TAR Bari, sez. III, sentenza 2009-12-11, n. 200903040

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bari, sez. III, sentenza 2009-12-11, n. 200903040
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bari
Numero : 200903040
Data del deposito : 11 dicembre 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00121/2009 REG.RIC.

N. 03040/2009 REG.SEN.

N. 00121/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 121 del 2009, proposto da:
V C, rappresentato e difeso dall’Avv. N Cvani, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. G S in Bari, Piazza Luigi di Savoia, n. 37;

contro

Ministero della Difesa - Direzione Generale per il Personale Militare, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, domiciliata per legge in Bari, Via Melo, n. 97;

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

“- del decreto prot. n. 403/3-9/2008 in data 5 novembre 2008 notificato in data 6 novembre 2008 con cui il Ministero della Difesa — Direzione Generale per il personale militare ha inflitto al ricorrente la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari e la conseguente cessazione del servizio permanente ai sensi degli artt. 26 lett. g), 60, n. 6 e 61 della legge n. 599 del 1954;

- di ogni altro atto presupposto, ivi inclusi l’atto di contestazione degli addebiti, gli atti della inchiesta formale, l’atto col quale il ricorrente è stato deferito innanzi alla Commissione di disciplina, il giudizio della Commissione di disciplina in data 28 agosto 2008 con cui il ricorrente è stato ritenuto “non meritevole di conservare il grado”.”

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Vista l’ordinanza di questa Sezione, n. 76 dell’11 febbraio 2009, di accoglimento dell’istanza incidentale di sospensione cautelare;

Vista l’Ordinanza Collegiale della Sezione IV del Consiglio di Stato, n. 2783 del 5 giugno 2009, di rigetto dell’istanza cautelare in primo grado, in riforma della suddetta ordinanza di questa Sezione;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 ottobre 2009 la Dott. ssa R G e uditi per le parti il difensore, Avv. N Cvani;
nessuno è comparso per il Ministero resistente;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

Con ricorso ritualmente notificato il 03.01.2009 e depositato nella Segreteria del Tribunale il 21.01.2009, il Sig. V C, Primo Maresciallo in servizio all’epoca dei fatti per cui è causa presso il 9° Reggimento di Fanteria “Bari” di stanza a Trani, ha chiesto l’annullamento del decreto prot. n. 403/3-9/2008 del 5 novembre 2008, notificato in data 6 novembre 2008, con il quale il Ministero della Difesa — Direzione Generale per il personale militare gli ha inflitto la sanzione della perdita del grado per rimozione e la conseguente cessazione dal servizio permanente, nonché degli altri atti specificati in epigrafe.

Espone in fatto il ricorrente che nell’agosto del 1991 veniva trasferito presso il 9° Reggimento di Fanteria “Bari” con sede in Trani, ove fino al 1995 aveva ricoperto incarichi vari, dal 13.02.1995 al 07.01.1997 veniva destinato al Servizio Vettovagliamento, addetto alla cucina per confezionamento vitto, dall’8.01.1997 al 31.08.1998, aveva ricoperto l’incarico di Comandante di plotone, dall’1.09.1998 al 28.02.1999 veniva destinato nuovamente al Servizio Vettovagliamento, addetto alla cucina per confezionamento vitto e dall’01.03.1999 al 21.12.2000 al Servizio Vettovagliamento, Sottufficiale addetto ai viveri.

Riferisce, altresì, di aver prestato servizio per oltre ventotto anni nell’esercito e di aver ricoperto diversi incarichi delicati senza essere mai incorso in infrazioni disciplinari.

