotti collaterali da questi direttamente derivati (cfr. art. 1, comma 1, lett. h del regolamento in esame), ed il messaggio pubblicitario, tale da giustificare l’esclusione solo della prima dal limite di affollamento.

Mentre è pacifico che nessun collegamento esiste tra la programmazione ed il messaggio pubblicitario, che, per i motivi sopra indicati, interrompe il flusso della fruizione da parte del telespettatore, invece l’autopromozione è strettamente collegata alla programmazione del contenuto televisivo, ragione per cui non sono necessarie le cautele indicate nella norma sui limiti di affollamento.

Da quanto sopra discende che nessuna contraddizione può desumersi dalla specifica disciplina prevista dall’Agcom per l’autopromozione e l’applicazione delle norme sui limiti di affollamento degli spazi pubblicitari.

Nessun rilievo, poi, possono assumere ai fini che ne occupa la posizione assunta precedentemente dal Garante, cui successivamente è subentrata l’Agcom (giusta istituzione con legge n. 249/1997), che ora è competente non solo a vigilare sull’osservanza delle norme in materia ma anche ad emanare la normativa di rango secondario, in applicazione della disciplina legislativa comunitaria e nazionale in tema di pubblicità, senza che possa ritenersi sussistere alcun vincolo in merito.

Con il terzo motivo, infine, viene contestata la dilatazione del periodo oggetto di diffida attraverso la proroga del termine di conclusione del procedimento sanzionatorio, la cui illegittimità viene fatta discendere dalla ricorrente dalla carenza di presupposti, in ragione dell’esaurimento della fase di accertamento della violazione.

Il motivo è infondato.

Il procedimento sanzionatorio in controversia è previsto dall’art. 31, legge n. 223/90, tra l’altro, per le violazioni delle disposizioni di cui all’art. 8 della medesima legge, secondo una sequenza procedimentale distinta in tre fasi: contestazione, diffida e ordinanza-ingiunzione.

La delibera dell’Agcom n. 425/01/CONS, all’art. 4, disciplina nel dettaglio lo svolgimento del procedimento, prevedendo, per i fini di interesse, che l’atto di contestazione contiene “l’indicazione del termine di conclusione del procedimento sanzionatorio, che non può essere superiore a centoventi giorni, decorrenti dalla notifica dell’atto di contestazione, prorogabile per ulteriori sessanta giorni, nel caso in cui sia necessario acquisire ulteriori informazioni”.

L’atto di contestazione, come noto, presuppone che l’Agcom abbia accertato la commissione dell'infrazione, avendo acquisito la piena conoscenza della condotta illecita, implicante il riscontro dell'esistenza e della consistenza dell'infrazione e dei suoi effetti, anche ai fini di una corretta formulazione della contestazione.

Peraltro, è la stessa norma che prevede la possibilità, una volta esauritasi la fase della contestazione, che il termine di conclusione del procedimento sia prorogato, attenendo, evidentemente tale ulteriore periodo non già alla fase di accertamento della infrazione, ma alla successiva fase di controllo circa l’adeguamento del comportamento ritenuto illegittimo all’obbligo imposto all’emittente.

Alla stregua di quanto ora osservato, é legittima, nel caso de quo, la proroga del termine per la conclusione del procedimento.

Le superiori considerazioni, complessivamente considerate inducono, pertanto, il Collegio a respingere il ricorso introduttivo.

Occorre, pertanto, esaminare i motivi introdotti con l’atto per motivi aggiunti.

Con un primo ordine di argomenti, deduce la ricorrente l’illegittimità dalla sanzione irrogata, in quanto a tali fini sono state prese in considerazione infrazioni riscontrate anteriormente lo spirare del termine imposto con la diffida.

Il motivo è fondato.

Come sopra osservato, il sistema delineato dall’art. 31, della legge 6 agosto 1990, n. 223 delinea un iter articolato in diverse fasi: una prima, che si apre con la contestazione dell’addebito, diretta all’adozione, in contraddittorio con l’interessato, di un provvedimento inibitorio;
la seconda, che sortisce dalla acclarata persistenza del contegno illecito, e nella diffida a cessare da tale comportamento, finalizzata, solo ove il soggetto non receda, all’irrogazione di una sanzione pecuniaria.

Il sistema si caratterizza, dunque, con la previsione di un subprocedimento di diffida, a sanzione differita, tra la fase di contestazione e quella di applicazione della sanzione, per cui, ai fini della applicazione della sanzione è necessario l’accertamento del protrarsi nel tempo della violazione contestata.

In proposito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione civile, argomentando dal rilievo della preminente “finalità di esercizio della funzione di indirizzo […] nei confronti delle emittenti”, oltre e prima ancora di quella sanzionatoria, attribuita all’autorità di settore, chiarisce come quella in esame sia una procedura “peculiare e conchiusa”, caratterizzata dalla previsione “di un subprocedimento di diffida, a sanzione differita, tra la fase di contestazione e quella di applicazione della sanzione” (cfr. Corte Cass. Civ. sez. un., 22 febbraio 2002, n. 2625).

In altri termini, ciò che rileva ai fini in parola è la protrazione della condotta violativa del medesimo precetto legale oltre il termine indicato nell’atto di diffida.

Ed invero, esaminando il dato testuale dell’articolo in esame, emerge con chiarezza che fino all'emanazione del provvedimento di diffida, da parte della competente Autorità, non è prevista la sanzionabilità dell'illecito accertato e contestato, essendo la sanzione pecuniaria amministrativa riservata, dall'art. 31, comma 3, primo periodo, soltanto alla condotta del soggetto diffidato, consistente nella persistenza nel comportamento illegittimo oltre il termine di quindici giorni assegnatogli per cessarlo.

Dunque, perché il procedimento si concluda con l’irrogazione della sanzione, è necessario che il comportamento illecito si protragga nel tempo, nonostante la contestazione prima, e la diffida, poi, a cessare tale comportamento, atteso che la diffida si atteggia quale ordine di non facere (o divieto), ed impone un obbligo, rispetto al quale la sanzione si configura come un posterius, nel senso che viene irrogata al cospetto di un comportamento che non si conforma all’obbligo.

Tanto precisato, e venendo ai fatti in controversia, la diffida a cessare dal comportamento ritenuto illegittimo entro il termine di quindici giorni (trasmissione di messaggi pubblicitari eccedenti il limite percentuale previsto in relazione ad ogni ora di programmazione) è stata notificata alla società ricorrente in data 28 novembre 2002;
ne consegue che l’Autorità avrebbe dovuto procedere ad irrogare la relativa sanzione ove avesse accertato la persistenza delle infrazioni oltre il termine della diffida.

Il provvedimento con cui è irrogata la sanzione fa, invece, riferimento, ad accertamenti condotti in date addirittura antecedenti la data di adozione della stessa diffida, il che evidenzia la fondatezza della censura.

L’accoglimento di questo capo di domanda esime il Collegio dall’esame delle rimanenti doglianze di cui ai motivi aggiunti.

La sussistenza di condizioni di reciproca soccombenza consente al Collegio di disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.

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