Espone, infine, che inaspettatamente nell’anno 2000 gli veniva contestato il reato di cui all’art. 215 del c.p.m.p. con il vincolo della continuazione “perché in qualità di sottufficiale ai viveri presso la mensa unica del 9^ Rgt. Fanteria “Bari” di stanza a Trani, avendo per ragione del proprio ufficio o servizio il possesso del denaro e di generi alimentari dell’Amministrazione militare se ne sarebbe impossessato per un ammontare pari a € 33.938,62, scaricando contabilmente generi alimentari non riportati nel menù e caricando contabilmente generi alimentari in qualità eccessiva rispetto alle pietanze previste”;
che il Tribunale Militare di Bari, con sentenza del 6 ottobre 2005 lo aveva condannato, pur proclamandosi estraneo ai fatti contestati, alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione militare per il reato di peculato militare ascrittogli, con la sospensione condizionale della pena;
che tale sentenza veniva confermata dalla Corte di Appello Militare Sezione Distaccata di Napoli con decisione del 31 gennaio 2007, a sua volta confermata dalla Corte di Cassazione con sentenza del 5 dicembre 2007;
che per i fatti di cui al processo penale veniva sottoposto ad inchiesta e deferito al giudizio della Commissione di disciplina che nella seduta del 28 agosto 2008 lo aveva ritenuto “non meritevole di conservare il grado”;
che la Direzione Generale per il personale militare, condividendo le conclusioni della citata Commissione, aveva adottato il decreto prot. n. 403/3-9/2008 del 5 novembre 2008.

Il ricorrente ha, quindi, presentato il presente ricorso avverso il provvedimento da ultimo menzionato, unitamente agli altri atti specificati in epigrafe.

A sostegno del gravame ha dedotto i seguenti motivi di censura: violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 e dell’art. 97 Cost., violazione dell’art. 114 T.U. n. 3 del 1957, eccesso di potere sui presupposti e conseguente travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e di motivazione, violazione dei principi di proporzionalità tra il fatto contestato e la sanzione applicata, ingiustizia manifesta, arbitrarietà manifesta, violazione dei principi di adeguatezza, proporzionalità e gradualità della sanzione disciplinare, carenza ed erroneità di motivazione in relazione alla irrogazione della sanzione più grave comportante la cessazione dal servizio;
in particolare l’iter del procedimento disciplinare sarebbe viziato in quanto aveva prodotto una ampia e circostanziata memoria difensiva nella quale evidenziava la sua estraneità ai fatti contestati, richiedendo l’archiviazione dell’inchiesta e subordinatamente l’applicazione della sanzione più lieve e comunque contenuta nei minimi edittale;
il Comandante delle Forze operative terrestri lo deferiva alla Commissione di disciplina con la seguente motivazione: “tenuto conto che le giustificazioni presentate dal Chieco appaiono del tutto infondate e mostrano semmai la mancanza di un minimo segno di ravvedimento per il grave comportamento tenuto”;
la Commissione, dopo avere verificato ed esaminato la documentazione a sua disposizione e aver acquisito la relazione difensiva nella quale venivano rappresentate le difficoltà nell’assolvimento del compito a lui affidato, peraltro rappresentate anche in sede di audizione unitamente alla richiesta verbale di essere sostituito, si sarebbe limitata a procedere a votazione, a mezzo di scheda segreta, sul quesito se fosse meritevole della conservazione del grado e il vizio della determinazione della Commissione inficerebbe i successivi atti del procedimento. La Commissione avrebbe acriticamente recepito la condanna penale inflitta senza procedere ad una autonoma valutazione dei fatti, nonché della sua complessiva personalità desumibile dallo stato di servizio.

In subordine il ricorrente ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, eccependo il contrasto delle disposizioni di cui agli artt. 26 lett. g), 60, n. 6 e 61 della legge n. 599 del 1954 (Stato dei sottufficiali dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica) con gli artt. 2, 3, 25, secondo comma, 52 e 97 della Costituzione.

Si è costituito a resistere in giudizio il Ministero della Difesa, a mezzo dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, concludendo per l’infondatezza del ricorso e chiedendo il rigetto del gravame.

Entrambe le parti hanno prodotto documentazione.

L’Avvocatura Distrettuale dello Stato ha presentato una relazione illustrativa del Ministero della Difesa per l’udienza dell’11.02.2009.

Con ordinanza n. 76 dell’11 febbraio 2009 questa Sezione ha accolto l’istanza incidentale di sospensione cautelare.

La Sezione IV del Consiglio di Stato con ordinanza n. 2783 del 5 giugno 2009, ha rigettato l’istanza cautelare in primo grado, in riforma della citata ordinanza di questa Sezione.

Parte ricorrente ha depositato una memoria per l’udienza del 14 ottobre 2009.

All’udienza pubblica del 14 ottobre 2009 la causa è stata chiamata e assunta in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere respinto.

Il Collegio ritiene prive di pregio e, quindi, non accoglibili le censure di illegittimità del ricorso per violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 e dell’art. 97 Cost., violazione dell’art. 114 T.U. n. 3 del 1957, eccesso di potere sui presupposti e conseguente travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e di motivazione, violazione dei principi di proporzionalità tra il fatto contestato e la sanzione applicata, ingiustizia manifesta, arbitrarietà manifesta, violazione dei principi di adeguatezza, proporzionalità e gradualità della sanzione disciplinare, carenza ed erroneità di motivazione in relazione alla irrogazione della sanzione più grave comportante la cessazione dal servizio.

Si ritiene opportuno esaminare insieme i motivi di gravame anche al fine di una completa analisi della vicenda dedotta nel presente giudizio.

Il Collegio ritiene opportuno richiamare innanzitutto la considerazione di principio, più volte ribadita dal Consiglio di Stato, che la determinazione relativa alla entità della sanzione disciplinare è espressione di una tipica valutazione discrezionale della pubblica amministrazione datrice di lavoro, di per sé insindacabile dal giudice amministrativo, tranne nei casi in cui appaia manifestamente anomala o sproporzionata e che il giudice non può sostituire la propria valutazione a quella della amministrazione, ma può soltanto verificare che l’atto sia sorretto da adeguata motivazione e basato su fatti manifestamente gravi e tali da indurla a considerarli incompatibili con la prosecuzione del rapporto di lavoro (ex multis Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 6490/2004).

Passando ad analizzare, alla luce di quanto sopra, la fattispecie oggetto del presente giudizio il Collegio ritiene non sussistenti i vizi di difetto di istruttoria, carenza ed erroneità di motivazione denunciati dal ricorrente, poiché il provvedimento indica in modo chiaro e puntuale i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria, come prescrive l’art. 3 della legge n. 241/1990, la cui violazione è stata invocata dal ricorrente.

Il Collegio concorda con la IV Sezione del Consiglio di Stato che nella ordinanza collegiale n. 2783 del 5 giugno 2009, con la quale ha rigettato l’istanza cautelare in primo grado, in riforma della ordinanza di questa Sezione n. 76 dell’11 febbraio 2009, ha ritenuto che “il provvedimento amministrativo censurato si fonda su una sufficientemente congrua valutazione della gravità degli elementi presi in considerazione”.

In particolare al Collegio non pare che sia illogico e ingiusto l’apprezzamento dell’amministrazione, che, sulla base di fatti risultanti da ben tre gradi del processo penale e sottoponendo tali fatti ad autonoma valutazione, abbia adottato il grave provvedimento di perdita del grado, ritenendo incompatibile il comportamento del ricorrente con la prosecuzione del servizio.

Quanto sopra si evince dall’analisi del provvedimento di inflizione della sanzione disciplinare per cui è causa.

In particolare l’Amministrazione nel provvedimento impugnato ha richiamato i tre gradi di giudizio che hanno visto soccombente il ricorrente in ordine al reato di peculato militare continuato, ha menzionato l’inchiesta formale, il verbale della Commissione di disciplina che ha ritenuto il sottufficiale “non meritevole di conservare il grado”, ha rappresentato di aver esaminato i precedenti di servizio e disciplinari, di aver constatato la regolarità della procedura seguita, di condividere il giudizio espresso dalla Commissione di disciplina;
l’amministrazione poi non ha fatto riferimento al processo penale, ma ha descritto il comportamento del sottufficiale dell’esercito che si ritiene necessario riportare in questa sede, ai fini della valutazione della sanzione adottata, ritenuta da parte del Collegio, come detto, proporzionata e non illogica: “in qualità di sottufficiale ai viveri presso la mensa unica del proprio reparto, avendo in ragione del suo ufficio il possesso di denaro e di generi alimentari dell’amministrazione militare, se ne impossessava per un ammontare pari ad euro 33.938.62. Quanto precede veniva conseguito sia attraverso lo scarico contabile dei generi alimentari non riportati nel menu, sia caricando contabilmente generi alimentari in quantità eccessiva rispetto alle spettanze, sia anche impiegando per la confezione dei pasti derrate alimentari in misura inferiore a quella prevista per la forza da vettovagliare, sia, in ultimo, approvvigionandosi di derrate in quantità inferiori rispetto a quelle contabilizzate”.

Il provvedimento dopo aver specificato che tale comportamento, era stato “peraltro sanzionato in sede penale” lo ha ritenuto autonomamente censurabile anche sotto l’aspetto disciplinare “perché così fortemente contrario ai doveri attinenti al giuramento prestato, al grado rivestito, al senso di responsabilità ed alle norme e disposizioni che regolano il particolare servizio cui era preposto, da rendere inopportuna la permanenza in servizio del sottufficiale.”

L'Amministrazione ha, dunque, operato una congrua valutazione dei fatti, ritenendoli meritevoli di sanzione disciplinare e scegliendo, nell’esercizio del potere discrezionale proprio di quella sede, una sanzione adeguata alle violazioni concretizzatesi, ritenendo di irrogare quella più grave, non apoditticamente, ma attraverso un percorso argomentativo, in conformità alle previsioni dell’art. 60, comma 1, della Legge n. 599 del 1954 che nell’elencare le cause della perdita del grado al punto 6) indica la rimozione per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari, previo giudizio di una Commissione di disciplina, congruità di fronte alla quale questo giudice non può che arrestarsi.

Il Collegio aderisce, infatti, all’orientamento giurisprudenziale alla luce del quale la sanzione disciplinare della rimozione per perdita del grado è legittimamente inflitta al militare incolpato sulla sola base della condanna penale accompagnata da un giudizio sintetico in ordine all'incidenza dei fatti ivi accertati sul rapporto di servizio che lo leghi all'Amministrazione, laddove la gravità degli illeciti penali sia tale da rendere palese l’incompatibilità tra la loro commissione e l’esercizio delle funzioni demandate agli appartenenti alle Forze armate, attesa la gravità del danno di immagine che per l’Istituzione ne derivi (cfr. TAR Milano, Sezione III, 1087/2009).

Nonostante dal provvedimento si evinca, come già detto, che l’Amministrazione abbia esaminato i precedenti di servizio e disciplinari, il Collegio ritiene, altresì, che di fronte alla gravità del comportamento, come nel caso oggetto del presente giudizio nel quale sono stati ravvisati gli estremi del reato di peculato militare continuato e, argomento da tenere in debita considerazione ad avviso del Collegio, reato per il quale il ricorrente è stato ritenuto responsabile in tutti i tre gradi di giudizio, i buoni precedenti, richiamati dal ricorrente per censurare l’illegittimità del provvedimento che non ne avrebbe tenuto conto, non siano preclusivi della valutazione negativa.

Sono, altresì, privi di pregio i vizi lamentati da parte ricorrente relativamente all’iter del procedimento disciplinare ed in particolare agli adempimenti della Commissione di disciplina che, secondo la prospettazione di parte ricorrente, dopo avere verificato ed esaminato la documentazione a sua disposizione e aver acquisito la relazione difensiva nella quale venivano rappresentate le difficoltà nell’assolvimento del compito a lui affidato, peraltro rappresentate anche in sede di audizione unitamente alla richiesta verbale di essere sostituito, si sarebbe limitata a procedere a votazione, a mezzo di scheda segreta, sul quesito se fosse meritevole della conservazione del grado;
il vizio della determinazione della Commissione inficerebbe i successivi atti del procedimento. La Commissione avrebbe acriticamente recepito la condanna penale inflitta senza procedere ad una autonoma valutazione dei fatti, nonché della sua complessiva personalità desumibile dallo stato di servizio.

In riferimento all’iter procedurale della Commissione, come rappresentato da parte resistente, la Commissione stessa non ha fatto altro che dare applicazione alle previsione di cui all’art. 74 della citata Legge n. 599 del 1954, come si evince dal relativo verbale della seduta della Commissione che descrive cronologicamente gli adempimenti posti in essere.

Per quanto concerne in particolare la votazione, il Collegio aderisce all’orientamento della prevalente giurisprudenza amministrativa che interpreta la suddetta disposizione di riferimento come volta ad imporre lo scrutinio segreto nei procedimenti disciplinari riguardanti i militari e, quindi, la segretezza c.d. interna, a differenza della diversa disposizione contenute nell’art. 112 del T.U. n. 3 del 1957 concernente i Collegi disciplinari degli impiegati civili, disposizione in ordine alla quale fin da tempo risalente la giurisprudenza ritiene che la citata norma prescriva la sola segretezza c.d. esterna, limitandosi, quindi, a precludere la divulgazione all’esterno delle posizioni assunte dai componenti della Commissione (cfr. ex multis Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 339/2006).

È sufficiente, altresì, la lettura del suddetto verbale per constatare come il ricorrente abbia potuto esercitare appieno il proprio diritto di difesa. Il Presidente ha, infatti, acquisito agli atti del procedimento e dato lettura di una memoria prodotta in quella sede dal ricorrente e del rapporto informativo redatto dal suo Comandante, richiamando l’attenzione sul fatto rilevante, a parere del Collegio, che nel paragrafo “Dato storico” il giudicando asseriva di non aver mai avuto la possibilità di spiegare in dettaglio le sue ragioni. Merita di essere evidenziato, al riguardo, che nello stesso verbale è espressamente rappresentato che il Presidente ha ricordato al ricorrente che era stato sottoposto ad un lungo ed articolato procedimento penale nell’ambito del quale aveva operato le scelte ritenute da lui più opportune per la sua difesa.

Pur non essendo consentito all’adito giudice amministrativo apprezzare nuovamente fatti che sono stati ritenuti in sede disciplinare meritevoli di affermazione di responsabilità, il Collegio ritiene di poter evidenziare che non vede come le difficoltà organizzative, peraltro mai rappresentate formalmente come confermato dallo stesso ricorrente in sede di audizione e riportato nel citato verbale, possano giustificare la commissione del reato di peculato militare continuato, i cui fatti costitutivi sono stati addebitati al ricorrente in tre gradi di giudizio, sebbene il ricorrente stesso abbia sempre rappresentato la sua estraneità.

Alla luce di quanto sopra non può non concludersi che la Commissione, pur tenendo logicamente e debitamente in considerazione le valutazioni dei giudici penali nei tre gradi di giudizio abbia proceduto ad una autonoma valutazione dei fatti, maturando autonomamente il giudizio finale espresso legittimamente dai singoli componenti della Commissione medesima in forma segreta come previsto dalla richiamata normativa.

Il Collegio passa ora ad esaminare la questione di legittimità costituzionale con la quale il ricorrente ha eccepito, in via subordinata, il contrasto delle disposizioni di cui agli artt. 26 lett. g), 60, n. 6 e 61 della legge n. 599 del 1954 (Stato dei sottufficiali dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica) con gli artt. 2, 3, 25, secondo comma, 52 e 97 della Costituzione.

Il Collegio ritiene la questione manifestamente infondata, trattandosi di ordinamento militare all’interno del quale per pacifica giurisprudenza è ritenuto coessenziale un significativo margine discrezionale nelle scelte organizzative, ivi incluse quelle direttamente afferenti alla gestione del personale, in quanto strumentali alla funzionalità richiesta agli apparati militari, come del resto favorevolmente scrutinate in precedenti sentenze della Corte Costituzionale.

Conclusivamente, per i suesposti motivi, il ricorso deve essere respinto.

Le spese, secondo la regola della soccombenza, devono porsi a carico della parte ricorrente, nell’importo liquidato nel dispositivo.

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